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A. J. Cronin

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A. J. Cronin nel 1931

Archibald Joseph Cronin (1896 – 1981), scrittore britannico.

Citazioni di A. J. Cronin

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  • Di tutti gli elementi che contribuiscono all'equilibrio famigliare, nessuno è più utile e opportuno del senso dell'umorismo.[1]

Grazia Lindsay

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Daniel Nimmo venne informato del ritorno di Gracie Lindsay il cinque maggio dell'anno 1911. Fin dalle prime ore di quel pomeriggio, tepido, colmo delle promesse di una bella estate, s'era dato da fare andando e venendo nella camera oscura del piccolo studio fotografico, preparandosi all'appuntamento con la signora Waldie e la figliola di lei, Isabel.
Alle tre le due donne non erano ancora arrivate.

Citazioni

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  • Era l'inverno del 1903 e Gracie, a diciotto anni, con i capelli raccolti sulla nuca, le gonne che le arrivavano fino alla caviglia, faceva pensare a una rosa in boccio; la più bella in tutti i trattenimenti danzanti, sembrava aprirsi una strada in ogni cuore turbinando nei giri di valzer.
    Snella, dolce e allegra, ricca di vivacità interiore, non le mancavano gli ammiratori. Che Natale era stato, quello! Quando cominciarono i grandi geli, ella pattinò sullo stagno, le mani celate nel piccolo manicotto di scoiattolo, le gote frustate e ravvivate dal vento, mentre i giovanotti di Levenford le lampeggiavano attorno, esibendosi nelle figure a otto, eseguendo gli esercizi più difficili, mettendosi in mostra, cercando di attrarre la sua attenzione. (p. 24)
  • [...] il matrimonio è più che altro una lotteria [...]. A me è sempre parso che la gente si diverta molto di più fuori dal sacro vincolo matrimoniale. (p. 106)

Le chiavi del regno

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  • Cristo fu un uomo perfetto, ma Confucio aveva un più vivo senso di humor!
  • In luogo di predicar l'odio, perché non grida in ogni terra, con le lingue del suo Pontefice e di tutti i suoi preti: "Giù le armi. Non uccidere. Noi ti ordiniamo di non combattere?" Sì, ci sarebbero persecuzioni e condanne a morte. Ma avremmo dei martiri, non degli assassini.
  • "Potrete ritirarvi nell'asilo dei Vecchi Preti a Klinton. È un luogo ideale di riposo." Il vecchio sbottò in una risata; in una risata asciutta e breve. "Avrò tempo di riposarmi davvero quando sarò morto.
  • Un freddo sentimento di smarrimento al pensiero che gli uomini potessero odiarsi per il fatto di adorare con diverse parole il medesimo Dio.
  • Avvolse il passeggero nella coperta da viaggio, e procedette senza fare altre domande, da uomo che conosceva le virtù taumaturgiche del silenzio.
  • Solenne, sicuro come l'eternità. "Farete un discorso stasera?" domandò a Ned, con un tono che implicava che se Ned non teneva il discorso il mondo si sarebbe riempito di squallore.
  • Gli occhi umidi di sentimentalismo celta.
  • La casta luce della stanza metteva un accento fortissimo sul suo fisico attraente, dandogli quell'aria intatta e toccante che lo metteva così spesso in imbarazzo.
  • Naturalmente arrossii come uno sciocco, mentre il mio disgraziato carattere mi faceva scattare.
  • Ha profondità, ha fuoco: e l'una e l'altro nasconde dietro questi spiriti giocosi. Vedete, è temperamento di lottatore, non cederà mai; strana miscela di semplicità infantile e di spirito raziocinante.
  • "Siete troppo innocente voi" mi disse col sorriso triste che le era proprio, "per fare il prete. Farete un gran fiasco voi."
  • Aveva ridotto la religione a una formula, senza la più vaga idea di significati interiori, di quello che non ha sostanza, della necessità di certe intuizioni e visioni. Era insomma del tipo che non conosce alternative: "O fare questo, o all'inferno." Ignorava le sfumature.
  • Dico che non potete sopprimere la natura. Se lo tentate, essa si rivolterà contro di voi, e farà strazio di voi.
  • "Forse Santa Caterina da Siena non riceveva una mistica bevanda spirituale, che sostituiva tutto il cibo terreno? Quel vostro insopportabile dubitare! Vi meravigliate che io perda le staffe?" Francesco abbassò il capo. "San Tommaso dubitava. Presenti tutti i discepoli. A segno di posare le dita sul fianco piagato del Signore. Ma nessuno perse le staffe per questo." [...] Padre Fitzgerald impallidì.
  • Che cosa l'umanità non era pronta a fare per denaro? Anche a vendere la propria anima immortale.
  • La vacua atmosfera che regnava nel presbiterio continuava; quella specie di vuoto nel quale la gente perde i contorni, e si fa inconsistente.
  • Cristo aveva promesso sofferenza agli uomini.
  • L'inferno è lo stato di chi ha cessato di sperare.
  • Tutta la sofferenza umana è un atto di contrizione.
  • Nessuno che sia in buona fede può essere perduto. [...] E perché dunque a Dio non farebbe piacere vedersi davanti un agnostico rispettabile, e giudicarlo dal Suo alto seggio con una luce amichevole negli occhi, e dirgli "Come vedi sono qui, nonostante tutto quello che ti hanno fatto credere in contrario. Entra nel Regno che hai onestamente negato."
  • Mostrò i denti bianchi in un sorriso competente.
  • La pioggia cessò, e un sole acquoso brillò pallido sull'orfana terra.
  • Gli stornelli cantavano sulle gronde e la freschezza dell'alba ancora imperlava di rugiada i fili d'erba.
  • "Non dimenticare la massima di Lao Tze: Molte sono le religioni, la ragione è una, siamo tutti fratelli."
  • Noi, la Santa Chiesa cattolica – che dico, tutte le grandi Chiese della Cristianità – noi condoniamo la guerra mondiale. Di più, la santifichiamo, e mandiamo milioni dei nostri figli migliori al massacro, a farsi mutilare nell'anima e nel corpo... a uccidere e a distruggersi a vicenda, accompagnandoli con un sorriso ipocrita e una benedizione apostolica: muori per il tuo paese, e tutto ti sarà perdonato.
  • Voi missionari arrivate col vostro Vangelo e ripartite con le nostre terre.
  • Eppure si sarebbe dovuto megli riflettere alla lotta di una simile natura per dominarsi, alle sue invisibili vittorie... mentre non veniva da pensare che ai difetti visibili.
  • Uai li scrutò con una crudeltà profonda e meditativa; una crudeltà segreta, più avvertita che vista dietro la maschera del viso.
  • Un senso di terribile avvilimento, una cocente disperazione al pensiero che creature fatte a immagine e somiglianza di Dio potessero così godere, con quella stupida cerimonia, del sangue e delle lacrime di altre creature. Con uno sforzo soffocò il terrorizzante sussurro interiore che gli diceva che Dio non poteva plasmare uomini come quelli... che Dio non esisteva.
  • Non si ribellava mai: sempre quel suo sorriso quieto, mite, che esasperava.

Incipit di alcune opere

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Angeli della notte

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Benché fossero quasi le sei, faceva ancora scuro in quel rigido mattino d'inverno. Nella piccola corsia d'isolamento dell'Ospedale municipale di Shereford regnava il silenzio, il particolare silenzio delle camere degli ammalati, rotto soltanto da un suono sottile e rauco, il respiro del fanciullo nel lettino dietro un paravento, all'estremità della corsia.
Seduta accanto al lettino, perfettamente immobile, l'infermiera Lee teneva gli occhi fissi sul volto del bambino, lottando contro la stanchezza, continuando religiosamente la veglia durata tutta la notte. Il malato era un bambinetto di due anni, e sulla tabella che si scorgeva appena a capo del letto si leggevan due sole significative parole: difterite laringea. Una malattia grave. E un caso grave.

Anni Verdi

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Tenendo stretta nella mia la mano della nonna, uscii dall buie arcate della stazione ferroviaria, fuori nelle chiare vie della città sconosciuta. Mi affidavo completamente alla nonna, che fino a quel giorno non avevo veduta, e il suo volto affranto e appannato, con gli occhi di un azzurro sbiadito, non aveva alcuna somiglianza con quello di mia madre. Ma nonostante la tavoletta di cioccolata acquistata per me al distributore automatico, ella non mi aveva, fino allora, ispirato alcun affetto. Durante l'interminabile viaggio iniziato a Winton, seduta di fronte a me nel compartimento di terza classe, con indosso un logoro vestito grigio appuntato con un grande fermaglio ornato di una pietra colorata, uno sparuto collodi pelliccia, e un cappello nero a tesa, che le pendeva su di un orecchio, ella aveva ostinatamente guardato fuori dal finestrino, con la testa piegata da un lato, le labbra agitate come se tenesse con se stessa una tacita e commovente conversazione, e toccandosi di quando in quando gli occhi col fazzoletto come per cacciarne una mosca.

Caleidoscopio

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L'infermiera notturna premette le ginocchia intirizzite contro gli elementi del termosifone e. attraverso i vetri della finestra in fondo alla corsia K, fissò nel vuoto gli occhi corrucciati. Dietro di lei, nella lunga sala ancora immersa nel buio, odorante di iodoformio e di cera per pavimenti, il ritmo alterno dei respiri era interrotto da bruschi colpi di tosse e dal gorgoglio sordo dell'acqua dei radiatori.
Fuori, era buio, il buio livido e silenzioso di un mattino di febbraio, simile a una grande tela piegata sulla città, una foschia scialba in cui brillava incerta – laggiù, dove stavano aggiustando il pavimento del cortile – la lampada della guardia notturna, timida stella in un universo misterioso, infinito. Ma non alle stelle né all'infinito pensava l'infermiera; pensava alla colazione.

E le stelle stanno a guardare

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Era ancora scuro quando Marta si svegliò, e il freddo era crudo. Il vento s'ingolfava gelido nelle crepe dei muri della casupola di due soli vani. Si udiva, lontano il rantolo delle onde. Il resto era silenzio.
Immobile, Marta si teneva il più possibile discosta da Roberto che aveva dato segni di irrequietezza, e tossito spasmodicamente, a tratti, durante la notte. Stette ancora un minuto a giacere, arcigna, armandosi per affrontare quest'altra odiosa giornata, sforzandosi a soffocare il malanimo che sentiva contro di lui. Poi, a stento, si levò.

Gran Canaria

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Era ancora un poco ubriaco, quando scese dal treno e s'avviò con Ismay verso l'ufficio dei bagagli; e ancora arcigno, saturo di quella causticità che da tre settimane, fosse ebbro o lucido, spietatamente lo corrodeva come un acido. La banchina asfaltata gli ondeggiava sottoi piedi, e la gelida bruna mattutina riempiendo l'alta navata della stazione lo opprimeva come una nebbia spessa; non vedeva ; camminava rigido come in sogno. Si fermò udendo le spiegazioni che Ismay forniva all'impiegato dei bagagli: «È un baule piatto da cabina. Spedito avant'ieri da Londra. Il nome è Leith».

Il castello del cappellaio

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La primavera del 1879 fu insolitamente precoce e generosa. Nelle terre della Bassa Scozia il verde del grano primaticcio tappezzò i campi dovunque, i germogli dei castagni sbocciarono in aprile, e le siepi di biancospino lungo le strade che serpeggiavano bianche attraverso la campagna, fiorirono un mese prima del tempo. Nei villaggi dell'interno i fattori dettero a una composta esultanza, mentre i bambini correvano scalzi dietro i carri che innaffiavano le strade; nelle città sulle rive dell'ampio fiume lo strepito dei cantieri perdette la sua insistenza e, ronzando nell'aria tiepida, salì fino ai piedi delle colline retrostanti, dove si confuse col rombo d'una ape precoce e fu sopraffatto dall'esuberante belare degli agnelli; nel capoluogo gli impiegati si tolsero la giacca per stare più freschi e bighellonarono negli uffici maledicendo l'afa, la politica di Lord Beaconsfield, le notizie della guerra contro gli Zulù e l'alto prezzo della birra.

Il medico dell'isola

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Murray stava facendo una puntura lombare nel G.U. quando il primario dell'ospedale lo mandò a chiamare dalla Costa d'Oro. Era un brutto pomeriggio di febbraio. Faceva molto freddo e cominciava a venir giù una neve minuta e fitta. Perciò invece di passare per il cortile egli preferì fare un giro più lungo attraversando le corsie sette e nove e percorrendo il passaggio sotterraneo che portava al reparto dei pazienti ricoverati in camere singole. La vista di quest'isolato, uno dei sette che componevano il Methodist Hospital, suscitava sempre in Murray una divertita ironia. Simile a un grigio monolito, esso sovrastava cupamente l'Hudson, ma all'interno era molto simile a un albergo di lusso, con un ristorante a pianterreno, un negozio di souvenirs, fattorini in livrea e un ufficio ricevimento dove i pazienti venivano registrati, e dove i più fortunati tra loro si fermavano per pagare il conto prima di andarsene. Mancava soltanto un'orchestra per rendere perfetta quell'atmosfera di allegria.

La bellezza non svanirà

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Il pomeriggio aveva ceduto il passo alla sera e tutto il mosso ondeggiare delle colline, i Downs, sembrava come immobilizzato, immerso in una luce perlacea. L'erba bagnata argentea quasi fosse coperta dalla brina, emanava vapori filamentosi che tendevano ragnatele sulle siepi, e disegnavano ricami nei fossi. La superficie opaca degli stagni, simile a latte scremato, rispecchiava l'immagine della luna gialle che, tonda e bassa, contemplava la scena, come l'occhio di un gatto enorme, accovacciato sull'altura e pronto al balzo.
In questa immobilità luminosa, da una chiesa normanna in pietra, così piccola e così nascosta in una piega della contrada dasembrare, nonostante i profili netti delle sue mura longitudinali e trasversali, il basso campanile, le strette finestre dell'abside, improbabile quanto un sogno, si staccò un'ombra subito seguita, dopo il tonfo della porta di quercia e lo scatto del pesante chiavistello, dalla sagoma di un uomo, forse meno lunga, ma altrettanto oscura. Si trattava, ed era abbastanza logico, di un ecclesiastico: Bertram Desmonde, il Rettore di Stillwater.

La canzone da sei soldi

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Ogni sera alle sei un senso d'attesa riempiva la casa, animando il lungo pomeriggio vacuo e irreale. Quando andai in salotto, mia madre che sfaccendava in cucina per prepararci la cena, cominciò a cantare qualcosa che riguardava la figlia di un mugnaio che si coricava e moriva. Essa cantava queste tristi canzoni scozzesi in un modo così delizioso e con una tale vivacità che suonavano allegre. Io stavo in piedi sull'inginocchiatoio a guardare fuori della finestra; ne avevo ancora bisogno sebbene dovessi andare a scuola la settimana seguente.

La cittadella

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Al tramonto di un giorno di ottobre del 1924 un giovane di modesta appartenenza osservava, con ansiosa curiosità, dai finestrini di terza classe d'un treno quasi vuoto che risaliva laboriosamente la valle di Penowell, il tetro panorama che si svolgeva davanti ai suoi occhi.[2]

La luce del nord

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L'orologio della chiesa di San Marco segnava le otto passate, in quell'umida sera di febbraio quando, comesempre, Henry Page augurò la buona notte a Maitland, il redattore capo e uscì dall'edificio del quotidiano Luce del Nord. L'articolo di fondo di lunedì lo aveva trattenuto più del consueto in redazione; nonostante i vent'anni di pratica, non riusciva a scrivere con rapida scorrevolezza, e inoltre era stato interrotto e distratto dalla straordinaria telefonata di Vernon Somerville.
L'automobile serviva a sua moglie ed egli preferiva tornare a casa a piedi – di recente il dottor Bard gli aveva consigliato un po' di moto, con moderazione . ma essendo ormai così tardi, decise di prendere il tram.

La via di Shannon

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Un'umida sera di dicembre, al cinque di quel mese, l'anno 1919 – data che segnò l'inizio di un radicale mutamento nella mia vita – l'orologio dell'Università aveva battuto le sei e la soffice nebbia dell'Eldon fasciava i padiglioni dell'Istituto di Patologia Sperimentale ai piedi della collina di Fenner invadendo la nostra lunga sala di lavoro, odorante di formalina e illuminata appena da lampade basse dagli schermi verdi.
Il professor Usher era ancora nel suo studio, e. di là dalla porta chiusa alla mia destra, i miei timpani esercitati sentivano parlare al telefono nel suo tono chiaro e preciso. Guardai di sottecchi gli altri due assistenti che componevano con me l'organico del laboratorio.

Le chiavi del paradiso

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In un tardo pomeriggio del settembre 1938, il vecchio Padre Francis Chisolm percorreva lo scosceso sentiero che dalla Chiesa di Santa Colomba conduceva alla sua casa in collina.[3]

Ma il cielo non risponde

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In un ventoso giorno di marzo dell'anno 1910, ero seduto nell'ufficio del Preside, in attesa d'essere ammesso alla scuola gesuitica di S. Ignazio. Dopo sette anni tempestosi nelle scuole del Free Council della città di Winton, ero abbastanza contento di essere lì. Alla mia nascita, mio padre, nella prima ebrezza della paternità, ripieno, per giunta, di ottimistiche aspettative circa il proprio futuro, aveva prenotato un posto per me a Stonyurst. Quando morì, sei anni più tardi, dopo una penosa e lunga malattia, la sua lodevole ambizione rimase inadempiuta: aveva lasciato appena il necessario per pagare i medici e le spese per il funerale.

Viviamo ancora

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Ogni Mercoledì sera la madre di Paul prendeva il tram, dopo aver lavorato al Municipio, per recarsi alle funzioni di metà settimana nella Cappella Merino, e lui, di solito, le andava incontro a piedi, non appena terminata la lezione di filosofia delle cinque, all'università. Ma, quel particolare Mercoledì, il colloquio col professor Slade si protrasse fino a tardi e, dopo un'occhiata all'orologio, Paul decise di tornare senz'altro a casa.
Si era a Giugno e la bella sera d'estate aveva gettato un incantesimo sulle grigie case di Belfast. Profilandosi contro il cielo color ambra, i tetti e i comignoli della nordica città irlandese si spogliarono del loro prosaico aspetto, assunsero un che di misterioso, irradiarono luce, come appartenessero a una città di sogno.

Note

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  1. Da Avventure in due mondi, traduzione di Paolo Gobetti, Bompiani, 1952, cap. XXVII, p. 339.
  2. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  3. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Archibald Joseph Cronin, Angeli della notte (Vigil In The Night), traduzione di Paolo Gobetti, Bompiani 1966.
  • Archibald Joseph Cronin, Anni Verdi (The Green Years), traduzione di Spina Vismara, Valentino Bompiani, 1965.
  • Archibald Joseph Cronin, Caleidoscopio (Kaleidoscope In "K"), traduzione di Bruno Maffi, Valentino Bompiani, 1965.
  • Archibald Joseph Cronin, E le stelle stanno a guardare (Stars Look Down), traduzione di Carlo Coardi, Valentino Bompiani, 1942.
  • Archibald Joseph Cronin, Gran Canaria (Gran Canary), traduzione di Carlo Coardi, Valentino Bompiani, 1942.
  • Archibald Joseph Cronin, Grazia Lindsay, Tascabili Bompiani, 1978.
  • Archibald Joseph Cronin, Il castello del cappellaio (Hatter's Castle), traduzione di Aldo Camerino e Carlo Izzo, Oscar Mondadori, 1974.
  • Archibald Joseph Cronin, Il medico dell'isola (The Native Doctor Further Adventures Of Black Bag), traduzione di Fulvio Fabrizi e Gianluigi Melega, Valentino Bompiani, 1966.
  • Archibald Joseph Cronin, La bellezza non svanirà (A thing of Beauty), traduzione di Bruno Oddera, Oscar Mondadori, 1972.
  • Archibald Joseph Cronin, La canzone da sei soldi (A Song Of Sixpence), traduzione di Renato Gorgoni, Valentino Bompiani, 1965.
  • Archibald Joseph Cronin, La luce del nord (The Northen Light), traduzione di Bruno Oddera, Tascabili Bompiani 1979.
  • Archibald Joseph Cronin, La via di Shannon (Shannon's Way), traduzione di Bruno Maffi, Valentino Bompiani, 1950.
  • Archibald Joseph Cronin, Le chiavi del regno, traduzione di Andrea Damiano, Mondadori, 1997
  • Archibald Joseph Cronin, Ma il cielo non risponde (The Minstrel Boy), traduzione di Gianfranco Manfredi, Valentino Bompiani, 1975.
  • Archibald Joseph Cronin, Viviamo ancora (Beyond This Place), traduzione di Bruno Oddera, Valentino Bompiani, 1964.

Filmografia

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Altri progetti

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Opere

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