Enzo Bearzot

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Enzo Bearzot (1948)

Enzo Bearzot (1927 – 2010), calciatore e allenatore di calcio italiano.

Citazioni di Enzo Bearzot[modifica]

  • Se mai c'è stato uno per cui bisognava ritirare la maglia, era Gaetano Scirea, grandissimo calciatore e grandissima persona.[1]
  • [Su Gaetano Scirea] Un modello da tutti i punti di vista: tecnico, stilistico, comportamentale.[2]
  • Trapattoni è uno che cura la squadra nei minimi particolari dal lunedì alla domenica. È uno che ti sta addosso e non ti dà respiro, che ti tiene sempre sulla corda. È scrupuloso come pochi, studia gli avversari con acutezza e da buon tattico prepara le contromosse che hanno quasi sempre successo.[3]
  • Bettega è l'uomo decisivo di questa nazionale [...] Bettega non finisce mai di entusiasmarmi, fa prodezze che altri giocatori si sognano.[4]
  • Life is now è una cosa vergognosa. La vita non è soltanto adesso, è anche adesso, ma deve esserci un po' di passato e tanto di futuro, non si è solo ragazzini, si è stati bambini e saremo vecchi. Io non sono meno importante di mio nipote![5]

Il romanzo del vecio[modifica]

  • Non diamo tutta la colpa ai ragazzi di oggi, siamo noi ad aver perso poco alla volta la capacità di educare. Anche nello sport. Io per esempio ho un cruccio, che a volte diventa rimorso; non essere riuscito a civilizzare il pubblico, non aver fatto abbastanza per combattere il tifo. [...] Allo stadio si dovrebbe andare per veder giocare il meglio possibile, se poi è la mia squadra tanto di guadagnato, se è l'altra pazienza. E non mi vengano a dire che questi discorsi agli ultras fanno il solletico, io non parlo di ultras che sono un problema di polizia, parlo di tribune, e di tribune d'onore. Dove non senti che insulti, non respiri che tensione ed eccessi, gente in vetrina che con il calcio ha poco o nulla a che fare e sembra quasi compiaciuta della propria incultura sportiva. (pp. 4-5)
  • Nell'80 c'era innanzitutto da difendere una categoria che poteva essere distrutta da episodi. Non solo. La nazionale era del tutto estranea a quello scandalo [Scandalo del calcio italiano del 1980], eppure la stampa faceva a gara nell'infierire, sembrava provasse un piacere perverso a enfatizzare i nostri guai. E questo secondo me non è diritto di cronaca o di critica, è molto di più. [...] Qualcuno poteva anche aver sbagliato e avrebbe poi pagato il conto, come avvenne: ma non era giusto far passare per marcio l'intero calcio italiano, ed esportare questo marchio di corruzione per giunta alla vigilia di un campionato europeo da disputare in casa. (pp. 11-12)
  • La prima volta che [Gaetano Scirea] stette in ritiro con me, a Lisbona con l'under 23, dissi che un ragazzo così era un angelo piovuto dal cielo. Non mi ero sbagliato. Ma lo hanno rivoluto indietro troppo presto. (p. 17)
  • Non credo che nessuno mi abbia mai sentito dire che il titolo di Spagna è tutto merito dei ragazzi: perché non è vero, una parte del merito sono certo di averla avuta anch'io. Ma ecco il punto: una parte. Oggi gli allenatori, per bravi che possano essere, sono diventati troppo importanti. Si presentano le partite dicendo o scrivendo Lippi contro il tale, Sacchi contro il tal altro e io non capisco più se stiamo parlando di calcio o di tennis. Perché sino a quando si è rispettato il senso delle proporzioni l'allenatore ha sempre rappresentato una componente, importante finché si vuole, ma una componente. Un non-protagonista, il cui compito è far diventare protagonisti i giocatori a lui affidati. (p. 22)
  • [Su Paolo Rossi] Io sono sempre stato convinto della sua innocenza, ma non è questo il punto. La giustizia aveva stabilito che era colpevole e lui pagava il suo debito senza invocare sconti. Ci pensai a lungo in quell'inverno che precedeva il mondiale di Spagna e prima ancora di affrontare la questione in termini tecnici mi prospettai il problema morale. Alla fine decisi che a squalifica terminata lo avrei portato con me. (p. 80)
  • [Sulle accuse di combine riguardo Italia-Camerun] Provo a ricostruire la situazione. Pareggiando, noi passavamo il turno e andavamo nel girone a tre con Argentina e Brasile. Con una vittoria molto larga pescavamo due avversari più morbidi, Belgio e Unione Sovietica. Il Camerun poteva solo vincere per qualificarsi, col pareggio andava fuori. Domanda. Perché mai due squadre dovrebbero accordarsi per un risultato che non serve a nessuna delle due? Se qualcuno di noi avesse pensato di combinare una porcheria a tutti i costi, avremmo comprato la vittoria con molti gol di scarto, non certo il pareggio. Quella partita finì uno a uno e ci destinò ad Argentina e Brasile, mentre al Camerun costò l'eliminazione, per una serie di motivi assolutamente banali. Noi sbagliammo tre-quattro gol nel primo tempo, quando ancora era possibile la goleada; nel secondo andammo in vantaggio ma fummo subito raggiunti per una serie di esitazioni difensive; il poco tempo a disposizione non ci consentiva più di pensare a raddrizzare la differenza reti; a mezz'ora dalla fine era più importante pensare a salvare la qualificazione che a vincere rischiando. Avrebbe dovuto rischiare il Camerun, semmai, visto che col pareggio andava fuori, e fu la loro difesa a oltranza a mettere sull'avviso i cultori del sospetto. Ma quella era una squadra che sapeva solo difendersi, e piuttosto bene, come anche le successive edizioni dei mondiali e delle coppe d'Africa hanno dimostrato. Se vogliamo parlare seriamente la finiamo qui, premesso il fatto che nemmeno la dovevamo cominciare. Se la vogliamo colorire, allora è sicuro che nella combine gli stregoni non c'entravano, perché li ho beccati io di persona a farmi la macumba, mezz'ora prima della partita. (p. 91)

Citazioni su Enzo Bearzot[modifica]

  • A Bearzot non interessava troppo convocare i giocatori più bravi, se questi non avevano anche i requisiti morali per vestire la maglia azzurra, e per fare parte di quel gruppo. Bearzot non ha convocato dei giocatori [...] per paura si potessero creare dei dualismi, come era già capitato nelle nazionali precedenti [...]. Voleva costruire un gruppo coeso, in cui tutti si vogliono bene e remano dalla stessa parte. (Paolo Rossi)
  • Bearzot era un tipo difficile. Nel rapporto non ti rilassava, non ti faceva sentire a tuo agio. Stima incondizionata per lui, ma non avevi voglia di abbracciarlo. (Antonio Matarrese)
  • Era un uomo vero, una grande persona. Ricordo che dopo le partite si fermava a parlare con i tifosi, spiegava le sue scelte, parlava di calcio, spesso rischiava di farci perdere il volo, allora mi toccava scendere dal pullman per portarlo su e partire. (Dino Zoff)
  • Quando si hanno dei principi come li aveva lui diventa facile compattare un gruppo, lui era un esempio per tutti. (Dino Zoff)
  • [Sulla vittoria nel Mondiale 1982] Solo lui poteva arrivare a quella vittoria. Solo un uomo così, di grande coraggio, di intelligenza infinita, di profondo sapere. (...) Fu Bearzot a trasmetterci serenità, tranquillità. Quel Mondiale è stata davvero la sua vittoria personale.(Dino Zoff)[6]
  • Vincendo il Mundial spagnolo “in contropiede”, di quella scuola Bearzot sarebbe diventato uno dei maestri più importanti della storia del calcio. E una delle figure più care del Novecento italiano. (Piero Trellini)

Note[modifica]

  1. Citato in Indimenticato Scirea, a 18 anni dalla morte, lastampa.it, 4 settembre 2007.
  2. 3 settembre 1989; citato in Scirea, il nostro orgoglio, juventus.com, 2 settembre 2009.
  3. Citato in Guerin Sportivo n. 4 (575), 22-28 gennaio 1986, p. 20.
  4. Da Il gusto di vincere, ed. La Casa dello Sport.
  5. Citato in Riccardo Cascioli, «Bearzot, campione anche nella fede», labussolaquotidiana.it, 21 dicembre 2010.
  6. Citato in M. Tarozzi, , Formidabili quegli anni, Calcio 2000 nº 49, gennaio 2002, p. 31.

Bibliografia[modifica]

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