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Jean Varenne

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Jean Varenne (1926 – 1997), indologo e storico delle religioni francese.

Il tantrismo

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Non è possibile scrivere una storia del tantrismo come se si parlasse del protestantesimo o dell'islam. Ciò attiene essenzialmente al fatto che gli indiani attribuiscono ben poca importanza alla storia: ai loro occhi, gli eventi politici non sono altro che peripezie di cui è inutile serbare il ricordo, nonostante il fatto che la diversità delle forme religiose appaia come un fenomeno stabile, immutabile, non suscettibile di evoluzione. Tali forme non derivano forse tutte dalla Rivelazione, per sua natura atemporale?

Citazioni

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  • Il prestigio di Abhinava-Gupta (X secolo), il principale teologo di questa scuola, permise sicuramente allo shaktismo di acquisire i suoi primi titoli di nobiltà presso i brahmini, poiché Abhinava-Gupta integrò una parte della sua ideologia in una costruzione filosofica ambiziosa, mentre la venerazione della dea (Dévî, Shakti) abitualmente non forniva altro che poemi mitologici. (p. 40)
  • [...] shivaismo e tantrismo si sono reciprocamente influenzati a partire dall'VIII secolo. (p. 40)
  • Oltre al sangue, Kâlî beve anche del vino (surâ, che in realtà è il nome dell'alcol in generale). Ella ha in mano una coppa che, miracolosamente, rimane sempre piena e combatte i suoi avversari in stato di ebbrezza. (p. 84)
  • Pertanto, ovunque si sono insediate queste due religioni dominanti[1], la prostituzione sacra (ma non la profana!) scomparve con tutto quello che si convenne di chiamare paganesimo. Tuttavia, in India né il cristianesimo né l'islam riuscirono ad avere la meglio in maniera decisiva, e gli indù rimasero fedeli, per la maggior parte, alla religione dei loro padri. (p. 146)
  • Kundalini è insieme un serpente, un'energia intima e una dea: l'esoterismo del linguaggio crepuscolare risiede in questa simultaneità di significati in una stessa parola. (p. 174)
  • Troviamo così in tutti i settori del pensiero indiano questa esitazione tra un monismo intransigente e una certa forma di dualismo. La maggior parte dei darshana, e soprattutto Io yoga e il Vedanta, trovano d'altro canto il mezzo per conciliare queste due tendenze e subordinare la seconda alla prima, situando l'unità "al di là" della dualità che essa trascende. (p. 204)
  • [...] certe sette shivaite attribuiscono volentieri la creazione del mondo e il suo funzionamento al dinamismo (rajas) della dea, mentre Shiva riveste unicamente un ruolo d'ispiratore o, a rigore, di scenografo e spettatore. Eppure, nell'immensa maggioranza dei casi, il grande dio non viene privato del suo ruolo cosmico: quando lo si rappresenta come "re della danza" (nâtarâjan), è il solo ad assumere il suo ruolo di creatore-distruttore nell'atto di giocare con fiamme che sono altrettanti mondi chiamati a nascere, a svilupparsi, per poi scomparire per effetto della sua magia (mâyâ). (p. 208)
  • Nel complesso, dunque, il tantrismo afferma insieme la dualità universale e la preponderanza dell'aspetto femminile su quello maschile. Lo fa con costanza e sa trarne tutte le conseguenze non solo sul piano del ragionamento logico, ma su quello dei riti, dei miti e dei simboli. Nondimeno, non bisogna perdere di vista che non è questione di crogiolarsi nella dualità in sé e per sé, soprattutto in quella dualità "divorziata" che è il destino degli esseri nel mondo. (p. 211)

Si parte da una constatazione: Shivah Shakti-vihînah shavah, cioè "Shiva senza la Shakti sarebbe soltanto un cadavere", e ci si sforza di assumere in pieno questa realtà, vale a dire di unire strettamente nell'intimo di se stessi Shiva e la Shakti. Quando la coppia si è infine formata, appare la beatitudine che i buddhisti chiamano mahâ-sukha (grande beatitudine) e gli indù ânanda (felicità spirituale). Il programma del tantrismo è tutto qui.

Note

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  1. Islamismo e cristianesimo.

Bibliografia

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  • Jean Varenne, Il tantrismo. Miti, riti, metafisica, traduzione di Milvia Faccia, Edizioni Mediterranee, 2008.

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