David Van Reybrouck
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David Grégoire Van Reybrouck (1971 - vivente), scrittore, storico e archeologo belga.
Congo
[modifica]- Il presidente Kwame Nkrumah era considerato un eroe in un territorio che si estendeva dal Senegal al Mozambico. Era l'incarnazione del panafricanismo, il sogno di un'Africa libera, pacifica e solidale, e fu per questa ragione che radunò ad Accra leader e pensatori dall'intero continente. (pp. 265-266)
- [Riguardo Mobutu Sese Seko:] Sarebbe diventato una delle personalità più influenti dell'Africa Centrale e una delle persone più ricche del mondo, la classica storia del garzone che diventa boss della mafia. (p. 306)
- [Riguardo Patrice Lumumba:] Quando si alzò il sipario sul dramma congolese, era un dinamico tribuno del popolo adorato da decine di migliaia di persone di condizione modesta. Solo poche scene dopo lo disprezzarono, gli sputarono addosso e lo costrinsero a mangiare un esemplare del suo discorso. (p. 306)
- [Riguardo Patrice Lumumba:] I suoi contatti con la Russia vengono generalmente presentati come prova delle sue tendenze bolsceviche. Tuttavia ciò è errato. Da un punto di vista economico, Lumumba pendeva più verso il liberalismo che non verso il comunismo. Non aveva alcuna intenzione di collettivizzare l'agricoltura e l'industria, anzi contava su investimenti privati di stranieri. Inoltre Lumumba era un nazionalista, non un internazionalista, come dovrebbe addirsi a un comunista. Il suo quadro di riferimento non poteva essere più congolese, a dispetto di ogni panafricanismo. Anche la nozione di rivoluzione proletaria era assente in lui. In qualità di évolué apparteneva alla nascente borghesia congolese; non mirava al rovesciamento del proprio gruppo sociale. (p. 322)
- [Riguardo Patrice Lumumba:] La tragedia della sua fugace carriera politica fu che il miglior asso nella manica di cui disponeva prima dell'indipendenza - il suo incredibile talento nel sollevare le masse - divenne il suo peggior punto debole quando, una volta ottenuto il potere, ci si attendeva da lui un comportamento un po' più sereno. La calamita, che una volta attirava, si mise a respingere. (p. 332)
- Mulele diede il via alla sua rivolta contadina, il primo grande sollevamento rurale in Africa dopo l'indipendenza, dando prova di uno straordinario idealismo e di un grande disinteresse. Divenne una sorta di Che Guevara congolese, un intellettuale di sinistra che cercava di far aderire alla propria causa gente semplice. Insegnava le idee rivoluzionarie nei villaggi e nelle capanne, insistendo senza posa sull'importanza della disciplina durante la rivolte. (pp. 344-345)
- La dottrina cinese di Mulele non attecchì dappertutto. Forse era troppo secolare. Perché i combattenti non avevano il diritto di pregare? I semplici contadini del Kwilu non sapevano cosa fosse l'oppio e non sapevano che farsene di quelle storie sulla falsa coscienza. I loro riflessi restavano estremamente religiosi e tribali. La base su cui Mulele fondava il proprio potere quindi non avrebbe mai oltrepassato l'area indigena dei pende e dei mbunda. (p. 345)
- Se Lumumba era un martire, allora Mulele era il suo nuovo profeta. (p. 345)
- I guerrieri erano tenuti a rispettare tutta una serie di regole di condotta. Non dovevano mai stringere la mano di un non-simba, non dovevano lavarsi, né pettinarsi i capelli o tagliarsi le unghie, altrimenti sarebbero diventati di nuovo vulnerabili. Molte di quelle regole erano meno bizzarre di quanto sembrasse a prima vista. La maggior parte dei simba non aveva uniformi ed era praticamente priva di armi da fuoco. Andavano a combattere a torso nudo, coperti di ramoscelli e di pelli di animali e muniti solamente di lance, machete e randelli. Con tale equipaggiamento dovevano affrontare l'armata governativa di Mobutu che, pur essendo ancora un'accozzaglia di persone male organizzate, era comunque dotata di mitragliatrici semiautomatiche. Quelle regole magiche imponevano ai simba una forma di disciplina militare. Il sesso era proibito, perché altrimenti i guerrieri si sarebbero abbandonati a stupri continui. Farsi prendere dal panico era proibito, altrimenti si sarebbero dati alla fuga. Guardarsi dietro era proibito, così come il nascondersi. Il guerriero simba doveva gettarsi contro il nemico urlando "Simba, simba! Mulele mai! Mulele mai! Lumumba mai! Lumumba oyé!" (Leone, leone, acqua di Mulele, acqua di Lumumba, viva Lumumba!). Se avessero gridato quelle parole, i proiettili degli avversari si sarebbero trasformati in acqua al contatto con i loro torsi. Quelli che venivano colpiti evidentemente non avevano rispettato una qualche regola di condotta. Assurdo? Sì, ma non più assurdo di determinati attacchi durante la Prima guerra mondiale, in cui si ordinava ai soldati di avanzare sotto un fuoco di sbarramento. E la cosa bizzarra era che non erano soltanto i simba a credere nel loro potere magico, ma anche gli uomini dell'esercito governativo. I soldati di Mobutu avevano una paura del diavolo di quei bruti isterici e drogati che si gettavano contro di loro gridando e con gli occhi sgranati. (pp. 346-347)
- [Riguardo il rinominamento di Congo in Zaire:] Lo schietto Congo aveva dovuto fare largo al sibilante Zaire. Mobutu lo trovava più autentico dell'indicazione coloniale "Congo". Il Padre della Rivoluzione si era basato su uno dei più antichi documenti scritti: una cartina portoghese del sedicesimo secolo. Lì l'ampio fiume che serpeggiava nella sua terra veniva indicato come "Zaire". Ma, poco dopo il cambiamento di nome, Mobutu scoprì che si era trattato di una stupidaggine: Zaire era lo spelling sbilenco della parola nzadi, una comunissima parola che in lingua kongo significa "fiume". Quando, nei pressi della foce, i portoghesi chiesero agli indigeni come si chiamasse quella grande, vorticosa massa di acqua, quelli risposero semplicemente "fiume": nzadi, ripetevano. Zaire, capirono i portoghesi. Per trentadue anni la terra [...] dovette il suo nome alla fonetica approssimativa di un cartografo portoghese di quattro secoli prima. (pp. 357-358)
- Mobutu possedeva il linguaggio graffiante di Lumumba e lo integrava con un programma concreto. Trasmetteva fiducia e determinazione. Il Congo sarebbe diventato un paese moderno. (p. 360)
- Mobutu fece di tutto per combattere l'istinto tribale. Una nazione forte non poteva più tollerare la logica della tribù. Si doveva proporre alla generazione giovane un nuovo quadro di riferimento. Nella squadra di calcio nazionale dovevano esserci giocatori da tutto il paese. Alle elezioni di Miss Zaire partecipavano ragazze provenienti da ogni provincia. L'esercito doveva diventare inclusivo: persino i pigmei potevano farne parte. (p. 376)
- [...] Mobutu realizzò nel giro di pochi anni quello in cui l'Unione europea ancora fallisce dopo più di mezzo secolo: le persone cominciarono in effetti a considerarsi parte di un insieme più grande. I britannici e i francesi non volevano saperne di diventare europei, ma i bakongo e i baluba diventarono orgogliosi di essere zairesi. (p. 381)
- Confidare nella propria identità: era un bel pensiero, ma ovviamente rabberciato. Perché Mobutu promuoveva la cucina locale se il suo piatto preferito era ancora l'ossobuco alla romana? Che cosa c'era di così autentico in quella penosa animation politique che aveva solo copiato da Kim Il-sung? Cosa c'era di così zairese in quel famoso abacost, che non era niente in più che un abito alla Mao colorato e i cui esemplari migliori venivano da Arzoni, una fabbrica tessile a Zellik, vicino a Bruxelles? Cosa aveva di tipicamente africano il pagne, il batik proveniente dall'Indonesia, apprezzato dalle suore che lo usavano per coprire il seno e le cui varianti che non scolorivano, le famose wax hollandais, venivano dalla fabbrica Vlisco di Helmond, nei Paesi Bassi? Che cosa faceva di Camille Feruzi un musicista autentico? Suonava la fisarmonica, santo cielo, e si sentiva chiaramente che si rifaceva a Tino Rossi. (p. 383)
- Mobutu era a capo di una piramide in cui alcune migliaia di individui campavano sulle sue spalle, direttamente o indirettamente. Era legato al suo seguito da obblighi e favori reciproci. In cambio di risorse, i suoi seguaci gli offrivano la fedeltà di cui lui necessitava per rimanere al potere. Mobutu aveva bisogno di loro e loro avevano bisogno di Mobutu. Un'alleanza diabolica. Mobutu era schiavo della sua stessa sete di potere. (p. 383)
- Mobutu era tanto brillante come comunicatore quanto mediocre come economista. (p. 385)
- [Riguardo Mobutu Sese Seko:] Sembrava in preda a quella smania di eccessi che caratterizza coloro a cui la vita non ha più sorprese da riservare. (p. 409)
- La corruzione di Mobutu era così impressionante che una parola inglese caduta nel dimenticatoio tornò improvvisamente a essere di moda: kleptocracy. [...] Ma la cleptocrazia era solo un aspetto della vicenda. Era anche una "regalocrazia": Mobutu rubava per distribuire e garantirsi così la popolarità. Nessuno tornava da Gbadolite a mani vuote, così si diceva. Un paio di centinaia di dollari, una valigetta piena di denaro, un portasigari pieno di diamanti, Mobutu aveva sempre un dono pronto per i suoi visitatori. (p. 411)
- [Sulla prima guerra del Congo] Il minuscolo Ruanda avrebbe messo in ginocchio lo Zaire, il gigante dell'Africa Centrale, e l'Afdl doveva farla apparire come un'insurezzione interna. Per Kagame si trattava del suo terzo cambio di governo all'interno di un paese dell'Africa Centrale: dopo l'Uganda e il Ruanda ora toccava allo Zaire. (p. 450)
- La guerra durò sette mesi e fu, essenzialmente, una conquista continua di territori dall'est verso Kinshasa. In alcuni luoghi, come Bunia e Watsa, ci furono veri scontri, ma in quasi tutti gli altri territori l'Afdl proseguì la sua marcia senza troppi ostacoli. (p. 456)
- L'immagine caratteristica dell'avanzata dell'Afdl era quella di una fila lunga e doppia costituita da bambini soldato con stivali neri di gomma che, da entrambi i lati della strada rossa e sterrata, si avvicinavano in silenzio a un villaggio o a una città. Erano la fanteria nel senso letterale del termine: i bambini che si spostavano a piedi. Quando arrivavano loro, l'esercito di Mobutu era già fuggito da un pezzo, qualche volta dopo essersi dato ai saccheggi. (p. 456)
- [Su Laurent-Désiré Kabila] La popolazione che l'aveva accolto con tanta euforia si stancò presto di lui. Farsi degli amici è un'arte, ma Kabila possedeva il dono ancora più raro di trasformare in men che non si dica amici in nemici giurati, e ciò non valeva solo per alcuni di loro, cosa che poteva ancora indicare un calcolo, ma per tutti, sintomi questo di goffaggine. (p. 466)
- No, invece di trasformarsi in una democrazia, il regime di Kabila degenerò in un regime estremamente autoritario, in cui tutto ruotava intorno alla persona del capo. Il sistema multipartitico fu abolito, solamente il suo Afdl aveva ancora il diritto di esistere, benché fosse soltanto un'alleanza messa in piedi per l'occasione con l'intervento del Ruanda, qualche giorno dopo l'invasione dello Zaire. (p. 467)
- [Su Laurent-Désiré Kabila] Non aveva alcuna nozione di diplomazia. Aveva uno stile strampalato. Agiva sulla scena internazionale più come un ribelle difidente che come un capo di stato maturo. (p. 469)
- La Seconda guerra del Congo fu un conflitto particolarmente complesso, che arrivò a coinvolgere nove paesi africani e una tentina di milizie locali. Si tratto di una prova di forza su scala continentale, con il Congo come teatro principale delle operazioni. La dinamica che spinse un certo numero di stati, dalla Namibia a sud fino alla Libia a nord, a prendervi parte almeno per un breve periodo di tempo (pro o contro Kabila), ricorda la formazione fulminea di alleanze in Europa alla vigilia della Prima guerra mondiale. Per via della sua dimensione continentale si parla anche della "Prima guerra mondiale africana", anche se si tratta di un'espressione assai infelice che non tiene conto del tremendo impatto della Prima e della Seconda guerra mondiale sul continente. Il termine Great African War è pertanto più sensato, benché i focolai si concentrassero in gran parte nel Congo e le milizie locali fossero rimaste in azione più a lungo delle forze militari straniere. (pp. 471-472)
- La Seconda guerra del Congo sparì dall'attualità mondiale poiché sembrava inesplicabile e confusa. Non c'erano in effetti due schieramenti ben circoscritti e, anche peggio, non si capiva chi fossero i carnefici e chi le vittime. Dopo la fine della Guerra Fredda, i reporter occidentali tendevano a riferirsi in misura crescente a un quadro di ordine morale per indicare le guerre: in Jugoslavia erano i serbi i grandi criminali, in Ruanda i tutsi venivano presentati come vittime innocenti; in entrambi i casi l'idea che ci si fece degli avvenimenti portò ad azioni politiche disastrose. In Congo non fu facile trovare il campo dei "buoni". Chi osservava il conflitto da vicino si rendeva conto che tutte le fazioni coinvolte non avevano la coscienza a posto. (p. 472)
- Si sviluppò uno di quei conflitti in cui ciascuno trovava l'altro sempre un po' più colpevole, cosa che autorizzò le rappresaglie e innescò una spirale senza fine di violenza. I media occidentali staccarono la spina. (p. 473)
Bibliografia
[modifica]- David Van Reybrouck, Congo, trad. Franco Paris, Milano, Feltrinelli, 2014, ISBN 978-88-0749-177-1.
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