Irshad Manji

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Irshad Manji nel 2007

Irshad Manji (1968 – vivente), scrittrice e giornalista canadese di origine ugandese.

Citazioni di Irshad Manji[modifica]

  • Dopo che fui cacciata da scuola, ho imparato da sola sull'islam molto più di tutti quei musulmani che frequentano le scuole. Se più musulmani lo facessero, riflettessero da soli, la nostra religione sarebbe molto diversa. Ho notato che molti giovani lo desiderano. Quando parlo alle università, gli studenti poi vengono da me. «Aiutaci», dicono. «Abbiamo bisogno d'aria in questa religione soffocante».[1]
  • In teoria l'islam è una religione meravigliosamente tollerante. Il problema è che questa religione meravigliosamente tollerante è piegata sotto il giogo dell'imperialismo culturale arabo, che costringe le donne a rinunciare al loro individualismo per l'onore della famiglia, diventando così una proprietà comune. A una ragazza violentata vengono inflitti centottanta colpi di frusta per aver avuto rapporti sessuali prima del matrimonio. È contro questo che dobbiamo batterci.[1]
  • Le persone, musulmane e non, hanno il diritto di essere rispettate solo e unicamente se a loro volta rispettano gli altri.[1]
  • Non ci sono mai stati genitori che abbiano diseredato la figlia perché non voleva farsi ingrandire il seno. Se non voleva essere infibulata o data in sposa a un uomo invece sì. Il fatto più grave è che questa paura di discriminare spinge le donne musulmane in un abisso ancora più profondo. A chi facciamo un favore, non parlandone? Non voler essere razzisti è segno di egoismo.[1]

Quando abbiamo smesso di pensare?[modifica]

Incipit[modifica]

Sorelle e fratelli musulmani,
innanzitutto voglio essere onesta con voi: l'Islam e io siamo ai ferri corti. Non faccio altro che stringere i denti, ansiosa di scoprire quali novità ci riservino gli autoproclamati ambasciatori di Allah.
Ogni volta che penso alla quantità di fatwa lanciate dal monopolio dei cervelli della nostra fede, provo enorme imbarazzo. Voi no? Un amico saudita mi racconta che nel suo paese la polizia religiosa arresta le donne che il giorno di San Valentino si vestono di rosso, e istintivamente mi chiedo: quando mai un Dio misericordioso metterebbe fuori legge l'allegria? Leggo di vittime di stupri lapidate per «adulterio», e mi domando come la maggioranza di noi possa restare muta come un sasso.
Quando i non musulmani ci supplicano di far sentire la nostra voce, voi protestate che non siamo tenuti a giustificare il comportamento di altri musulmani, ma quando veniamo fraintesi non ci rendiamo conto che ciò accade proprio perché non abbiamo fornito motivo di modificare l'opinione imperante su di noi. Se poi parlo in pubblico delle nostre debolezze e dei nostri difetti, i musulmani più pronti a fiutare lo stereotipo mi bollano come traditrice. Perché traditrice? Perché mi schiero dalla parte della chiarezza morale? Della dignità e del buongusto? Della civiltà?

Citazioni[modifica]

  • Perché siamo ostaggio di quanto accade tra israeliani e palestinesi? Come spiegare la persistente vena di antisemitismo che percorre l'Islam? Chi ci vuole veramente colonizzare: l'America o l'Arabia? Per quale ragione continuiamo a sprecare il talento e la ricchezza delle donne, che rappresentano il cinquanta per cento abbondante della creazione divina? Cosa ci rende tanto sicuri che gli omosessuali meritino il nostro ostracismo – se non addirittura la morte – quando, secondo il Corano, tutto ciò che Dio crea è «eccellente»? Certo, il Corano dice molte altre cose, ma che scusa abbiamo per prenderlo alla lettera, quando è tanto ambiguo e contraddittorio? (p. 6)
  • Sono una refusenik dell'Islam. Questo non significa che mi rifiuto di essere musulmana. Però mi rifiuto di far parte di un esercito di automi che agiscono nel nome di Allah. Ho preso in presto l'espressione dai primi refusenik, gli ebrei sovietici che difendevano in pari misura la libertà religiosa e quella personale. (p. 7)
  • Oggi, non solo a causa dell'11 settembre, ma in seguito a quell'evento con tanta più urgenza, dobbiamo porre fine al totalitarismo dell'Islam, e in particolare alle flagranti violazioni dei diritti delle donne e dell minoranze religiose. So quanto vi piacerebbe gridarmi che quello delineato in questa lettera aperta non è «il vero» Islam. Sinceramente, una distinzione simile non avrebbe fatto colpo nemmeno sul profeta Maometto, per il quale la religione era il modo in cui gli uomini si comportavano con gli altri uomini; non in teoria, ma nella pratica. A rigor di logica, dunque, il modo in cui i musulmani si comportano è l'Islam. Nascondere questa realtà serve solo ad assolverci dalla responsabilità nei confronti dei nostri simili. (p. 7)
  • Fra il 1971 e il 1973 migliaia di musulmani di origine asiatica fuggirono dall'Uganda dopo che Idi Amin Dada, generale e dittatore, aveva proclamato che l'Africa apparteneva ai neri. A noi della pelle olivastra furono concesse poche settimane per scegliere fra l'esilio e la morte. (p. 9)
  • Noi musulmani schiacciavamo la dignità di chi aveva la pelle più scura della nostra e sfruttavamo senza pietà i neri africani. Adesso non ditemi, per favore, che era una durezza appresa dai coloni inglesi, perché allora sorge spontanea una domanda: per quale motivo non avevamo imparato anche a lasciare spazio all'iniziativa imprenditoriale dei neri, così come gli inglesi ne avevano lasciato alla nostra? (p. 10)
  • Oggi mi guardo indietro e ringrazio Dio di essere capitata in un mondo dove il Corano non doveva necessariamente essere il primo e l'ultimo libro a passarmi tra le mani, nemmeno si trattasse dell'unica ricchezza che la vita offre ai credenti. (p. 11)
  • Solo le società libere permettono agli individui di reinventarsi e alle religioni di evolvere. (p. 11)
  • Nella comunità afroislamica da cui provenivo mi sarebbe mai stato permesso il frequentare la scuola e l'università? Di ottenere una borsa di studio? Di presentarmi come candidata politica e di venire effettivamente eletta? A giudicare dalle sgranate fotografie in bianco e nero che mi ritraggono a tre anni intenta a giocare alla sposa con il capo coperto, le mani giunte, gli occhi bassi e le gambine penzoloni dal divano, posso solo immaginare che se fossi rimasta entro i confini dell'Uganda musulmano il mio destino sarebbe stato piegare la testa dinanzi a un ordine gerarchico inflessibile. (p. 15)
  • La maggioranza dei musulmani non ha idea di cosa sta dicendo mentre recita il Corano, e non perché sia stupida, ma perché l'arabo è una delle lingue più complesse al mondo e una lezione la settimana alla madrasa non è sufficiente per chiarirne i punti oscuri. La parola haram, per esempio, può riferirsi a qualcosa di proibito o a qualcosa di sacro, a seconda della sillaba su cui cade l'accento. Alle complessità della lingua dovete aggiungere la realtà di tutti i giorni. (p. 18)
  • Perché tollerare la farsa di recitare in arabo, se in quella lingua il sacro testo non aveva senso e non faceva vibrare in me nessuna corda? Perché sostenere a priori che le traduzioni del Corano per forza «corrompevano» l'originale? Voglio dire, se il Corano è così univoco e diretto come i puristi ci raccontano, perché allora i suoi insegnamenti non possono essere facilmente tradotti in tutte le altre lingue? E per quale ragione stigmatizzare coloro che tra noi non parlano arabo, quando in tutto il mondo solo il tredici per cento dei musulmani è arabo? In altre parole, quando l'ottantasette per cento non lo è? (pp. 18-19)
  • La maggioranza di noi non è musulmana perché ci pensa, ma perché ci nasce. Siamo musulmani, punto e basta. (p. 22)
  • La pratica di lavare precise parti del corpo, di recitare specifici versi e di prostrarsi in una direzione fissa, e sempre negli stessi orari, può tuttavia degenerare in una forma di sottomissione passiva e abitudinaria. Se non avete notato nulla del genere nei vostri genitori o nei vostri nonni, credetemi, nel mondo islamico siete un'eccezione. (p. 24)
  • Quanti di noi sanno fino a che punto l'Islam è un «dono degli ebrei»? L'unità della creazione, l'intrinseca e spesso misteriosa giustizia divina, la nostra capacità innata di creature di Dio di scegliere il bene, il senso della nostra vita terrena, l'infinitezza di quella ultraterrena: queste e altre idee portanti del monoteismo sono pervenute ai musulmani tramite l'ebraismo. Per me fu una scoperto sconvolgente perché ne derivava che l'Islam non aveva alcuna necessità di alimentare l'antisemitismo. Anzi, semmai avevamo molti più motivi di esser grati agli ebrei che non di odiarli. (p. 27)
  • In quanto primi monoteisti assoluti, gli ebrei avevano preparato il terreno per l'avvento dei cristiani e, successivamente, dei musulmani. Vedete dunque che non siamo stati noi a inventare l'unico Dio: ciò che abbiamo fatto è stato ribattezzarLo col nome di Allah – in arabo, «il Dio». Il Dio degli ebrei e dei cristiani. (p. 28)
  • Se un maggior numero di noi sapesse che l'Islam è il prodotto di mescolanze e contaminazioni, e non uno stile di vita assolutamente originale, se comprendessimo cioè la natura ibrida della nostra cultura spirituale, saremmo più disposti ad accettare «l'altro»? (p. 28)
  • Se l'Islam è flessibile dovrebbe esserlo anche in senso migliorativo, non solo peggiorativo, giusto? (p. 29)
  • In Pakistan una media di due donne al giorno muore per «omicidi d'onore» in cui, spesso, l'assassino uccide invocando il nome di Allah. In Malaysia una donna musulmana non è libera di spostarsi e viaggiare senza il consenso di un uomo. In Mauritania e nel Mali un gran numero di bambini viene adescato e ridotto in stato di totale asservimento da impostori musulmani. Nel Sudan la schiavitù è praticata dalle stesse milizie islamiche. In Giordania e nello Yemen volontari di organizzazioni umanitarie cristiane sono stati assassinati senza alcun motivo. Nel Bangladesh artisti che invocavano i diritti delle minoranze religiose sono stati imprigionati o espulsi seduta stante dal paese. Tutti fatti documentati. (p. 35)
  • I leader cristiani sono consapevoli della varietà intellettuale dei loro fedeli, e se ciascuno è libero di negare la validità delle altrui interpretazioni – così come molti fanno –, nessuno può negare che una molteplicità di interpretazioni però esista. Per quanto riguarda poi gli ebrei, in questo senso sono di gran lunga i più progrediti: circondando le loro scritture di commenti e incorporando una quantità di dibattiti nel Talmud stesso, di fatto promuovono la diversità d'opinione. Per contrasto, la maggioranza dei musulmani considera il Corano un documento da prendere alla lettera, anziché da interpretare, soffocando così ogni forma di autonomia intellettuale.
    Persino in Occidente è normale insegnare ai musulmani che il Corano è il manifesto ultimo e definitivo, il Corano è la scrittura «perfetta» che non può essere né analizzata, né messa in discussione, né interpretata, ma solo creduta. La prima parola in assoluto che il profeta Maometto udì dall'arcangelo Gabriele, messaggero di Dio, fu proprio «Recita!», che in talune versioni diventa «Leggi!» Comunque sia, pronunciare i sacri testi a pappagallo è spesso il massimo a cui si spinge la maggioranza di noi. Andare oltre, infatti, rischierebbe di essere... un'interpretazione. (p. 38)
  • Quando sotto l'egida dell'Islam vengono perpetrate violenze e abusi, la maggior parte dei musulmani non sa né come reagire, né come adattarsi, né come cambiare. Ma non importa, ci dicono, perché continuando ad aderire al testo perfetto nessuna violenza e nessun abuso possono realmente verificarsi. Questa è una logica delirante! Un condizionamento mentale così circolare è abbastanza per trasformare anche i fari intellettuali più brillanti in pallidi, e per giunta pericolosi, lumicini. (p. 39)
  • Chi fu creato per primo: Adamo o Eva? Su questo punto il Corano tace completamente. Dio soffiò la vita in «una persona», dopodiché le diede compagnia. Chi dei due fosse l'uomo e chi la donna sembra essere un particolare irrilevante.
    Nulla viene detto della costola di Adamo da cui, stando alla Bibbia, ebbe origine Eva. Né peraltro il Corano suggerisce che Eva lo abbia tentato con il frutto proibito. In buona sostanza: non sussiste alcun riscontro alla teorica superiorità maschile. Tutt'altro. Il Corano ammonisce semmai i musulmani e li invita a ricordare che essi non sono Dio, e che uomini e donne devono equanimemente riconoscere che gli uni i diritti degli altri. (pp. 41-42)
  • D'accordo, d'accordo, la guerra civile nigeriana ha più a che fare con la politica che con la religione. Sta di fatto, però, che politiche così rozze e primitive non avrebbero riscosso tanto successo senza un po' di sostegno da parte del Corano. (p. 46)
  • Il criterio che informa la struttura del Corano sembra essere quello della lunghezza – dalle sure più lunghe, a quelle più corte -, non quello cronologico. Chi mai potrebbe quindi isolare i «primi» versi, e, a maggior ragione, leggervi il messaggio «autentico» del Corano? Il fatto è che dobbiamo rassegnarci all'evidenza che il messaggio del sacro libro è sparso un po' dappertutto al suo interno. Compassione e disprezzo vi convivono. Guardate alla sua visione delle donne: versi carichi d'odio e di speranza si susseguono a distanza di poche righe. Idem dicasi per le differenze di religione. In questo testo apparentemente perfetto, inconfutabile e diretto non esiste contenuto univoco. La perfezione del Corano è quantomeno dubbia. (p. 55)
  • Da commerciante analfabeta qual era, il profeta Maometto si avvaleva di scribi per prendere nota della parola del Signore, e sovente lui stesso stentava a decifrare ciò che udiva. Pare che proprio in questo modo una serie di «versi satanici» – passaggi che deificavano idoli pagani – riuscirono a superare l'esame di Maometto e a trovare spazio all'interno del Corano. In seguito il Profeta li espunse, attribuendone la responsabilità a un brutto tiro giocatogli per l'appunto da Satana. Il fatto che per secoli i filosofi islamici abbiano riportato questa storia corrobora tuttavia gli antichi dubbi sulla presunta perfezione della scrittura coranica. E oggi più che mai occorre risollevare questi interrogativi. (p. 57)
  • Diciamo le cose come stanno: i crociati cattolici non avrebbero mai permesso a ebrei ed eretici cristiani di praticare la loro fede. I musulmani invece sì, e in fase di espansionismo ciò significò una resistenza nulla o pressoché nulla da parte delle minoranze religiose che abitavano le terre di conquista. Fu così che nel 638, ad esempio, gli ebrei esultarono per l'invasione musulmana di Gerusalemme e la sconfitta dei bizantini, che avevano profanato i luoghi sacri della città di David trasformandoli in immondezzai. Dopo averla ripulita, i vincitori musulmani invitarono quindi le famiglie ebree a farvi ritorno e a stabilirvisi.
    In seguito gli ebrei diedero ulteriore impulso alla cooperazione stringendo con i musulmani una vera e propria alleanza militare. Vittime dello zelo cattolico dei governanti iberici, gli ebrei di Spagna pregarono infatti gli islamici del Marocco di liberarli occupando la penisola. Ne nacque un sodalizio singolare, in cui i musulmani cominciarono ad avvalersi degli ebrei come sentinelle contro le avanzate a sorpresa delle armate cristiane. (p. 64)
  • Sapete qual è la cosa che trovo in assoluto più istruttiva? Il fatto che la Spagna musulmana, alla fine, non crollò per colpa dei famelici cristiani. Oh, certo, loro si precipitarono a raccogliere i cocci, ma i bruti che portarono l'Islam spagnolo allo sfascio erano musulmani pure loro. E che cosa mi dice tutto questo? Che i musulmani imponevano la legge marziale e calpestavano i propri e gli altrui diritti già prima dell'inizio del colonialismo europeo. Quel che intendo è che i nostri problemi non sono cominciati coi crociati: i nostri problemi sono cominciati con noi. Ancora oggi, però, l'Islam usa l'uomo bianco come arma di distrazione di massa – per distrarre dal fatto che, per sentirci oppressi, non abbiamo mai avuto bisogno dell'«oppressivo» Occidente. (p. 69)
  • [Sui Fratelli Musulmani] I riti iniziatici per entrare nelle cellule terroristiche della fratellanza si basavano su due punti di forza: il Corano e la pistola. Il resto contava poco. (p. 80)
  • Dalla fine degli anni '40 agli anni '60 gli strateghi delle superpotenze trasformarono il Medio Oriente in un teatrino di marionette. Secondo me, l'esempio più vile di manipolazione non venne dagli Stati Uniti ma dall'Unione Sovietica: Stalin trasferì armi dalla Cecoslovacchia a Israele e aiutò gli ebrei a resistere la prima aggressione araba. Poco dopo la vittoria del 1948, tuttavia, Stalin piantò in asso Israele, futuro alleato americano, e si mise ad armare gli arabi. Suo cliente di punta: l'egiziano Gamal Abdul Nasser.
    Nell'arco dei vent'anni successivi, gli arabi credettero di aver trovato l'erede di Saladino, il condottiero che durante le crociate in Terra Santa aveva abilmente respinto le schiere cristiane. Abilmente, ma temporaneamente. E Nasser, il novello Saladino, rispettò la tradizione. Schierandosi contro gli Stati Uniti, principale sostenitore di Israele, il generale e neopresidente egiziano infiammò la coscienza degli arabi di tutto il mondo. (p. 121)

Note[modifica]

  1. a b c d Citato in Ayaan Hirsi Ali, Non sottomessa, traduzione di Asia Lamberti, Einaudi, 2005. ISBN 88-06-17650-1

Bibliografia[modifica]

  • Irshad Manji, Quando abbiamo smesso di pensare? Un'islamica di fronte ai problemi dell'Islam, traduzione di Agnese Giusti, Ugo Guanda Editore, 2003, ISBN 88-8246-763-5

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