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Flavio Claudio Giuliano

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Flavio Claudio Giuliano, detto Giuliano l'Apostata (331 – 363), imperatore romano.

Citazioni di Flavio Claudio Giuliano

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Contro i cristiani

in Giuliano l'apostata. Saggio critico con le operette politiche e satiriche tradotte e commentate, a cura di A. Rostagni, F.lli Bocca, Torino, 1920, pp. 293-358.

  • Opportuno mi pare di esporre qui a tutti le ragioni per le quali io venni nel convincimento che la settaria dottrina dei Galilei è un'invenzione messa insieme dalla malizia umana. Nulla avendo essa di divino, e sfruttando la parte irragionevole dell'anima nostra, ch'è proclive al favoloso ed al puerile, riuscì a far tenere per verità un costrutto di finzioni mostruose.
  • Bisognerà risalire un po' addietro e dire donde e come ci sia venuta l'idea di Dio: poi, paragonare ciò che dell'Essere divino si dice sia presso i Greci, sia presso gli Ebrei; infine chiedere a quelli che non sono nè Greci nè Ebrei, ma appartengono all'eresia Galilea, per quale ragione preferirono l'opinione di quegli ultimi alla nostra e, in seguito, perché mai neanche a questa rimangono fermi, ma, apostatando, han presa una via lor propria. Nulla accettando di quante cose belle e buone sono sia presso noi Greci, sia presso gli Ebrei seguaci di Mosè, raccolsero invece da entrambi i vizi che a questi popoli furono, per così dire, legati dalla maledizione di un dèmone; la negazione degli Dei dall'intolleranza ebrea, la vita leggera e corrotta dall'indolenza e dalla volgarità nostra: e ciò osarono chiamare la religione perfetta.
  • Orbene, i Greci – io ne convengo – inventarono sugli Dei miti incredibili e mostruosi. Dicono che Crono divorasse i propri figli e poi li rivomitasse. Poi vi sono le nozze incestuose. Zeus si unì con la madre e ne ebbe dei figli; sposò quindi la propria figlia, o, meglio, non la sposò neanche, ma, unitosi semplicemente con essa, la diede tosto ad un altro. Poi vi è lo smembramento di Dioniso e la riappiccicatura delle membra. Così sono i miti dei Greci. Con questi paragona adesso la dottrina giudaica, e il paradiso piantato da Dio, e Adamo da lui plasmato, poi la donna creata per Adamo. Dice Iddio: «Non è bello che l'uomo sia solo. Diamogli un aiuto, simile a lui»: un aiuto che non solo non lo aiuta in nulla, ma lo tradisce e diventa la causa per lui e per sè dell'espulsione dalle delizie del paradiso. Ecco una storia veramente favolosa! Poteva Iddio ragionevolmente ignorare che quell'essere, da lui assegnato come aiuto, sarebbe stato fonte non tanto di bene, quanto piuttosto di male all'uomo? E il serpente che discorre con Eva, di quale lingua diremo che fece uso? Di quella umana? In che cosa dunque differiscono queste cose dalle fantasie dei Greci? E il divieto che Dio impone agli esseri umani, da lui creati, di distinguere il bene dal male, non è il colmo dell'assurdità? Può darsi un essere più stupido di quello che non sappia distinguere il bene dal male? È evidente che, così essendo, non fuggirà l'uno, vale a dire il male, nè seguirà l'altro, vale a dire il bene. In sostanza Iddio proibì, in questo modo, agli uomini di gustare la scienza, che è cosa della quale nessuna può trovarsi a loro più cara. Difatti, che distinguere il buono dal cattivo sia la funzione propria della scienza, questo lo capiscono anche gl'imbecilli. Quindi il serpente fu piuttosto il benefattore, che non il nemico del genere umano. E a Dio potrebbe darsi, perciò, nome di geloso.
  • Mosè dice che il Creatore del mondo ha eletto il popolo ebreo, veglia esclusivamente su di esso, di esso si preoccupa, ad esso rivolge tutta intera la sua attenzione. Quanto agli altri popoli, come e da quali Dei sieno governati, di ciò Mosè non fa nessuna questione: troppo, forse, gli sembra di lasciare che anche essi godano il sole e la luna. Ma su questo punto torneremo, di nuovo, più avanti. Per ora mi limiterò a mostrare che Dio lo dichiarano dio esclusivamente di Israele e della Giudea, e i Giudei popolo eletto: così, non solo Mosè, ma i profeti dopo di lui, e Gesù Nazareno, e anche quegli che sorpassa tutti quanti i ciarlatani e gli impostori d'ogni tempo e d'ogni paese, Paolo.
  • Senonché qui sarebbe il caso di domandare a Paolo come mai, se Dio non è solo dei Giudei ma di tutte le genti, ai soli Giudei largì il dono profetico, e Mosè, e il crisma, e i profeti, e la legge, e le stravaganze e i miracoli della favola. Tu li odi che gridano: «L'uomo mangiò del pan degli angeli». E alla fine mandò a loro anche Gesù. A noi nessun profeta, nessun crisma, nessun maestro, nessun messo di questa sua tardiva benevolenza, che doveva un giorno estendersi anche a noi! Egli lascia per miriadi, o, se volete, anche solo per migliaia di anni, in una tale ignoranza, schiàvi, come voi dite, degli idoli, tutti i popoli dall'Oriente all'Occidente, dal Settentrione al Mezzogiorno, ad eccezione di una piccola schiatta stabilitasi da neanche duemila anni in un solo angolo della Palestina. Se è Dio di noi tutti, e di tutti egualmente creatore, perché ci ha trascurati? – Convien dunque ritenere che il Dio degli Ebrei non sia affatto il generatore di tutto il mondo, nè abbia affatto il dominio dell'Universo, ma sia circoscritto, come dicevo, e, avendo un potere limitato, vada messo insieme con gli altri Dei.
  • Mosè ha dato della differenza delle lingue una ragione superlativamente favolosa. Dice che i figli degli uomini, riunitisi, volevano fabbricare una città e, in essa, una gran torre; ma Dio dichiarò: qui bisogna scendere e confondere le loro lingue. – E, perché nessuno creda che io voglia darla ad intendere, leggiamo nel testo stesso di Mosè, quel che segue: «E dissero: "Orsù; fabbrichiamoci una città ed una torre, la cui cupola giunga fino al cielo; e facciamoci un nome prima di essere dispersi su tutta la faccia della terra". E scese il Signore a vedere la città e la torre, che i figli degli uomini edificavano. E disse il Signore: "Ecco, essi sono un medesimo popolo, e una medesima lingua hanno tutti; e questo cominciarono a fare; ed ora non resteranno dal compiere tutto ciò che hanno cominciato. Dunque: discendiamo là, e confondiamo la loro lingua, affinché non capisca l'uno la parola dell'altro". E li disperseil Signore Iddio su tutta la faccia della terra, ed essi cessarono di fabbricare la città e la torre».
    Poi volete che a questo crediamo; ma voi non credete a ciò che dice Omero degli Aloadi, che tre montagne meditavano di porre l'una sull'altra, «onde fosse ascendibile il cielo». Per me io dico che questo racconto è ugualmente favoloso che quello. Ma voi, che il primo accogliete, per qual ragione, in nome di Dio, respingete la favola di Omero? Poiché questo – credo – uomini ignoranti non lo capiscono: che, se anche tutte le genti che popolano la terra avessero la medesima voce e la medesima lingua, fabbricare una torre che arrivi fino al cielo non potrebbero affatto, quand'anche facessero mattoni di tutta quanta la terra. Mattoni ce ne vorrebbero infiniti di grandezza pari a tutta intera la terra per arrivare al solo cerchio della luna. Ammettiamo pure che tutte le genti si siano riunite parlando una stessa lingua ed abbiano ridotto in mattoni e cavato le pietre di tutta la terra; come potranno arrivare fino al cielo, se anche la loro opera dovesse stendersi più sottile di un filo allungato? In conclusione: voi che stimate vera una favola così evidentemente falsa, e pretendete che Dio abbia avuto paura della unità di voce degli uomini e per questo sia disceso a confonderne le lingue, oserete ancora menare vanto della vostra conoscenza di Dio?
  • Quanto alla differenza nei costumi e nelle leggi nè Mosè nè alcun altro si curò di trattarla. Eppure, c'è molto maggiore varietà negli usi e nei costumi politici delle nazioni, che non nelle loro lingue. Quale è quel greco che considera lecito di avere commercio con la sorella, con la figlia, con la madre? Ebbene, ciò è buono presso i Persiani. E debbo io indugiarmi a dimostrare, caso per caso, che i Germani sono amanti della libertà e insofferenti di giogo, mentre i Siri, i Persiani, i Parti sono più alla mano e docili, al pari degli altri barbari ad Oriente e a Mezzogiorno, che tutti, senza distinzione, si sottomettono volentieri anche ai governi più dispotici? Se dunque tutte queste cose, che sono le più importanti ed apprezzabili, si son fatte senza una provvidenza superiore e veramente divina, a che scopo onorare e venerare un Dio che non provvede niente? Se non si curò nè della vita, nè dei caratteri, nè dei costumi, nè delle buone leggi, nè della costituzione civile, ha forse diritto di reclamare onori dagli uomini?
  • Un uomo invidioso e maligno ti par degno di biasimo. E fai cosa pia a chiamar invidioso Iddio? E come può sembrarti ragionevole una così sfacciata menzogna sul conto di Dio? Difatti, se è geloso, vuol dire che suo malgrado vengono tutti gli altri Dei venerati, e suo malgrado tutte le altre genti venerano gli Dei. E come mai non li ha impediti, lui, così geloso, che non vuole si venerino gli altri, ma sè solo? Una delle due, dunque: o non era capace, o, addirittura, non volle neanche vietare il culto degli altri Dei. Ma la prima conseguenza è empia: dire che non poté. La seconda concorda con la pratica della nostra religione. Smettetela quindi con codeste ciance e non traetevi addosso da voi stessi una così grossa infamia. Se infatti Egli non vuole che alcun altro si adori, perché mai adorate quel suo figlio spurio, che Egli non riconobbe nè credette mai suo (e ciò io vi dimostrerò agevolmente), ma che voi, non so come, ad arte gli avete supposto?
  • A noi i nostri filosofi ordinano di imitare, fin dove è possibile, gli Dei, e questa imitazione fanno consistere nella contemplazione degli enti. Che ciò supponga il distacco e l'assenza delle passioni, è chiaro senza che io lo dica. [...] Quale è invece la strombazzata imitazione di Dio presso gli Ebrei? Rabbia, passione, furore selvaggio.
  • Dio a noi diede i principii della scienza, ossia l'insegnamento filosofico. E quale! La cognizione dei fenomeni celesti la perfezionarono i Greci, pur servendosi delle prime osservazioni fatte presso i barbari a Babilonia. Lo studio della geometria, nato dalla geodesia in Egitto, prese qui il suo grande sviluppo. L'aritmetica, inventata dai mercanti Fenici, solo presso i Greci giunse al grado di scienza. I Greci stessi, infine, combinarono in una, mediante l'armonia dei numeri, le tre scienze, l'astronomia annettendo alla geometria, poi ad entrambe applicando l'aritmetica e meditando l'armonico vincolo che insieme le unisce. Di qui nacque presso loro la musica, per avere trovato la definizione delle leggi dell'armonia nella corrispondenza perfetta o quasi perfetta del suono con la facoltà di percepire. Debbo dunque citare per persona o per categoria? Uomini come Platone, Socrate, Aristide, Cimone, Talete, Licurgo, Agesilao, Archidamo, o, piuttosto, separatamente, la categoria dei filosofi, quella dei condottieri, quella degli artisti, quella dei legislatori? Si troverà subito che, fra i condottieri, i più crudeli e perversi hanno usato contro gli autori delle più gravi ingiurie maggior clemenza che non Mosè contro chi non aveva alcun torto. E quale regno dovrò citarvi? Quello di Perseo o di Eaco o di Minosse Cretese?
  • [Numa Pompilio] Era questo un esempio di virtù, che viveva nei boschi solitarii, e sempre aveva commercio con gli Dei per via delle sante sue meditazioni. A lui si debbono la maggior parte delle leggi che riguardano la religione.
  • Non so se più si debbano odiare i furbi della vostra setta o più compatire gli ignoranti che, lasciandosi da voi condurre, giunsero a tanta disgrazia da abbandonare gli Dei immortali per il morto della Giudea.
  • Gesù, che sedusse la parte più infetta di voi, non è nominato che da poco più di trecento anni, e senza che in vita sua abbia fatto alcunché di memorabile, tranne che grandi imprese si considerino l'avere guarito zoppi e ciechi ed esorcizzato indemoniati nei paesucoli di Betsaide e di Betania. Della santità non sapete neanche s'egli abbia fatto il nome. Emulate dei Giudei le collere e la ferocia; rovesciate templi ed altari, trucidate non solo quelli di noi che rimangono fedeli al culto dei padri, ma anche coloro che, pur professando i vostri errori, sono chiamati eretici perché non piangono il morto nella stessa identica maniera di voi. E tutte queste, anzi, sono innovazioni vostre; perché mai né Gesù né Paolo ve le hanno comandate. La ragione si è che mai essi osarono sperare che doveste arrivare a tanta potenza. Erano già contenti se riuscivano ad ingannare serve e schiavi e, per mezzo di questi, donne ed uomini liberi della levatura.
  • Mostrami presso gli Ebrei un solo generale come Alessandro, un solo come Cesare. Non ce n'è. [...] Dove trovare presso gli Ebrei una forma di medicina paragonabile a quella di Ippocrate presso i Greci e di talune altre scuole dopo di lui? Il sapientissimo Salomone può essere messo vicino ai greci Focilide, Teognide o Isocrate? In che cosa? Se confronti le Esortazioni di Isocrate ai Proverbii di quello, ti è facile riconoscere – ne sono certo – che il figlio di Teodoro ha il vantaggio sul re sapientissimo. Ma – si dirà – Salomone era anche esercitato nelle pratiche sacre. Che significa? Non sacrificò forse questo medesimo Salomone anche ai nostri Dei, tratto in inganno – a quanto raccontano – da una donna? Oh, esempio di virtù! Oh, tesoro di sapienza! Non riuscì a trionfare del piacere, e parole di donna lo pervertirono! Ma almeno, se da una donna si lasciò ingannare, non chiamatelo sapiente. O se lo credete sapiente, non dite che fu ingannato da una donna, ma che di testa sua, per meditato proposito e per suggerimento di Dio che gli apparve, ha sacrificato anche agli altri Dei.
  • [Su Gesù] Egli non è neanche della discendenza di Giuda. E come potrebb'esserlo chi, secondo voi, non è nato da Giuseppe, ma dallo Spirito santo? E con Giuseppe stesso, per quanto lo facciate risalire alla stirpe di Giuda, non riuscite però a combinar bene neppure questa impostura, perché si tradiscono Matteo e Luca, contraddicendosi nella genealogia l'uno con l'altro.
  • Se, secondo voi, il Verbo è Dio disceso da Dio e fu prodotto dalla sostanza del Padre, perché chiamate voi la vergine madre di Dio? Come poté ella partorire un Dio essendo creatura umana come noi? E, oltre a ciò, se Dio dice espressamente: «Sono io e non è nessun altro salvatore, fuori di me», perché mai avete il coraggio di chiamare salvatore il figlio di lei?
  • Lasciati da parte molti [...] luoghi nei quali la legge di Mosè è dichiarata eterna [...], a voi toccherà ora di mostrarmi dove sia detto ciò che poi Paolo osò spacciare: che «complemento della legge è Cristo». Dove mai Iddio promise agli Ebrei una seconda legge dopo quella già stabilita? In nessun luogo: neanche una correzione a quella già stabilita. [...] Per voi l'aggiungere o il togliere al dettato della Legge era cosa troppo dappoco: più coraggioso, più magnanimo vi parve trasgredirla completamente, dirigendovi non alla verità, sì alla credulità del volgo.
  • Che Gesù fosse Dio non osò dirlo né Paolo, né Matteo, né Luca, né Marco. Ma solo l'ineffabile Giovanni, quando vide che già molta gente in molte città di Grecia e d'Italia era presa da questo contagio, e udì (credo io) che perfino le tombe di Pietro e di Paolo, sebbene di nascosto, pure erano già adorate, osò dirlo per primo.

Attribuite

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Vicisti, Galilaee![1]
  • [Ultime parole] Adesso giunge, o compagni, il tempo più adatto per allontanarsi dalla vita, che è reclamata dalla natura. Esulto, come colui che sta per restituire un debito in buona fede. Non sono afflitto e addolorato (come alcuni pensano). Sono guidato dalla opinione generale dei filosofi che l'anima sia più felice del corpo. E osservo che, ogni volta che una condizione migliore sia separata da una peggiore, occorre rallegrarsi piuttosto che dolersi Noto anche che gli dei celesti donarono ad alcuni molto religiosi la morte come sommo premio. Ma so bene che quel compito mi è stato affidato non per soccombere nelle ardue difficoltà, né per avvilirmi, né per umiliarmi. Ho imparato a conoscere per esperienza che tutti i dolori colpiscono chi è senza energia, ma cedono di fronte a coloro che persistono. (citato in Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri)

Citazioni su Flavio Claudio Giuliano

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  • La sorte toccata all'imperatore Giuliano è davvero miseranda. Nessuna figura, nella decadenza dell'impero, più originale, più interessante, più attraente della sua. Ma la tradizione ecclesiastica gli è stata terribilmente nemica; gli ha impresso il marchio dell'apostata e, con questa qualifica, lo ha condannato all'abbominio ed all'oscurità. Come ciò avvenisse s'intende. La Chiesa agiva con un'intenzione polemica. A lei premeva sopratutto di rendere odioso un uomo che aveva tentato di ferirla a morte. (Gaetano Negri)
  • Nell'anno 355 [a Milano], Giuliano fu dichiarato Cesare, e assumendo l'impero nel 361, abiurò il cristianesimo e cercò di cancellare l'opera di Costantino, restaurando il culto pagano; ma l'apostata, dallo Strauss qualificato «un romantico sul trono dei Cesari» perché sognatore del passato, illuso e visionario, fu, come scriveva Atanasio, una nubicola che passò sull'orizzonte senza frenare il diffondersi del cristianesimo che con Ambrogio doveva toccare il suo trionfo. (Carlo Romussi)
  • Giuliano, in Europa, è sempre stato una specie di eroe della resistenza. Il suo tentativo di fermare il cammino del cristianesimo e di ridar vita all'ellenismo esercita ancora un certo fascino romantico e la sua figura si affaccia dove meno ci si aspetta, specie nel rinascimento e nel secolo decimonono.
  • L'elezione di Giuliano è stata opera della Fortuna, una dea che brilla per la sua assenza, nelle faccende umane. Non possiamo certo sperare di avere un secondo Giuliano, nella vita. E questo è quanto.
  • Nonostante tutto quello che ha scritto in proposito, io non ho mai capito bene perché Giuliano si sia ribellato alla religione della sua famiglia. In fondo, il cristianesimo gli offriva quasi tutto quello che gli occorreva. Se voleva mangiare simbolicamente il corpo di un Dio, perché non restare con i cristiani, mangiare il loro pane e bere il loro vino, anziché tornare indietro, al pane e al vino di Mitra? Non è che nel cristianesimo mancasse qualcosa. I cristiani, molto abilmente, hanno indotto nei loro riti quasi tutti gli elementi popolari dei culti di Mitra, di Demetria e di Dioniso. Il cristianesimo moderno è un'enciclopedia della superstizione tradizionale.

Note

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  1. Secondo la tradizione, queste sarebbero le ultime parole dell'imperatore, dopo essere stato ferito a morte in una imprudente spedizione contro i Persiani. Il galileo a cui fa riferimento è ovviamente Gesù. Giuliano infatti è stato l'ultimo imperatore ad aver tentato, invano, di restaurare la religione pagana nell'Impero Romano (citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli Editore, 1904, p. 457 ISBN 8820300923).

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