Francesco Guicciardini

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Ritratto di Francesco Guicciardini

Francesco Guicciardini (1483 – 1540), filosofo, politico e scrittore italiano.

Citazioni di Francesco Guicciardini[modifica]

  • Andò all'esercito Lodovico Sforza, e con lui Beatrice sua moglie, che gli era assiduamente compagna non manco alle cose gravi che alle dilettevoli.[1]
  • [Ludovico il Moro] principe vigilantissimo e d'ingegno molto acuto.[2]
  • [Ludovico il Moro] non manco timido nell'avversità, che immoderato nelle prosperità, come quasi sempre è congiunta in un medesimo soggetto l'insolenza con la timidità, dimostrava con inutili lagrime la sua viltà. [3]
  • [Ludovico il Moro] Se bene e' fu signore di grande ingegno e valente uomo, e così mancassi di crudeltà e di molti vizii che sogliono avere i tiranni, e potessi per molte considerazioni essere chiamato uomo virtuoso, pure queste virtù furono oscurate e coperte da molti vizii; perché e' fu disonesto nel peccato della sodomia, e come molti dissono, ancora da vecchio non meno paziente che agente; fu avaro, vario, mutabile, e di poco animo; ma quello perché trovò meno compassione fu una ambizione infinita, la quale, per essere arbitro di Italia, lo constrinse a fare passare il re Carlo e empiere Italia di barbari.[4]

Attribuite[modifica]

  • Ché se tu fiderai nelli italiani, sempre aurai delusione.
[Citazione errata] Questa frase viene attribuita da Gianni Brera a Francesco Guicciardini, che in realtà non pronunciò né scrisse mai queste parole. Brera utilizzò questa citazione in varie opere di natura storica e in vari articoli.[5][6] Il giornalista ammise di essersi inventato la citazione in questo pezzo tratto da un suo articolo: «Il ragazzino Campanella crotonese come Milone! consola il cronista di ogni sconsiderata nequizia commessa in pedata e lo esime per una volta dal parafrasare ser Francesco Guicciardini, al quale ha fatto dire ormai da molti anni: Che se tu fiderai nelli italiani, sempre aurai delusione.»[7]

Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio[modifica]

Incipit[modifica]

Nel primo Discorso è vera la distinzione che tutte le città sono edificate o da forestieri o da uomini nativi del luogo, ed in questo secondo membro cade Vinegia ed Atene; cadeci ancora Roma, ma diversamente da Atene e da Vinegia, perché queste furono edificate dagli incoli per necessità di avere o uno ricetto sicuro o uno reggimento commune, ma Roma, sanza alcuna di queste necessità, fu più presto edificata come colonia di Alba, cioè da uomini o albani o sudditi allo imperio di Alba, per amore di quelli luoghi dove erano nutriti, o per ambizione di reggersi per sé stessi; né può Roma per rispetto di Enea applicarsi al membro de' forestieri, perché è uno cercare le origine troppo da lontano, le quali non s'hanno a referire a' primi antecessori di chi ha edificato.

Citazioni[modifica]

  • El principale fondamento della potenzia e ricchezze della città è avere grosso populo: e male può ingrossare di populo una città che sia posta in luogo sterile, se già non ha la aria molto generativa, come Firenze, o la opportunità del mare, come Vinegia; e però è meglio porsi in paese fertile, perché più facilmente vi concorrono gli abitatori; ma quando fussi possibile fermare abitatori assai in uno sito, io non dico al tutto sterile, ma non grasso, non è dubio che più conferirebbe a farlo virtuoso la necessità del provedersi che le buone legge; perché quelle si possono variare dalla voluntà degli uomini, ma la necessità è una legge ed uno stimulo continuo. E questa indirizzò bene Roma, la quale, se bene posta in paese fertile, tamen per non avere contado ed essere cinta di populi potenti, fu forzata allargarsi con la virtù delle arme e con la concordia; e questo si discorre non in una città che voglia vivere alla filosofica, ma in quelle che vogliono governarsi secondo el commune uso del mondo, come è necessario fare, altrimenti sarebbono, essendo debole, oppresse e conculcate da' vicini. (cap. I)
  • Nel governo del popolo è di buono, che mentre dura non vi è tirannide; possono più le legge che gli uomini; ed el fine di tutte le deliberazione è riguardare al bene universale. Di male vi è, che el popolo per la ignoranzia sua non è capace di deliberare le cose importante, e però presto periclita una republica che rimette le cose a consulta del popolo; è instabile e desideroso sempre di cose nuove, e però facile a essere mosso ed ingannato agli uomini ambiziosi e sediziosi; batte volentieri e' cittadini qualificati, che gli necessita a cercare novità e turbazione. (cap. II)
  • È vero che, e nello ordinare una republica ed in ogni altra faccenda, si debbe ordinare le cose in modo che chi volessi fare male, non possa, non perché sempre tutti gli uomini siano cattivi, ma per provedere a quelli che fussino cattivi; e s'ha a considerare in questa materia, che gli uomini tutti sono per natura inclinati al bene, ed a tutti, data paritate terminorum, piace più el bene che 'l male; e se alcuno ha altra inclinazione, è tanto contro allo ordinario degli altri e contro a quello primo obietto che ci porge la natura, che più presto si debbe chiamare monstro che uomo. (cap. III)
  • E per venire a' particulari secondo l'ordine del Discorso, dico che a uno tiranno di una città, ed a ogni principe, sono utilissime le fortezze in quella città, perché né el popolo né gli inimici particulari, vedendo el principe sicuro nella fortezza sua, non possono per ogni leggiere occasione fare movimento; perché è difficile farlo in modo che si amazzi el principe con tutta la sua progenie; non facile avere le forze ed e' soccorsi preparati in modo che si possa rinchiudere o pigliare la fortezza sì presto che el principe non abbia tempo a ripigliare la terra con gente nuove introdotte per la fortezza. (cap. XXIV)

Explicit[modifica]

Però conchiuggo che quando Roma non fu corrotta, che le prorogazione degli imperi e la continuazione del consulato, la quale ne' tempi difficili usarono molte volte, furono cosa utile e santa; ma corrotta la città, sursono le battaglie civili ed e' semi delle tirannide, etiam sanza la prorogazione degli imperi. E però si può conchiudere, che se non fussino state anche le prorogazione, non sarebbe mancato né a Cesare né agli altri che occuporono la republica, né pensiero né facultà di travagliarla per altra via.

Discorsi politici[modifica]

Incipit[modifica]

Massimiano re de' romani, innanzi che fussi fatta la lega di Cambrai, nella dieta di Costanza, sotto titulo di rimettere Massimiano Sforza, ricercava e' viniziani di lega per venire in Italia per la corona dello imperio ed a' danni de' franzesi, allora signori di Milano, offerendo loro partiti grandi. Trattavasi nel senato suo quid agendum; fu parlato da uno senatore per la parte affermativa in questo modo:
Tutta la difficultà di questa consulta, onorevoli senatori, consiste in considerare se el re de' romani si unirà co' franzesi in caso che noi rifiutiamo le dimande sue; perché avendo noi ora pace piacevole ed onorevole ed anche assai sicura, nessuna ragione può essere bastante a farci pigliare una guerra di travaglio e spesa assai, ogni volta che noi non dubitiamo che loro si unischino.

Citazioni[modifica]

  • Gli uomini non sono tutti savi, anzi la maggiore parte non sono savi; e chi ha a fare pronostico delle deliberazione di altri, non debbe tanto andare con la misura di quello che ragionevolmente doverrebbe fare uno savio, quanto con la misura del cervello, natura ed altre condizione di chi ha a deliberare; e chi procede altrimenti spesso si inganna. (cap. I)
  • Io confesso, onorevoli senatori, essere officio vostro e di tutti e' governatori delle republiche, ancora che la pace sia cosa santissima e desideratissima, non però lasciarsi tanto abbagliare dalla dolcezza sua, che per paura di non la perdere si entri in maggiori guerre e pericoli, che non sarebbe entrato chi non l'avessi amata troppo; e nondimanco ricordo che per ogni timore o sospetto non si debbe pigliare le arme, e per ogni paura di non avere guerra, entrare nella guerra, perché chi fa così, spesso, per fuggire pericolo, sanza bisogno entra in pericolo; e non essendo mai pace alcuna tanto sicura, né tanto ferma che manchi di qualche timore di guerra, chi procedessi con questa regola non starebbe mai in pace; anzi entrando di guerra in guerra per desiderio di avere la pace, non la arebbe mai. (cap. II)
  • E chi è uso alle faccende e maneggi grandi, ed ha travagliato a' suoi dì assai come lui, non può desperare di non vedere varietà nelle cose del mondo, perché le sono use a variare pure troppo spesso. (cap. II)
  • In effetto a me non pare che per uno sospetto di guerra incerta debbiamo pigliare una guerra certissima, né per desiderio di guadagnare debbiamo entrare in infinite spese e pericoli, né sanza manifesta necessità mancare alla fede nostra e crescere ogni dì la opinione che siamo troppo ambiziosi e cupidi di occupare quello di altri. (cap. II)
  • Se bene el desiderio di sapere le cose future, massime quando sono di molta importanzia, è tanto naturale a tutti li omini, che continuamente li sprona andarle investigando e cercando di conietturarle, da altro canto le vanno sì variando fuori della opinione di tutti, che li è più tosto da maravigliarsi di quelli che mossi dallo appetito della natura le vanno curiosamente ricercando, che di coloro che per desperazione di poterle aggiugnere ne levano ogni pensiero. (cap. IV)
  • Sono le nature molto diverse: li spagnoli omini temperati e maturi e pazientissimi di ogni disagio; li inghilesi bestiali, disordinati, non atti a durare lungamente fatica, e consumatori di molte vettovaglie. (cap. IV)
  • Io non mi maraviglio più che nelle cose dubie si truovino tante questione e contrarietà di opinione tra gli antichi scrittori, poi che io veggo che e' non manca chi vogli in una cosa tanto chiara mettere disputa. (cap. V)
  • [...] nessuno dispiacere può essere maggiore negli uomini grandi e che si conoscono virtuosi, che non avere facultà di mostrare quello che e' sono, e che con danno di altri le virtù loro stieno oscure. Né ha anche la natura dati tanti ornamenti a uno uomo perché li stieno sepulti, ma perché con quelli giovi alli altri; e però chi si tiene sufficiente e non si vuole mostrare quando ne ha commodità, manca non solo a sé medesimo, ma a tutta la generazione umana, ed è da essere comparato a uno avaro che tiene e' sua tesori occulti nella cassa sanza profittarne a sé o a altri. (cap. V)
  • [...] e ricordatevi che gli è maggiore difficultà venire di uno grado basso a uno mediocre, che non è da uno mediocre venire a uno sommo [...]. (cap. V)
  • [...] non si potendo ottenere le cose grande sanza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura. (cap. V)
  • Le diversità delle opinioni, Gran Capitano, e le dispute che vi si fanno, sogliono piacere a chi ha a fare la resoluzione, perché chi ode le ragione contrarie suole meglio discernere la verità, né anche debbono dispiacere alle parte, quando la sorte dà loro prudente giudice e che le si oppongono non per proprio interesse, ma principalmente per amore del vero. (cap. VI)
  • Dilettasi qualche volta la fortuna di fare simili tratti, ed è proprio lo esercizio suo di bassi fare grandi e di grandi ridurre a grado piccolo; e quanto più l'ha pel passato favorite le virtù vostre, tanto più è da dubitarne, perché el costume suo è di non stare mai ferma con uno medesimo, e rarissimi si truovano coloro a' quali la sia stata continuamente propizia. (cap. VI)
  • Ma al riscontro si scuoprono a difesa dello stato di Milano e' svizzeri, nazione fiera, bellicosa, esercitata nelle arme e di animo grande, e che altra volta ha avuto in questa impresa medesima vittoria de' franzesi, ed a quale pare nella difesa di Milano trattare una causa sua propria, perché in verità nel defenderlo consiste grandissimo interesse di quella nazione per gloria, per utilità e securtà sua. (cap. VII)
  • [...] lo implicarsi ne' pericoli e spese presente o per interesse di altri o per fuggire le spese ed e' pericoli futuri, non è uficio di savi, e' quali sogliono ponere questa regola, che uno de' potenti rimedi che siano contra e' mali, è allungare quanto si può, perché el tempo per sé stesso porta seco spesso accidenti che te ne liberano. (cap. VIII)
  • [...] la esperienzia insegna a chi ha cervello capace a imparare, ma a' franzesi che sono di natura impazientissimi e poco consideratori delle cose, e che non sanno vivere altrimenti che a caso, nessuna esperienzia gli farà pigliare la pazienzia, né mai nelle loro azioni riceveranno lo ordine e la maturità, perché la natura non glielo consente [...]. (cap. IX)
  • È uficio di chi governa le città fuggire le guerre quanto si può, ma appartiene anche alla sapienzia loro anticipare una guerra molesta e pericolosa per fuggirne una più molesta e più pericolosa [...]. (cap. X)
  • [...] io consiglio che più tosto di presente si pigli una guerra molesta e pericolosa, che la si differisca a altro tempo, per averla con molestia e pericolo sanza comparazione molto maggiore. (cap. X)
  • Del resto di Italia non accade parlare, perché tutto depende dal papa [Clemente VII], el quale è sì timido ed irresoluto, che più presto si lascia andare alla morte certa, che volere correre pericolo di morire, ed in effetto non è per muoversi se non a partiti sicurissimi, cioè in caso che si muovino franzesi e tutto el mondo. (cap. XI)
  • Però chi al presente si priva di uno bene, o si sottomette in uno male per paura di quello che ha a venire, si inganna spesso, perché molte volte quello di che dubitava non viene, e si truova sanza proposito per timore vano ed incerto avere patito di presente. (cap. XI)
  • [...] bisogna che el principe abbia prudenzia e virilità [...]. La prudenzia bisogna, perché, poi che è in caso che è necessitato o incorrere nel pericolo o cacciarlo con pericolo, non solo per discernere el remedio, ma eziandio per considerare la natura de' pericoli, e quale è minore e quale fa manco mali effetti, perché sarebbe pazzia per fuggire uno pericolo incerto, correre in uno pericolo certo, per fuggire uno pericolo di uno male, pigliare uno remedio che fussi equalmente pericoloso, ma di maggiore male; bisogna la virilità, per non avere più paura che si convenga de' pericoli che tu vuoi cacciare, e perché quando siamo in caso che è bene usare uno rimedio pericoloso, che la timidità non ti ritenga e faccia che o el rimedio che tu vuoi usare ti paia più pericoloso che non è in verità, o che per non entrare in uno pericolo presente, tu lasci più tosto per differire venire lentamente addosso el male maggiore. (cap. XII)
  • A deliberare adunche se si debbe pigliare impresa per opporsi a uno grave pericolo, non s'ha a considerare quale sia maggiore, o el male che aresti opponendoti e perdendo, o el male che sei per avere non ti opponendo, ma si debbe considerare quale sia più certo; e quando tu vedi che non ti opponendo arai al certo male grande, ed opponendoti potrà essere che ti liberrai dal male, ma non ti liberando arai maggiore male che se non ti fussi opposto, io dico che in questo caso hai a opporti ed a volere più presto correre el pericolo di maggiore male per la speranza di poterti liberare, che aspettare el male minore sanza speranza alcuna di poterlo fuggire; presupponendo però che etiam in questo caso el male che tu aspetti sia grande, perché se fussi uno piccolo male, è articolo che ricerca altre considerazione, nelle quali io non entro perché non è necessario a' termini nostri. (cap. XII)
  • Ricordo bene che quando el dubio del capitare male sia pari e provedendo e non provedendo, che è meglio provedere, perché aspettare la morte sanza provisione in contrario è una somma ignavia e da lasciare di sé una memoria infame; sanza che, a chi non si aiuta né Dio suole, né la fortuna può aiutare, ma a chi si aiuta Dio ha compassione, e la fortuna amore, e spesso a chi audacemente si getta ne' pericoli, fa succedere, contro a ogni ragione ed ogni speranza, effetti felicissimi. (cap. XII)
  • Ricordisi Vostra Santità che la grandezza della Chiesa è nelle arme spirituali, e che le sue arme temporali valsono sempre poco. (cap. XIII)
  • [...] e se non si può vivere con le qualità e con la autorità che l'uomo desidera, non per questo volere morire. Perché oltre che la vita è meglio che la morte, possono facilmente tornare de' tempi e degli accidenti, che a chi sarà morto non faranno frutto alcuno, ma a chi fussi ancora vivo restituirebbono la sua degnità. (cap. XIII)
  • [...] della bontà sua io non voglio parlare, non sendo conveniente parlare di uno tanto principe altro che con somma reverenzia, né voglio dire che la grandezza non sta troppo bene con la conscienzia, e che ogni principe può più facilmente essere buono principe che buono uomo. (cap. XIV)
  • Le cose del mondo hanno questa condizione o vogliàno dire circulo: che sempre quello che è, ha similitudine col passato, e quello che sarà, sarà simile a quello che è stato. È diverso nelle superficie e ne' colori, ma simile nelli intrinsechi e sustanzialità [...]. (cap. XIV)
  • E lasciate da canto le ragione generale che sono: che gli effetti delle guerre sono dubii; che spesso la vittoria è da chi pareva inferiore; che molte volte uno piccolo accidente, uno piccolo caso fa variazione ed effetti di momento grandissimo; che nessuno ha la fortuna in potestà, e che chi la ha avuto lungamente propizia e serena, non solo non si può promettere che l'abbia a continuare, ma ancora ha da temere più che gli altri della mutazione di quella, e tanto più quanto più eccessivamente è stata favorevole, perché el solito suo è sempre stato ed è e sarà di essere incerta, inconstante ed instabile [...]. (cap. XIV)
  • Gli uomini che per non cognoscere le difficultà ed e' pericoli, giudicano facile le imprese difficile, sono imprudenti, né hanno nome di animosi ma di bestiali, perché animoso è quello che vede e' pericoli ma non gli teme più che si convenga; e questa è la differenzia tra due savi, de' quali l'uno è animoso, l'altro è timido: che l'uno e l'altro prevede e' pericoli, ma el timido mette per certi quelli che sono dubii, e gli pare già vedere in atto tutti quelli che considera che possono accadere; lo animoso [...] nel pigliare le deliberazione non presuppone tutti e' pericoli per certi, anzi ne abatte quella parte che gli pare che con qualche speranza si possa abattere. (cap. XIV)
  • [...] lo sforzarsi e fare ogni conato per non andare in servitù, è cosa virile e degna di uomo, ed el contrario è pieno di eterna infamia ed ignominia. (cap. XIV)
  • [...] la troppa prudenzia è imprudenzia nelle difficultà, ed in fatto merita di essere chiamato prudente così colui che, quando la natura delle cose lo ricerca, sa rimettersi in qualche parte alla potestà della fortuna, come chi sa eleggere e' partiti sicuri, quando la sicurtà si può avere. (cap. XIV)

Explicit[modifica]

Però el rimedio unico a tanto male è anticipare lo accordo; differendo, andate manifestamente al sacco. El papa, poi che con altro modo non può provedere a tanto pericolo, né salvarvi se anche voi non vi volete salvare, desidera almanco essere giustificato con Dio e con tutto el mondo, e particularmente con voi e con le pietre di questa città.

Ricordi[modifica]

Incipit[modifica]

1. Quelli cittadini che appetiscono onore e gloria nella città sono laudabili e utili, pure che non la cerchino per via di sètte e di usurpazione, ma con lo ingegnarsi di essere tenuti buoni e prudenti, e fare buone opere per la patria; e Dio volessi che la republica nostra fussi prima di questa ambizione. Ma perniziosi sono quelli che appetiscono per fine suo la grandezza, perché chi la piglia per idolo non ha freno alcuno, né di giustizia, né di onestà, e farebbe uno piano di ogni cosa per condurvisi.

Citazioni[modifica]

Serie prima[modifica]

  • 14. Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte; ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna; uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutti e' Barbari, e liberato el mondo dalla tirannide di questi scelerati preti.
  • 18. È da desiderare più l'onore e la riputazione che le ricchezze.
  • 31. Non combattete mai con la religione, né con le cose che pare che dependono da Dio; perché questo obietto ha troppa forza nella mente degli sciocchi.
  • 34 [...] La felicità grande consiste in questo: ma maggiore ancora è la gloria in usare tanta fortuna laudabilmente, cioè essere clemente e perdonare; cosa propria degli animi generosi e eccelsi.
  • 35. Quanto è diversa la pratica dalla teorica! quanti sono che intendono le cose bene, che o non si ricordano o non sanno metterle in atto! Ed a chi fa così, questa intelligenzia è inutile; perché è come avere uno tesoro in una arca con obbligo di non potere mai trarlo fuora.
  • 41. Più tengono a memoria gli uomini le ingiurie che e' benefici; [...]
  • 44. Ingegnatevi avere degli amici, perché sono buoni in tempi, luoghi e casi che tu non penseresti; [...]
  • 56. Non disegnate in su quello che non avete, né spendete in su' guadagni futuri, perché molte volte non succedono.
  • 66. Non si può biasimare lo appetito di avere figliuoli, perché è naturale, ma dico bene che è spezie di felicità el non ne avere; perché eziandio chi gli ha buoni e savi, ha sanza dubio molto più dispiacere da loro che consolazione.
  • 76. Quando ti viene la occasione di cosa tu desideri, pigliala sanza perdere tempo; perché le cose del mondo si variano tanto spesso che non si può dire d'avere la cosa insino non l'hai in mano.
  • 79. El medesimo Cornelio Tacito, a chi bene lo considera, insegna per eccellenzia, come s'ha a governare chi vive sotto e' tiranni.
  • 90. Credono molti che uno savio, perché vede tutti e' pericoli, non possa essere animoso; io sono di opinione contraria, che non possa essere savio chi è timido, perché già manca di giudicio chi stima el pericolo più che non si debbe.
  • 91. Erra chi dice che le lettere guastano e' cervelli degli uomini, perché è forse vero in chi l'ha debole; ma dove lo truovano buono, lo fanno perfetto; perché el buono naturale congiunto col buono accidentale fa nobilissima composizione.
  • 114. Le cose passate fanno lume alle future, perché el mondo fu sempre di una medesima sorte; e tutto quello che è e sarà, è stato in altro tempo, e le cose medesime ritornano, ma sotto diversi nomi e colori; però ognuno non le ricognosce, ma solo chi è savio, e le osserva e considera diligentemente.
  • 126. La natura delle cose del mondo è in modo che è quasi impossibile trovarne alcuna che in ogni parte non vi sia qualche disordine e inconveniente; bisogna risolversi a torle come sono e pigliare per buono quello che ha in sé manco male.
  • 139. Non ha maggiore inimico l'uomo che sé medesimo; perché quasi tutti e' mali, pericoli e travagli superflui che ha, non procedono da altro che dalla sua troppa cupidità.
  • 156. Le inclinazione e deliberazione de' populi sono tanto fallace, e menate più spesso dal caso che dalla ragione, che chi regola el traino del vivere suo non in altro che in sulla speranza d'avere a essere grande col popolo, ha poco giudicio; perché a opporsi è più ventura che senno.
  • 164. Diceva mio padre, che più onore ti fa uno ducato che tu hai in borsa, che dieci che n'hai spesi; parola molto da notare, non per diventare sordido, né per mancare nelle cose onorevole e ragionevole, ma perché ti sia freno a fuggire le spese superflue.
  • 175. Tanto più si cade in quello estremo che tu fuggi, quanto più per discostartene ti ritiri in verso l'altro estremo, non ti sapendo fermare in sul mezzo; [...]

Serie seconda[modifica]

  • 1. Quello che dicono le persone spirituali, che chi ha fede conduce cose grandi e, come dice lo Evangelio, chi ha fede può comandare a' monti ecc., procede perché la fede da ostinazione. Fede non è altro che credere con openione ferma, e quasi certezza le cose che non sono ragionevole, o, se sono ragionevole, crederle con più resoluzione che non persuadono le ragione. Chi adunche ha fede diventa ostinato in quello che crede, e procede al cammino suo intrepido e resoluto, sprezzando le difficultà e pericoli, e mettendosi a soportare ogni estremità: donde nasce che, essendo le cose del mondo sottoposte a mille casi e accidenti, può nascere per molti versi nella lunghezza del tempo aiuto insperato a chi ha preseverato nella ostinazione, la quale essendo causata dalla fede, si dice meritamente: chi ha fede ecc.[8]
  • 23. Lasciare uno bene presente per paura di uno male futuro è el più delle volte pazzia.
  • 56. Non consiste tanto la prudenzia della economica in sapersi guardare dalle spese, perché sono molte volte necessarie, quanto in sapere spendere con vantaggio, cioè uno grosso per 24 quattrini.
  • 79 [...] Quando sei in partiti difficili, o in cose che ti sono moleste, allunga e aspetta tempo quanto puoi, perché quello spesso ti illumina o ti libera.
  • 104 [...] Ma perché non si può negare che la non sia bella, io loderei chi ordinariamente avessi el traino suo del vivere libero e schietto, usando la simulazione solamente in qualche cosa molto importante, le quali accaggiono rare volte. Così acquisteresti nome di essere libero e reale, e ti tireresti drieto quella grazia che ha chi è tenuto di tale natura: e nondimeno nelle cose che importassino più, caveresti utilità della simulazione, e tanto maggiore quanto, avendo fama di non essere simulatore, sarebbe più facilmente creduto alle arti tue.
  • 133. È grandissima prudenzia e da molti poca osservata, sapere dissimulare le male satisfazione che hai di altri, quando el fare così non sia con tuo danno ed infamia; perché accade spesso che in futuro viene occasione di averti a valere di quello. Il che difficilmente ti riesce, se lui già sa che tu sia male satisfatto di lui. Ed a me è intervenuto molte volte che io ho avuto a ricercare persone, contro alle quali ero malissimo disposto; e loro credendo el contrario, o almeno non si persuadendo questo, m'hanno servito prontissimamente.
  • 164. La buona fortuna degli uomini è spesso el maggiore inimico che abbino, perché gli fa diventare spesso cattivi, leggieri, insolenti; però è maggiore paragone di uno uomo el resistere a questa che alle avversità.
  • 168. Che mi rilieva me, che colui che mi offende lo facci per ignoranzia e non per malignità? Anzi, è spesso molto peggio, perché la malignità ha e' fini suoi determinati e procede con le sue regole, e però non sempre offende quanto può; ma la ignoranzia non avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dà mazzate da ciechi.
  • 171. Quasi sempre in Firenze, per la dapocaggine degli uomini, quando uno ha fatto con violenzia uno scandolo publico, non si è fatto pruova di punirlo, ma cercato a gara di deliberargli la impunità, pure che deponga l'arme, e non ne faccia più; modi non da reprimere gli insolenti, ma da fare diventare lioni gli agnelli.
  • 176. Pregate Dio sempre di trovarvi dove si vince, perché vi è data laude di quelle cose ancora di che non avete parte alcuna; come per el contrario chi si truova dove si perde, è imputato di infinite cose delle quali è inculpabilissimo.
  • 207. Della astrologia, cioè di quella che giudica le cose future, è pazzia parlare; o la scienza non è vera, o tutte le cose necessarie a quella non si possono sapere, o la capacità degli uomini non vi arriva; ma la conclusione è, che pensare di sapere el futuro per quella via è uno sogno. Non sanno gli astrologi quello dicono, non si appongono se non a caso; in modo che se tu pigli uno pronostico di qualunque astrologo, e di uno di un altro uomo fatto a ventura, non si verificherà manco di questo che di quello.

Scritti minori[modifica]

Incipit[modifica]

Lorenzo de' Medici morì lo anno 1492 a' dì... di aprile essendo di età di anni 43 vel circa. Cosimo avolo suo, uomo di singulare prudenzia e di grandissima ricchezza, ebbe tanta autorità nel governo della republica fiorentina, quanta possi avere uno cittadino in una città libera. Morto lui, rimase Piero suo figliolo e padre di Lorenzo nella medesima grandezza, el quale fu uomo claro per bontà di natura e per essere clementissimo.

Citazioni[modifica]

  • [Lorenzo de' Medici] governò sempre con tanta prudenzia e virtù che quella città ragionevolmente non si è mai ricordata sanza lacrime della sua immatura morte, perché a' tempi sua la fiorì di tutte quelle prosperità che può avere una città, di ricchezze, di imperio, di uomini virtuosi, di lettere e di tutte le arte buone, di reputazione, e sopra tutto di una grandissima unione e concordia civile [...]. (I)
  • Così a proposito vedendo uno buono cittadino la perdizione della sua patria e conoscendo quale sia el riparo, debbe innanzi a ogni cosa pensare se e' lo possi introdurre colle persuasioni e co' modi civili ed usitati nelle republiche; e' quali quando non servono ed è necessaria la forza, debbe più tosto usarla che lasciare perdere el tutto, e fare un poco di violenzia breve alle legge ed alla libertà per conservarle lungamente. E che questa opinione sia vera, lo mostra oltre alla ragione, lo esemplo di Licurgo, el quale non con altro modo dette principio a quelle legge memorabile che colla forza e colle arme; omo certo santissimo ed ammirabile, e che, essendosi mosso sanza alcuno respetto di sé, ma solo per el beneficio publico, non arebbe tentata questa via se non la avessi conosciuta lecita o permessa. (II)

Storia d'Italia[modifica]

Storia d'Italia

Incipit[modifica]

Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla memoria nostra in Italia, dappoi che l'armi de' franzesi, chiamate da' nostri prìncipi medesimi, cominciorono con grandissimo movimento a perturbarla: materia, per la varietà e grandezza loro, molto memorabile e piena di atrocissimi accidenti; avendo patito tanti anni Italia tutte quelle calamità con le quali sogliono i miseri mortali, ora per l'ira giusta d'Iddio ora dalla empietà e sceleratezze degli altri uomini, essere vessati.

Citazioni[modifica]

  • [...] è certamente cosa verissima che non sempre gli uomini savi discernono o giudicano perfettamente: bisogna che spesso si dimostrino segni della debolezza dello intelletto umano. (lib. I, cap. III)
  • [...] non sempre per il rimuovere delle cagioni si rimuovono gli effetti i quali da quelle hanno avuto la prima origine. (lib. I, cap. III)
  • [...] le deliberazioni fatte per timore paiono, a chi teme, inferiori al pericolo [...]. (lib. I, cap. III)
  • [...] alle deliberazioni precipitose si conduce non meno agevolmente il timido per la disperazione che si conduca il temerario per la inconsiderazione [...]. (lib. I, cap. V)
  • [...] è senza dubbio molto pericoloso il governarsi con gli esempli se non concorrono, non solo in generale ma in tutti i particolari, le medesime ragioni, se le cose non sono regolate con la medesima prudenza, e se, oltre a tutti gli altri fondamenti, non v'ha la parte sua la medesima fortuna. (lib. I, cap. XIV)
  • [...] gli uomini, quando si approssimano i loro infortuni, perdono principalmente la prudenza, con la quale arebbono potuto impedire le cose destinate [...]. (lib. I, cap. XV)
  • Niuna cosa è certamente più necessaria nelle deliberazioni ardue, niuna da altra parte più pericolosa, che 'l domandare consiglio; né è dubbio che manco è necessario agli uomini prudenti il consiglio che agli imprudenti; e nondimeno, che molto più utilità riportano i savi del consigliarsi. Perché chi è quello di prudenza tanto perfetta che consideri sempre e conosca ogni cosa da se stesso? e nelle ragioni contrarie discerna sempre la migliore parte? Ma che certezza ha chi domanda il consiglio d'essere fedelmente consigliato? Perché chi dà il consiglio, se non è molto fedele o affezionato a chi 'l domanda, non solo mosso da notabile interesse ma per ogni suo piccolo comodo, per ogni leggiera sodisfazione, dirizza spesso il consiglio a quel fine che più gli torna a proposito o di che più si compiace; e essendo questi fini il più delle volte incogniti a chi cerca d'essere consigliato, non s'accorge, se non è prudente, della infedeltà del consiglio. (lib. I, cap. XVI)
  • [...] il regnare depende spesso dalla fortuna ma l'essere re che si proponga per unico fine la salute e la felicità de' popoli suoi depende solamente da se medesimo e dalla propria virtù. (lib. I, cap. XIX)
  • [...] come da uno giudice incapace e imperito non si possono aspettare sentenze rette così da uno popolo che è pieno di confusione e di ignoranza non si può aspettare, se non per caso, elezione o deliberazione prudente o ragionevole. (lib. II, cap. II)
  • [...] persuadendoci che di ragione tutti, in tutte le cose, dobbiamo essere eguali, si confonderanno, quando sarà in facoltà della moltitudine, i luoghi della virtù e del valore; e questa cupidità [degli onori] distesa nella maggiore parte farà potere più quegli che manco sapranno o manco meriteranno, perché essendo molto più numero aranno più possanza, in uno stato ordinato in modo che i pareri s'annoverino non si pesino. (lib. II, cap. II)
  • [...] è natura degli uomini, quando si partono da uno estremo nel quale sono stati tenuti violentemente, correre volonterosamente, senza fermarsi nel mezzo, all'altro estremo. Così chi esce da una tirannide, se non è ritenuto, si precipita a una sfrenata licenza; la quale anche si può giustamente chiamare tirannide, perché e un popolo è simile a un tiranno quando dà a chi non merita, quando toglie a chi merita, quando confonde i gradi e le distinzioni delle persone; ed è forse tanto più pestifera la sua tirannide quanto è più pericolosa l'ignoranza, perché non ha né peso né misura né legge che la malignità, che pure si regge con qualche regola con qualche freno con qualche termine. (lib. II, cap. II)
  • [...] è grandissima (come ognuno sa) in tutte l'azioni umane la potestà della fortuna, maggiore nelle cose militari che in qualunque altra, ma inestimabile immensa infinita ne' fatti d'arme; dove uno comandamento male inteso, dove una ordinazione male eseguita, dove una temerità, una voce vana, insino d'uno piccolo soldato, traporta spesso la vittoria a coloro che già parevano vinti; dove improvisamente nascono innumerabili accidenti i quali è impossibile che siano antiveduti o governati con consiglio del capitano. (lib. II, cap. IX)
  • [...] facilmente da' prìncipi sono riputati savi quegli consigli che si conformano più alla loro inclinazione. (lib. II, cap. XII)
  • [...] nell'antiche e gravi inimicizie è difficile stabilire fedele reconciliazione, perché è impedita o dal sospetto o dalla cupidità della vendetta [...]. (lib. III, cap. XI)
  • [...] sono inutili i consigli diligenti e prudenti quando l'esecuzione procede con negligenza e imprudenza. (lib. IV, cap. IV)
  • [...] poco si aspetta sincerità o opere fedeli da chi è venuto in concetto degli uomini di essere solito a governarsi con duplicità e con artifici. (lib. IV, cap. VII)
  • [...] l'esperienza dimostra essere verissimo che rare volte succede quel che è desiderato da molti; perché dipendendo comunemente gli effetti delle azioni umane dalla volontà di pochi, ed essendo l'intenzioni e i fini di questi quasi sempre molto diversi dall'intenzioni e da' fini de' molti, possono difficilmente succedere le cose altrimenti che secondo la intenzione di coloro che danno loro il moto. (lib. V, cap. X)
  • [...] con disavvantaggio grande si fa la guerra con chi non ha che perdere. (lib. V, cap. XIV)
  • [...] sono vani e fallaci i pensieri degli uomini [...]. (lib. VI, cap. IV)
  • [...] niuno più facilmente inganna gli altri che chi è solito e ha fama di mai non gli ingannare [...]. (lib. VI, cap. V)
  • [...] come alla sostentazione di uno corpo non basta solamente il bene essere del capo ma è necessario che gli altri membri faccino lo ufficio suo, così non basta che il principe sia senza colpa delle cose se ne' ministri suoi non è proporzionatamente la debita diligenza e virtù. (lib. VI, cap. VII)
  • [...] l'imitazione del male supera sempre l'esempio come per il contrario l'imitazione del bene è sempre inferiore [...]. (lib. VI, cap. X)
  • [È] più difficile, senza comparazione, conservare, eziandio da' minori pericoli, quel che rimane, a chi ha cominciato a declinare che non è a chi, sforzandosi di conservare la degnità e il grado suo, si volge prontamente, senza fare segno alcuno di volere cedere, contra chi cerca di opprimerlo. (lib. VIII, cap. I)
  • [...] nelle cose che dopo lungo desiderio s'ottengono non truovano quasi mai gli uomini né la giocondità né la felicità che prima s'aveano immaginata [...]. (lib. VIII, cap. IX)
  • [...] la difesa è, secondo la legge della natura, comune a tutti gli uomini e approvata dal sommo Iddio e dal consentimento di tutte le nazioni; nata insieme col mondo e duratura quanto il mondo, e alla quale non possono derogare né le leggi civili né le canoniche fondate in su la volontà degli uomini, e le quali, scritte in sulle carte, non possono derogare a una legge non fatta dagli uomini ma dalla stessa natura, e scritta scolpita e infissa ne' petti e negli animi di tutta la generazione umana. (lib. X, cap. VI)
  • [...] la neutralità nelle guerre degli altri essere cosa laudabile, e per la quale si fuggono molte molestie e spese, quando non sono sì deboli le forze che tu abbia da temere la vittoria di ciascuna delle parti; perché allora ti arreca sicurtà, e bene spesso, la stracchezza loro, facoltà di accrescere il tuo stato. Né essere sicuro fondamento il non avere offeso alcuno, il non avere data giusta cagione di querelarsi; perché rarissime volte, e forse non mai, si raffrena dalla giustizia o dalle discrete considerazioni l'insolenza del vincitore; né reputarsi, per queste ragioni, meno ingiuriati i prìncipi grandi quando è negato loro quel che desiderano, anzi sdegnarsi contro a ciascuno che non séguita la volontà loro e che con la fortuna di essi non accompagna la fortuna propria. (lib. X, cap. VIII)
  • [...] non è male alcuno nelle cose umane che non abbia congiunto seco qualche bene [...]. (lib. XII, cap. VII)
  • [...] accade quasi sempre, per il giudicio corrotto degli uomini, che ne' re è più lodata la prodigalità, benché a quella sia annessa la rapacità, che la parsimonia congiunta con la astinenza della roba di altri. (lib. XII, cap. XIX)
  • [...] non hanno gli uomini maggiore inimico che la troppa prosperità, perché gli fa impotenti di se medesimi, licenziosi e arditi al male e cupidi di turbare il bene proprio con cose nuove. (lib. XIV, cap. I)
  • [...] è considerato comunemente dagli uomini l'evento delle cose; per il quale, ora con laude ora con infamia, secondo che è o felice o avverso, si attribuisce sempre a consiglio quel che spesso è proceduto dalla fortuna. (lib. XIV, cap. IX)
  • [La pace] è desiderabile e santa, quando assicura da' sospetti, quando non augumenta il pericolo, quando induce gli uomini a potersi riposare e alleggierirsi dalle spese; ma quando partorisse gli effetti contrari è, sotto nome insidioso di pace, perniciosa guerra; è, sotto nome di medicina salutifera, pestifero veleno. (lib. XV, cap. II)
  • [...] i savi medici [...], quando i rimedi che si fanno per sanare la indisposizione degli altri membri accrescono la infermità del capo o del cuore, posposto ogni pensiero de' mali più leggieri e che aspettano tempo, attendono con ogni diligenza a quello che è più importante e più necessario alla salute dello infermo. (lib. XVI, cap. III)
  • [...] più facilmente si induce a perdonare chi è offeso che a restituire chi possiede [...]. (lib. XVI, cap. III)
  • [...] gli uomini si persuadono spesso che se si fusse fatta o non fatta una cosa tale sarebbe succeduto certo effetto, che se si potesse vederne la esperienza si troverebbeno molte volte fallaci simili giudizi. (lib. XVIII, cap. VIII)
  • [...] è più presente la ingratitudine e la calunnia che la rimunerazione e la laude alle buone opere [...]. (lib. XVIII, cap. VII)

Citazioni sulla Storia d'Italia[modifica]

  • Guicciardini è il primo vero storico che sciolga la storia dal collegamento con un determinato stato. Per la prima volta dà un quadro esatto della politica internazionale, non solo perché la conobbe e la comprese per pratica, ma perché non ne comunicò semplici frammenti come è inevitabile che accada in una storia territoriale. La reciproca dipendenza degli stati, il nesso della politica interna con quella estera, l'influenza delle operazioni militari su quelle politiche e viceversa – tutti questi tipici tratti della politica, specialmente di quella europea, il Guicciardini li ha fissati con mano sicura nelle linee imperiture della sua Storia d'Italia. (Eduard Fueter)

Incipit di alcune opere[modifica]

Consolatoria, Accusatoria, Defensoria[modifica]

Consolatoria[modifica]

Fatta di settembre 1527 a Finocchieto
tempore pestis.

Io non mi maraviglio, Francesco, benché io ti cognosca di animo fermo e virile, che tu ti truovi ripieno di grandissimo dispiacere, perché sono concorsi in uno tempo medesimo troppi accidenti a perturbarti; né è solo la roba in che tu patisci, ma di più la grandezza, la degnità, e quello che io credo che ti pesi sopra tutte le cose, l'onore. Hai per la ruina del pontefice perduto la presidenzia di Romagna, luogo che ti dava grandissima utilità e tanta riputazione, che ogni uomo grande e nato in maggiore grado che privato, se ne sarebbe onorato; hai perduto uno pontefice che t'aveva singulare affezione, ma molto maggiore confidenzia, e che voleva che ordinariamente tu stessi apresso a lui e consigliassi e trattassi tutte le faccende importante e segrete dello stato, e ne' tempi della guerra t'aveva proposto a eserciti con tanta autorità che maggiore non aveva riservata a sé.

Oratio accusatoria[modifica]

Non si doveva pregare più Dio di cosa alcuna, giudici, nessuna in questo tempo poteva essere più a proposito della republica, che esserci data occasione che questa nuova legge dell'accusare, ordinata con quello ardore che voi sapete di coloro che favoriscono la nostra libertà, fussi ne' suoi princìpi confermata con qualche notabile esempio; la quale poi che si è offerta più opportuna ancora e maggiore che non aremo saputo immaginare, non può essere dubio a persona che non consiglio ed opera alcuna di uomini, ma la divina voluntà e disposizione ce l'ha mandata.

Defensoria contra precedentem[modifica]

Cognosco non essere conveniente, giudici, che chi si sente innocente e con la conscienzia purgata, tema o si perturbi per le accusazione false, perché debbe sperare che Dio giustissimo giudice sia suo protettore e defensore, né comporti che la verità sia suffocata dalle calunnie. Nondimeno queste cose insolite che mi si presentano innanzi agli occhi mi commuovono non mediocremente l'animo, vedendomi qui in mezzo di tanta multitudine, la quale tutta guarda me solo ed è testimone delle mie molestie; e che doppo una legge nuova, una nuova forma di cognoscere la causa ed udire le parte publicamente, io sia el primo chiamato in giudicio e riguardato da tutti quasi per esemplo, pieno di travagli abbia in pericolo tutto quello bene che ha e possa avere uno cittadino; e dove pochi mesi innanzi pareva che io avessi tanta felicità che fussi quasi invidioso agli amici, ora mi truovi sì afflitto che sia nonché altro, miserabile agli inimici.

Diario del viaggio in Spagna[modifica]

Noi ci partimo di Firenze a dì 29 di gennaio 1511 e la sera andamo a Pistoia a casa Gualtieri Panciatichi, dove come fussimo trattati non accade riferire, perché el principio fu di qualità che se e' mezzi e gli effetti corrispondessino meriteremo troppa invidia.
Da Pistoia ne venimo a dì 30 a Lucca discosto a Pistoia venti miglia, delle qualità della quale non possiamo molto parlare perché ne vedemo più fuora che drento, conciosiaché giunti per la via di Pescia alle mura, l'avemo a girare più che mezza innanzi che trovassimo la porta; nondimeno la terra ci parve maninconica, che è in piano ma molto sotto a' monti; el contado verso Pisa e Pescia è poco; distendesi verso Pietrasanta ed è buono e bene cultivato, e benché da quella banda fussi la pace di Ottaviano, pure vi si stette con poco riposo, perché tutta la notte sentimo campane e gridi di guardie non altrimenti che se fussimo in mezzo la guerra. A Dio piaccia ridurgli in termini che e' non abbino a pensare più alla guardia della terra; e la dichiarazione di queste parole si stenda a senno del savio nostro.

Memorie di famiglia[modifica]

L'avere notizia de' maggiori suoi e massime quando e' sono stati valenti, buoni ed onorati cittadini, non può essere se non utile a' descendenti, perché è uno stimulo continuo di portarsi in modo che le laude loro non abbino a essere suo vituperio; e per questo rispetto io ho disposto fare qualche memoria delle qualità de' progenitori nostri, non tanto per ricordo mio, quanto etiam per coloro che hanno a venire; e faccendolo non per pompa ma per utilità, dirò la verità delle cose che mi sono venute a notizia, etiam de' difetti ed errori loro, acciò che chi leggerà s'accenda non solo a imitare le virtù che hanno avute, ma etiam a sapere fuggire e' vizi.

Storie Fiorentine dal 1378 al 1509[modifica]

Nel 1378 sendo gonfaloniere di giustizia Luigi di messer Piero Guicciardini successe la novità de' Ciompi, di che furno autori gli otto della guerra, e' quali per essere stati raffermati più volte in magistrato, s'avevano recata adosso grande invidia e grande contradizione da' cittadini potenti, e per questo si erano rivolti a' favori della moltitudine; e però procurorono questo tumulto, non perché e' Ciompi avessino a essere signori della città ma acciò che col mezzo di quegli, sbattuti e' potenti ed inimici sua loro rimanessino padroni del governo.

Citazioni su Francesco Guicciardini[modifica]

  • È storiografo diligente e dal quale, a mio parere, con più esattezza che da qualsiasi altro, si può apprendere la verità sugli affari del suo tempo: del resto nella maggior parte di essi è stato attore lui stesso, e in posizione onorevole. Non c'è alcun indizio che per odio, adulazione o vanità, abbia travisato le cose: e di ciò fanno fede i liberi giudizi che dà dei grandi, e specialmente di coloro dai quali era stato portato avanti e rivestito di cariche, come del papa Clemente VII. Quanto alla parte di cui sembra voler farsi più forte, cioè le digressioni e i ragionamenti, ce ne sono di buoni, e ricchi di bei tratti; ma se n'è troppo compiaciuto. Di fatto, per non voler tralasciare nulla, avendo in mano un argomento così ricco ed ampio, e quasi infinito, diventa prolisso e sa un po' di chiacchiera scolastica. Ho notato anche questo, che di tanti animi e di tanti fatti che giudica, di tanti impulsi e disegni, non ne attribuisce mai neppure uno alla virtù, allo scrupolo e alla coscienza, come se tali qualità fossero completamente estinte nel mondo; e di tutte le azioni, per quanto belle appaiano in se stesse, ne rimanda la causa a qualche movente vizioso o a qualche mira d'interesse. È impossibile immaginare che nell'infinito numero di azioni che giudica, non ve ne sia stata qualcuna compiuta per un giusto motivo. Nessuna corruzione può aver soggiogato gli uomini tanto universalmente che qualcuno non sfugga al contagio; questo mi fa temere che ci sia qui un po' del vizio del suo temperamento; e può essere accaduto che egli abbia giudicato gli altri secondo se stesso. (Michel de Montaigne)
  • Francesco Guicciardini [...] nello storiare pochi ebbe eguali, superiore nessuno. Egli con ragione reputar si può lo Zenofonte Fiorentino, per aver descritte con somma maestria quelle cose, nel governo delle quali ebbe gran parte. Comeché vivesse in tempi dissoluti e tirannici insieme, pure concepì la nobile idea di censurare non solo i privati cittadini, ma anche i Principi, assolvendo questo, quell'altro dannando, colle laudi esaltando le virtù de' pochi inorrotti animi, e in abbominio ponendo la fellonesca depravazione dell'universale. (Francesco Lomonaco)
  • Il Guicciardini è forse il solo storico tra i moderni, che abbia e conosciuti molto gli uomini, e filosofato circa gli avvenimenti attenendosi alla cognizione della natura umana, e non piuttosto a una certa scienza politica, separata dalla scienza dell'uomo, e per lo più chimerica, della quale si sono serviti comunemente quegli storici, massime oltramontani ed oltramarini, che hanno voluto pur discorrere intorno ai fatti, non contentandosi, come la maggior parte, di narrarli per ordine, senza pensare più avanti. (Giacomo Leopardi)
  • In Guicciardini è costante il timore di quel teorizzare che per essere troppo generale scivola nell'astrattezza e non riesce più a connettere la realtà con i principî. Machiavelli, nonostante il suo richiamo alla «realtà effettuale» aveva troppo amato la generalizzazione astratta; Guicciardini è preoccupato di conservare l'umiltà di fronte ai fatti, che sono gli unici a noi cogniti e rappresentano per noi l'unico mezzo di orientamento. (Eugenio Garin)
  • Le profonde somiglianze del pensiero del Guicciardini con quello del Machiavelli sono state rilevate così di frequente che vana sarebbe ogni insistenza in proposito: non inutile, invece, notare quanto il consueto paragone fra i due nuoccia piuttosto che giovare alla comprensione dell'atteggiamento guicciardiniano, a proposito del quale troppo si è insistito sulla valutazione del «particulare» quasi segno di mentalità analitica e scarsamente costruttiva. (Eugenio Garin)

Note[modifica]

  1. Storia d'Italia Volume 1, di Francesco Guicciardini, Giovanni Rosini, 1843, Borroni e Scotti, p. 144.
  2. Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini, Francesco Guicciardini, per Niccolò Conti, 1818, p. 10.
  3. Delle istorie d'Italia di Francesco Guicciardini, Francesco Guicciardini, per Niccolò Conti, 1818, p. 191.
  4. Opere inedite di Francesco Guicciardini etc, Storia fiorentina, dai tempi di Cosimo de' Medici a quelli del gonfaloniere Soderini, 3, 1859, p. 217
  5. Da Nella dannata piscina picchia solo Moby Dick, la Repubblica, 1º agosto 1984.
  6. Da La mascotte diviso tre, la Repubblica, 21 novembre 1986.
  7. Da Quelle omeriche risate, la Repubblica, 20 settembre 1988, p. 3.
  8. Questo paragrafo risulta essere l'Incipit nell'edizione: Ricordi, introduzione di Mario Fubini, premessa al testo e bibliografia di Ettore Barelli, breve glossario ideologico di Carlo Pedretti, Fabbri Editori, 2001.

Bibliografia[modifica]

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