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Lorenzo de' Medici

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Lorenzo de' Medici

Lorenzo de' Medici, detto Lorenzo il Magnifico (1449 – 1492), signore di Firenze, letterato, mecenate e diplomatico.

Citazioni di Lorenzo de' Medici

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  • Dalla più alta stella | Disceso è in terra un divino splendore, | Gloriosa Regina, | Vergine e sposa, madre del Signore: | O luce mattutina, | Felice chi s'inchina | A questa santa madre onesta e pia. (da Alla Vergine)
  • Sappiate che chi dice male di noi non ci vuole bene.[1] [truismo]

Canti carnascialeschi

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  • Convien giucare e spender bei quattrini. (da Canzona de' confortini, v. 14)
  • Chi vince, per dolcezza si gavazza, | dileggia e ghigna, e tutto si diguazza; | credere alla Fortuna è cosa pazza: | aspetta pur che poi si pieghi e chini. (da Canzona de' confortini, vv. 27-30)
  • Quant'è bella giovinezza, | che si fugge tuttavia! | chi vuol esser lieto, sia: | di doman non c'è certezza. (da Canzona di Bacco, vv. 1-4) [sul tema del carpe diem]
  • Donne, noi siam maestri d'innestare; | in ogni modo lo sappiam ben fare. (da Canzona degl'innestatori, vv. 1-2)
  • Cetrïuoli abbiamo e grossi, | di fuor pur ronchiosi e strani; | paion quasi pien' di cossi, | poi sono apritivi e strani; | e' si piglion con duo mani: | di fuor lieva un po' di buccia, | apri ben la bocca e succia; | chi s'avezza, e' non fa male. (da Canzona delle forese, vv. 13-20)
  • Orsù! seguiam questa stella benigna, | o donne vaghe, o giovinetti adorni: | tutti vi chiama la bella Ciprigna | a spender lietamente i vostri giorni, | senz'aspettar che 'l dolce tempo | torni, | ché, come fugge un tratto, mai non riede. (da Canzona de' sette pianeti, vv. 21-26)
  • Dica pur chi mal dir vuole, | noi faremo e voi direte. (da Canzona delle cicale, vv. 31-32)
  • Se ci è alcuna a chi la fava piaccia, | la meglio infranta abbiam che ci si faccia, | con un pestel che insino a' gusci schiaccia, | ma a menar forte ell'esce de' mortai. (da Canzona de' fornai, vv. 11-14)

Comento del magnifico Lorenzo de' Medici sopra alcuni de' suoi sonetti

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  • Veggiamo ancora, nelle civili, proprie e domestiche operazioni, la difficultà di pigliare qualche partito nasce del concorrere in ogni partito qualche inconveniente, né si trovare di mille volte una vera deliberazione, alla quale non si possa contradire. E però quegli che sono più prudenti, indugiono più a pigliare partito, e per questa tardità si chiamono «uomini gravi». Ed il tempo si chiama «sapientissimo», perché la sapienzia vera consiste nello aspettare ed usare l'occasione; e questa non sarebbe necessaria, se non per la molta difficultà che portano seco le occorrenti deliberazioni. (p. 88)
  • [...] il contento umano consiste più tosto nel parere che nell'essere. (p. 91)
  • [...] il dolore è spesso sanza dolcezza, e la dolcezza non mai sanza dolore. (p. 91)
  • E veramente come si può imputare a gran difetto il creder leggermente quelle cose che prima facie paiono impossibili, così non mi pare da approvare la oppinione di quelli che non prestono fede ad alcuna cosa, quando ecceda in qualche parte o l'uso comune o l'ordine naturale. Perché spesso si è veduto nascere grandissimi inconvenienti presupponendo una cosa falsa, per parere quasi impossibile, e nondimeno pure essere vera. Ed, oltre questo, come il credere presto pare officio d'uomo leggieri, così assolutamente nel non credere dimostra grande presunzione; perché chi dice «questa cosa non può essere» presumme di sapere tutte le cose che possono essere, e quanto sia la potenza della natura. E nondimeno si vede molti effetti naturali diversi e quasi incredibili, se non fussino notissimi quasi a ogni persona. (pp. 91-92)

Poemi

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Corinto

La luna in mezzo alle minori stelle
chiara fulgea nel ciel quieto e sereno,
quasi ascondendo lo splendor di quelle:

e 'l sonno aveva ogni animal terreno
dalle fatiche lor diurne sciolti:
e il mondo è d'ombre e di silenzio pieno.

Sol Corinto pastor ne' boschi folti
cantava per amor di Galatea
tra' faggi, e non v'è altri che l'ascolti:

né alle luci lagrimose avea
data quïete alcuna, anzi soletto
con questi versi il suo amor piangea:

O Galatea, perché tanto in dispetto
hai Corinto pastor, che t'ama tanto?
perché vuoi tu che mora il poveretto?

Qua' sieno i miei sospiri e il tristo pianto
odono i boschi, e tu, notte, lo senti,
poi ch'io son sotto il tuo stellato ammanto.

Citazioni

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  • ''Io so che i versi posson, se li sente, | di cielo in terra far venir la luna. || I versi feron già l'itaca gente | in fere trasformar ne' verdi prati: | rompono i versi il frigido serpente. || Adunque e rotti versi e non ornati | daremo al vento; ed or ho visto come | saranno a lei li miei pianti portati. || L'aura move degli arbor l'alte chiome, | che rendon mosse un mormorio soave, | ch'empie l'aere ed i boschi del suo nome: || se porta questo a me, non le fia grave | portar mio pianto a questa dura femmina | per gli alti monti e per le valli cave, | ov'abita Eco che i miei pianti gemina: | o questo, o il vento a lei lo portin seco: | io so che 'l pianto in pietra non si semina. || Forse ode ella vicina in qualche speco. | Non so se sei qui presso: so ben ch'io, | fuggi dove tu vuoi, sempre son teco. (p. 50)
  • Se 'l tuo crudo voler fosse più pio, | s'io ti vedessi qui, s'io ti toccassi | le bianche mani e 'l tuo bel viso, o dio! || se meco sopra l'erba ti posassi, | della scorza faria d'un lento salcio | una zampogna, e vorrei tu cantassi. || L'erranti chiome poi strette in un tralcio, | vedrei per l'erba il candido piè movere | ballando e dare al vento qualche calcio. || Poi stanca giaceresti sotto un rovere | io pel prato côrrei diversi fiori, | e sopra il viso tuo gli farei piovere: || di color mille e mille vari odori, | tu ridendo faresti, dove fòro | i primi côlti, uscir degli altri fuori. || Quante ghirlande sopra i be' crin d'oro | farei miste di frondi e di fioretti! | Tu vinceresti ogni bellezza loro. || Il mormorio de' chiari ruscelletti | risponderebbe alla nostra dolcezza | e 'l canto di amorosi augelletti. || Fugga, ninfa, da te tanta durezza: | questo acerbo pensier del tuo cor caccia: | deh, non far micidial la tua bellezza! (p. 51)
  • Dov'è somma bellezza e crudeltate, | è viva morte; pur mi riconforto: | non dee sempre durar la tua beltate. || L'altra mattina in un mio piccolo orto | andavo: e 'l sol sorgente con suoi rai | uscia non già ch'io lo vedessi scorto. || Sonvi piantati dentro alcun rosai; | a' quai rivolsi le mie vaghe ciglie | per quel che visto non avevo mai. || Eranvi rose candide e vermiglie: | alcuna a foglia a foglia al sol si spiega; | stretta prima, poi par s'apra e scompiglie: || altra più giovinetta si dislega | appena dalla boccia: eravi ancora | chi le sue chiuse foglie all'aer niega: || altra cadendo a piè il terreno infiora. | Così le vidi nascere e morire | e passar lor vaghezza in men d'un'ora. || Quando languenti e pallide vidi ire | le foglie a terra, allor mi venne a mente | che vana cosa è il giovenil fiorire. (p. 54)


Incipit di alcune opere

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La Nencia da Barberino[2]

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Ardo d'amore, e conviemme cantare
per una dama che me strugge el cuore,
ch'ogni otta ch'i' la sento ricordare,
el cor me brilla e par ch'egli esca fuore.
Ella non truova de bellezze pare,
cogli occhi gitta fiaccole d'amore;
i' sono stato in città e 'n castella
e mai ne vidi ignuna tanto bella.

Rime

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Tanto crudel fu la prima feruta,
sí féro e sí veemente il primo strale,
se non che speme il cor nutrisce ed ale,
saremi morte giá dolce paruta.

Simposio o I Beoni[3]

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Nel tempo ch'ogni fronde lascia'l verde,
Et prende altro color, e'mbiancan tutti
Gli alberi; & poi ciascun sue foglie perde.
E 'l Contadin con atti rozzi, & brutti,
Ch' aspetta il guiderdon del lungo affanno
Vede pur delle sue fatiche i frutti;
Et guarda il conto suo se'l passato anno,
E stato tal', che speranza gli dia
Di star allegro, ò di futuro danno.

Citazioni su Lorenzo de' Medici

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  • È il premio, o la pena, di una natura versatile e intelligente, di essere considerato come un mistero. La mente più tarda non può seguire con sufficiente speditezza il funzionamento di uno strumento tanto sensibile, benché l'occhio segua la molteplicità dei risultati. La realtà è che l'azione e la reazione delle circostanze e del carattere sono singolarmente rapide, mentre l'osservatore crede che le manifestazioni esterne siano artificiali e drammatiche, e abbiano pochissima relazione con la vita interiore. [...] È per questo dunque che Lorenzo il Magnifico è stato così spesso dichiarato un mistero.... In realtà poche nature sono state meno misteriose della sua. Egli era un uomo completamente naturale, con una mente singolarmente aperta all'influsso delle circostanze. E proprio come il suo intelletto era versatile, così il suo carattere era ricettivo. Egli possedeva in abbondanza quelle virtù «del dare e del ricevere» quel potere di comunicare agli altri il dono della «simpatia» che per gl'Italiani significa molto di più di quanto non significhi la corrispondente parola inglese. Lorenzo era naturale e privo di affettazione. (Edward Armstrong)
  • È mi parea sentir sonar Miseno, | quando in sul campo Lorenzo giugnea | sopra un caval che tremar fa il terreno; | e nel suo bel vexillo si vedea | di sopra un sole e poi l'arcobaleno. (Luigi Pulci)
  • Governò sempre con tanta prudenzia e virtù che quella città ragionevolmente non si è mai ricordata sanza lacrime della sua immatura morte, perché a' tempi sua la fiorì di tutte quelle prosperità che può avere una città, di ricchezze, di imperio, di uomini virtuosi, di lettere e di tutte le arte buone, di reputazione, e sopra tutto di una grandissima unione e concordia civile. (Francesco Guicciardini)
  • I suoi sonetti e le sue canzoni sono assolutamente i migliori tra quanti ne furono scritti dalla morte del Petrarca, e si direbbe di trovarci a volte un'eco delle opere meno rifinite, ma anche meno presuntuose, dell'età petrarchesca: del dolce stil novo, sullo spirare del XIII secolo. Tanto egli che il suo amico Poliziano avevano subìto in gran parte l'influsso dei forti canti popolari fiorentini, e se Lorenzo fosse rimasto libero dagl'intrighi della politica e dagli affari di Stato, la poesia del Cinquecento avrebbe forse seguìto in altro corso. Disgraziatamente la moda si lasciava guidare dai poeti di Corte, che la condussero in basso fino nell'abisso del seicentismo, col suo stile pretenzioso, il suo cattivo gusto, i suoi sentimenti poco sinceri e in generale la sua mancanza di maschie virtù. (Arthur John Butler)
  • Per dimostrare com'era tuffato nei vizi, il Buser reca una lettera d'un Francesco Nacci da Napoli, che annuncia a Lorenzo la spedizione di cinquanta belle schiave turche, le più belle che si trovarono! Ah, la grazia! Cinquanta? Se non che, come fu provato, il buon tedesco ha letto nel documento belle invece di pelli, turche invece di tutte, e cosi, invece di 50 pelli di Schiavonia, ha letto 50 belle schiave turche, un harem da sultano, e senza accorgersi neppure che in tutto il contesto della lettera si parla della spedizione in modo, come se oggi si spedissero a qualche gran Don Giovanni 50 belle ragazze, turche o non turche, per pacco postale. (Ernesto Masi)
  • Quell'uomo che, non contento di asservire la sua patria, rubava l'obolo dei poveri e consumava nelle orgie la dote delle figlie del popolo per trascinarle quindi a perdizione, fu colpito nella sua ora estrema dal rimorso. Dal suo letto di morte Lorenzo il Magnifico fece chiamare a sé il Savonarola, che aveva avuto il coraggio di sfidarne l'ira, e dal quale egli ora chiedeva l'assoluzione.
    Il Priore di San Marco si condusse a Careggi presso il principe morente, che gli fece la confessione dei suoi delitti: – È in voi viva la fede in Dio? – Sì. – Restituite dunque i fondi da voi sottratti al Monte di Pietà. – È mia ferma volontà il farlo. – Rendete la dote alle giovinette che furono spogliate da Voi. – Vi acconsento. – Ma sopra tutto rendete a Firenze la sua libertà!
    A tai parole del Monaco imperterrito, che colla destra distesa sopra il moribondo reclamava i diritti della sua Patria, Lorenzo rivolse altrove lo sguardo e morì senza assoluzione. (Margarita Miniati)
  • Spirito fecondo e calcolatore, intelligenza accorta, politico senza coscienza, uomo di gusto raffinato, comprendendo le arti con intelletto d’artista, animo freddo e cinico, verseggiatore facile, erudito e gaudente, Lorenzo il Magnifico sembrava destinato ad essere il tiranno ammaliatore e il raggiratore della società del suo tempo. In questo principe, che conosceva a fondo l'arte del governare, noi troviamo non solo il Mecenate degli artisti, ma altresì il corifeo dei libertini, il re della jeunesse dorée, l'impresario per eccellenza della Città de' Fiori. (Margarita Miniati)
  • Sulle sue virtù come ospite e buon compagno non può esserci discussione.... egli era la personificazione della cortesia e della bontà; sempre pronto ad aiutare il talento, a far piacere a un amico, ad esaudire una supplica, a procurare lavoro, a lasciarsi fermare sulla pubblica strada. La semplicità e la cordialità delle sue lettere ai suoi ambasciatori spiegano pienamente la devozione che essi avevano per lui. Per i dotti e per gli artisti egli teneva sempre casa aperta; chiunque arrivasse prima, qualunque fosse la sua età o il suo ceto, sedeva a fianco del padrone di casa. La sua conversazione, come il suo carattere, avevano il fascino della varietà. Aveva a volte la lingua tagliente. A un cugino che si vantava della gran copia d'acqua nella sua villa osservò: – Allora potresti anche tenere le mani pulite; – a un Senese che lo compiangeva per la vista debole soggiungendo che l'aria di Firenze era nociva agli occhi, Lorenzo risponde: – E quella di Siena al cervello; – a uno che criticava la musica dello Squarcialupi, Lorenzo disse: – Se sapeste quanto sia difficile raggiungere la perfezione in tutte le arti, non badereste tanto alle deficienze. − (Edward Armstrong)

Note

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  1. Citato in Francesco Guicciardini, Ricordi, C 75, in Opere, a cura di Roberto Palmarocchi, Laterza, Bari, 1933.
  2. Opera attribuita, di dubbia paternità.
  3. Opera attribuita.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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Opere

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