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Jean Baudrillard

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Jean Baudrillard nel 2004

Jean Baudrillard (1929 – 2007), filosofo francese.

Citazioni di Jean Baudrillard

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  • Correre in macchina è una forma spettacolare di amnesia. Tutto da scoprire, tutto da cancellare.[1]
  • Di eventi mondiali, ne abbiamo avuti tanti, dalla morte di Diana ai Mondiali di calcio – come di eventi violenti e reali, guerre e genocidi. E invece di eventi simbolici di portata mondiale, cioè non semplicemente diffusi su scala mondiale ma tali da mettere in difficoltà la mondializzazione stessa, neppure uno. Per tutta la lunga stagnazione degli anni Novanta, abbiamo avuto lo "sciopero degli eventi", per riprendere la battuta dello scrittore argentino Macedonio Fernández. Ebbene, quello sciopero è terminato. Gli eventi hanno smesso di scioperare. E ci troviamo anzi di fronte, con gli attentati di New York e del World Trade Center, all'evento assoluto, alla "madre" di tutti gli eventi, all'evento puro che racchiude in sé tutti gli eventi che non hanno mai avuto luogo.[2]
  • Il capitale-bisogni, investito da ciascun consumatore privato, è oggi altrettanto essenziale per l'ordine della produzione quanto i capitali investiti dall'imprenditore-capitalista, o il capitale forza-lavoro investito dal lavoratore salariato.[3]
  • Il corpo è vezzeggiato nella perversa certezza della sua inutilità, nella totale certezza della sua non resurrezione.[4]
  • Il reale è prodotto da unità miniaturizzate, da matrici, banchi di memoria e modelli di comando e, a partire da questo, può essere riprodotto un numero indefinito di volte.[5]
  • [...] il reale non è soltanto ciò che può essere riprodotto, ma ciò che è sempre già riprodotto. Iperreale.[6]
  • L'età della simulazione comincia con l'eliminazione di tutti i referenti; peggio: con la loro resurrezione artificiale in un sistema di segni.[7]
  • La seduzione non si basa sul desiderio o sull'attrazione: tutto questo è volgare meccanica e fisica carnale, nulla di interessante. Certo, il fascino della seduzione passa attraverso l'attrattiva del sesso. Ma, propriamente, vi passa attraverso, la trascende. Per la seduzione, infatti, il desiderio non è un fine, ma un'ipotetica posta in gioco. Anzi, più precisamente, la posta in gioco è provocare e deludere il desiderio, la cui unica verità è brillare e restare deluso.[8]
  • La pena di morte e la violenza penale non solo possono sparire in questa società, ma anzi devono farlo.[6]
  • L'amore parla molto, è un discorso. Si dichiara, e spesso culmina in questa dichiarazione in cui finisce: atto linguistico altamente ambiguo, quasi indecente.[9]
  • Se Dio esiste, non c'è bisogno di crederci. Se ci si crede, vuole dire che l'evidenza del suo esistere è morta.[10]
  • Se l'umano non si definisce più in termini di libertà ma in termini di geni, svanisce la definizione dell'uomo e anche dell'umanesimo.[11]
  • Se tutti gli enigmi sono risolti, le stelle si spengono. Se tutto il segreto è restituito al visibile, e più che al visibile, all'evidenza oscena, se ogni illusione è restituita alla trasparenza, allora il cielo diventa indifferente alla terra.[9]

Dall'intervista di Aude Lancelin Baudrillard décode «Matrix», Le Nouvel Observateur, 19 giugno 2003; tradotto da Beatrice Fulimeni in QuintoStato.it, a cura di Nuovi Mondi Media.

  • C'è un equivoco di fondo, ed è la ragione per cui ho esitato finora a parlare di Matrix. Dopo il primo episodio, lo staff dei Wachowski mi aveva contattato per coinvolgermi nei film successivi, ma non c'era neanche da parlarne! [...] Queste persone considerano l'ipotesi del virtuale come un dato di fatto e la trasformano in fantasma visibile. Ma la caratteristica di questo universo, è appunto il fatto che non si possono più utilizzare le categorie del reale per parlarne.
  • [...] ci sono già stati altri film che trattavano questa crescente indistinzione fra reale e virtuale. Truman Show, Minority Report o anche Mulholland Drive, il capolavoro di David Lynch. Matrix vale soprattutto come sintesi parossistica di tutto questo. Ma il dispositivo qui è più rozzo e non suscita veramente il turbamento. O i personaggi sono nella Matrice, cioè nella digitalizzazione delle cose. O sono radicalmente al di fuori, cioè a Zion, la città di coloro che resistono. In effetti, sarebbe interessante mostrare ciò che accade sul punto di giuntura dei due mondi. Ma quello che è soprattutto imbarazzante in questo film, è che il nuovo problema posto dalla simulazione qui è confuso con quello, molto classico, dell'illusione, che si trovava già in Platone. Il vero equivoco è qui. Il mondo visto come illusione radicale è un problema che si è posto a tutte le grandi culture e che da esse è stato risolto con l'arte e la simbolizzazione. Quello che noialtri abbiamo inventato per sopportare questa sofferenza, è un reale simulato, un universo virtuale da dove è espurgato tutto ciò che c'è di pericoloso, di negativo, e che soppianta ormai il reale, fino a diventarne la soluzione finale. Ora, Matrix è assolutamente all'interno di questo meccanismo! Tutto quanto appartiene all'ordine del sogno, dell'utopia, della fantasia, qui è dato vedere, "realizzato". Siamo nella trasparenza integrale. Matrix, è un po' il film sulla Matrice che avrebbe potuto fabbricare la Matrice.
  • Quello che è sorprendente in Matrix 2, è che non c'è un barlume d'ironia che permetta allo spettatore di cogliere il lato nascosto di questo gigantesco effetto speciale. Mai una sequenza che abbia quel "punctum" di cui parla Barthes, quel congegno che colpisce e che vi mette di fronte a una vera immagine. È questo del resto ciò che fa del film un sintomo istruttivo, e il feticcio stesso di questo universo delle tecnologie dello schermo, dove non c'è più distinzione tra il reale e l'immaginario. Matrix è a tal proposito un oggetto stravagante, candido e perverso insieme, in cui non c'è niente né al di qua né al di là. Lo pseudo-Freud che parla alla fine del film, lo dice: a un certo punto, si è dovuto riprogrammare la Matrice per integrare le anomalie nell'equazione. E voi, gli oppositori, ne fate parte. [...] Matrix dà l'immagine di un'onnipotenza monopolistica della situazione attuale, e collabora dunque alla sua rifrazione. In fondo, la sua diffusione su scala mondiale fa parte del film stesso. Qui, bisogna riprendere McLuhan: il medium è il messaggio. Il messaggio di Matrix è la sua stessa diffusione, per contaminazione proliferante e incontrollabile.

Cool memories

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  • Un giudizio negativo vi soddisfa ancora più di un elogio, a patto che vi si senta la gelosia.[12]
  • Una mobilità meravigliosa, incantevole, una vivacità aerea: il gatto.
    Ogni seduzione è felina. Come se le apparenze si mettessero a funzionare da sole e a concentrarsi senza fatica.
    Felinità delle apparenze. Niente se ne scatena, tutto vi s'incatena. Perché la felinità non è altro che la concatenazione suprema del corpo e del movimento.[13]
  • Soltanto il gatto lascia sulla sabbia o sul letto l'impronta totale del suo corpo addormentato. L'uomo non sa abbandonarsi alla forma del suo corpo, in modo da poter provare un abbandono totale. Non conosce l'inerzia da cui il gatto trae la sua felinità, la sua vivacità, la sua crudeltà formale. Non conosce questa elasticità mistica, la dissoluzione del corpo nelle sue diverse membra, che permette al gatto di cadere senza sfracellarsi al suolo. Poiché ogni parte in sé è leggera, è la pesantezza dell'insieme che ci perde.[13]

L'Illusione dell'immortalità

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  • Ciecamente sogniamo di superare la morte attraverso l'immortalità anche se da sempre l'immortalità ha rappresentato la peggiore delle condanne, il destino più terrificante.
  • Con il codice binario e la sua decodifica, la dimensione simbolica del linguaggio è andata perduta.
  • L'evento prodotto dall'informazione non possiede più di per sé un valore storico.
  • La tecnologia sta diventando lo strumento ironico di un mondo che immaginiamo nostro solo per trasformarlo e dominarlo.
  • Le cose ci scoprono nello stesso tempo in cui noi scopriamo loro.
  • Non possediamo più obbiettivi in cui non credere. Perché è di vitale importanza – forse ancor più che vitale – avere cose in cui non credere.

Simulacri e impostura

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  • La seduzione è qualcosa che sottrae al discorso il suo senso e lo svia dalla sua verità. (Seduzione e impostura, p. 32)
  • Se abbiamo potuto prendere, come più bella allegoria della simulazione, la favola di Borges in cui i cartografi dell'Impero disegnano una carta così dettagliata che finisce per coprire con la massima precisione il territorio [...] ebbene, per noi questa favola è sorpassata, ha ormai soltanto il fascino discreto dei simulacri del secondo ordine. [...] Il territorio non precede più la carta, né le sopravvive. Ormai è la carta che precede il territorio – precessione dei simulacri – che lo genera; e, se si dovesse riprendere la favola, oggi sono piuttosto i brandelli del territorio che imputridiscono lentamente sull'estensione della carta. Qui e là sono vestigia del reale che sussistono, e non della carta, nei deserti che non sono più quelli dell'Impero, ma il nostro. Il deserto del reale stesso.[14] (La processione dei simulacri, pp. 45-46)
  • Tutta la fede e la buona fede occidentale si sono impegnate in questa scommessa della rappresentazione: che un segno possa rimandare alla profondità del senso, che un segno possa scambiarsi con del senso, e che qualcosa funga da garanzia a questo scambio – Dio, naturalmente. Ma se Dio stesso può essere simulato, e cioè ridursi ai segni che ne fanno fede? Allora tutto il sistema perde la sua legge di gravitazione, a sua volta non è più che un gigantesco simulacro – non irreale, ma simulacro, vale a dire che non si scambia più con il reale, ma si scambia in sé, in un circuito ininterrotto a cui non appartengono affatto né la «referenza» né la circonferenza. (La processione dei simulacri, p. 51)
  • Disneyland è un modello perfetto di tutti gli ordini dei simulacri messi insieme alla rinfusa. È in primo luogo un gioco di illusioni e fantasmi [...]. (La processione dei simulacri, p. 59)
  • [...] a Disneyland, si traccia il disegno classico dell'America, persino nella morfologia degli individui e della folla. Qui tutti i valori sono esaltati attraverso la miniatura e il fumetto. Imbalsamati e pacificati. (La processione dei simulacri, p. 60)
  • Disneyland è lì per nascondere che il paese «reale», tutta l'America «reale» non sono altro che Disneyland (un po' come le prigioni sono lì per nascondere che è il sociale intero, nella sua onnipresenza banale, a essere carcerario). Disneyland è posta come immaginario al fine di far credere che il resto è reale, mentre tutta Los Angeles e l'America che la circonda già non sono più reali, ma appartengono all'ordine dell'iperreale e della simulazione. (La processione dei simulacri, p. 60)
  • L'immaginario di Disneyland non è né vero, né falso, è una macchina di dissuasione messa in scena per rigenerare in controcampo la finzione del reale. Da qui la debolezza di questo immaginario, la sua degenerazione infantile. Un mondo che si vuole infantile per far credere che gli adulti sono altrove, nel «reale» e per nascondere che la vera infantilità è dovunque, ed è quella degli adulti stessi che vengono qui a fare i bambini per illudersi sulla loro infantilità reale. (La processione dei simulacri, pp. 60-61)
  • [...] Watergate è riuscito soprattutto a imporre l'idea che Watergate era uno scandalo – in questo senso, è stata un'operazione d'intossicazione prodigiosa. Una buona e nuova dose di morale politica iniettata su scala mondiale. (La processione dei simulacri, p. 61)
  • [...] il nostro sentimentalismo verso le bestie è il segno sicuro del disprezzo in cui le teniamo. È proporzionale a questo disprezzo. L'animale diventa degno di affetto e protezione proprio nella misura in cui viene relegato nell'irresponsabilità, nel non-umano, così come il bambino viene relegato in una condizione di innocenza e di infantilismo. Il sentimentalismo non è che la forma infinitamente degradata della bestialità. Commiserazione razzista, ne sobbarchiamo le bestie fino a renderle, a loro volta, sentimentali. (Territorio e metamorfosi, p. 103)

Citazioni su Jean Baudrillard

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  • La società di massa, pur essendo costituita da individui insofferenti di legami sociali, non è incompatibile col pluralismo: anzi ne ha bisogno proprio per articolarsi e funzionare. E questo contraddice la tesi proclamata da Baudrillard, per il quale la società di massa rappresenta l'implosione del sociale e sfugge a ogni analisi sociologica. (Massimo Corsale)

Note

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  1. Da L'america, traduzione di Laura Guarino, Feltrinelli.
  2. Da Lo spirito del terrorismo, traduzione di Alessandro Serra, RaffaelloCortina Editore.
  3. Da Per una critica dell'economia politica del segno, p. 77.
  4. Da Video delle mie brame, Panorama, 24 settembre 1984, pp. 130-133; in Il sogno della merce, a cura di Vanni Codeluppi, Lupetti, Roma 1994.
  5. Citato in AA.VV., Il libro della sociologia, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 198. ISBN 9788858015827
  6. a b Da Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 87.
  7. Citato in AA.VV., Il libro della sociologia, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 199. ISBN 9788858015827
  8. Da Il destino dei sessi e il declino dell'illusione sessuale, 1992.
  9. a b Da Le strategie fatali, Feltrinelli, Milano, 1984.
  10. Da Il delitto perfetto, traduzione di G. Piana, Raffaello Cortina, Milano, 1996.
  11. Da L'illusione della fine.
  12. Traduzione di Andrea Cossu e Lidia Brera, SugarCo, Milano, 1991. ISBN 88-7198-060-3
  13. a b Citato in Alessandro Paronuzzi (a cura di), 101 gatti d'autore. Grandi autori, da Benni a Sepúlveda, dalla Morante a García Márquez, da Eco a Twain hanno descritto un gatto, F. Muzzio, Padova, 1997, p. 7. ISBN 88-7021-844-9
  14. Nel film Matrix (1999) è presente un riferimento a questo libro e in particolare a questa frase. Cfr. «Benvenuto nella tua desertica nuova realtà.»

Bibliografia

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  • Jean Baudrillard, L'Illusione dell'immortalità, a cura di Giorgia Biolghini, Armando.
  • Jean Baudrillard, Per una critica dell'economia politica del segno, traduzione di Mario Spinella, G. Mazzotta, Milano, 1974.
  • Jean Baudrillard, Simulacri e impostura bestie, Beaubuorg, apparenze e altri oggetti, con un saggio di Furio di Paola, traduzione di Pina Lalli, Cappelli, Bologna, 1980.

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