Eschilo

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Eschilo

Eschilo di Eleusi (525 a.C. – 456 a.C.), tragediografo e poeta greco antico.

Citazioni di Eschilo[modifica]

  • Colui il quale canta al dio un canto di speranza, vedrà compiersi il suo vôto.[1]
  • Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, | morto a Gela produttrice di grano, questo monumento ricopre: | la sacra terra di Maratona potrebbe raccontare il suo glorioso valore | e il Medo dalle lunghe chiome che ben lo conosce.[2]
  • Fatti coraggio: il colmo della sventura non durerà a lungo.[3]
  • I malvagi che hanno successo sono insopportabili.[4]

Agamennone[modifica]

Incipit[modifica]

Simone Beta[modifica]

Scolta: Attendo dagli dèi la liberazione da questo fardello:
da lunghi anni ogni notte dal tetto degli Atridi,
appoggiato come un cane sui gomiti,
contemplo i convegni notturni degli astri,
e quelli che portano inverni e quelli che portano estati
agli uomini, sovrani corruschi dell'etere,
e il loro levarsi e il loro tramontare.
E sono ancora qui a spiare il segnale,
il guizzare del fuoco che porterà da Troia
la voce della vittoria.

Pier Paolo Pasolini[modifica]

Guardiano: Dio, fa' che finisca presto questa pena!
Da anni ed anni sto qui, senza pace,
come un cane, in questo lettuccio
della casa degli Atridi, ad aspettare.
Conosco ormai tutti i segni delle stelle,
specie di quelle che ritornano
con l'estate e l'inverno, e in cui traspare,
di fuoco, l'altro mondo. So tutto, di loro,
le nascite, i crepuscoli... E sono
sempre qui: ad aspettare il segno
della lampada, la fiammata che porti
notizie da Troia, la parola vittoria!
La stessa angoscia che prova una donna
quando cerca l'amore. Ah, mentre sto qui,
in questo lettuccio bagnato di rugiada,
che mi tiene, la notte, lontano dai miei,
in questo lettuccio che non conosce i sogni
(è la paura, lei sola-e non il sonno-
che vive, che non mi lasci mai chiudere
le palpebre al sonno), se ho voglia
di cantare, o di fischiettare, e così
cercare, col canto, di vincere il sonno,

invece, piango: perché penso al destino
di questa casa, alla sua gioia di un tempo.
Ah, vedessi oggi la fine della mia pena,
e splendesse il fuoco segnale di gioia!

Evviva! Fuoco, che fai giorno della notte,
un giorno di festa, nella città di Argo!
(Si alza dal letto).
Evviva, Evviva!
A chiamare, corro, a chiamare Clitennestra,
perché si metta a gridare, alzandosi dal letto,
rispondendo a quel fuoco, con grida di gioia!
Troia è vinta, lo dice quel segnale di fuoco!
Io per primo aprirò, ballando, la festa!
Il dado gettato dal mio sovrano ha vinto la sorte,
e il mio lavoro sarà compensato mille volte!
Che io possa, come rientrerà il mio sovrano,
con la mia mano toccare la sua amata mano...
Ma sarò muto, su tutto il resto, come una tomba...
Che parlino questi muri, se possono: loro
la sanno la verità! Io, per chi sa,
parlo, per chi non sa, ho dimenticato...

[Eschilo, L'Orestiade: Agamennone, traduzione di Pier Paolo Pasolini, Istituto Nazionale del Dramma Antico, 1960]

Domenico Ricci[modifica]

Or fa l'anno che imploro dagli dèi
il termine di tanto malagevole
guardia, ch'io compio raggomitolato,
la testa tra le braccia, come un cane,
mirando de' notturni astri il concilio
(la nascita e l'occaso delle stelle)
e i signori dell'etra luminosi,
che l'estate e l'inverno all'uomo adducono.
Sono anche adesso intento a osservare
il segnal della fiaccola, la viva
luce del fuoco, se da Troia giunga
della caduta d'Ilio messaggera.

[Eschilo, Agamennone, traduzione di Domenico Ricci, Rizzoli, 1950]

Ettore Romagnoli[modifica]

Scolta: Numi, il riscatto concedete a me
dei miei travagli, della guardia lunga
un anno già, ch'io vigilo sui tetti
degli Atridi, prostrato su le gomita
a mo' d'un cane. E de le stelle veggo
il notturno concilio, ed i signori
riscintillanti che nell'etra fulgono,
ed il verno e la state all'uomo recano.
Ed ora il segno aspetto della lampada,
del fuoco il raggio, che da Troia rechi
della presa città la fama e il grido.

[Eschilo, Agamennone, traduzione di Ettore Romagnoli]

Citazioni[modifica]

  • Non vi è riparo allo sterminio | per l'uomo che, imbaldanzito | dalle ricchezze, ha diroccato | il grande altare della Giustizia. (2004, p. 19)
  • [...] il malvagio che si avvoltola tra colpe | è destinato a perire. (2004, p. 20)
  • Alle fortune che già brillano, fortune s'aggiungono. (2004, p. 23)
  • Non è opportuno offuscare un giorno di festa con parole di malaugurio [...]. (2004, p. 28)
  • Un antico proverbio è diffuso tra gli uomini, | che la felicità dei mortali, | raggiunto il suo culmine, | partorisce, non muore sterile: | dalla fortuna germoglia alla stirpe | dolore insaziabile. (2004, p. 32)
  • La Giustizia brilla nelle capanne annerite dal fumo | e onora la vita timorata. (2004, p. 32)
  • Coro Tale fu grande un giorno e fiorente di ogni audacia guerriera, e di costui nemmen più si dirà che esistette; poi venne un secondo, e anche questo scomparve trovato un terzo più forte. Chi con cuore devoto canta epinici a Zeus, questo soltanto avrà colto suprema saggezza.
    Le vie della saggezza Zeus aprì ai mortali, facendo valere la legge che sapere è soffrire. Geme anche nel sonno, dinanzi al memore cuore, rimorso di colpe, e così agli uomini anche loro malgrado giunge saggezza; e questo è beneficio dei numi che saldamente seggono al sacro timone del mondo. (2000, p. 144)
  • Coro Solo a chi ha sofferto, bilancia di giustizia concede sapienza. (2000, p. 145)
  • Coro  Le preghiere e le suppliche al padre | non curano e l'età verginale | i príncipi bramosi di battaglie. | E ai servi il padre dopo la preghiera | impose sollevarla | come una capra sull'altare, | caduta ch'era nei pepli, | aggrappata con l'anima al suolo, | fermando nel freno della bocca | splendida prora, la voce, che non imprechi alle case, | violento morso muto. | Versando le vesti, spume di croco, a terra | ella colpisce ognuno dei sacrificatori | con la freccia di pietà dagli occhi, | come un'immagine viva, e voleva invocarlo, | lei che sovente danzava ai festini del padre | e, vergine, della sua pura voce onorava benigna | al terzo calice l'inno, pregando felice il destino. || Quel che seguì non ho veduto né dico. (1949, pp. 13-14)
  • Molti degli uomini preferiscono l'apparenza | più che l'essenza, scostandosi dal giusto. (2004, p. 33)
  • Chiunque è incline a piangere con l'infelice; | ma il morso del dolore | non gli penetra fino nell'infinito; | così, per mostrare di gioire con chi è felice, | sforza il suo volto che fa resistenza al sorriso. (2004, p. 33)
  • Clitennestra [...] questo sempre interviene fra gli uomini, che quando uno è caduto, tanto più lo calpestano. (2000, p. 156)
  • Clitennestra [rende omaggio ad Agamennone ritornato vincitore da Troia] Ho consumato gli occhi in lunghe veglie | per te, piangendo il fuoco dei segnali | che mai non appariva, e mi destavo | nei sogni a un ronzo lieve di zanzara, | vedendoti bersaglio di più mali | che gli attimi del sonno. Dopo tanti | dolori alfine libera d'angoscia, | chiamo quest'uomo il cane dell'ovile, | la gomena per cui scampa la nave, | la colonna che regge l'alta casa, | il figlio unico al padre, isola apparsa | ai naufraghi di là d'ogni speranza, | luce splendida dopo la tempesta, | fonte alle labbra arse del viandante. (1949, p. 37)
  • Agamennone [a Clitennestra] Anche senza velluti marezzati | la buona fama ha grido, e la misura | è il più grande fra i doni degli dèi: | dirai felice chi compì la vita | pago di sua prosperità. Mi arrida | tale grazia, e non temerò la sorte. (1949, p. 38)
  • Solo quando la vita di un uomo arriva alla fine in prosperità si può dire che quell'uomo è felice. (928-9)
Όλβισαι δέ χρή | βίον τελευτήσαντ' έν εύεστοί φίλη.
  • Coro Perché mi si alza a volo incontro | al cuore che interroga i prodigi | questo spavento ostinato, | e senza comando né premio | il canto scaglia presagi, | né, sdegnandoli al pari di sogni | inestricabili, siede | nel trono del cuore coraggio confidente? (1949, p. 40)
  • Coro Perché mai a me questa paura, stabilmente, come un guardiano davanti al mio cuore profetico volteggia? E un canto non richiesto, non pagato, pronuncia profezie, né posso io scacciarlo come si fa con sogni confusi, in modo che la fiducia rassicurante sieda sul trono della mia mente?  traduttore? traduttore?
  • Ma l'uomo che con tutto il cuore | celebra l'onnipotente | nome di dio, è il saggio vero! | È stato Lui a darci la ragione, | se è per lui che vale la legge: | solo chi soffre, sa. | Quando, in fondo al sonno, | il rimorso s'infiamma, | è in esso, inconscio, la coscienza: | così si attua la violenza d'amore | degli dei al tribunale dei cieli.[5]
  • Cassandra [rivolgendosi al Capo coro] Aiuto, aiuto! | di nuovo l'angoscia divina in me | fa vorticare la sua tempesta di voci! | Guardate questi ragazzi seduti | davanti al palazzo, ombre di sogno: | sì, sono i figli massacrati dai parenti, | le mani colme di carne, portano in pasto | le loro interiora, le loro viscere, | a un padre che se le porta alla bocca... | Ve lo dico: c'è uno di cui qualcuno vuole | la vendetta, un leone – ma un leone pavido, | nella casa, accucciato sul letto, che aspetta | che ritorni il padrone: padrone anche mio, | se mi trascina nelle catene della schiava. | E il capo della flotta, il distruttore di Troia, | non sa cosa l'atroce cagna, la cui voce | non fa che ridire una gioia ch'è morte, | gli prepara in nome delle vecchie colpe. | È dannata. Femmina assassina del maschio, | solo qualche mostro – Scilla, con le sue | due teste, terrore dei naviganti – forse | potrebbe prestarle il nome che si merita, | madre infuriata, uscita dall'inferno, in guerra | contro tutti i suoi! Ah, il grido di trionfo, | ch'essa ha lanciato, come sul nemico morto! | E doveva essere gioia per un felice ritorno! | Che mi crediate o non mi crediate, che importa? | Tutto si compirà. E tu, pieno di dolore, | vedrai che ho detto soltanto la verità.[6].
  • Cassandra [al Corifeo] Oh sorte dei mortali! È solo un'ombra | la fortuna; se piomba la sciagura, | rade una spugna madida ogni segno. (1949, p. 54)
  • Clitennestra [nella reggia, la scure in mano, dopo aver ucciso Agamennone] Io pensavo da tempo a questo cozzo | d'antica lite; e pure tardi, è giunto. | Dove ho vibrato il colpo ora mi accampo. | È stata opera mia, né la rinnego, | che non si scrolli o scampi al suo destino. | Ho stesa, come a squalo, immensa rete | su di lui: il fasto lugubre d'un manto. | Io gli vibro due colpi e in due lamenti | lui s'accascia: gli assesto il terzo, a terra, | in grazia all'Ade, scampo dei defunti. | Agita così l'anima caduto | e soffiando uno sprazzo acre di sangue | m'investe d'una funebre rugiada, | che mi rallegra come la semente | granisce al nembo, che largisce Giove. | Così stanno le cose, cittadini | venerabili in Argo; e ne godrete | voi, se vi piace; io me n'esalto in me. | Si potesse libare sui cadaveri, | qui sarebbe giustizia, alta giustizia – | di tanti mali e maledizioni | costui colmò la coppa in questa casa, | che ora, al ritorno, s'è vuotata solo. (1949, pp. 56-57)
  • Coro [rivolgendosi a Clitennestra] Oltraggio ribatte l'oltraggio | e arduo è giudicare; | chi preda è depredato e chi ferisce perisce. | Ma finché rimane Giove in trono, | rimane «Quel che fai ti è reso». È la legge. | Chi mai scaccerà dal palazzo | la stirpe di maledizioni? | Questa progenie è legata a sciagura. (1949, p. 63)
  • Egisto [rivolgendosi al Corifeo] Si sa bene che le speranze sono il cibo degli esuli. (2000, p. 173)
  • So come gli uomini in esilio si nutrano con sogni di speranza. (1668)
... φεύγοντας άνδρας έλπίδας σιτουμένους.

Coefore[modifica]

Incipit[modifica]

Ettore Romagnoli[modifica]

Oreste: O tu che vegli, Ermete sotterraneo,
del padre mio la sorte, a me che imploro
dà tu salvezza, al fianco mio combatti:
ché a questo suolo io giungo: io sono qui.
E lancio un bando al padre mio, sul clivo
di questa tomba, ch'ei m'oda, e m'ascolti.

[Eschilo, Coefore, traduzione di Ettore Romagnoli]

Simone Beta[modifica]

Oreste: Ermes sotterraneo, che vegli sulla potenza del padre,
salvatore e compagno, nella battaglia t'invoco.
Vedi che sono, giunto a questa terra, e il mio ritorno
..............................
e dal tumulo di questo sepolcro alzo un'invocazione
al padre, che mi oda, mi ascolti........
..........................
.......una ciocca all'Inaco che mi nutrì,
e questa seconda a te, segno di lutto.
......................
perché non presente, o padre, piansi la tua morte
né stesi la mano al feretro che si allontanava.

Pier Paolo Pasolini[modifica]

Oreste: Dio dell' Inferno, guarda mio padre ucciso:
sii il mio custode, la mia salvezza,
nell'ora in cui ritorno alla mia terra,
Qui, sul tumulo della tomba di mio padre,
io mi rivolgo a te, Dio, e tu ascoltami.
(Si strappa una ciocca di capelli e la depone sulla tomba)
Una ciocca di capelli ho dedicato al Dio
che m'ha allevato: e questa a te, Dio di dolore.
Io, padre mio, su te non ho cantato il canto
dei morti, non ti ho dato l'ultimo addio,
quando ti hanno trasportato fuori dalla casa...

[Echilo, L'Orestiade: Coefore, traduzione di Pier Paolo Pasolini, Istituto Nazionale del Dramma antico, 1960 ]

Citazioni[modifica]

  • La bilancia della giustizia | improvvisa oscura alcuni nella luce del giorno; | altri attende nell'ora che il sole | incontra la tenebra, e li copre l'affanno; | altri avvolge una notte senza fine. (2004, p. 69)
  • Chi violò talami di vergini, più non ha sollievo: | se i fiumi scendessero tutti da un'unica via | a purificare la mano macchiata di sangue, | scorrerebbero invano. (2004, p. 69)
  • [...] è la fatica dell'uomo che nutre l'ozio alle donne. (2004, p. 103)
  • Nessun mortale trascorrerà mai | vita incolume da pene. (2004, p. 108)
  • Una buona fortuna è un dio tra gli uomini, è più di una divinità stessa. (59-60)
Τό δ'εύτυχείν / τόδ'έν βροτοίς θεός τε xαί θεού πλέον.

Eumenidi[modifica]

Incipit[modifica]

Ettore Romagnoli[modifica]

Sacerdotessa: Prima con questa prece onoro Gea
che profetessa fu prima: indi Temide
che seconda ebbe sede in questo oracolo,
dopo sua madre, com'è fama; e terza,
né già per forza, ma piacendo a Temide,
vi salì Febe, prole dei Titani,
figliuola anch'essa della terra; e dono
natale a Febo ella ne fece, e il nome
serba ancora dell'ava. E il Dio, lasciate
le scogliere di Delo e la palude,
alle acclivi approdò spiagge di Pallade
e a questo suolo, ed al Parnaso giunse.

[Eschilo, Eumenidi, traduzione di Ettore Romagnoli]

Simone Beta[modifica]

Sacerdotessa: Avanti ogni altro dio onoro in questa preghiera
Gea, la prima profetessa; Temide dopo di lei,
che seconda s'istallò in questa sede profetica
già di sua madre, come si narra. E terza
vi ascese per suo volere, non per violenza d'alcuno,
un'altra tirannide, Febe, figlia della Terra;
e questa la consegnò quale dono di genetliaco
a Febo, che appunto da Febe derivò tale nome.
Egli dunque, lasciato il lago e le rocce di Delo,
approdò alle rive di Pallade aperte alle navi
e raggiunse questa terra e la sede del Parnaso.

Pier Paolo Pasolini[modifica]

Religiosa: Tra tutti gli dei, per prima, devo pregare
la prima delle veggenti, la Terra: e poi Temi
che per seconda fu sul seggio della madre profeta,
come dice la storia sacra. La terza
fu un'altra figlia della Terra, Febe
che prese il posto di Temi senza violenza:
nel giorno gioioso del suo genetliaco
Febe ne fece dono a Febo, ch'ebbe, da lei,
il nome. Abbandonando Delo e le sue scogliere,
egli venne qui, alle tranquille rive ateniesi,
e prese possesso, qui, di questa sede.

[Eschilo, L'Orestiade: Eumenidi, traduzione di Pier Paolo Pasolini, Istituto Nazionale del Dramma Antico, 1960]

Citazioni[modifica]

  • [Le Erinni] [...] non femmine, anzi Gòrgoni | io le dirò: benchè, neppure a Gòrgoni | le posso assimigliar, quali dipinte | io le vidi a Finèo predar la mensa. | Ma senz'ali son queste, e negre, e tutte | lorde: con ammorbanti aliti russano, | e sozze marce giú dai cigli colano. | Né vesti pari a quelle ch'esse cingono | tollerare saprian dei Numi gl'idoli, né tetti umani. Io mai progenie simile | non ho veduta, e non mi so qual terra | glorïar si potrà ch'ebbe a nutrirle | senza suo danno, senza averne a piangere. (1922, vol. II, p. 207)
  • Chi spontaneamente, senz'esservi costretto, | si comporta con giustizia, non sarà infelice, | né mai lo coglierà totale rovina. (2004, p. 134)

Persiani[modifica]

Incipit[modifica]

Ettore Romagnoli[modifica]

Coro: Lasciati a guardia della patria terra
E delle immense sue dovizie siamo,
Come i più vecchi: e al fido incarco, ei stesso
Il Re, Serse di Dario, in Grecia i Persi
A guerregiar traendo, eletti c'ebbe.
Ma un non so qual presagio infausto in cuore,
Circa il tornar dell'opulenti squadre
E del Re nostro, omai ci angoscia. Intero
Iva con esso il fior dell'Asia; e indarno.

Claudio Cesare Secchi[modifica]

Coro: Noi siamo i Fedeli dei Persiani partiti per la terra greca, i custodi della doviziosa reggia, ricca di molto oro, che lo stesso signore e re Serse, figlio di Dario, scelse come i più degni per l'età a sorvegliare il paese durante la sua assenza.

Franco Ferrari[modifica]

Coro: Noi dei Persiani partiti
per l'ellenica terra siamo detti i Fedeli,
e dei sontuosi degli aurati
palazzi i custodi, noi che in omaggio alla
nostra dignità
di propria scelta il sovrano, il re Serse
figlio di Dario
estese a vegliare su questo paese.

Citazioni[modifica]

  • Atossa Sempre, da quando il figliuol mio l'esercito | spinse, e partí, bramoso di distruggere | la Ionia terra, fra notturni sogni | vivo commista. E niun fu mai sí chiaro | come la scorsa notte. Or te lo narro. | Pareano innanzi a me giunger due femmine | in vesti adorne: un manto persïano | cingeva questa, e quella un manto dorico: | e di statura molto soverchiavano | le donne d'ora, e belle senza pecca, | e d'un sangue, sorelle. Ed abitavano | contrade avute in sorte: ellène questa, | barbare quella. Or, fra le due sorgeva, | pareami, una contesa. E il figliuol mio | se ne avvede, e le frena, e le ammonisce, | ed ai carri le aggioga, e impone redini | alle cervici. E in questa foggia, l'una | si pompeggiava, ed adattava docile | alle briglie la bocca: invece l'altra | relutta fiera, e con le man' gli arnesi | strappa del cocchio, e rompe a mezzo il giogo, | e senza freno lo trascina a forza. | Il figliuol mio giú piomba; e appare Dario | suo padre, e lo compiange. E appena Serse | lo vede, strappa dalle membra i panni. | Ciò che ti dico, ho visto fra le tenebre. | Quando poi mi levai, quando ebbi terse | d'un fonte ne le belle acque le palme, | con le mie mani ad offerir libami | a un'ara m'appressai, per fare offerte | agli Dei, che lontani i mali tengano. | E un'aquila fuggir verso l'altare | di Febo veggo. Pel terrore, amici, | muta rimango. Ed ecco, con grande impeto | d'ali, piombare scorgo uno sparviere, | che con gli artigli il capo le dispiuma: | e quella, altro non fa che rannicchiarsi | e abbandonarsi. Tali auspicî, e me | che vidi, e voi che udite sbigottiscono. (1922, pp. 96-97)
  • Umane sventure certo possono agli umani toccare; e molte sventure ai mortali vengon dal mare e molte poi dalla terra, se il tempo di vita in là si prolunghi. (1963, p. 76)
  • Ombra: [...] Io tornerò giù, nel buio sotterraneo. E a voi, o vegliardi, addio: pure in mezzo alle sventure date gioia al vostro cuore, giorno dopo giorno. Ricchezza non giova ai morti. (2006, p. 123)

Prometeo incatenato[modifica]

Incipit[modifica]

Ettore Romagnoli[modifica]

Potere: Agli estremi confini eccoci giunti
già della terra, in un deserto impervio
tramite de la Scizia. Ed ora, Efesto,
compier tu devi gli ordini che il padre
a te commise: a queste rupi eccelse
entro catene adamantine stringere
quest'empio, in ceppi che non mai si frangano:
ch'esso il tuo fiore, il folgorio del fuoco
padre d'ogni arte, t'involò, lo diede
ai mortali. Ai Celesti ora la pena
paghi di questa frodolenza, e apprenda
a rispettar la signoria di Giove,
a desister dal troppo amor degli uomini.

[Eschilo, Prometeo incatenato, traduzione di Ettore Romagnoli]

Guido Paduano[modifica]

Potere: Eccoci giunti ai confini della terra, nelle lande deserte della Scizia. Efesto, a te spetta mettere in pratica le istruzioni che ti ha dato il padre, e incatenare il condannato a una roccia in alto, con catene d'acciaio che non si possono spezzare. Il tuo vanto, la fiamma del fuoco che è fondamento di ogni arte, lui l'ha rubato e donato ai mortali: deve scontare questa colpa verso gli dei, e imparare ad accettare il governo di Zeus, e cessare la sua benevolenza verso gli uomini.
[Eschilo, Prometeo, traduzione di Guido Paduano, INDA, 2012]

Citazioni[modifica]

  • Tutto quanto il futuro io conosco perfettamente fin d'ora, né mi giungerà inatteso alcun dolore. Bisogna sopportare il meglio possibile la porzione di sorte che ci è assegnata, sapendo che invincibile è la forza della necessità. (vv. 101-5[8])
  • La tecnica è di gran lunga più debole della necessità. (v. 514[8])
Téchne d'anánkes asthenéstera makrô.
  • Coro: Chi governa la necessità?
    Prometeo: Le Moire che tessono il filo e le Erinni dalla memoria implacabile.
    Coro: E Zeus è più debole [athenésteros] di loro?
    Prometeo: Anche Zeus non può sfuggire a ciò che è destinato [peproménen]. (vv. 515-518[8])
  • Il tempo con il suo trascorrere insegna tutte le cose. (982)
Έxδιδάσxει πάνθ' ό γηράσxων χρόνος.
  • O venerata maestà di mia madre, o etere che volgi la luce, spalancato su tutti, vedete voi l'ingiustizia che soffro.  traduttore? traduttore?
  • Tutto è fissato, tranne che per chi comanda agli dèi: libero infatti è nessuno all'infuori di Zeus.  traduttore? traduttore?
  • Non di forza e di violenza c'è bisogno, ma il primo per conoscenza sarà re. (citato in Joseph L. Mankiewicz, a cura di Alberto Morsiani, Il Castoro Cinema, 1991. Ed. 2005.)

Sette contro Tebe[modifica]

Incipit[modifica]

Ettore Romagnoli[modifica]

Eteocle: Cittadini cadmei, chi su la poppa
de la città volge la barra, e regge
lo stato, senza mai sopire il ciglio,
parole acconce deve dir: ché quando
ridon gli eventi ella è mercé dei Numi;
ma se poi, deh!, non sia, male ne incolga,
per la città solo sarebbe Eteocle
con preludii d'obbrobrio altosonanti
e con querele decantato – Giove
che detto è salutar, salute arrechi
alla città di Cadmo. – Or tutti voi,
e quei che al fiore dell'età non giunge,
e quei che lo mirò vizzo negli anni,
riscotendo nei membri ogni vigore,
volgendo alla piú acconcia opra la cura,
date soccorso a Tebe, ed agli altari
dei patri Numi, che non mai d'onore
sien privi, e ai figli, e a questa terra madre,
carissima nutrice.

[Eschilo, Sette contro Tebe, traduzione di Ettore Romagnoli]

Franco Ferrari[modifica]

Eteocle: Cittadini di Cadmo, deve dire ciò che il momento esige colui che alla proppa della città veglia sul bene comune e il timone dirige senza mai assopire le palpebre al sonno. Se ci andrà bene, ne sarà causa un dio; ma se all'inverso – oh non accada! – sorte nemica ci toccherà, Eteocle soltanto per tutta la città da mormorio avverso di preludi e da singhiozzi celebrato sarà: ma Zeus distornatore veramente distornatore sia di questi mali alla città dei Cadmei.

Citazioni[modifica]

  • Mai nella sventura e neppure nell'agognata prosperità mi sia dato di coabitare con la razza delle donne. Perché la donna, se impera, non è che impudenza impraticabile, e se teme è iattura ancor più grande per case e città. (2006, pp. 157 e 159)
  • Il bene pubblico è interesse dell'uomo: guai se decide la donna. (2006, p. 159)
  • Non riuscirai a sottrarti ai mali che gli dei ti danno.
Θεῶν διδόντων ούκ ἂν ἐκφύγοις κακά.

Supplici[modifica]

Incipit[modifica]

Ettore Romagnoli[modifica]

Coro: Protettore dei supplici, Giove,
volgi l'occhio benevolo a questa
nostra schiera, che giunge per mare
dalle foci e le sabbie del Nilo.
La divina contrada finitima
della Siria fuggiamo; né bando
contro noi per delitto di sangue
decretava la nostra città.
Ma spontanee fuggiamo da sposi
consanguinei, schiviam l'abominio
d'empie nozze coi figli d'Egitto.

[Eschilo, Supplici, traduzione di Ettore Romagnoli]

Franco Ferrari[modifica]

Coro: Zeus supplicante osservi con mente propizia
questo nostro stuolo salpato su navi
dalle bocche sabbiose del Nilo.
Lasciammo la terra di Zeus
che con la Siria confina e fuggimmo esuli
non perché condannate da pubblico voto
per colpa di sangue
ma perché ripudiamo uomini della nostra stirpe
e abominiamo il connubio e l'empio progetto
dei figli di Egitto.

Felice Bellotti[modifica]

Giove signor di chi pregando viene,
or con benigno ciglio
riguardi noi, dalle minute arene
qua del Nilo approdanti. La divina
terra a'Sirii vicina,
non dannate ad esiglio
per cruento delitto
lasciammo, no; ma per fuggir le sozze
de'congiunti con noi figli d'Egitto
abbominande nozze.
Danao di noi padre, consiglio, e duce,
ben librando trascelse infra due mali
il più decoro a sopportar: per l'onda
del mar fuggirsen ratto,
e al suol d'Argo arrivar, donde i natali
nostra schiatta deduce,
poi che in grembo all'Argiva Io furibonda
originò dal tatto
e dall'aura di Giove. A quali or noi
più venir ne potremmo amiche prode,
in man l'ulivo in lane bende avvolto?

Citazioni[modifica]

  • Non conviene che il debole abbia lingua audace. (2006, p. 245)

Citazioni su Eschilo[modifica]

Silvio D'Amico[modifica]

  • È ben vero che il carattere fondamentale di Eschilo è la sua religiosità. Soltanto – e il Prometeo incatenato n'è una riprova: non la sola – questa religiosità non coincide con l'ossequio alla religione ufficiale del tempo suo. Tanto vero che anche Eschilo, come molti spiriti più veramente e profondamente religiosi dei propri contemporanei, fu accusato d'empietà.
  • La religiosità di Eschilo non è quella, antropomorfica e superstiziosa, dei Greci del tempo suo. Eschilo ha, della Divinità, un concetto indicibilmente più alto e più puro; tende al monoteismo.
  • Negli eventi umani Eschilo scorge una forza misteriosa, che non è la Provvidenza cristiana (non è consolatrice, non è chiaroveggente), ma piuttosto una giustizia inesorabile, la quale raggiunge il colpevole, e lo castiga, in lui e nel suo sangue, cioè nei figli, e nei figli dei figli. Idea anche questa biblica; e strettamente connessa all'altra, che la colpa genera la colpa, e il sangue chiama sangue, sino alla totale espiazione.

Note[modifica]

  1. Citato in Gabriele D'Annunzio, Il fuoco, BMM, 1959.
  2. Epitaffio, tradotto in Richard Billows, Maratona, p. 17.
  3. Frammenti, 352.
  4. Frammenti, 398. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Da L'Orestiade: Agamennone, traduzione di Pier Paolo Pasolini, Istituto Nazionale del Dramma Antico, 1960.
  6. Da L'Orestiade: Agamennone, traduzione di Pier Paolo Pasolini, Istituto Nazionale del Dramma Antico, 1960.
  7. Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009, p. 969. ISBN 9788811504894
  8. a b c Citato in Umberto Galimberti, Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999.

Bibliografia[modifica]

  • Eschilo, Agamennone, traduzione di Domenico Ricci, Rizzoli, 1950.
  • Eschilo, Agamennone, traduzione di Manara Valgimigli; in Eschilo: Tutte le tragedie: I Persiani, I Sette a Tebe, Le supplici, Prometeo incatenato, Agamennone, Le Coefore, Le Eumenidi, traduzione di Enzo Mandruzzato, Leone Traverso, Manara Valgimigli, Newton Compton, Roma, 2000. ISBN 88-8289-366-9
  • Eschilo, Agamennone, in La tragedia greca. Eschilo, Sofocle, Euripide (pubblicata in collaborazione con Il Giornale), a cura di Simone Beta, Einaudi, Torino 2004.
  • Eschilo, Coefore, in La tragedia greca. Eschilo, Sofocle, Euripide (pubblicata in collaborazione con Il Giornale), a cura di Simone Beta, Einaudi, Torino 2004.
  • Eschilo, Eumenidi, in La tragedia greca. Eschilo, Sofocle, Euripide (pubblicata in collaborazione con Il Giornale), a cura di Simone Beta, Einaudi, Torino 2004.
  • Eschilo, Orestiade, cura e traduzione di Leone Traverso, Giulio Einaudi editore, Torino, 1949.
  • Eschilo, Orestiade, traduzione di Pier Paolo Pasolini, Istituto Nazionale del Dramma Antico, 1960.
  • Eschilo, I Persiani, traduzione di Ettore Romagnoli, 1922, in Eschilo Le Tragedie Le Supplici I Persiani I sette a Tebe Prometeo, Traduzione di Ettore Romagnoli, con incisioni di Adolfo De Carolis, Nicola Zanichelli, Bologna.
  • Eschilo, Persiani, traduzione di Vittorio Alfieri, in Vittorio Alfieri, Opere, 1815.
  • Eschilo, Persiani, traduzione di Claudio Cesare Secchi, Carlo Signorelli, Milano, 1963.
  • Eschilo, Persiani, traduzione e introduzione di Franco Ferrari, BUR, Milano, 2006.
  • Eschilo, Prometeo, traduzione di Guido Paduano, INDA, 2012.
  • Eschilo, Prometeo incatenato, traduzione di C. Carena, Einaudi, Torino, 1995.
  • Eschilo, Sette contro Tebe, traduzione e introduzione di Franco Ferrari, BUR, Milano, 2006.
  • Eschilo, Supplici, traduzione e introduzione di Franco Ferrari, BUR, Milano, 2006.

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