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Ada Gobetti

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Ada Gobetti

Ada Gobetti nata Prospero, successivamente coniugata Marchesini (1902 – 1968), insegnante, traduttrice e giornalista italiana.

Citazioni di Ada Gobetti

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  • I ritmi dello jazz scatenato facevano fremere i nervi dei raffinati europei, quasi parlassero di un ritorno alla ferinità originaria; le canzoni negre, attraverso la calda voce di Al Jonson, davano agli ascoltatori un'ebbrezza tra isterica e malinconica; Josephine Baker girava l'Europa incantando le folle con la sua lascivia ingenua di giovane animale istintivo.[1]
  • [Nel Richiamo della foresta] London rivela la propria fede nell'evoluzionismo biologico e nell'onnipotenza dell'ambiente; ma, nonostante la tesi, il libro è tutto vivo: vivo è Buck, vivi son gli altri cani, con i loro eroismi, le loro ferocie, le loro ambizioni. Non meraviglia che, nell'America del suo tempo, il libro avesse grande fortuna, richiamando gli uomini industrializzati e meccanicizzati all'acre profumo selvaggio dell'istinto, alla verità primordiale della natura e della vita.[2]
  • Vogliono mandare la Resistenza al museo tutta impacchettata.[3]

Diario partigiano

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Credo di dover incominciare il mio racconto da quel momento - verso le 4 del pomeriggio del 10 settembre 1943 - in cui, mentre con Paolo, Ettore e Lisetta stavo distribuendo manifestini all'angolo di via Cernaia e corso Galileo Ferraris [a Torino], vidi, con occhi increduli, passare una fila d'automobili tedesche.

Citazioni

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  • Nel pomeriggio abbiamo avuto una prima riunione secondo l'accordo preso prima di lasciarci, la sera del 10. C'era Silvia, proveniente dalla Val Pellice. Pare che lassú le cose vadan bene, che si sian formate delle bande «Giustizia e Libertà». La tradizione valdese della valle giova all'organizzazione d'una possibile guerriglia. Ma bisogna far qualcosa anche in città: come, non si vede ancor chiaro. (15 settembre 1943)
  • Nulla convince della bontà d'una causa quanto il lavorare per essa. La donna, finora indifferente, che abbia fatto un paio di calze per i ragazzi in montagna - e a questo non è difficile convincerla - si sentirà impegnata e legata alla sua battaglia e sarà disposta domani ad affrontare responsabilità ben più gravi. (10 dicembre 1943)
  • Nel pomeriggio è venuto Parri che non vedevo dal giugno del '42, dalla preistoria dunque. Ora è il comandante di tutte le forze GL [Giustizia e Libertà] dell'Alta Italia. Sempre la stessa testa bianca, lo stesso parlare calmo un po' stentato, lo stesso sguardo dolcissimo, sempre stanco. Lavora troppo. Ha sempre lavorato troppo. (28 dicembre 1943)
  • Per tutto il giorno me ne sono stata a casa a legger Rivoluzione Liberale, prendendo diligentemente appunti. Poi, calata la sera, ho infilato un vecchio paio di pantaloni, ho messo la pelliccia a rovescio in modo che nel buio sembrasse un qualsiasi soprabito e mi son cacciato un berrettaccio in capo. Avrei sfidato chiunque a non prendermi per un uomo; e, con un bel barattolo di colla, me ne son scesa a Susa ad attaccare i manifestini del Cln che invitano i giovani del 1925 a non presentarsi alla leva. (9 gennaio 1944)
  • Oggi, a scuola, alla «Principe di Piemonte», ricevo in classe una circolare in cui si chiede a tutti i professori di dichiarare se han figli del 1925 e se, in tal caso, si son presentati alla leva. Sono andata diritta dal preside - che è un noioso pedante, pieno della propria autorità, ma che non mi sembra un'anima nera - e gli ho detto semplicemente: - So di parlare a un galantuomo; ho un figlio del '25; e non si è presentato. (21 gennaio 1944)
  • Fallita ogni umana speranza, cercai aiuto, come due giorni prima, nella coscienza d'una ineluttabile, superiore eternità ideale. Il saggio di Piero [Gobetti] su Matteotti non finiva forse dicendo: «<La generazione che noi dobbiamo creare è proprio questa: dei volontari della morte per ridare al proletariato la libertà perduta»>? E questi «volontari della morte» non eran forse i ragazzi che combattevano su quei monti la loro disperata battaglia? E non c'era una superiore, logica giustizia nel fatto che in questa generazione ch'egli aveva, con l'opera e con l'esempio, voluto creare, ci fosse, animato dal medesimo spirito, anche il figlio suo? E ancora una volta mi dissi che, s'anche mi fosse stato possibile, non avrei mai cercato di trattenere Paolo, di tenerlo al sicuro. (24 marzo - 1 aprile 1944)
  • Hanno impiccato Jervis. L'avevano arrestato nella Germanasca ai primi di marzo; ed era stato da allora un alternarsi continuo d'alti e bassi, d'angosce e di speranze. Varie volte gli avevano annunciato la fucilazione imminente; poi pareva che dovessero liberarlo, scambiarlo. I nostri han fatto tutto il possibile per salvarlo. Ma è stato inutile. E l'hanno ucciso con alcuni altri. Accanto, a terra, s'è trovato un foglio della sua Bibbia su cui aveva, all'ultimo momento, vergato parole di conforto, d'incitamento e di fede. (11 agosto 1944)
  • Verso le nove, partimmo in bicicletta per Torino. Nei pressi di San Giorio c'era una borgata completamente bruciata, evidentemente in seguito al rastrellamento dell'altro giorno. Le mura delle case erano in piedi (la pietra delle nostre cave resiste anche al fuoco), ma le finestre sembravano occhi spenti. E già, tenaci e pazienti come formiche, gli abitanti incominciavano a ricostruire: qui una porta, là una trave del tetto. Tutti lavoravano, anche i bambini. E si sentiva che, anche se apparentemente distrutta, la borgata non era morta e non voleva morire. (26 settembre 1944)
  • Attraverso strade buie e scale misteriose, andammo in un posto dove si può mangiare e discorrere tranquillamente e dove trovammo anche Altiero Spinelli e Leo Valiani. Non conoscevo Spinelli benché da anni sentissi parlare di lui; uscito, nei 45 giorni badogliani, dal confino dove insieme a Ernesto Rossi aveva posto le basi del Movimento federalista, s'è subito ritrovato, senza neanche un momento di respiro, in una nuova battaglia: ma Panta (e cioè Pantagruel - che cosi lo chiamano gli amici un po' per le sue dimensioni più che rispettabili, un po' per l'inesauribile appetito che gli han lasciato i molti anni di carcere) s'è subito ambientato nel lavoro clandestino in cui si muove, nonostante la mole, con notevole leggerezza. (30 settembre 1944)
  • Franco Dusi è morto fucilato, nel Canavese. Penso a sua madre. Ma penso soprattutto a lui: a lui come lo vedevo bambino quando andavo a prender Paolo alle elementari e sorridevo al suo visetto arguto e alla sua aria di ponderata importanza; e ricordo quando venne a dar l'esame d'ammissione al «Balbo» e sbalordì tutti con la sua conoscenza deI sistema alpino; e come lo vidi crescere, anno per anno, accanto a Paolo. Me li vedevo dinanzi, nello stesso banco, a scuola, e perpetuamente cianciavano e litigavano; e me li vedevo insieme a casa quando preparavano la licenza e traducevamo Sofocle e leggevamo Dante e Spinoza; e preparavamo le voci per Dizionario Bompiani; e si andava insieme in montagna. E sempre provavo, guardandolo, cosi bello e forte e intelligente, un intimo materno compiacimento e per lui, come per Paolo, costruivo i sogni più belli. E quando venne l'ora del pericolo, cercai di tenerlo fuori, quasi dominata da un timore presago. Ma Franco entrò lo stesso nella battaglia; non era uno che potesse starsene fuori. E ora è caduto. Pare impossibile, dopo simili colpi, poter continuare a camminare. (12 ottobre 1944)
  • Scesa a Susa per recarmi da Laghi, ho visto sul giornale la notizia dell'uccisione di Duccio [Galimberti]. Il giornale dice che gli han sparato mentre cercava di fuggire, presso Cuneo. Come Giorgio temeva, i fascisti son riusciti a farselo consegnare dai tedeschi. […] Confesso che in questo momento sento assai poco la preoccupazione per lo sconquasso che la sua scomparsa produrrà nell'organizzazione delle formazioni GL [Giustizia e Libertà]. Se soltanto fosse ancor vivo Duccio, anche lontano, anche in prigione, mi sembra che tutto andrebbe bene lo stesso. Ma penso a lui, creatura viva, e quanto, e mi pare impossibile che tanta forza e tanto calore abbian potuto spegnersi per sempre. Di tutte le qualità che costituivano la potenza e il fascino di Duccio, ho sempre ammirato essenzialmente la sua mirabile vitalità; quella vitalità che si manifestava non solo nella prontezza e capacità politica e organizzativa, ma anche nella umanità ricca e cordiale, nel tenero e gioioso amore con cui sapeva render felice una donna innamorata, nel suo gusto per tutte le cose (una bella poesia come una bella montagna, un'allegra storiella come un buon pranzo), nell'umorismo scanzonato con cui sapeva considerare spesso anche le cose più serie. (8 dicembre 1944)
  • Ricordo l'ultima volta in cui lo vidi, circa un mese fa, in casa di Giorgio. [Duccio Galimberti] Era comparso a un tratto sulla soglia, buffonescamente inchinandosi: - Oh, ecco il signor Ulisse! Come sta, signor Ulisse? - («Ulisse»> è il nome di copertura che per prudenza Laghi ha voluto affibbiarmi e che, applicato a me, suona naturalmente un po' buffo). E rideva, e si cavava il cappello; e quasi quasi io mi seccavo. Dio mio, ma è possibile che Duccio non ci sia più? e che si debba continuare la battaglia senza di lui? (8 dicembre 1944)
  • - Vous êtes des italiens? - chiese l'oste, tipico montanaro, che avrebbe potuto benissimo esser nato a Bardonecchia o a Oulx. Oui, rispondemmo. Egli scosse il capo, senza commentare; ma qualcosa nell'espressione del suo volto mi rivelò che la sua esperienza degli italiani, durante la breve occupazione, non doveva esser stata piacevole; e, pur senz'esserne minimamente responsabile, ne provai una vergogna cocente. (17 febbraio 1945)

Citazioni su Ada Gobetti

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  • Ada si butterà senza esitazioni in quel rapporto intensissimo [con Piero Gobetti], fatto di amore e politica, letture, citazioni e caste tenerezze, abbandonandovisi con una passione assai più accesa e totale di quella sublimata e razionale di Piero. Docilmente, Ada legge i libri che Piero le propone, discute con lui le sue idee, lascia sul suo esempio la scuola, dove frequenta la seconda liceo, per dare gli esami di maturità come privatista ed abbreviare il tempo di quelle scuole che vede come inutili, anzi "scellerate". (Anna Foa)
  • Rieducata, ricreata, ma anche in qualche modo fagocitata da Piero, Ada mantiene tuttavia il suo carattere, grazie alla sua innata forza, alla sua intelligenza vivace. Le lettere di quegli anni, fino al 1923, data del loro matrimonio, ce la mostrano anche nella sua diversità da Piero, e mostrano un Piero che combatte e critica il suo sentimentalismo, la sua praticità, in qualche modo, forse, la sua vitalità. (Anna Foa)

Note

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  1. Dalla prefazione a Zora N. Hurston, I loro occhi guardavano Dio, Frassinelli, Torino, 1948, p. XIII.
  2. Da Ada Prospero Marchesini, «Richiamo della foresta (Il)|The call af the wild»; in Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi, RCS Libri, 2005, ISSN 1825-78870, vol. VIII, p. 8134.
  3. Citata in Anna Foa, Gobetti Ada , in AA.VV., Italiane. Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950), www.150anni.it

Bibliografia

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  • Ada Gobetti, Diario partigiano, Torino, Einaudi, 1956, 1972 e 1996.

Altri progetti

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