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Giulio Emanuele Rizzo

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Giulio Emanuele Rizzo

Giulio Emanuele Rizzo (1865 – 1950), archeologo italiano.

Il teatro greco di Siracusa[modifica]

  • Studiando le forme architettoniche più antiche del teatro di Siracusa, vedremo quante analogie esse abbiano con quelle del Teatro di Dionysos [di Atene]: e non sembra, quindi, inverosimile supporre che, anche in un periodo anteriore alla costruzione del teatro stabile, la presenza di Eschilo a Siracusa sia stata di ammaestramento ai poeti locali per la "tecnica" delle rappresentazioni teatrali. (p. 5)
  • Una prima e piena luce di gloria splende intorno al teatro di Siracusa, coi nomi di Eschilo, di Epicarmo, di Formide; ma dopo i fatui bagliori onde la sua storia torna ad illuminarsi, tra la fine del quinto secolo e i principî del quarto, con la pomposa attività di Dionisio come poeta tragico, una nuova fase di vita — e nelle forme dell'architettura e in quelle della poesia drammatica – si svolge, durante l'età di Jerone, intorno a questo che è meritamente da considerare come il secondo fra i più gloriosi teatri del mondo greco. (p. 9)
  • Il Teatro [di Siracusa] oppose alla furia dei Barbari, più che la mole grandiosa delle sue costruzioni, la forza incorruttibile del suo scheletro intagliato nella viva roccia. Per secoli esso dovette giacere dimenticato nella campagna: le terre si addensarono nel grandioso bacino della cavea, e su di esse e intorno, tra i rottami delle maestose architetture che allora certamente erano numerose e cospicue, crebbero gli alberi rigogliosi. Così intravidero le rovine del teatro i primi uomini del tardo Rinascimento in Sicilia, i primi cittadini non immemori della Pentapoli distrutta, che docili prestavan l'orecchio alle rideste voci della gran madre antica. (p. 15)
  • Sarebbe opera, per quanto penosa altrettanto inutile, riferir qui i luoghi dei numerosi viaggiatori che, dalla seconda metà del secolo XVIII al principio del XIX, dedicano al teatro [di Siracusa] qualche pagina di descrizione o di "impressioni": al teatro e al paesaggio sommamente pittoreschi, quali allora si vedevano. Non possiamo pretendere – è vero – in questo periodo degli studî archeologici, descrizioni accurate e dati tecnici: le poche osservazioni sono sempre quelle medesime che già, con miglior fondamento, avevano potuto fare i dotti siciliani più antichi; e sono sempre infiorate delle solite e nude citazioni dei luoghi di Cicerone, di Diodoro, di Plutarco sul nostro teatro. Il monumento era, del resto, per così grande parte seppellito dalla terra e nascosto sotto i mulini e gli orti e gli alberi, che nessuna descrizione veramente utile possiamo aspettarci da quei curiosi e spesso frettolosi visitatori, spesso accompagnati da entusiasti e malamente servizievoli eruditi ed "esegeti" locali, già fin d'allora soverchiamente devoti ammiratori de' dotti o indotti stranieri [...]. (pp. 19-20)
  • [Giuseppe Maria Capodieci] Questo autentico tipo di dotto provinciale, così superbamente tronfio di sé e della sua erudizione indigesta, amico, però, e caldissimo de' monumenti della sua patria, quantunque non troppo della grammatica italiana, non mancava di buone qualità di osservatore; ond'egli, pur tra le scorie delle divagazioni... dottissime e delle continue logomachie contro il Logoteta[1] e contro altri eruditi, ci dice del teatro [di Siracusa] alcune cose nuove ed esatte, ce ne dà misurazioni non lontane dal vero. (p. 25)

Studi archeologici sulla tragedia e sul ditirambo[modifica]

  • Più volte [...] archeologi e filologi si proposero il quesito sulla fonte d'inspirazione dei pittori di vasi per le rappresentanze figurate, riferibili agli stessi miti trattati dai poeti tragici; e paghi di un'apparente identità, dando la stura alla fantasia alimentata dall'erudizione letteraria, e dimenticando ogni altra ricerca, o necessariamente privi del prezioso tesoro di fatti archeologici che noi possediamo, affermarono che in molte pitture vascolari si devon riconoscere le illustrazioni delle grandi tragedie di Eschilo, di Sofocle, di Euripide.
    Ma in simili ricerche, che non possono essere altro che una serie di congetture esegetiche, la base principale, troppo spesso trascurata, dev'esser la cronologia vascolare: ed è proprio questo il punto che rende quasi inutili alcuni lavori, anche se pubblicati non molti anni addietro [...]. (p. 448)
  • Sia detto [...] in principio – e con buona pace dei filologi – che un colpo di zappa dello scavatore svela talvolta assai più cose che le profonde elucubrazioni del dotto; e talvolta anche spezza le trame sottilmente intessute con lunga fatica, come appunto è avvenuto di moltissimi studi sulle tragedie greche in relazione ai vasi dipinti. (p. 449)
  • È noto quale grandissima solennità fosse per gli Ateniesi la pubblica esecuzione del ditirambo nelle feste Dionisiache; è notissimo che le dieci tribù concorrevano al premio proposto dallo Stato, ciascuna con un coro, le cui spese erano sostenute dal corego e con un ditirambo composto dal poeta, che era anche il corodidascalo. Il corego vittorioso riceveva un tripode, che, a sue spese, era innalzato o nelle vicinanze del teatro di Dioniso, o nella strada detta appunto dei Tripodi; e spesso per accogliere questi monumenti votivi eran costruiti speciali tempietti. (p. 471)
  • È noto che in Atene, subito dopo le guerre persiane, una questione d'odio politico portò con sé la riforma della musica. Il flauto era lo strumento prediletto degli Ateniesi; ma esso era lo strumento nazionale dei Beoti; e quando questi diventarono vicini odiati e nemici, s'indisse guerra alla musica auletica. Un malinteso patriottismo mise in voga una nuova versione del mito di Athena e Marsia, diventata talmente popolare, che anche uno scultore grande come Mirone non seppe resistere alla tentazione di farne il suo gruppo famoso, da noi conosciuto, oltre che per le fonti letterarie, per varie rappresentanze figurate, e principalmente per la statua di Marsia del Museo del Laterano [...]. (p. 494)
  • [...] la più sicura e preziosa illustrazione di un ditirambo premiato l'abbiamo ancora sul fregio del monumento di Lisicrate, corego della tribù Acamantide, vincitrice col coro ciclico nel 334.
    In uno stile rapido e nervoso, vi è scolpita la lotta dei Satiri contro i Pirati tirreni, trasformati da Dioniso in delfini. E quale arditezza di artistica concezione, nel ritrarre gli strani corpi degli audaci pirati, che nel punto stesso di perdere la forma umana precipitano nelle onde marine!
    Questo fu certo il soggetto del ditirambo; e se la leggenda noi l'abbiamo già nel VI inno omerico, dalle sculture ci è lecito conchiudere che il poeta lirico aveva seguito una versione del mito, alquanto diversa. Ed accanto all'illustrazione del ditirambo, ecco, anche nel fregio, la scena dionisiaca generica. Il giovine Dio, sdraiato, scherza con la sua prediletta pantera; due Satiri seduti si riposano e guardano verso Dioniso; altri attingono vino dai capaci crateri.
    Questo fregio non vale forse assai più che le solite aridissime citazioni di qualche grammatico, cacciatore di parole rare o di non meno rari costrutti? (p. 504)

Note[modifica]

  1. Giuseppe Logoteta (1758-1799), patriota, politico ed intellettuale italiano.

Bibliografia[modifica]

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