Alfredo Oriani

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Alfredo Oriani

Alfredo Oriani (1852 – 1909), scrittore, storico e poeta italiano. Usò anche lo pseudonimo Ottone di Banzole.

Citazioni di Alfredo Oriani[modifica]

  • Ci vuole un'anima grande per una grande passione.[1]
  • [Il direttore di un quotidiano voleva apportare delle modifiche ad un suo articolo] Di' a quel signore che mi mandi indietro l'articolo. Se ci leva una virgola, chissà cosa mi fa dire![2]
  • Essere forti per diventare grandi, ecco il dovere: espandersi, conquistare spiritualmente, materialmente, coll'emigrazione, coi trattati, coi commerci, coll'industria, colla scienza, coll'arte, colla religione, colla guerra. Ritirarsi dalla gara è impossibile: bisogna dunque trionfarvi.[3]
  • L'amore non era che una forza sessuale nella vita dominata da leggi ben più profonde, in preda a bisogni ben altrimenti vasti.[4]
  • [Francesco Pastonchi] Macché poeta; quello è un poppante di due quintali.[5]
  • Questa dolorosa contraddizione fra tanto bollore di frasi e tanta freddezza di atti, tra la falange sacra degli scrittori e dei cospiratori che gettavano ogni fiore della loro anima sull'altare della patria per purificarlo dal contatto dei carnefici, e il popolo che non dava un grido nemmeno quando i martiri penzolavano dalle forche o i ribelli si presentavano audacemente armati alle porte della città urlando: rivoluzione! impressionavano sinistramente gli stranieri, attirando sull'Italia dispregi, che il genio e l'orgoglio di pochi grandi non bastavano a respingere. E l'Europa si ricordava che la Spagna sola era bastata contro Napoleone vincitore dell'Europa, che la Russia si era bruciata volontariamente perché il suo invincibile invasore perisse per mancanza di ricovero, che la Grecia piccola come un villaggio e non più numerosa aveva resistito per cinque o sei anni a tutto l'impero turco: ricordava le lotte non antiche di Fiandra e la recente vittoria del Belgio, l'eroica caparbietà della Polonia, nella quale ogni insurrezione vampeggiava in guerra e ogni guerra s'insanguinava di battaglie senza paura e senza pietà; e, ascoltando i garriti d'Italia e vedendola sempre così inerte, sorrideva d'insultante compassione.[6]
  • Sono nato a Faenza nel 1852, il 22 agosto: la mia è una famiglia aristocratica di campagna, ma senza lustro vero, in decadenza economica dal principio del secolo. Io capitai male: ero l'ultimo di tre fratelli, e parvi subito il più brutto e il peggiore. Bellissimo, intelligentissimo il primogenito, io non ero nemmeno ammesso alla tavola con gli altri... Il mio martirio cominciò presto: ebbe una sosta quando morì il primogenito, perché di maschi restavo solo io.[7]
  • Tutti gli enigmi non sono tali se non perché debbono venire sciolti.[8]

In bicicletta[modifica]

  • Volare come un uccello: ecco il sogno; correre sulla bicicletta: ecco oggi il piacere. Si torna giovani, si diventa poeti.
  • Nell'ombra della notte si ritorna soli. È l'ora che preferisco per viaggiare in bicicletta, al raggio delle stelle su la strada vuota, per la bianchezza della quale l'occhio vede da lungi sicuramente. Dove si corre?
  • [Ciclismo] Viaggiatore silente ed invisibile passate sulla strada come un fantasma, facendo spesso dare un balzo al viandante stracco che vi si trascina ancora.

No[modifica]

Incipit[modifica]

«Il dottore era questa notte colla Giovanna» disse la Ghita.
Ida non si mosse.
«Ci vuole proprio il coraggio di un dottore; già, sono come i beccai, che ammazzano i vivi e sparano ai morti. Anche sabato lo incontrai, che ritornava dal camposanto; aveva aperto Tonio. Erano dietro il vicolo dei Cappuccini: l'ho riconosciuta, deve essere in ultimo.»
In quella un magnifico gatto, nero come di onice, con una fettuccia rossa per collarino, entrando dalla porta socchiusa della cucina venne a saltare sulle ginocchia di Ida, e vi si allungò non senza tentare prima mille pose. Stette così qualche secondo, poi avvallandole nelle sottane, e battendogliele carezzevolmente colla coda grossa come una coda di volpe, ne accompagnava ogni movimento con una voluttuosa trepidazione di orecchi.

Citazioni[modifica]

  • Quando si è amati in una casa ci si ritorna.
  • Durante la lettura Ida non aveva nemmeno respirato; leggeva seco, leggendogli contemporaneamente negli occhi e nel cervello, ma la fronte del duca, prima leggermente contratta, si spianò illuminandosi di uno sbiadito sorriso.
    «Eh!» domandò guardando il titolo del libro: Physique sociale. Adolphe Quetelet.
    Ida concentrò tutta l'energia sei propri occhi in un raggio, e scagliandoglielo sul volto come una scudisciata: «Non credo che in biblioteca si trovi il vostro libro.»
    «Ida...»
    «Signor duca; sono ormai le due dopo mezzanotte; è forse la prima volta che vegliate così tardi in una biblioteca e i principianti non debbono commettere eccessi.»
    «Ma voi...»
    «Io non sono una principiante: studio da cinque o sei anni, e studierò finché non mi accorga di non capire ciò che studio.»
  • Quella notte il duca dormì male, la mattina le mandò per il cameriere di confidenza questo biglietto.
    "Un giorno Puskin mandò all'Imperatore un volume delle proprie poesie con questa dedica: Opere di Puskin a Nicolò. L'Imperatore fece legare in marocchino molti boni di banca e glieli spedì: Opere di Nicolò a Puskin. Il poeta ebbe lo spirito di rispondere: Maestà, ho letto il primo volume, un capolavoro; aspetto il secondo.
    Nicolò non trovò la risposta.
    Io l'avrei trovata inviandogli la chiave del mio scrigno come la chiave della biblioteca."
    «Il duca mi ha detto d'aspettare una risposta» le disse il cameriere colla dissimulata finezza di un uomo uso a simili incombenze. Ida, che aveva letto indifferentemente quel biglietto, andò al tavolo e scrisse:
    "Filippo di Macedonia si vantava di pigliare ogni fortezza nella quale potesse introdurre un asino carico d'oro; vanto di mediocre capitano, uso ad assaltare villaggi troppo poveri per scapitare in una resa."

Vortice[modifica]

Incipit[modifica]

– Aspettatemi dunque! – esclamò l'avvocato Guglielmi, indugiando nel rimettersi il pastrano grigio da mezza stagione, e aperse la bussola, che dal caffè dava sotto il portico.

Citazioni[modifica]

  • Non si capisce veramente di dover morire, sino a che il pensiero della morte non si allarga come un'ombra nel mezzo del nostro spirito. Tutto è così facile nella prima parte dell'esistenza! Funzioni ed abitudini vi si ripetono favorevolmente, si mangia, si passeggia, si chiacchiera, si ride, si dorme; poi il mattino vi desta, intorno a voi tutto prosegue: la moglie, i bimbi, la serva, la casa alternano i propri motivi senza un pensiero che tutto ciò sia effimero, che basti la presenza di un insetto a produrvi lo scompiglio, o la morte appiattata in ogni ombra possa in un istante distruggere tutto senza ragione, senza traccia. Si vive così, come se la morte non fosse, in una sicurezza d'immortalità. Invano in tutte le case qualcuno si ammala e muore; si fanno i funerali, la gente li guarda passare distratta, ognuno preoccupato dei propri interessi, in una febbre continua di passioni, e non ci si pensa più. Coloro, che amarono quel morto, piangono qualche giorno, gli altri non dànno importanza al caso o parlando della morte, che li aspetta, rimangono indifferenti come a cosa che verrà poi, un poi problematico nella data ed insignificante finché la data non arriva.
  • La vecchiezza non deve essere altro che la lenta progressione di questo sentimento, l'abbandono reciproco di tutti verso uno e di uno verso tutti per una solitudine annebbiata, silenziosa, immobile.
  • [...] tutto nella vita ha la propria immagine falsa, l'amore e la gloria, il vizio e la virtù, e quando il sangue fermenta improvviso, o l'anima non resiste più alla visione di sé medesima, si ricorre a queste falsificazioni come ad un rimedio, che placa il male senza ingannarlo e ci lascia, nella prostrazione dello sforzo compito, una più pronta facilità al riposo.
  • La gente condanna i suicidi per dispetto della paura, che questi non hanno avuto.
  • Dov'è la carità? Anch'essa è un lusso di certi istanti: si dà qualche cosa, perché la momentanea gioia di chi riceve aumenta la nostra giocondità. È come nei pranzi: ci vogliono degli invitati; ma si amano forse i proprii invitati? Bisogna essere in molti ad una festa di ballo; ma la soddisfazione di ognuno è appunto nel primeggiare sugli altri, vedendoli così segretamente iracondi del piacere loro tolto.
  • In lui non sopravviveva che l'abitudine, quel fascio di rapporti indefinibili, onde l'uomo è legato alla propria casa, quella incapacità di pensare sé medesimo in modo diverso dal come si è vissuti, tutte quelle impronte incancellabili, colle quali la vita compose la nostra fisonomia spirituale.
  • Essendo cattivi, aggraviamo l'uno contro l'altro le nostre disgrazie, essendo buoni, ci aiutiamo scambievolmente contro il male che non abbiamo fatto, ma che ci tocca patire ad ogni modo.
  • [...] la morte è come una donna, ma finché non ci pare bella, non commettiamo la sciocchezza di sposarla.
  • La sua immaginazione si rappresentò subito la marcia rapida, folgorante, del treno [a vapore] apparentemente fermo per la sua stessa velocità, con quei due immensi occhi di fuoco, che gli rischiaravano la strada. Veniva da lungi, andava lungi, nero, veloce, misterioso, fatale. Nulla poteva arrestarlo; il suo respiro era mostruoso; ansava, soffiava fumo senza perdere la lena, senza spossarsi nel palpito enorme, scivolando sulle rotaie che tremavano, sfondando la notte inconsapevole. Non aveva meta, si arrestava, ripartiva; la gente spariva nei suoi vagoni neri, tappezzati all'interno come stanze, vi si obliava chiacchierando, in una fede sicura al mostro immane, che non aveva mai saputo nulla e non saprebbe mai nulla di coloro, che viaggiavano nel suo ventre. Di giorno e di notte, in qualunque stagione, sotto il sole, sotto la pioggia, sulla neve, andava sempre; il suo tremito diventava più profondo traversando i ponti, il suo respiro si faceva asmatico sotto i tunnels, dai quali prorompeva con un fischio trionfale d'ironia avventandosi giù per le valli, e non di meno ubbidendo docile alla mano, che gl'imponeva di rallentarsi dinanzi alle prime case di un villaggio.
    Era la forza stessa del sole diventato carbone, che si sprigionava daccapo in un altro fuoco; era la giovinezza eterna del moto, che crea tutte le giovinezze.
  • La natura non ha bisogno del nostro concorso per ucciderci, il mondo solo ci condanna al suicidio: quando la nostra presenza non vi è più possibile, sentiamo la necessità di morire, per non durare come un rimasuglio fra la gente. La società non è pari alla natura, nella quale anche i residui hanno un valore. Ognuno crea se stesso in una classe o in una funzione con indelebili caratteri, ma, distruggendo questa personalità, non gli rimane né posto, né gruppo. Allora erompe la contraddizione fra l'istinto che vorrebbe vivere, e la ragione che non sa più trovarne il modo.

Explicit[modifica]

Con un ultimo sforzo premé ancora il collo sulla rotaia.
Poi un'estrema convulsione di turbine, di abisso, di valanga, d'incendio, lo fece quasi rivoltolare sopra se stesso; aprì gli occhi nella fiamma, e per una paura più terribile gridò:
– Mio Dio!
Ma l'enorme macchina gli era già passata furiosamente sulla testa, soffocando nel proprio fracasso di cateratta l'inutile parola.

Incipit di alcune opere[modifica]

Al di là[modifica]

Siamo a Bologna, una delle città più ricche e noiose d'Italia.

Fino a Dogali[modifica]

Casolavalsenio, 25 dicembre 1885.

Sono caduto il giorno tre di questo mese nel pomeriggio. La giornata era fosca. Grosse nuvole oscillavano nel cielo sotto la pressione di un vento troppo alto per essere sentito. L'aria, ancora più calda che umida, bagnava tutte le piante come di un sudore malato.
Nella caduta non ero solo, ma fortunatamente fui solo ad azzoppirmi.

Fuochi di bivacco[modifica]

Per me non suonerà più sulle alture; nè lo vorrei.

Gelosia[modifica]

Nell'afa del meriggio Mario sollecitava colla frusta il grasso cavallo.
La strada, larga e dritta, in quell'incendio di sole sembrava confondersi col tremolìo dell'aria, entro la quale la polvere, sollevandosi, metteva tratto tratto una nebbia giallognola. Il caldo era soffocante. L'ombra, ritiratasi sotto gli alberi, ne allargava la base dei tronchi, e l'erba appariva sporca sui margini dei fossi, mentre nella strada solitaria il solco dei veicoli e l'orma dei piedi si vedevano sino molto lungi, profondi quanto nel fango.

Il nemico[modifica]

— Perchè? esclamarono simultaneamente, a voce bassa, Andrea Petrovitch Khartof e Fedor Vassilich Karatajeff.
— Perchè? rispose rattenendosi un istante e gettando sui due interruttori uno sguardo, dentro al quale passò come una luce bianca, Boris Romanovitch Slotkin: perchè? Vi è forse sempre un perchè? Si può saperlo? Perchè tocca a noi questa grande battaglia contro lo czarismo, che dura da quasi mezzo secolo, e nella quale perdemmo tante migliaia di martiri?

La disfatta[modifica]

La contessa Ginevra volse la testa con un sorriso, tendendo al vecchio medico la bella mano bianca, sulla quale non brillava che il sottile anello matrimoniale.
- Perché così tardi stasera?
- Esco ora dalla casa del marchese Roderigi: sta un po' meglio, il caso è nullameno disperato.
Qualcuno degli invitati scambiò un'occhiata malinconica alla triste notizia, ma la conversazione rimase impacciata come prima.

La lotta politica in Italia[modifica]

Roma fu la patria dello stato, il suo impero la prima unità mondiale.
L'individualità antica vi ottenne colla coscienza della propria interezza, quella dei rapporti che la riunivano allo stato. Infatti mentre nella Grecia, patria dell'individuo, questi rimaneva chiuso in se medesimo e lo stato era piuttosto una somma che una unità capace di subordinarsi gli individui imponendo loro le proprie necessità come un'idea superiore, per la quale fossero nati e nella quale vivessero, a Roma individuo e stato, astrattamente concepiti, si costituiscono con reciproca personalità. La libertà dell'uno risulta dalla necessità dell'altro, il destino di Roma è la spiegazione e la gloria d'entrambi.

Monotonie[modifica]

Vien qui, divina
bionda fanciulla dalla fronte pallida:
vieni e ti china
sull'infelice che t'amava incognito.

Olocausto[modifica]

Egli uscì a testa alta, col volto lucido di quel sorriso, che sembra illuminarsi dall'interna contentezza di un buon pranzo.
Aveva mangiato copiosamente, solo ad un tavolino dell'ampia sala bislunga, nella quale gli avventori rumoreggiavano, e i camerieri in giacchetta nera e cravatta bianca mutavano correndo i piatti sporchi coi piatti pieni, fra l'incrociarsi degli ordini e il vocìo saliente delle conversazioni. Parecchie donne della piccola borghesia pranzavano in cappellino, colle mantiglie ripiegate sul dossale delle sedie, perché gli attaccapanni delle pareti erano già carichi di pastrani e di cappelli maschili; ma nessuna era bella, e tutte avevano nell'atteggiamento quel ritegno nervoso, che tradisce nel suo stesso disagio la brama di attirare l'attenzione. Da alcuni tavoli affollati di studenti il chiasso si allargava come un'onda, facendo spesso rivolgere le teste con atto fra furioso e scontento di tale trivialità non abbastanza giustificata dal buon mercato del luogo e dalla eccellente riputazione del suo vino.

Ombre di occaso[modifica]

Anch'egli è morto.
L'ultima volta, che lo salutai alla stazione di Bologna, la notte estiva era cupa; grosse nuvole si spostavano grevi nel cielo senza stelle, l'aria stagnava. Eravamo venuti a piedi per la nuova via della vecchia città, quasi deserta a quell'ora ma vivamente illuminata sotto i portici alti e sonori. Come sempre, egli parlava ammonendo, mentre a me pareva di sentire nell'aria, al disopra delle nostre teste, avvicinarsi qualche altra tristezza. Eppure la sua parola aveva la consueta limpidità quasi di alba, quando nel chiarore del giorno nascente traspare come la luce di un altro mondo lontano, e le prime voci della terra somigliano al murmure di una preghiera.

Oro, Incenso, Mirra[modifica]

- Mostratemi dunque un piedino.
Ella lo allungò subito fuori dalla corta sottana nera.
- Grazie, principessa.
- Mi avete riconosciuta? – domandò con un tremito nella voce sottile, abbassando vezzosamente il volto sotto il mascherino per guardare la scarpetta scollata, in pelle bronzina, a bottoncini rotondi sopra un fianco, che teneva ancora alzata.
- Talento di calzolaio! – l'altro replicò, mentre il gruppo delle maschere si scioglieva come per incanto a quel nome di principessa.

Quartetto[modifica]

Caro Bariè,

Casola Valsenio 17 dicembre 1881.

Ho finito or ora il libro, e riprendo la penna per dedicartelo. Quando, fra qualche mese o qualche anno sarà stampato, chissà quali avventure, sorprendendo le nostre vite e divertendone la direzione apparente, potrebbero impedirmi di farlo.

Citazioni su Alfredo Oriani[modifica]

  • Anche come pensiero politico, non si immobilizzò dogmaticamente in un rigido credo di partito. Era stato repubblicaneggiante e antisabaudo, tutto Mazzini e Garibaldi, da autentico romagnolo. Ma poi aveva riconosciuto che il rinnovamento, l'ascesa ulteriore, la nuova rivoluzione si dovessero e potessero compiere su la base dell'Italia quale la storia aveva voluto che fosse, e si era idealmente conciliato con la Monarchia, anche e specialmente come più efficace strumento di rapporti internazionali. (Gioacchino Volpe)
  • Difficile definire politicamente questo uomo che era e voleva essere e si considerava essenzialmente un artista, uno «scrittore», innanzi tutto di drammi. Ma aveva anche affrontato con un volume scritto di getto un grosso problema morale e sociale, quello del divorzio. (Gioacchino Volpe)
  • Io non l'ho conosciuto. Ebbi l'onore, nel 1905, di pubblicare un capitolo inedito della sua Ideale Rivolta nel Leonardo ma non lo vidi mai. Forse è stato meglio: non avremmo avuto il tempo di limare le punte delle nostre persone scontrose colla consuetudine lunga e familiare dell'intimità. (Giovanni Papini)
  • Oggi questo raffinato e visionario intellettuale è totalmente dimenticato o tutt'al più brevemente citato nelle note a piè di pagina delle antologie della letteratura dell'Italia umbertina. Eppure nessuno meglio di lui diede voce all'ubriacatura di delusione e rancore che in quegli anni di crepuscolo risorgimentale si stava diffondendo nel paese. (Domenico Quirico)

Note[modifica]

  1. Da Gramigne.
  2. citato in Aneddoti, Intrepido, n. 21, 1974, Casa Editrice Universo
  3. Da La rivolta ideale, A. Gherardi, Bologna, 1912.
  4. Da Gelosia.
  5. Citato in Bonaventura Caloro, È lo stato che crea la nazione, La Fiera Letteraria, aprile 1973.
  6. Da La lotta politica in Italia, lib. IV, cap. 5, Torino, L. Roux e C., 1892, p. 370-371.
  7. Da una lettera al cugino Giacomo; citato in Narratori di Emilia Romagna, p. 14, a cura di Giuseppe Raimondi e Renato Bertacchi, Edizioni Mursia, Milano 1968.
  8. Da Oro incenso e mirra.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]