Vincenzo Di Giovanni (filologo)

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Vincenzo Di Giovanni (1832 – 1903), filologo, arcivescovo cattolico e filosofo italiano.

Giovanni Pico della Mirandola[modifica]

Incipit[modifica]

Tra le figure più nobili che si presentano nella storia del Rinascimento in Italia, è senza dubbio molto attraente quella di Giovanni Pico della Mirandola. I contemporanei gli diedero il titolo di fenice degl'ingegni; l'ebbero come a miracolo di sapienza, degno di essere amato ed ammirato da' suoi carissimi Marsilio Ficino, Angelo Poliziano, Ermolao Barbaro, Cristoforo Landino, Lorenzo de' Medici; e fu compianto in pubblico da frate Girolamo Savonarola, ch'ebbe a dirlo uomo di tanta svariata dottrina e di tanto singolare ingegno, che a nessuno degli uomini era toccato. Fu per giudizio del Poliziano doctorum omnium doctissimus; e principe in ogni letteratura e disciplina il disse il Landino; come divino ingegno il salutò Ermolao Barbaro, mirabile sopra tutti; ammirando uomo sopra quanti sono stati e saranno per Baccio Ugolini; speranza delle buone discipline, e a lui non discepolo, ma maestro pel Guarino. Né senza lacrime e profondo dolore annunziava il Ficino ai suoi amici di Francia la morte di tanto lume filosofico che si era spento nel fiore degli anni, due mesi dopo che lasciava la terra l'altro lume delle lettere latine e greche Angelo Poliziano, e un mese prima che morisse il latinissimo Ermolao Barbaro; quasi avesse voluto il cielo privare l'Italia in una volta di tanto lustro, quanto ne aveva fra le dotte nazioni per uomini siffatti.

Citazioni[modifica]

  • Il Dio del Ficino é personale e libero, creatore, provvidente, il che è il rovescio di qualunque siasi dottrina panteista. Sono nel Ficino senza dubbio molti sprazzi delle dottrine Alessandrine, in specie di Plotino e di Proclo; ma non toccano il fondamento della dottrina che è per le attinenze di Dio col mondo, la creazione libera ex nihilo; come per l'anima la sua sostanzialità e la immortalità in una altra vita di castighi e di premi. (p. 121)
  • Giovanni Pico della Mirandola fu ritenuto ed è senza dubbio la mente più vasta fra gli umanisti del suo tempo; e pur muore a trentadue anni, non nella superbia e nello scetticismo del letterato del Rinascimento, quale si è finto e dato a credere da taluni storici contemporanei, ma nella umiltà del cristiano, e col Credo della Chiesa sulle labbra. (p. 196)

Storia della filosofia in Sicilia[modifica]

Incipit[modifica]

  • La storia della filosofia in Sicilia non può esser giudicata solamente alla stregua di un criterio puro, razionale, senza tener conto de' fatti; tanto è il largo intreccio di dottrine, di scuole, di sistemi, che si presentano pel corso di circa due millenii e mezzo che in Sicilia si è filosofato o in greca favella o in romana, o in araba, o in latina cristiana, ovvero in moderno volgare; e sotto ben quattro civiltà, la greca, la latina, la araba, la cristiana. Portare un metodo o puramente cronologico, ovvero solamente logico in questa cosiffatta storia, non credo sarebbe a proposito. Nello spiegamento generale della ragione scientifica la storia del pensiero umano ha i suoi legamenti logici, cosi come cronologiche da ciò la storia di tutta l'umanità può dare una storia ideale eterna, siccome avvisò il Vico. Ma nelle storie speciali e singolari di un popolo manca spessissimo questo svolgimento logico, che risponda al cronologico. E cosi mi pare doversi dire appunto della storia della filosofia in Sicilia; non entrando qui nelle ragioni di un fatto, che potrebbe forse avere bene la sua spiegazione, nell'origine e nell'indole de' popoli che popolarono ed hanno abitato quest'Isola; e senza dire sin da principio, che pur in mezzo a tanta novità di dottrine si è sempre mantenuto un filo tradizionale, dalla antichissima scuola Pitagorica alla nostra filosofia contemporanea.

Citazioni[modifica]

  • [...] l'antica filosofia greca in gran parte non fu che l'opera di greci Siciliani; anzi, il primo periodo della greca speculazione che si chiude al comparire di Socrate, ebbe più che altrove il campo in Sicilia, ove, se non Talete, filosofarono nello stesso tempo che nella terra contenente Pitagora e Senofane, e la scuola pitagorica ci fu fiorentissima sino a Platone, che ci venne a consultarci le dottrine e a cercar i libri della cosi detta filosofia Italica. (libro I, cap. I, pp. 7-8)
  • Ad Epicarmo riferì l'antichità per bocca di Aristotile e di Platone l'invenzione della favola comica e il primato; e a lui fu attribuita raggiunta delle due nuove lettere, che pur si dissero Siracusane, all'alfabeto greco. Come filosofo fu poi detto pitagorico, sia fosse stato giovinetto discepolo di Pitagora, sia ne avesse seguite le dottrine, già comuni in Sicilia alla gente di stirpe dorica che l'abitava. Il teatro fu mezzo al nostro filosofo come educare alla virtù, e spargere nel popolo i dommi e le sentenze della scuola pitagorica; e gravissimo danno alle lettere e alla storia dell'antica Sicilia fu la perdita de' drammi e delle opere di Epicarmo, fra le quali si citano da Diogene Laerzio e dal Fabricio dei libri sulla natura delle cose, e sopra insegnamenti morali. (libro I, cap. II, p. 65)
  • L'unità della Cristianità di Occidente nella Chiesa latina, e per alcun tempo sotto il rinnovato Impero di Carlomagno e suoi successori, non diede che una stessa filosofia, ch'era la Cristiana e dalle scuole del tempo detta scolastica, alle nazioni occidentali, presso cui fiorì meravigliosamente ora battagliera ora pacifica. Tranne un po' di colore speciale, che pigliava appo una o altra nazione dalle sette famose d'allora, le quali si divisero il campo della scienza co' nomi sia di nominali, sia di reali, e sia di concettuali, la Scolastica per tutto si presenta con le dispute istesse, col sostegno dell'autorità medesima, con un linguaggio che sola ebbe intelligibile a tutti di qualunque parte si fossero: sì che o dalle Università o dai Monasteri, dalle cattedre l'Italia, come da quelle di Alemagna, Francia, Spagna, era una l'opera a cui s'intendeva con forze diverse, cioè recare l'antica filosofia in servizio del domma cristiano, o esporre il domma cristiano ed interpetrarlo scientificamente colle forme dell'antica logica aristotelica. (libro II, cap. I, pp. 95-96)
  • Il nostro Calanna è un platonico della scuola del Ficino; è pieno di fervore per la filosofia, che tiene colla sentenza di Empedocle essere un dono degli Dei (Philosophia munus est Deorum), e per la dottrina platonica, colla quale trova accordarsi la più alta sapienza cristiana: di guisa che la filosofia Platonica è sacerdotale e divina, siccome la Aristotelica laicale e terrena; i cui seguaci, compreso Aristotile, non hanno saputo innalzare la mente alla regione celeste delle idee strisciando la terra, e non gustando che solo quel che sa di terreno e di basso, incapaci di accostarsi ai misteri del regno intelligibile. (libro II, cap. II, p. 161)
  • Tommaso de' Natali, Marchese di Monterosalo, nasceva in Palermo a' 3 di giugno del 1733 [...]. D'indole mitissima, di poco franca parola, di volontà non sempre da superare ogni ostacolo, poteva il marchese de' Natali lasciarci altre e più opere che non abbiamo, tanto era valevole il suo ingegno e cultissima la sua mente sì nelle scienze e sì nelle lettere. (libro III, cap. II, p. 323)
  • Né poi il de' Natali fu solamente un metafisico: ma scrisse eziandio in quelle sue Riflessioni politiche di dritto pubblico e penale con molta sapienza; e fu de' primi che nel secolo passato abbian rivolta la mente alla riforma de' codici penali, in cui duravano ancora non pochi avanzi de' tempi barbarici. Queste Riflessioni del nostro Siciliano erano anzi state scritte prima che uscisse fuori il famoso libro[1] del Beccaria, più fortunato del de' Natali, il quale vince forse il Milanese nella prudenza civile, e nella pratica degli uomini, che vuol pigliarli piuttosto quali essi siano, che in astratto, o idoleggiati da passionata fantasia; quantunque in certe pene che egli propone, si veda una certa ruggine de' codici del medio evo, e degli ordinamenti della legislazione antica. (libro III, cap. II, pp. 335-336)

Incipit di Principii di filosofia prima[modifica]

La scienza, o signori, di cui i nostri antichi trassero la voce, come ben sapete, dal verbo scire il quale vale anche sapere la cosa nelle sue ragioni, è la speciale cognizione che si distingue dalla conoscenza comune delle cose; sì che è di pochi individui, in questo senso ristretto di una cognizione che penetri nell'essere interiore della cosa conosciuta, e ne sappia le cagioni e le attinenze, i principii e i fini, le cagioni per le quali essa è tale e non altra. Ma di questa siffatta conoscenza è convenevole che, se la scienza entra nelle ragioni delle cose, noi sapessimo pure le ragioni e quale sia la natura di queste. Son certo poi che mi sarete con tutto l'animo attenti; così premurosi come siete di studiare già la scienza per eccellenza, voglio dire la Filosofia.

Note[modifica]

  1. Il saggio Dei delitti e delle pene fu pubblicato nel 1764.

Bibliografia[modifica]

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