Amintore Galli

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Amintore Claudio Flaminio Galli (1845 – 1919), musicologo, giornalista e compositore italiano.

Estetica della musica[modifica]

  • Mentre l'anima discerne distintamente i singoli elementi di una partizione musicale, essa ha la maravigliosa virtù di raccoglierli in un'assoluta unità. E ciò è dovuto al principio unizzante, senza il quale non avremmo una imagine musicale, non si sveglierebbero in noi emozioni di piacere o di dolore, e la musica – arte essenzialmente sentimentale – sarebbe un puro giuoco di suoni, una specie di caleidoscopio uditivo, e nulla più. (§ I, p. 3)
  • La musica prende forma sensibile per via di due elementi: il tonale e il ritmico, ossia per mezzo di colori acustici e di valori temporali; il primo è un elemento fisico, perché originato dal movimento vibratorio dei corpi elastici; il secondo è un elemento metafisico, perché di ragione intellettiva: esso nulla ha di materiale; le leggi del tempo non sono dovute alla sensazione, come quelle della tonalità, ma a priori, e cioè indipendentemente dall'esperienza. (§ VI, p. 49)
  • Nello stesso linguaggio parlato havvi già un embrione di musica, perché, difatti, se i suoni non hanno parola dal senso determinato, ogni parola ha, in qualche guisa, suoni d'intonazione determinata; il recitativo è un discorso con inflessioni, accenti e coloriti più determinati della parola, ma il suo fondo è la favella ordinaria, comune. (§ VI, p. 53)
  • Le facoltà dell'anima abbracciano tutti i fenomeni delle nostre percezioni, e come havvi, ad esempio, un'associazione fra i pensieri e i sentimenti, così havvi un'associazione di suoni e di imagini musicali, e ciò che è la logica, – il principio d'unità, – nel linguaggio dal senso determinato, è la tonalità nel linguaggio dal senso indeterminato; e come l'intelletto sintetizza le singole parole e i singoli concetti del discorso, così l'anima sintetizza gli elementi onde si costituisce un'imagine affettiva espressa per via di combinazioni melodiche od armoniche, o con le une e le altre aggregate in un'unica forma d'arte. (§ VIII, p. 88)
  • L'elemento fisico della musica, il suono, mancherebbe di idealità estetica e di caratteri icastici e patetici ove non fosse animato dal ritmo, manifestazione d'ordine nella dinamica degli elementi tonali; perciò la sua importanza è somma: senza ritmo non è concepibile la musica come arte: è il ritmo che trasforma i suoni nella melodia, affascinante espressione della vita ed estrinsecazione dei sentimenti dell'anima. (§ IX, p. 103)
  • [...] la musica, nel suo più alto concetto e nella sua intima essenza, non è che ritmo: ritmo nelle vibrazioni aeriformi (l'elemento materiale), ritmo nella divisione del tempo (l'elemento soggettivo), ritmo nella forma delle misure, nella successione delle frasi e dei periodi, ritmo nella concatenazione delle parti di un componimento, ritmo, infine, nel componimento intero, onde i grandi parallelismi nel disegno e nella forma quali si riscontrano nelle creazioni dei classici maestri. (§ IX, p. 103)
  • Nelle trasformazioni della musica è mirabile il fatto che i principi dell'estetica del ritmo, non altrimenti dei principi della estetica della tonalità, furono immutabili, perché perenne ed universale la loro natura. [...].
    Nella tonalità degli orientali, degli Arabi, degli Indiani, dei Chinesi, e così pure nel ritmo di questi popoli, i rapporti numerici tra i suoni della gamma e quelli delle diverse forme ritmiche sono identici ai nostri: cangiano le forme esteriori, non la sostanza, cangiano gli accidenti delle cose, non la loro essenza. (§ IX, p. 107)
  • Principio germogliatore di ogni forma musicale è il motivo, o inciso melodico suscettibile di artistico sviluppo. Dal motivo nasce una prima forma, figlia spontanea del sentimento dell'uomo: la canzone; questa ha il carattere proteiforme delle metamorfosi dell'anima nelle sue infinite commozioni. (§ XI, p. 165)
  • Su di un semplice motivo della canzone, l'estro del compositore suol creare nuove imagini melodiche, ed allora abbiamo le variazioni, che dalle aride diminuzioni dei seicentisti giunsero alle leggiadre rifioriture di suoni di un Haydn, di un Mozart, di un Beethoven, dei quali ne abbiamo di splendide per la inesauribile fantasia melodica ed armonica, che vi signoreggia in guisa maravigliosa. (§ XI, p. 165)
  • Il Leitmotiv è la variazione figurativa e drammatica; la frase musicale in esso rappresenta un'idea: un motivo incarna un personaggio, acquista vita sua propria e diventa un ente che agisce di per sé: il motivo si fa in frammenti e ciascuno di questi si trasforma in un motivo novello e individuale e, a un tempo, da lui distinto e da lui contenuto, insomma è una frase che si modifica in guise infinite, pur rendendosi sempre riconoscibile in mezzo ai più svariati sentimenti, alla lotta delle passioni ed allo svolgersi cozzante degli avvenimenti drammatici. (§ XI, p. 167)
  • [Benedetto Marcello] [...] l'artista patrizio che segna il punto culminante della nuova Scuola Veneziana nello stile concertato, – il Michelangelo della Musica, come ebbe a chiamarlo, nel suo entusiasmo d'ammirazione, un giudice del valore del Baini[1]. (§ XIV, p. 279)
  • Gli artifici più complicati del contrappunto, lungi dallo schiacciare l'espressione concettuale, in Marcello la favoriscono in modo unico. Egli portò alla musica religiosa un elemento estetico potente: la declamazione grandiosa, tuttoché non disgiunta da tratti di sentimento molto delicati. Il lavoro che rese immortale questo musicista, che fu pure filologo e poeta, è scritto sopra un testo bensì sacro ma parafrasato in volgare dal Giustiniani, e invade non solo il campo della musica espressiva, ma anche della descrittiva, imitativa e drammatica. I suoi Salmi, a 2, a 3 ed a 4 voci, con basso continuo cifrato per l'accompagnamento sull'organo, o sul clavicembalo [...] sono miracolo di filosofica interpretazione della parola e di musicale creazione. Vi si trovano assoli, recitativi, arie, pezzi polivoci di assoluta bellezza, il salmo: I cieli immensi è ispirazione sublime. (§ XIV, pp. 279-280)
  • Nel sacro tempio la musica religiosa strumentale si avviva ogni giorno più, acquista nuovi colori, nuove allettative: in Caldara l'orchestra, oltre il primo e secondo violino, la viola e l'organo, presenta un primo e secondo clarinetto, si arricchisce di una tromba e di un timpano.
    Questa famiglia strumentale s'intreccia colle voci, e con quell'arte che si attribuirebbe ad un esperto compositore dei nostri giorni. Il Caldara si valse dello stile fugato – profonda espressione della tecnica musicale – con mano assai destra. Ma anche lui, come il Legrenzi[2], era nella musica drammatica e nell'oratorio che doveva sollevare maggior fama, specie quando sposò la sua musa a quella del Metastasio. (§ XIV, p. 281)
  • II Clari, dotato di talento tecnico, di bella versatilità di estro e di intuito espressivo singolare, lasciò lavori che gli valsero un ragguardevole posto nella gerarchia dei musicisti che scrissero lavori vocali sul basso continuo ed anche con accompagnamento strumentale. Ha Messe, Salmi e un Requiem, ma è nello Stabat che alle parole Cujus animam gementem spiega uno di quegli assoli – specie d'aria per tenore – coi quali richiamò l'ammirazione dei contemporanei e la nostra. (§ XIV, p. 283)
  • Il Padre Martini sapeva alleare alla castigatezza dello stile osservato l'espressione ora dolce ed ora mesta, ora soave ed ora solenne richiesta dalla sacra parola. (§ XIV, p. 284)
  • Nel Martini l'armonia è ricca e varia con alterazioni omogenee al nostro sentimento tonale: la quinta maggiore, od eccedente, ha diritto di cittadinanza nel di lui regno musicale, in cui brillava non solo la innovata armonia, ma anche la melodia dai vezzi gentili e verecondi a un tempo stesso, e spiranti l'aura dei nuovi tempi. Tuttavia il pensatore e il filosofo dell'arte vincono l'artista: tanto i suoi scritti – non esclusi quelli sulla riforma della musica chiesastica – sono superiori all'attuazione pratica del concetto filosofico ed estetico del maestro. (§ XIV, p. 284)
  • La riforma iniziata dal Padre Martini – e mercé la quale la musica chiesastica, già in possesso di tutti i portati della musica del secolo XVIII, vestì forme in armonia con l'ideale della religione cristiana – si compie per opera di Luigi Salvatore Zenobi Cherubini (1760-1842). Non sappiamo quanto valga l'opinione di chi, paragonando l'illustre maestro fiorentino al massimo compositore della Scuola Romana, asserì che la musica del Palestrina presenta Iddio in faccia all'uomo, e quella di Cherubini l'uomo in faccia a Dio; è certo però che ciascuno di questi sommi creò, in ragione dello stato dell'arte al loro tempo rispettivo, lavori che si equivalgono in valore tecnico e nella elevatezza della ispirazione. (§ XIV, p. 285)
  • Quando la cantata esce dalle auguste regioni dell'oratorio e non si associa alle cerimonie del culto, ma scende nel mondo degli uomini, essa risuona nelle sale accademiche ad estetica dilettazione dello spirito, od a commemorazione di avvenimenti civili e politici, quali le feste della libertà, i trionfi delle arti e dell'industria, gli sponsali augusti, incoronazioni di principi, e via dicendo. (§ XIX, pp. 438-439)
  • La cantata vuol essere distinta dall'oratorio, perché non ha l'ampio sviluppo drammatico di questo, e si differenzia dall'opera, perché esclude la rappresentazione materiale, ossia l'elemento visibile. Essa, come l'oratorio rituale, si dispensa dell'apparato scenico e del vestiario, ed è un dramma che si rivolge unicamente allo spirito. (§ XIX, p. 439)
  • Colla cantata sacra, che attinge il testo letterario dai libri sacri, e colla cantata accademica, informata da soggetti quando mitologici, quando storici e talora allegorici e leggendari, si fa un ragguardevole passo verso l'arte ideale per eccellenza, e cioè verso la musica pura, non ritraendo la cantata i suoi elementi vitali che da sé stessa, dal concetto poetico – o contenuto, come oggi si dice – che la ispira, e dalla sua veste musicale, il che non può dirsi dell'opera, la quale deve invece tanta parte del suo essere e del suo prestigio specialmente agli apparati ottici: scene, vestiari, azione degli attori, fantasmagorie, macchinismi, effetti di luce, danze, senza poi dire che il suo testo poetico mira, – col Rinuccini, con Zeno, con Romani, col Metastasio, col Mosenthal, con Wagner e con Boito, – ad essere un'opera d'arte letteraria. (§ XIX, p. 439)
  • Il teatro, all'opposto della religione, non è dovuto alla ricerca di conforto nelle sventure, di speranza nelle avversità, di giustizia nell'oppressione: non è dovuto al sentimento di gratitudine e d'amore che anima l'uomo verso Dio, ma solo alla brama di emozioni e di bearsi in poetici sogni, al desiderio d'assistere, palpitando a morali battaglie e ai grandi infortuni della vita. È all'arte scenica che l'uomo chiede le ansie, le trepidazioni i sussulti di gioia e di dolore, le commozioni di riso e di pianto quando questi fenomeni della psiche non li ritrovi nella vita reale. (§ XXIII, pp. 513-514)
  • Nulla di meno drammatico e di più antiestetico di questo lavoro [l'Anfiparnaso] del Vecchi, compositore da taluni salutato, non è a dire quanto a torto, il creatore dell'opera giocosa! (§ XXIII, p. 523)
  • Tempra di musicista drammatico vigorosa, ingegno innovatore dalle ardite intuizioni, Claudio Monteverdi si presenta in mezzo ai musicisti dell'età sua con uno schema d'opera grandioso, il quale avrebbe realizzato immediatamente il concetto del dramma musicale moderno, se al suo tempo non fosse stato ancora da creare il linguaggio della melodia, formatosi, nella sua essenza psicologica, solo dopo un secolo d'incessanti trasformazioni, evoluzioni e perfezionamenti. (§ XXIII, p. 531)
  • Monteverdi elevò lo stile rappresentativo a bella idealità drammatica: il suo recitativo ha contorni definiti, melodiosi, le sue arie s'informano a idee musicali felicemente trovate negli "spunti", ispirate e chiare nel loro svolgimento, naturali, senza ripetizioni, ma sviluppante l'una dall'altra con varietà, animate dal senso delle parole e dei sentimenti [...]. (§ XXIII, p. 531)
  • Monteverdi comprese quale musica convenisse meglio al teatro, e, pur manifestandosi di frequente compositore del tempo che fu suo, – difatti, in molti pezzi appare ancora arido, monotono, amante dei giri di voce, dei trilli, delle figure lombarde, dei suoni ribattuti, – non meno spesso egli ci maraviglia con la sua ricchezza d'invenzione musicale e con le linee grandiose e magistrali delle sue scene drammatiche. (§ XXIII, p. 531)
  • La idealizzazione delle antiche danze è portata alla più alta espressione nelle Suites di Bach: la suite rappresenta il cosmopolitismo nella musica perché all'alemanna succedono la francese corrente, la sarabanda spagnuola, la giga inglese o scozzese; la precede, di sovente, un preludio od un'ouverture, talvolta vi si aggiunge una ciaccona od una romanesca – d'origine italiana, – oppure una polacca, od un'aria, un minuetto una gavotta, una loure, e questa di origine francese. I pezzi di una suite appartengono tutti ad uno stesso tono e differiscono tra loro pel ritmo e pel movimento, in generale lo stile è omofono, fatta eccezione per la giga. (§ XXVIII, p. 778)
  • Sopra tutti questi compositori programmatici si leva Gioachino Raff (1822-1882) per la grandezza e profondità dello stile. Ha nove sinfonie, due delle quali, Nella Foresta e Lenora, meritano il primato. Egli è un eclettico che sa fondere gli elementi tecnici ed estetici di Beethoven con quelli di Schumann e di Wagner. (§ XXXII, p. 1012)
  • È la ballata Lenora del Bürger che svegliò nella fantasia di Raff l'idea del capolavoro strumentale omonimo. La prima parte mira a descrivere la felicità d'amore. Il punto culminante del primo tempo (Allegro) è al motivo a terze, predilette all'autore. Nel secondo tempo (Adagio) svolgesi l'idillio dei due innamorati. Una marcia, al momento del loro distacco, interrompe la scena passionale. Nell'ultima parte gli amanti si riuniscono nella morte. Musica funebre, corale; vi si innestano i motivi della marcia e della scena d'amore. Beethoven e Schumann si sentono in questo lavoro, notevole pel suo colorito imaginoso. (§ XXXII, p. 1013)
  • Raff traduce intimo, profondo e fervido, il Gemüth[3] tedesco. (§ XXXII, p. 1013)
  • A Raff ed a Franz Lachner si va debitori del ritorno alla suite. Nel suo carattere moderno, la suite di Lachner è dotta, contrappuntistica, tuttoché di gusto popolare. I suoi lavori, in questo genere, sono tipici: una maraviglia le fughe, scorrevoli e potenti. (§1032, p. 1018)
  • La prima suite, in Re minore, di questo maestro ha il preludio che è una gemma di musica strumentale. Il terzo tempo consiste in un tema con 23 variazioni. Chiude il finale una fuga. Nelle sue suites, Lachner ha un debole per le marcie, che gli riescono però nobilissime. (§1032, p. 1018)
  • Questo compositore ha saputo ringiovanire le forme classiche del minuetto, della giga e della sarabanda. – Fughe semplici e doppie e canoni sono di prammatica nelle suites del Lachner. (§1032, p. 1018)
  • Nel novero dei continuatori della grand'arte sinfonica [di Beethoven] è da porsi Antonio Rubinstein, autore di sei sinfonie di incontestabile valore: la sua sinfonia in Fa maggiore (N° 2), eseguita la prima volta nel 1854, se pur ha del Mendelssohn, quella dal titolo l'Oceano e la Sinfonia drammatica rivelano la potenza di mente, la fantasia e l'esuberanza di vita del sommo artista. (§ XXXII, p. 1020)

Note[modifica]

  1. Giuseppe Baini (1775-1844), compositore e musicologo italiano.
  2. Giovanni Legrenzi (1626-1690), compositore e organista italiano dell'epoca barocca.
  3. l'indole, la natura o l'animo tedesco.

Bibliografia[modifica]

  • Amintore Galli, Estetica della musica, Arnaldo Forni editore, ristampa anastatica dell'edizione di Torino 1900.

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