Camillo Sbarbaro

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Camillo Sbarbaro

Camillo Sbarbaro (1888 – 1967), poeta, scrittore e aforista italiano.

Citazioni di Camillo Sbarbaro[modifica]

  • Le favole di Dio [di Marino Piazzolla] mi sembrano un libro di vera poesia, uno di quei pochissimi che sento e che mi rileggerò. Fatto per me ormai raro, data la mia quasi sordità a troppe nuove voci.[1]
  • Nella casa di allora che inchiodato | reca sull'uscio il ferro da cavallo | portafortuna, | sérbagli sopra i tetti la finestra | che beve al lapislazzulo laggiù | del mare.[2]
  • Quando il critico dice che promette è allora per lo più che l'artista mantiene.[3]

Cartoline in franchigia[modifica]

  • Com'è ricca Bologna! ho tuffato gli occhi di ingordo nella notte di questa città che mi seduce quanto Genova mi soggioga. Vetrine cangianti, donne che diventan irreali nella nebbia che sfuma ammorbidisce tutto. (p. 565)
  • Natale, silenzio. Perché? ti ho scritto da Ventimiglia, da Bologna, da Buttrio, da Udine, da Cividale più volte. Mandami tue notizie e qualche numero della Voce: sapere che sei vivo e che la Liguria e la mia Genova esistono ancora. (p. 565)
  • Stamane mi destai soffocato (in sogno) dalla commozione: abbracciavo e baciavo nostro padre arrivato con voialtre a Lüsen. Ma lui non vedeva le mie lacrime e non udiva i miei singhiozzi perché era diventato troppo vecchio. Ancora sotto l'impressione del sogno, mi dissi che papà è sempre vivo, non per sua fortuna nel corpo penante e caduco, ma in noi se lo ricordiamo così. (p. 617)

Fuochi fatui[modifica]

  • Cartolina da Nervi: l'anima vuota m'empie lo stormire / leggero delle foglie, / il respiro del mar profondo eguale. (p. 428)
  • Non vedo felicità di cui, perché sia, non tocchi contentarsi. (p. 442)
  • Chi ti loda si incensa. (p. 444)
  • Solo ciò che non si paga costa. (p. 445)
  • La saggezza dei proverbi sta nel contraddirsi. (p. 457)
  • Matrimonio o l'amore in conserva. (p. 458)
  • Bacio o il morso civilizzato. (p. 459)
  • Si comincia a scrivere per essere notati, si seguita perché si è noti. (p. 459)
  • Donna d'un solo uomo, lettore d'un solo libro. (p. 460)
  • Nella vita come in tram quando ti siedi è il capolinea. (p. 478)
  • È uno qualunque; ma al suo primo passo una madre gioì, una donna gli tremò tra le braccia, un figlio lo piangerà. Nessuno può avere di più. (p. 527)
  • Poesia, altro vizio solitario. (p. 537)

Pianissimo[modifica]

  • Padre, se anche tu non fossi il mio | padre, se anche fossi a me un estraneo | per te stesso egualmente t'amerei. (da Padre, se anche tu non fossi il mio, p. 29)
  • Perdono non ti chiedo con le lacrime | che mi sarebbe troppo dolce piangere, | ma con quelle più amare te lo chiedo | che non vogliono uscire dai miei occhi. (da Padre che muori tutti i giorni un poco, pp. 41-42)
  • Se potessi promettere qualcosa | se potessi fidarmi di me stesso | se di me non avessi anzi paura, | padre, una cosa ti prometterei: | di viver fortemente come te | sacrificato agli altri come te | e negandomi tutto come te, | povero padre, per la fiera gioia | di finir tristemente come te. (da Padre che muori tutti i giorni un poco, pp. 41-42)

Rimanenze[modifica]

  • [Sulla Liguria] Scarsa lingua di terra che orla il mare, | chiude la schiena arida dei monti; | scavata da improvvisi fiumi; morsa | dal sale come anello d'ancoraggio; | percossa dalla farsa; combattuta | dai venti che ti recano dal largo | l'alghe e le procellarie | – ara di pietra sei, tra cielo e mare | levata, dove brucia la canicola | aromi di selvagge erbe. (da Scarsa lingua di terra che orla il mare, p. 97)
  • La trama delle lucciole ricordi | sul mar di Nervi, mia dolcezza prima? | (trasognato paese dove fui | ieri e che già non riconosce il cuore). (da La trama delle lucciole ricordi, p. 105)
  • Ora che sei venuta, | che con passo di danza sei entrata | nella mia vita | quasi folata in una stanza chiusa – | a festeggiarti, bene tanto atteso, | le parole mi mancano e la voce | e tacerti vicino già mi basta. (da Ora che sei venuta, p. 107)

Trucioli[modifica]

  • Via Ventisettembre al primo sole, rossiccio. Per la maggior parte, in ombra: grigia e monumentale; ma rosea lassù la piazza – fiore in cima al gambo.
    Dei lumi inutili. I tram, vespe ronzanti, fanno già la spola: bruni qui, lassù sfavillano. Una vetrata mette nel roseo un tocco di fuoco. (da Alba cittadina, p. 130)
  • Conosco questa strada [via Montaldo] come la mia vita ed è deserta così. So la persiana donde spia con occhi matrimoniali la signorinetta, spalleggiata dalla genitrice; allo svolto, la faccia d'impiegato che incrocio, simbolo dell'immutabilità della mia giornata. (da Strada di casa, p. 175)
  • Pure, via Montaldo non è brutta. Sorretta da muraglioni, corre lungo la valle del Bisagno, dal triangolo biancheggiante di Staglieno, alta su strade e case, sino a sfociare nel mare grigio-roseo dei tetti di Genova nuova. Sopra, ha i terrapieni spelati che la primavera screpola. (da Strada di casa, p. 176)
  • Ma l'intimità della via [Montaldo] si compendia tutta in un angolo dove passando tuffo gli occhi, come vorrei le mani e la persona. Un giardinetto inselvatichito. Il pergolato ha ceduto. Non c'è che ombra ed erbacce.
    Ogni volta, me ne allontano rinfrescato. (da Strada di casa, p. 176)
  • Tuttavia la vera sagra è di notte. Di notte la vallata si incendia: una luminaria sospesa, galleggiante sulla tenebra.
    Collane di perle gialline che sono le strade; formicolii di lumi isolati, bracieri semispenti; luci mobili, di tram, che scoppiano a tratti in grandi lampi violetti. Sotto i Morti, s'accende anche la costellazione funebre di Staglieno. È un cielo rispecchiato nel buio d'una vasca, un firmamento capovolto.
    Dalla ringhiera mi spenzolo a figgere gli occhi in basso dove accampano le masse cubiche delle case, stilettate dai fanali verdognoli.
    E a volte m'avviene per la commozione di giungere insieme le mani, quasi a render grazia d'esser nato. (da Strada di casa, pp. 176-177)
  • Anche Genova ha i suoi monelli. Si vedono di rado. Stanati dal maltempo, compaiono in Galleria. Superbi nei capi di vestiario più scompagnati; in brandelli, deliziosamente; pieni di irriverenza. (da Monelli, p. 194)
  • Con esso negli occhi, giunsi a Piazza Corvetto, fresco cuore di Genova: varia di aiole e bianca di colombi. Nell'aiola di mezzo, bruna per allora, un vecchio piantava stecchi a disegno. E perché l'uomo non mi pare solenne che quando lavora la terra, gli sostai vicino commosso. (da Cose di primavera, p. 216)
  • Superstite fra tanta prole che gli soppiantava intorno la città coetanea, San Lorenzo restò: l'unico segno che l'occhio riconosceva. E mi figurai San Lorenzo in mezzo a una Genova fosca e superba come lui; dalle strade anguste; abbarbicata a poca sponda che due riviere turbolente le scavavano ai lati; protesa alle vie del mare; la Genova di cui rimane, vestigio, qualche lapide incisa, qualche portale d'ardesia intagliata.
    Attraverso i secoli muta dunque faccia la città come in un minuto il mare colore. Ad essere uno squadrato masso in vetta ad una antichissima torre – occhio minerale per cui gli anni sono istanti per noi – si vedrebbe la città vivere: assaggiare con incerti tentacoli intorno; attaccare coi moli il mare che l'assalta: allungare bracci di là dei fiumi; inerpicarsi ai colli o spianarli col peso; invadere, macchia d'olio; in qualche parte ammalarsi e perire; donde poi buttare più vigorosa, pollone da potatura; crescere e respirare multiforme ed enorme... (da Cose di primavera, p. 223)
  • S'ingannarono i miei occhi quella sera o Pontecarrega è in mattone. La stagione arrugginiva il cono cui la borgata s'inerpica, pezzato di vigne.
    Alla ruggine e ai mattoni comunicò la nuvolaglia del tramonto un insolito spicco. Fumarono le prossime pendici. Attinti, gli alberi del greto, allampanati, bruciarono, fiamme chete.
    Dal rogo scampavano solo le querce del sagrato.
    Pontecarrega arrossiva. I torvi picchi dei Forti in corona erano giganti che assistevano alla nascita d'una rosa.
    Il prodigio durò poco.
    Un attimo ancora la borgata splendette di un più raccolto lume; quasi lo tramandassero le case arroventate: un lume di pietra preziosa.
    Quindi, a spegnere tutto, cominciarono a calare, uccellacci, le ombre.
    Al ritorno, esprimeva l'ultima luce la vetrata limone dei «Paolotti».
    Sul ponte di tozza pietra bambinelle si davano la mano a girotondo. Di là del fiume il Caffè dei Velocipedisti sbadigliava per i buchi delle porte la noia della giornata.
    Pontecarrega, rosso fiore colto dagli occhi una sera; come un ricordo d'amore tra le pagine chiuso. (da Cose di primavera, pp. 223-224)
  • In Piazza Corvetto, per Circonvallazione, gli alberi hanno acceso la luminaria rossa e bianca. A casa non si può rimanere. Come la seta cruda di quella gonna, mi gonfia il cuore l'inquietudine della primavera... (da Sproloquio d'estate, p. 267)
  • Oh covata con gli occhi dalla spianata di Castelletto, la città che lì sotto s'accavalla! un mare in burrasca pietrificato, verso cui d'ogni parte si sporge questa terrazza spazzata dal vento. Fessure vi si aprono le strade e vi si stacca qua e là il verde d'un parco, la nebbia rugginosa dell'Acquasola. Ecco il palazzo a imbuto del Municipio, la colombaia delle monache di clausura, l'occhio giallo del Carlo Felice. A momenti si specchierà nel mare che impaluda tra i docks il mazzo di lumi di San Benigno.
    Quassù il caffè Spertino, gabbia di vetro che il tramonto fondeva, pare adesso di madreperla. Dentro vi affiora e risprofonda l'ascensore in un silenzio irreale. Uscendone, una donna mi sfiora. A questo balcone spalancato su Genova si potrebbe, un'ora come questa, aspettare l'Amore. (da Vedute di Genova. 1921, pp. 306-307)
  • Il forte di Quezzi ha un aspetto bonario. Par dire a chi l'avvicina: faccio ancora figura, sì, a distanza; ma non son più che maceria. Calcinacci dappertutto; porte e finestre offrono un'ospitalità di cui solo le erbacce approfittano. Verrà giorno, mi chiedo, che tutte le fortezze del mondo somiglieranno a questa? (da Vedute di Genova. 1921, p. 307)
  • A Marassi arrivo che il borgo fa come la chioccia all'avemmaria. Si sprangano le porte, diradano i passanti e s'affrettano, dietro le cinte abbrividiscono gli alberi. (da Vedute di Genova. 1921, p. 308)
  • Pomposa d'un nome raro, vico Claravezza, non è, tra muretti, che un acciottolato in mezzo a cui scorre un rigagnolo: fiume con quais per lillipuziani. Com'essa la voce dell'acqua, m'accompagni sino alla fine un filo di canto. (da Vedute di Genova. 1921, p. 308)
  • Amico è con chi puoi stare in silenzio. (p. 703)

Citazioni su Camillo Sbarbaro[modifica]

  • [In una lettera a Mario Novaro] Sappia intanto che ho sostenuto e sostengo che Sbarbaro vale più di tutti i vocioni (voci + ani) a piena orchestra. (Dino Campana)

Note[modifica]

  1. Citato in Frammenti, La Fiera Letteraria, 14 agosto 1960; disponibile su fondazionemarinopiazzolla.it
  2. Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Vol. VIII, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1973, p. 765.
  3. Da "Trucioli" dispersi, a cura di Giampiero Costa e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, 1986.

Bibliografia[modifica]

  • Camillo Sbarbaro, Cartoline in franchigia, in L'opera in versi e in prosa.
  • Camillo Sbarbaro, Fuochi fatui, in L'opera in versi e in prosa.
  • Camillo Sbarbaro, L'opera in versi e in prosa, Garzanti, Milano, 2011. ISBN 978-88-11-66938-8
  • Camillo Sbarbaro, Pianissimo, in L'opera in versi e in prosa.
  • Camillo Sbarbaro, Rimanenze, in L'opera in versi e in prosa.
  • Camillo Sbarbaro, Trucioli, in L'opera in versi e in prosa.

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