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Raffaello Giovagnoli

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Raffaello Giovagnoli

Raffaello Giovagnoli (1838 – 1915), scrittore, patriota e politico italiano.

Citazioni di Raffaello Giovagnoli

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  • Dotato di uno di quegli ingegni fervidi, versatili, assimilatori, pieghevoli a tutto, dei quali cosi numerosi esemplari si riscontrano nella storia d'Italia, specie nel cinquecento, quali ad esempio Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, Benvenuto Cellini, Giulio Pippi[1] – per non parlare dei sommi come Raffaello, Michelangelo, Niccolò Machiavelli – Pellegrino Rossi era agitato dal desiderio febbrile di effondere tutta quella potenza di cui si sentiva investito e quindi esplicava un'attività veramente prodigiosa negli studi e, fra una scrittura forense di materia civile e un dibattimento penale, apprendeva la lingua e la letteratura inglese e si arricchiva di estese e profonde cognizioni nella storia, nella filosofia, nell'economia e nel diritto.[2]

Ciceruacchio e don Pirlone

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  • Il crescente disordine nel caos dell'amministrazione; le finanze sperperate; il pubblico erario, fra l'aumentare delle imposte più odiose, sempre esausto; le prigioni rigurgitanti di liberali; le vie dell'esilio piene dei lamenti e delle maledizioni di migliaia di profughi; la giustizia nome vano e ad essa sostituito il più sfacciato favoritismo, il più laido mercimonio, sotto l'impero di regolamenti e di costituzioni feudali e medioevali, contraddicentesi ed opposte fra di loro; l'istruzione popolare in balia dei gesuiti e de' loro proseliti; proibita la stampa e la diffusione di libri e di giornali; combattuta la illuminazione a gas, le strade ferrate, gli asili infantili, le applicazioni di qualsiasi scoperta, o trovato della scienza... ecco quali furono le condizioni dello Stato romano durante il pontificato di Gregorio XVI. (cap. 1, p. 20)
  • Il 1º giugno 1846 il pontefice Gregorio XVI, abbandonato da tutti i familiari, anche dal suo diletto aiutante di camera Gaetanino[3], privo di bevande e di nutrimento, a un'ora pomeridiana, cessava di vivere per sfinimento senile, accresciuto dall'inedia, dopo un regno di quindici anni, tre mesi e ventinove giorni, fra i motteggi di Pasquino, le maledizioni dei liberali e la indifferenza apatica e quasi ostile della plebe di Roma. (cap. 1, p. 24)
  • Ingegno fervido e potente, nudrito di molteplici e seri studî, ardente spiritualista, suffuso di una nube di misticismo – che si palesa anche nel suo stile, caldo, robusto, entusiasta, talora un po' retorico, qua e là un po' turgido, un po' asmatico –, Giuseppe Mazzini ebbe un unico intendimento, una sola idealità, all'attuazione della quale consacrò tutto sé stesso dal 1831 in poi: porre a fondamento dell'ordinamento sociale due concetti, espressi, nella sua famosa formula: Dio e Popolo; concetti che egli armonizzava sopra un cardine morale, il dovere, dal quale soltanto scaturisce il diritto. Quindi, per l'Italia, l'unità nazionale da conseguirsi con la democrazia e per la democrazia, con due mezzi: pensiero ed azione, val quanto dire con la educazione dei giovani per prepararli alla lotta delle armi e al sacrificio di sé stessi. (cap. 1, pp. 41-42)
  • [Giovanni Mastai Ferretti, futuro Pio IX] D'ingegno svogliato, di fantasia, non direi calda, ma esagitabile, di animo impressionevole, subitaneo, inchinevole alle cose belle, buone e generose, ma instabile e mutevolissimo, il cardinal Mastai era scarso di studî, povero di idee, e, in queste condizioni dell'ingegno e dello spirito, egli mancava assolutamente di fermezza di principî, di serietà e profondità di convincimenti, e in lui non era quindi – e non poteva essere – saldezza di carattere. (cap. 1, p. 50)
  • [Pio IX] Bello della persona, dal volto aperto e simpatico, signorile nei modi, facondo parlatore, dalla voce sonora, armoniosa e insinuante, il nuovo Pontefice di questi suoi pregi reali, e di quelli immaginati e attribuitigli dalla adulazione allettatrice, femminilmente invaniva, e alle lusinghevoli carezze della lingua cortigianesca sempre aperto e pronto avea l'orecchio. E, come in tutti gli intelletti mediocri e in tutti i caratteri deboli suole avvenire, il nuovo Pontefice più assai che di sentimento religioso, di pregiudizi paurosi e di superstizioni infantili aveva l'animo ingombro: onde sul suo cuore due modi vi avea di far presa: col solleticarne la vanità e con l'eccitarvi lo scrupolo. (cap. 1, p. 50)
  • [Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio] Il bambino era bianco, roseo, biondo, dagli occhi azzurri, grosso e rotondo più dell'ordinario. Per quella abbondante rotondità di forme infantili, le comari del vicinato, togliendolo dalle braccia della sora Cecilia[4] e vezzeggiandolo e palleggiandolo, cominciarono, in coro, a dire: Oh che bel Ciccio!... Oh che bel Ciccio!... e altre ad aggiungere: È grasso come un rocchio, oh che bel rocchio! Oh che bel ruacchio![5] E di lì derivò, fin dall'infanzia, il soprannome di Ciceruacchio. (cap. 2, p. 73)
  • [Angelo Brunetti] Cordiale, leale, compassionevole, soccorrevole, generoso, fin troppo, fin quasi alla prodigalità, era amico delle liete brigate, dei ritrovi numerosi, delle merende, delle cene e alquanto dedito al vino.
    Mai sentì, o mai, almeno, dimostrò di sentire né orgoglio né ambizione: uomo alla mano, affabile, ingenuo, primitivo, un po' rozzo ne' modi, fu sempre di grandissima buona fede, credulo oltre misura, e accessibilissimo quindi all'influenza che riuscivano ad esercitar su di esso coloro che ne sapevano più di lui, e che conoscessero l'arte di pervenire – ciò che era assai agevole – a inspirargli fiducia e ad acquistarsi la sua benevolenza. (cap. 2, p. 76)

Leggende romane

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  • I rigoristi, gli ipocriti, i formalisti del gesuitismo, i barbassori della teocrazia non seppero e non poterono perdonare mai a quel Papa le mordaci sue lepidezze, gli acuti e liberi suoi frizzi; e se, durante la vita di quel Pontefice, e dopo la sua morte, non fu loro concesso di levarne alto scalpore, ciò avvenne perché l'austerità dei costumi, l'insigne dottrina, la sapienza politica di Benedetto XIV attrassero intorno al suo nome la reverenza di tutta l'Europa, e imposero silenzio ai sommessi bisbigli dei caritatevoli detrattori di lui. (p. 7)
  • Il 15 agosto, nell'uscire dalla sala dello scrutinio, il Cardinale Prospero Lambertini, scherzando, secondo il suo costume, con i suoi colleghi, disse loro sorridendo:
    – Se volete eleggere un santo scegliete il cardinale Golti, se un uomo politico, nominate il cardinale Aldovrandi, se poi volete eleggere un buon uomo votate per me.
    Lo scherzo dell'illustre canonista fu il segnale della sua elezione. (p. 34)
  • Il Padre Fontanarosa, secondo questa persistente tradizione, fu un tipo fra sagace e burlesco di ogni fratesca malizia, dall'ingegno pronto ed acuto, dallo spirito allegro e motteggevole, dalla coscienza prodigiosamente elastica, scettico, buontempone, lascivo, crapulone... Un tipo di frate da raccogliere in sé tutte le mariuolerie, le ingordigie, le libidini che troviamo sparpagliate nei cento frati delle novelle e delle commedie del cinquecento, un tipo di Falstaff, insomma, in tonaca, sandali e chierica.
    Secondo la tradizione egli sarebbe stato prima Gesuita, poi Domenicano, da ultimo Agostiniano scalzo.
    Ma, per quanto pazienti e accurate ricerche io abbia fatte nelle biblioteche e negli archivi, non mi venne fatto di poter sapere, né quando, né dove precisamente egli nascesse: e soltanto potei accertarmi che, se esso é esistito, é vissuto fra il 1730 e il 1790. Ad ogni modo io imprendo qui a narrare le più festevoli avventure che la tradizione popolare attribuisce al Padre Fontanarosa, e che si collegano col nome di lui. (pp. 100-102)

Meditazioni di un brontolone

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  • [Canal Grande] Io mi trovo in mezzo alla più grande, alla più singolare, alla più bella strada del mondo.
    È una strada sulla quale non si cammina a piedi o in carrozza, come su tutte le altre strade: è una strada d'acqua, sulla quale si scivola con una gondola silenziosa, una strada fiancheggiata da una sequela di palazzi o severi e melanconici, o superbi e maestosi, o elegantemente snelli e ridenti, che, come per incanto, come nei racconti delle Mille e una notte, sembrano sorgere, anzi sorgono fuori dall'acqua verdognola.
    Qui tutti gli stili architettonici sono rappresentati: qui si son dato convegno tutte le scuole a far mostra di quanto possa ciascuna di esse.
    Dal bizantino al barocco, dall'arabo al rinascimento, dal romano al lombardo, dall' archiacuto all'ogivale, tutte le grazie e le movenze dell'architettura qui sono rappresentate; ogni stile ha qui il suo modello; ogni scuola ha il suo esemplare; è il più splendido trattato di architettura che, da Vitruvio a Palladio, sia stato immaginato; un trattato vivo, parlante, lucente di marmi, di colonne, di linee, di fregi, di colori, che costringe chiunque abbia un briciolo di senso estetico nell'anima, a gridare, a urlare di meraviglia, a sentirsi commosso fino alle lacrime, a provare tutto l'orgoglio dell'esser nato italiano. (L'odalisca della laguna (Rimembranze veneziane), pp. 63-64)
  • [...] come passai, tutti i giorni, ore ed ore su quella stupenda piazza San Marco, su quella divina piazzetta, osservando tutti quegli splendidi monumenti al levare e al cadere del sole, sul meriggio e sotto i pallidi raggi della luna, provandone sempre nuovo diletto, sempre indicibili sensazioni di arcana e incomprensibile voluttà, non starò qui a riferire. (L'odalisca della laguna (Rimembranze veneziane), p. 64)
  • [...] quel miracolo di chiesuola, che è la chiesa della Madonna dei Miracoli; snella, limpida, sfolgorante, le cui pareti esterne sono ricche, nella loro aurea semplicità di linee, di splendidi marmi, quale ammirazione non mi destava nell'anima? (L'odalisca della laguna (Rimembranze veneziane), p. 66)
  • Dotato di fantasia immaginosa e potentissima, di gusto squisito che direi quasi innato in lui se non sapessi che tale prerogativa, concessagli dalla natura in parte, aveva in lui raggiunto l'apice dell'eccellenza con lo studio amorosissimo e non mai interrotto dell'arte, dotato di animo femminilmente gentile, Raffaello recava con sé nel campo della pittura tutte le qualità che occorrevano a far grande un uomo, quando anche sulla sua fronte non alitasse l'ala del genio. (Raffaello da Urbino, p. 92)
  • [...] Raffaello, con il lampo sublime della sua limpida pupilla, a venti anni, addentratosi di già in tutti i misteri e i lenocinii dell'arte sua e avendo già compiuto opere tali da procacciar fama non peritura a qualsiasi pittore, vide la lotta che, quasi a insaputa di essa, agitava l'età sua; comprese come l'idealismo e il naturalismo fossero venuti, quasi insensibilmente, alle prese fra loro e
    Ei fe' silenzio; ed arbitro
    Si assise in mezzo a lor.
    E, nelle sue divine concezioni, si propose di fondere le due scuole, di armonizzare le opportune tendenze del suo tempo, di naturalizzare l'idea – se così mi si consente di esprimermi – di idealizzare la natura nelle opere sue che egli, forse, presentiva destinate all'immortalità.
    E riuscì completamente nell'arduissimo intento.
    Nessun pittore, difatti, né prima, né dopo di lui, fu più molteplice, più multiforme, più poderosamente e più felicemente universale di esso. (Raffaello da Urbino, p. 93)
  • In lui [Raffaello] purezza ineffabile di linee e finezza inarrivabile di disegno; in lui gentilezza melodica e armonica efficacia di colorito; in lui vitalità sconfinata d'invenzione in ogni maniera di dipinti; in lui sapientissimo magistero di composizione. (Raffaello da Urbino, p. 96)
  • [Pietro Cossa] Quell'uomo forte di tempra, di aspetto quasi severo, di maschia bellezza adorno, procedente quasi maestoso per le vie; quell'uomo, in cui nulla v'era di studiato e di affettato, semplice nel vestire, ritroso al parlare, pieno di innata bontà, dotato di sincera modestia, schivo fin quasi alla rozzezza; quell'uomo, non insensibile al plauso e alla lode, ma che mai se ne lasciò ubbriacare, che non era inconsapevole ma era quasi non curante della potenza del suo ingegno, che sembrava indolente perché melanconico e contemplativo, io l'ho visto molte volte mutare aspetto, trasfigurarsi, animarsi, divenire eloquente, entusiasmarsi e tuonare con parola calda, inspirata, potente, ora evocando le magnificenze del mondo antico, ora fustigando le sozzure del moderno... e ho potuto studiarne, con cura amorosa, l'intelletto e i sentimenti, e mirarne, quasi a nudo, l'indole, e ho avuto campo di apprezzare tutta la foga lirica, tutti gl'impeti passionati dell'anima sua d'artista e di poeta. (Pietro Cossa artista e poeta, pp. 151-152)
  • [...] in barba a tutti quei messeri, onde si compongono le Accademie, i Licei, i Conservatorii ed altri Tribunali presuntuosi ed inappellabili della scienza musicale, in barba a tutti quei messeri e ai loro decreti, non è punto vero che il Rossini sia stato tanto di sopra del Donizetti, non è vero: questi fu più eclettico, più comprensivo, più universale di quello e, per conseguenza, se non più grande di lui, almeno grande quanto lui. (Il «Duca d'Alba» di Gaetano Donizetti, p. 186)
  • [...] sarei da tenere per pazzo da catena se negassi il genio del Rossini, se negassi l'importanza incalcolabile della sua grand'opera di rivoluzionario contro le vecchie forme, se negassi lo splendore e la sapienza della sua arte musicale!
    Ma il Rossini è, per me, simile a Vittorio Alfieri; rivoluzionario finché vi furono i tiranni e finché la rivoluzione esisteva soltanto, come idea astratta, nel campo dei sogni e, come aspirazione irrequieta, in un cantuccio degli animi generosi; poi codino e spaventato dell'opera, alla quale egli stesso aveva lavorato, quando la rivoluzione apparve terribile e sanguinosa sul terreno dei fatti compiuti! (Il «Duca d'Alba» di Gaetano Donizetti, p. 187)

Note

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  1. Più noto come Giulio Romano, architetto e pittore italiano.
  2. Da Pellegrino Rossi e la rivoluzione romana, vol. I, Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma, 1898, pp. 9-10.
  3. Gaetano Moroni (1802–1883).
  4. Cecilia Fiorini, moglie di Lorenzo Brunetti e madre di Angelo.
  5. Parole del dialetto romanesco, con le quali si indica un bel pezzo di carne di bove, tagliato nelle parti posteriori dell'animale. [N.d.A., n. 2, p. 73]

Bibliografia

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Altri progetti

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