Emanuele Samek Lodovici
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Emanuele Samek Lodovici (1942 – 1981), filosofo italiano.
Citazioni di Emanuele Samek Lodovici
[modifica]- E quella maggioranza che vede nel Natale una sciocchezza e nel presepe una commedia infantile, non si rende conto di quale enorme difesa di fronte alla stanchezza della vita, alle abitudini, ai tedi, alle fatiche, essa privi il bambino, e col bambino l'uomo, quando reprima e lanci l'interdetto a quello spirito di stupore.[1]
- La vera menzogna è dire che il mondo è una lastra opaca, al di sotto della quale non vi può essere che frustrazione e disgusto.[1]
- [Giovanni De Martino è stato] un Poeta dell'infanzia[2].
- Prima di tutto il programma di scoprire coi bambini ogni anno davanti all'albero di Natale e al presepio che la vita non è solo un imbuto grigio, una decorazione inutile, un suono di latta, ma anche il luogo di eventi attesi e meravigliosi che rapiscono per il loro apparire – solo che abbiamo gli occhi per vederli – come il bimbo che non vede solo una candela ma una stella, che non vede solo una decorazione ma un angelo.[1]
Il gusto del sapere
[modifica]- [...] la summa tomistica era l'immagine empirica e plastica del vertere ad unum, del controllo regolativo[3]che le scienze superiori avevano nei confronti di quelle inferiori; al momento della desquamazione di quel grande sistematico corpo abbiamo il lussureggiante sfacelo delle singole scienze specialistiche e indipendenti. La forma letteraria dell'essai, del saggio, del tentativo, forma che tende ad affermarsi proprio nel '500, è il segno più evidente che l’immagine di un sapere organico e totale è andata perduta: al suo posto è subentrata la filosofia del brandello, dell’approccio particolare, che, come ben aveva visto Horkheimer, non ha perso però la tentazione di sottomettere totalitariamente al suo punto di vista tutte le altre dimensioni del sapere.
- L'encyclopédie dei vari D’Alembert, Diderot, etc. di cui è espressione il mobiletto con la serie di libri dell'enciclopedia del buon borghese moderno, esprime l'idea di una unificazione culturale che ammassa al centro tutto il sapere possibile. Al posto dell’antica en kuklio paideia che aveva al suo centro l'uomo da educare e nel cerchio (kuklio) le scienze del tempo tutte finalizzate alla perfezione dell’uomo (ovvero ad insegnargli l'ars bene vivendi et moriendi), abbiamo con l'illuminismo un autentico rovesciamento: al centro sta un cumulo di sapere non più unificabile (nessuno può sapere quella totalità e proprio per questo c'è l'enciclopedia!). Questo meccanismo dello sviluppo e dell'accumulo di un sapere che nessuno più sa, nel senso che sa dall'interno, che gusta, è generatore di frustrazione e disgusto. È l'immagine dell'università enciclopedica in cui, mancando una gerarchia, tutto deve essere conosciuto e la moltiplicazione delle informazioni atrofizza la capacità di pensare originalmente (il dotto, diceva Nietzsche, se non compulsa non pensa; quando pensa risponde ad uno stimolo, un pensiero letto).
- Il tentativo, poi, tutto moderno di unificare il sapere attraverso il mito della ricerca interdisciplinare non è meno problematico. Non basta evidentemente per ricreare un’unità del sapere mettere assieme all'interno di dipartimenti le materie affini, né promuovere tavole rotonde tra specialisti che abbiano punti di intersezione, né infine, raccogliere in un’unica biblioteca i libri che confluiscono su un medesimo argomento. Queste possono essere solo delle condizioni necessarie, ma non sufficienti. La ricomposizione dell’unità del sapere rimane puramente esterna senza incidere in interiore homine[4]. A ben vedere il difetto di questa impostazione sta nel pensiero sotteso che, dal momento che si può imparare tutto, si possa anche imparare l’unità del sapere. È chiaro invece che codesta unità è un fatto del tutto interiore e che nessun lavoro di gruppo ci può garantire che avvenga.
- L'uomo saggio non è anzitutto colui che conosce tecnicamente o culturalmente o scientificamente il mondo, bensì colui che ne coglie[5] il sapore (allo stesso modo si potrebbe dire di quella conoscenza particolare, tipica del critico d’arte, che è un sapere che non sa ma gode, o se si vuole, che è un piacere che conosce). Il saggio e il sapiente, da questo punto di vista, sono ignoranti di una ignoranza che sa, un'ignoranza di gran lunga più efficace di tanti saperi che ignorano o che non sanno di non sapere.
- [Nell'antichità classica] L'educazione, la scuola non erano finalizzate ad altro che a far uscire, e-ducere, l'uomo in atto dall'uomo in potenza. L'educazione non aveva altri fini che il nostro arricchimento personale ed era ben presente nella coscienza comune il senso di un sottilissimo proverbio cinese: "tutto ciò che può essere insegnato non vale la pena di essere appreso". Ciò che può essere posseduto con una tecnica va distinto e ritenuto inferiore a ciò che non è il mero risultato in noi di un intervento esteriore ma che è bensì la conclusione di una nostra conquista interiore.
- Il secondo criterio interno per stabilire la qualità sapienziale delle mie conoscenze consiste nel chiedersi se vi è proporzione tra le cose che so e quelle che dovrei sapere.
Proporzione cioè tra scita e scienda, tra le cose che so professionalmente e le cose che dovrei sapere come uomo. Questo è chiaramente un criterio contro la tabe dello specialismo in cui tizio sa tutto, come direbbe Schopenhauer, sugli intestini dei vermi intestinali, ma non sa nulla, né mai ha avuto l'interesse ad occuparsene, su quello che lo riguarda come uomo, su quei messaggi anzitutto religiosi che gli dicono che ha un destino, che va inesorabilmente verso un certo posto chiamato morte, che ha una vita sola in cui è imbarcato e che deve giocare.
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Emanuele Samek Lodovici, Il gusto del sapere, Universitas 14 (1993), n. 4, pp. 18-22; riportato in Documentazione Interdisciplinare di SCIENZA & FEDE
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