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Ippolito Pindemonte

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Ippolito Pindemonte

Ippolito Pindemonte (1753 – 1828), poeta e scrittore italiano.

Citazioni di Ippolito Pindemonte

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  • L'amor della solitudine nasce da indole trista e rinchiusa: può essere in molti. Nasce dalla noja del Mondo; o questa derivi dal ben conoscerlo, e però da un disinganno totale; o dal conoscerlo poco, e quindi dal non saper vivere in esso: anche questo esser può. Nasce da quel senso fino de' falli e difetti umani, unito ad una passion forte per le doti della mente e del cuore, che a formar viene ciò che dicesi misantropía: anche questo. Nasce da passione di studio, massime ove si tratti di quelle facoltà, che più comodamente coltivar si possono in villa: e questo ancora. Ma la libertà del vivere, l'amor del riposo, il piacer della meditazione, la cura della propria salute, lo spettacolo de' lavori e della rustica economia, son motivi anche questi di considerazion degni; a nulla dire di quell'incantesimo per alcuni così possente, che su la faccia sparso veggiamo della natura.[1]
  • [Sulla luna] Ma più, che l'andarti con mente filosofica considerando, mi giova, abbandonato a' miei sensi, ricever nell'occhio a un tempo e nell'anima, che ti apro tutta, quella soave e nobile melanconia, che piove dalla tua faccia; massimamente in quest'ora, che, l'ardente Sol tramontato, tu ci ridoni il suo lume, ma spogliato della sua fiamma, ed un più dolce e più mansueto giorno spargi sopra la terra; mi giova o vederti passar lentamente dietro quelle nubi, che ora mi ti celano, ed ora scuoprono, o nell'azzurra volta serena contemplarti immobile e trionfante, mentre cade continuo di pallidetti raggi un diluvio, l'aria biancheggia tutta all'intorno, e il colle ed il piano si mostrano tinti di bella luce argentina.[2]
  • Melanconia, | ninfa gentile, | la vita mia | consegno a te. | I tuoi piaceri | chi tiene a vile, | ai piacer veri | nato non è.[3]
  • [Sulla luna] Perché sola ti vede, | sola l'ignaro vulgo in ciel ti crede: | ma il Riposo, la Calma, | del meditar Vaghezza, | ogni Piacer dell'alma, | la gioconda Tristezza, | e la Pietà, con dolce stilla all'occhio, | ti stanno taciturne intorno al cocchio.[4]
  • [...] quasi di lìcor, che dall'un vaso | passi nell'altro, dell'arguto motto, | ove dall'una varchi all'altra bocca, | il volatile spirto esala e sfuma.[5]
  • Son cari a Bacco questi colli, e cara | questa fonte alle Naiadi è non meno. | Se troppo di quel Nume hai caldo il seno, | tu con quest'acque a rinfrescarlo impara.[6]
  • Un mucchio d'ossa | sente l'onor degli accerchianti marmi | o de' custodi delle sue catene | cale a un libero spirto?[7]
  • Una delle più rare scene, che la campagna ci offra, è quella del Sole nel suo tramontare. Ella m'è ancor più cara di quella del Sol nascente, forse in grazia d'una di quelle considerazioni, che si fanno quasi senza avvedersene. Il Sole, che nasce, sappiamo che rimarrà con noi per alcune ore: quello, che muore, nol rivedremo che il giorno appresso. Ora non è egli così d'ogni cosa, che allora ci par più preziosa e grande, che ci sfugge e abbandona?[8]
  • Veggo persona tra i cespugli e i sassi. | Sedea sovra il maggior masso, che un giorno | sorse nobil meta d'alta colonna: | abbarbicata or gli è l'edera intorno. | M'appresso; ed era ossequïabil Donna: | scendea sul petto il crine in due diviso, | e bianca la copria semplice gonna. | Par che lo sguardo al ciel rivolto e fiso | nelle nubi si pasca, e tutta pósi | l'alma rapita nel beato viso. | Chi sei? le dico; ed ella, i rai pensosi | chinando, Solitudine m'appello [...].[9]

Elogi di letterati italiani

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  • [...] Giuseppe Torelli questo ci offre di singolare in sé stesso, che sino agli ultimi dì passò dall'arte de' versi alla scienza della quantità, e da questa ritornò a quella con una facilità incomparabile: al che se aggiungiamo, che cognizion di più lingue e letterature, erudizion generale, e fino gusto per le belle arti era in lui, s'intenderà leggermente, quanti tornar dovessero, e quanti vari i suoi intellettuali piaceri. (vol. II, p. 93)
  • I versi del Torelli alla sua prosa non cedono, se io m'appongo; benché, soddisfacendo agli altri, paresse non soddisfar bastantemente a sé stesso, pochi essendo, e brevi la più parte, i componimenti poetici che di lui abbiamo. Tutti del resto in volgare; ed è una certa maraviglia che, amando egli d'esercitarsi più nella latina prosa, che nell'italiana, e anco esercitandovisi meglio, un sol verso latino non si vedesse uscirgli mai dalla penna. (vol. II, p. 106)
  • [Giuseppe Torelli] Fu di mezzana statura, di faccia accesa e regolare, di fronte larga, d'occhi neri e vivaci, e nel tempo stesso di fisonomia grave, pensosa e meditativa. Benché sembrasse parlar volentieri con tutti, e a tutti, quanto ragion vuole, s'accomodasse, pur si vedea che non intertenevasi con piacere se non tra persone che in qualche arte o scienza si dilettassero; non già che in ogni uomo esigesse il sapere, ma del sapere almeno esigea la stima ed il desiderio. (vol. II, p. 133)

Le quattro parti del giorno

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  • Candido Nume, che rosato ha il piede, | e di Venere l'astro in fronte porta, | il bel Mattino sorridendo riede, | del già propinquo Sol messaggio e scorta. | Fuggì dinanzi a lui Notte, che or siede | sovra l'occidentale ultima porta, | con man traendo a sé da tutto il cielo, | e in sé stesso piegando il fosco velo.[10]
  • O bella Sera, amabil Dea fra mille, | che non suonano i miei versi più dolce, | e il gentile tuo viso, e le pupille, | onde melanconia spira sì dolce, | e il crin, che ambrosia piove a larghe stille, | e quel, che l'aure rinfrescando molce, | respiro della tua bocca rosata, | che non ho per lodar voce più grata?[11]
  • Insieme con le fresche aure notturne | volan le dolci Calme, e i bei Riposi, | e i Genj, che dormir nelle diurne | ore, e godon vegliar co' cieli ombrosi, | e con sordo aleggiar le taciturne | Gioje tranquille, ed i Piacer pensosi: | mentre su colle e pian disteso giace | quell'orror bello, che attristando piace.[12]

Incipit di alcune opere

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Arminio

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Far riviver gli estinti, e i prischi Eroi
Condurre a passeggiar tra pinte scene,
E a lor dar voce, che di lor sia degna;
Metter su gli occhi di chi ascolta il pianto,
Del non vero creando ambascia vera;
E alzar gli spirti, e col piacer cercato
La virtù non cercata indur ne' cori:
Questo io prima insegnai d'Ilisso in riva.

I cimiteri

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Le anguste case e i bassi e freddi letti
Ove il raggio del sol mai non penètra,
E quella che Verona ai suoi negletti
Figli concede ultima stanza tetra,
Pria che a terra me pur la Parca getti,
Metter vogl'io su la sdegnata cetra.
Vieni, o Dea, vieni a me dal tuo Permesso,
E il crin mi cingi di feral cipresso.

I sepolcri

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AL CORTESE LETTORE,

IPPOLITO PINDEMONTE

lo avea concepito un Poema in quattro Canti e in ottava rima sopra i Cimiteri, soggetto che mi parea nuovo, dir non potendosi che trattato l'abbia chi lo riguardò sotto un solo e particolare aspetto, o chi sotto il titolo di sepolture non fece che infilzare considerazioni morali e religiose su la fine dell'uomo. L'idea di tal Poema fu in me destata dal Camposanto ch'io vedea, non senza un certo sdegno, in Verona. Non ch'io disapprovi i Campisanti generalmente; ma quello increscevami della mia patria, perché distinzione alcuna non v'era tra fossa e fossa, perché una lapide non v'appariva, e perché non concedevasi ad uomo vivo l'entrare in esso. Compiuto quasi io avea il primo Canto, quando seppi che uno scrittore d'ingegno non ordinario, Ugo Foscolo, stava per pubblicare alcuni suoi versi a me indirizzati sopra i Sepolcri. L'argomento mio, che nuovo più non pareami, cominciò allora a dispiacermi, ed io abbandonai il mio lavoro. Ma leggendo la poesia a me indirizzata, sentii ridestarsi in me l'antico affetto per quell'argomento; e sembrandomi che spigolare si potesse ancora in tal campo, vi rientrai, e stesi alcuni versi in forma di risposta all'autor de' Sepolcri, benché pochissimo abbia io potuto giovarmi di quanto avea prima concepito e messo in carta su i Cimiteri.

La fata Morgana

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Temira, udisti mai la meraviglia,
Che nel Siculo mare a i giorni estivi
Tra il lito di Messina e quel di Reggio
Il fortunato passeggier consola?
Su la cetra io l'ho posta; odila: quando
L'ora, e il loco al cantar ne invita, e quando,
Come tutto è quaggiù mutabil cosa,
Più di me non ti piace ormai che il canto.

Citazioni su Ippolito Pindemonte

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  • È parere di alcuni, che Ippolito Pindemonte non facesse fare alle nostre lettere niun passo considerabile e degno d'esser notato, e che solo ponesse ogni opera a conservarle nella nativa loro dignità e gentilezza. Il che non vorrebbe dirsi piccola gloria in mezzo alle tante lascivie e stranezze di certi nuovi schiavi, che pur si gridano caldi d'amore di patria! (Salvatore Betti)
  • Fu Ippolito, siccome uomo di sottile discernimento, apprezzatore giustissimo di tutte le letterature: e lesse molto, e con diletto, anche ne' libri scritti di là dai monti. Ma nondimeno l'amor suo fu costantemente nel modi di questa sì cara Italia: né mai lasciò strascinarsi vilmente da straniera insolenza a rifiutare la patria, o prese per fiori i triboli e le spine altrui, o cercò il nuovo nel mostruoso, il grande nel turgido e nel gigantesco, e la profondità de' concetti nell'oscurità. (Salvatore Betti)

Note

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  1. Da Hoc erat in votis, in Le prose e poesie campestri d'Ippolito Pindemonte, pp. 6-7.
  2. Da Lucentemque globum Lunae, Titaniaque astra Spiritus intus alit, in Le prose e poesie campestri d'Ippolito Pindemonte, p. 101.
  3. Da La Melanconia, IV, in Poesie Campestri.
  4. Da Alla luna, III, in Poesie Campestri.
  5. Da L'utile avvertimento, in Sermoni, Società tipografica, Verona, 1818, pp. 53-54.
  6. Da Inscrizione sopra una fonte.
  7. Da I sepolcri, 40-43.
  8. Da Quod latet arcana non enarrabile fibra, in Le prose e poesie campestri d'Ippolito Pindemonte, p. 37.
  9. Da La Solitudine, vv. 24-35, in Poesie Campestri.
  10. Da Il Mattino, I, in Poesie Campestri.
  11. Da La Sera, VI, in Poesie Campestri.
  12. Da La Notte, III, in Poesie Campestri.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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