Giambattista Vico

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Giambattista Vico

Giambattista Vico (1668 – 1744), filosofo, storico e giurista italiano.

Citazioni di Giambattista Vico[modifica]

  • [Napoli] [...] grande, luminosa e gentil Città dell'Italia.[1]
  • La provvidenza ordinò che nel censo vi fosse la regola degli onori; e così gli industriosi non gl'infingardi, i parchi non i prodighi, i prodighi non gli scioperati e in una parola i ricchi con qualche virtù, non i poveri con molti e sfacciati vizi, fossero estimati gli ottimi del Governo.[2]
  • [...] sembravano traversie ed eran in fatti opportunità [...].[3]

Principj di scienza nuova[modifica]

Incipit[modifica]

Quale Cebete tebano fece delle morali, tale noi qui diamo a vedere una Tavola delle cose civili, la quale serva al leggitore per concepire l'idea di quest'opera avanti di leggerla, e per ridurla più facilmente a memoria, con tal aiuto che gli somministri la fantasia, dopo di averla letta.
La donna con le tempie alate che sovrasta al globo mondano, o sia al mondo della natura, è la metafisica, ché tanto suona il suo nome. Il triangolo luminoso con ivi dentro un occhio veggente egli è Iddio con l'aspetto della sua provvedenza, per lo qual aspetto la metafisica in atto di estatica il contempla sopra l'ordine delle cose naturali, per lo quale finora l'hanno contemplato i filosofi; perch'ella, in quest'opera, più in suso innalzandosi, contempla in Dio il mondo delle menti umane, ch'è 'l mondo metafisico, per dimostrarne la provvedenza nel mondo degli animi umani, ch'è 'l mondo civile, o sia il mondo delle nazioni; il quale, come da suoi elementi, è formato da tutte quelle cose le quali la dipintura qui rappresenta co' geroglifici che spone in mostra al di sotto.

Citazioni[modifica]

  • [Il] tempo più luminoso di Grecia [...] fu quello della guerra peloponnesiaca. (libro I, I, 39; p. 34)
  • La filosofia, per giovar al gener umano, dee sollevar e reggere l'uomo caduto e debole, non convellergli la natura né abbandonarlo nella sua corrozione. (libro I, II, 5; p. 39)
  • La filosofia considera l'uomo quale dev'essere, e sì non può fruttare ch'a pochissimi, che vogliono vivere nella repubblica di Platone, non rovesciarsi nella feccia di Romolo. (libro I, II, 6; p. 39)
  • Le cose fuori del loro stato naturale né vi si adagiano né vi durano. (libro I, II, 8; p. 39)
  • La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo. (libro I, II, 10; p. 40)
  • Il senso comune è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione, o da tutto il gener umano. (libro I, II, 12; p. 40)
  • È necessario che vi sia nella natura delle cose umane una lingua mentale comune a tutte le nazioni, la quale uniformemente intenda la sostanza delle cose agibili nell'umana vita socievole, e la spieghi con tante diverse modificazioni per quanti diversi aspetti possan aver esse cose; siccome lo sperimentiamo vero ne' proverbi, che sono massime di sapienza volgare, l'istesse in sostanza intese da tutte le nazioni antiche e moderne, quante elleno sono, per tanti diversi aspetti significate. (libro I, II, 22; p. 42)
  • La maraviglia è figliuola dell'ignoranza; e quanto l'effetto ammirato è più grande, tanto più a proporzione cresce la maraviglia. (libro I, II, 35; p. 45)
  • La fantasia tanto è più robusta quanto è più debole il raziocinio. (libro I, II, 36; p. 45)
  • Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e passione, ed è proprietà de' fanciulli di prender cose inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologico-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti. (libro I, II, 37; p. 45)
  • La curiosità, propietà connaturale dell'uomo, figliuola dell'ignoranza, che partorisce la scienza, all'aprire che fa della nostra mente la maraviglia, porta questo costume: ch'ove osserva straordinario effetto in natura, come cometa, parelio o stella di mezzodì, subito domanda che tal cosa voglia dire o significare. (libro I, II, 39; p. 45)
  • Le streghe, nel tempo stesso che sono ricolme di spaventose superstizioni, sono sommamente fiere ed immani; talché, se bisogna per solennizzare le loro stregonerie, esse uccidono spietatamente e fanno in brani amabilissimi innocenti bambini. (libro I, II, 40; p. 45)
  • La fantasia [...] altro non è, che memoria o dilatata, o composta. (libro I, II, 50; p. 48)
  • Gli uomini sfogano le grandi passioni dando nel canto, come si sperimenta ne' sommamente addolorati e allegri. (libro I, II, 59; p. 49)
  • La mente umana è inchinata naturalmente co' sensi a vedersi fuori nel corpo, e con molta difficultà per mezzo della riflessione ad intendere se medesima. (libro I, II, 63; p. 50)
  • L'ordine delle idee dee procedere secondo l'ordine delle cose. (libro I, II, 64; p. 50)
  • Gli uomini prima sentono il necessario, dipoi badano all'utile, appresso avvertiscono il comodo, più innanzi si dilettano del piacere, quindi si dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrappazzar le sostanze. (libro I, II, 66; p. 50)
  • La natura de' popoli prima è cruda; dipoi severa, quindi benigna, appresso dilicata, finalmente dissoluta. (libro I, II, 67; p. 50)
  • I governi debbon esser conformi alla natura degli uomini governati. (libro I, II, 69; p. 51)
  • L'onore è 'l più nobile stimolo del valor militare. (libro I, II, 89; p. 54)
  • I deboli vogliono le leggi; i potenti le ricusano; gli ambiziosi, per farsi séguito, le promuovono; i principi, per uguagliar i potenti co' deboli, le proteggono. (libro I, II, 92; p. 54)
  • Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane, quantunque, per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi: che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti. (libro I, III; p. 61)
  • L'ironia certamente non poté cominciare che da' tempi della riflessione, perch'ella è formata dal falso in forza d'una riflessione che prende maschera di verità. (libro II, II, 2, IV; p. 80)
  • [...] il sillogismo [...] è un metodo che più tosto spiega gli universali ne' loro particolari che unisce particolari per raccogliere universali [...]. (libro II, II, 7, VI; p. 101)

Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo[modifica]

Incipit[modifica]

Il signor Giambattista Vico egli è nato in Napoli l'anno 1670 da onesti parenti, i quali lasciarono assai buona fama di sé. Il padre fu di umore allegro, la madre di tempra assai malinconica; e così entrambi concorsero alla naturalezza di questo lor figliuolo. Imperciocché, fanciullo, egli fu spiritosissimo e impaziente di riposo; ma in età di sette anni, essendo col capo in giù piombato da alto fuori d'una scala nel piano, onde rimase ben cinque ore senza moto e privo di senso, e fiaccatagli la parte destra del cranio senza rompersi la cotenna, quindi dalla frattura cagionatogli uno sformato tumore, per gli cui molti e profondi tagli il fanciullo si dissanguò; talché il cerusico, osservato rotto il cranio e considerando il lungo sfinimento, ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvivuto stolido. Però il giudizio in niuna delle due parti, la Dio mercé, si avverò; ma dal guarito malore provenne che indi in poi e' crescesse di una natura malinconica ed acre, qual dee essere degli uomini ingegnosi e profondi, che per l'ingegno balenino in acutezze, per la riflessione non si dilettino dell'arguzie e del falso.

Citazioni[modifica]

  • Or, nel rincontrare particolarmente i luoghi della civile, egli sentiva un sommo piacere in due cose: una in riflettere nelle somme delle leggi dagli acuti interpetri astratti in massime generali di giusto i particolari motivi dell'equità ch'avevano i giureconsulti e gl'imperadori avvertiti per la giustizia delle cause: la qual cosa l'affezionò agl'interpetri antichi, che poi avvertì e giudicò essere i filosofi dell'equità naturale; l'altra in osservare con quanta diligenza i giureconsulti medesimi esaminammo le parole delle leggi, de' decreti del senato e degli editti de' pretori, che interpetrano: la qual cosa il conciliò agl'interpetri eruditi, che poi avvertì ed estimò essere puri storici del diritto civile romano. (p. 5)
  • Andava egli frattanto a perdere la dilicata complessione in mal d'eticìa, ed eran a lui in troppe angustie ridotte le famigliari fortune, ed aveva un ardente desiderio di ozio per seguitare i suoi studi, e l'animo abborriva grandemente dallo strepito del fòro, quando portò la buona occasione che, dentro una libreria, monsignor Geronimo Rocca vescovo d'Ischia, giureconsulto chiarissimo, come le sue opere il dimostrano, ebbe con essolui un ragionamento d'intorno al buon metodo d'insegnare la giurisprudenza. (pp. 5-6)
  • Però, osservando il Vico così da Aristotile come da Platone usarsi assai sovente pruove mattematiche per dimostrare le cose che ragionano essi in filosofia, egli in ciò si vide difettoso a poter bene intendergli; onde volle applicarsi alla geometria e inoltrarsi fino alla quinta proposizione di Euclide. E, riflettendo che in quella dimostrazione si conteneva insomma una congruenza di triangoli esaminata partitamente per ciascun lato ed angolo di triangolo, che si dimostra con egual distesa combaciarsi con ciascun lato ed angolo dell'altro, pruovava in se stesso cosa più facile l'intendere quelle minute verità tutte insieme, come in un genere metafisico, di quelle particolari quantità geometriche. E a suo costo sperimentò che alle menti già dalla metafisica fatte universali non riesce agevole quello studio propio degli ingegni minuti, e lasciò di seguitarlo, siccome quello che poneva in ceppi ed angustie la sua mente già avezza col molto studio di metafisica a spaziarsi nell'infinito de' generi; e con la spessa lezione di oratori, di storici e di poeti dilettava l'ingegno di osservare tra lontanissime cose nodi che in qualche ragion comune le stringessero insieme, che sono i bei nastri dell'eloquenza che fanno dilettevoli l'acutezze. (p. 7)
  • A capo di altro poco tempo seppe egli ch'era salita in pregio la fisica sperimentale, per cui si gridava da per tutto Roberto Boyle; la quale quanto egli giudicava esser profittevole per la medicina e per la spargirica, tanto esso la volle da sé lontana, tra perché nulla conferiva alla filosofia dell'uomo, e perché si doveva spiegare con maniere barbare, ed egli principalmente attendeva allo studio delle leggi romane[...]. Verso il fine della sua solitudine, che ben nove anni durò, ebbe notizia aver oscurato la fama di tutte le passate la fisica di Renato Delle Carte, talché s'infiammò di averne contezza; quando per un grazioso inganno egli ne aveva avute di già le notizie, perché esso dalla libreria di suo padre tra gli altri libri ne portò via seco la Filosofia naturale di Errico Regio, sotto la cui maschera il Cartesio l'aveva incominciata a pubblicare in Utrecht. E dopo il Lucrezio avendo preso il Regio a studiare, filosofo di profession medico, che mostrava non aver altra erudizione che di mattematica, il credette uomo non meno ignaro di metafisica di quello ch'era stato Epicuro, che di mattematica non volle già mai sapere. (p. 9)
  • [...] Gregorio Calopreso, gran filosofo renatista [...]. (p. 10)
  • Quindi è che la fortuna si dice esser amica de' giovani, perché eleggono la lor sorta della vita sopra quelle arti o professioni che fioriscono nella loro gioventù; ma, il mondo di sua natura d'anni in anni cangiando gusti, si ritruovan poi, vecchi, valorosi di quel sapere che non più piace e 'n conseguenza non frutta più. Imperciocché ad un tratto si fa un gran rivolgimento di cose letterarie in Napoli, che, quando si credevano dovervisi per lunga età ristabilire tutte le lettere migliori del Cinquecento, con la dipartenza del duca viceré vi surse un altro ordine di cose da mandarle tutte in brievissimo tempo in rovina contro ogni aspettazione; che que' valenti letterati, i quali due o tre anni avanti dicevano che le metafisiche dovevano star chiuse ne' chiostri, presero essi a tutta voga a coltivarle, non già sopra i Platoni e i Plotini coi Marsili, onde nel Cinquecento fruttarono tanti gran letterati, ma sopra le Meditazioni di Renato Delle Carte, delle quali è séguito il suo libro Del metodo, in cui egli disappruova gli studi delle lingue, degli oratori, degli storici e de' poeti, e ponendo sù solamente la sua metafisica, fisica e mattematica, riduce la letteratura al sapere degli arabi, i quali in tutte e tre queste parti n'ebbero dottissimi, come gli Averroi in metafisica e tanti famosi astronomi e medici che ne hanno nell'una e nell'altra scienza lasciate anche le voci necessarie a spiegarvisi. Quindi ai quantunque dotti e grandi ingegni, perché si eran prima tutti e lungo tempo occupati in fisiche corpuscolari, in esperienze ed in macchine, dovettero le Meditazioni di Renato sembrar astrusissime, perché potessero ritrar da' sensi le menti per meditarvi; onde l'elogio di gran filosofo era: «Costui intende le Meditazioni di Renato». (p. 13)
  • Fino a questi tempi il Vico ammirava due soli sopra tutti gli altri dotti, che furono Platone e Tacito; perché con una mente metafisica incomparabile Tacito contempla l'uomo qual è, Platone qual dee essere; e come Platone con quella scienza universale si diffonde in tutte le parti dell'onestà che compiono l'uom sapiente d'idea, così Tacito discende a tutti i consigli dell'utilità, perché tra gl'infiniti irregolari eventi della malizia e della fortuna si conduca a bene l'uom sapiente di pratica. E l'ammirazione con tal aspetto di questi due grandi auttori era nel Vico un abbozzo di quel disegno sul quale egli poi lavorò una storia ideale eterna sulla quale corrèsse la storia universale di tutti i tempi. (p. 13)
  • Quando finalmente venne a lui in notizia Francesco Bacone signor di Verulamio, uomo ugualmente d'incomparabile sapienza e volgare e riposta, siccome quello che fu insieme insieme un uomo universale in dottrina ed in pratica, come raro filosofo e gran ministro di stato dell'Inghilterra. (p. 13)

Incipit di De antiquissima Italorum sapientia[modifica]

In latino verum e factum sono termini reciproci, cioè, per dirla alla maniera delle scuole, si convertono; e in quella lingua intelligere equivale a "leggere perfettamente", "conoscere apertamente". Si diceva invece cogitare nel senso in cui noi adesso diciamo "pensare" e "andar raccogliendo". Inoltre in latino ratio stava a significare da una parte il calcolo aritmetico, dall'altra quella specifica caratteristica che distingue l'uomo dai bruti e lo rende a questi superiore: infatti, nella lingua corrente i Latini definivano l'uomo quale essere animato "partecipe della ragione", non padrone di essa. D'altra parte, come le parole sono simboli e caratteri delle idee, allo stesso modo le idee lo sono delle cose. Perciò, nello stesso modo, come legere si usa per chi raccoglie gli elementi della scrittura con i quali si compongono le singole parole, intelligere viene usato per chi raccoglie tutti gli elementi di una cosa con i quali se ne esprime l'idea perfettissima. Da qui si può congetturare che gli antichi sapienti italici fossero d'accordo, circa la questione della verità, su queste massime: che il vero coincide con il fatto, che di conseguenza in Dio è il primo vero perché Dio è il primo facitore, che è infinito perché è facitore di tutte le cose, che è esattissimo perché rappresenta a se stesso gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose che pure contiene.

Citazioni su Giambattista Vico[modifica]

  • A Napoli va debitrice l'Italia della restaurazione della moderna filosofia razionale, che da quel regno si propagò per tutta la penisola. Il Telesio, il Bruno ed il Campanella aveano cominciato a scuotere il gioco aristotelico; il Vico ed il Genovesi lo levarono dal collo degli Italiani e lo infransero. (Giuseppe Maffei)
  • Anche nell'archivio di Benedetto Croce è stata trovata una lettera di raccomandazione per Giambattista Vico. (Francesco De Lorenzo)
  • Finalmente Vico scopre la nuova scienza; anticipa il problema del conoscere, esigendo una nuova metafisica che proceda sulle umane idee; pone il vero concetto della parola e del mito, e così fonda la filologia; intuisce l'idea dello spirito, e così crea la filosofia della storia. Vico è il vero precursore di tutta l'Alemagna. Ho detto il precursore, e avrei dovuto dire di più, giacché Vico aspetta ancora chi lo scopra davvero. (Bertrando Spaventa)
  • In ogni caso la scienza sociale unitaria che Marx cercò di sviluppare e di cui mise le fondamenta epistemologiche (da non confondere ovviamente con il fondamento filosofico) fu quella "nuova scienza" preconizzata a suo tempo più di un secolo prima da Giambattista Vico. (Costanzo Preve)
  • L'opera del Vico è una narrazione mitologica e poetica, informata alla fantasia divinamente fanciullesca ch'egli ebbe, in un rapimento che assomiglia l'heroico furore bruniano. Mentre egli ricerca religiosamente il vero, e col rito più grave, la fantasia gli traduce in forme viventi d'uomini e di terre quelle nude concezioni. I tempi e gli spazi della storia si fan suono e lume: e quel che di corporeo porta in noi ogni più assottigliata idea, ai confini ultimi in cui la mente chiude tutti i sensi e fino i sogni della memoria per pensare il puro essere e il puro nulla, e sempre trova un'immagine e un segno, ombra di vuoto, numero matematico, il Vico sentì in grado sovrumano. La verità gli si traduce in una metafora, che, talvolta, amata per se medesima, gli farà quasi dimenticare l'idea donde nacque. (Francesco Flora)
  • La vera Unità, il vero Uno, l'Unico è sviluppo; sviluppo di se stesso: da se stesso, per se stesso, a se stesso: cioè veramente e totalmente Se stesso. Questo è il nuovo concetto, che, più o meno espressamente, consapevolmente e inconsapevolmente, è l'anima di tutta la Scienza nuova: è il gran valore di Vico. (Bertrando Spaventa)
  • Vico a causa delle sue umili origini e poiché aveva fama d'essere un pazzoide, aveva fallito la propria carriera accademica; ma, ostacolato nei suoi progressi e costretto a fare affidamento soltanto sulle proprie risorse, sviluppò ulteriormente le proprie idee impopolari. (Edmund Wilson)
  • Vico aveva letto Francesco Bacone, e si era convinto della possibilità di applicare allo studio della storia umana metodi analoghi a quelli proposti dallo stesso Bacone per lo studio del mondo naturale. (Edmund Wilson)

Note[modifica]

  1. Dall'Orazione in morte di Angiola Cimini, in Lettera ed altri pezzi inediti del Ch. Gio. Battista Vico, da' torchi di Vincenzo Giovanitti, Napoli, 1818, p. 71.
  2. Citato da Giuseppe Toscanelli nella 2a Tornata del 13 luglio 1888 della Camera dei Deputati (Regno d'Italia).
  3. Dall'epigrafe dedicatoria premessa all'edizione del 1730 di Principj di scienza nuova; in Principj Di Scienza Nuova, Dalla Società Tipog. De' Classici Italiani, 1836, p. 7.

Bibliografia[modifica]

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