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John Kenneth Galbraith

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
John Kenneth Galbraith, 1982

John Kenneth Galbraith (1908 – 2006), economista canadese naturalizzato statunitense.

Citazioni di John Kenneth Galbraith

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  • Così come vi è molto del passato in ciò che è presente, così vi è anche molto del presente in ciò che sarà nel futuro.[1]
  • Il socialismo, al nostro tempo, non è una conquista dei socialisti; il socialismo moderno è il figlio degenere del capitalismo. E così sarà negli anni a venire.[2]
  • Il solo rimedio davvero sicuro alla recessione è una domanda robusta da parte del consumatore, così come la debolezza della domanda è la recessione. Negli Stati Uniti, specialmente in periodi di stagnazione e recessione, i cittadini a basso reddito necessitano sia di istruzione e cure mediche, sia di maggiori consumi familiari. Tuttavia, di fronte all'aumento delle richieste di aiuto, i governi, a livello federale e locale, tendono a diminuire l'intervento sociale pro capite. [...] È una reazione che riduce ulteriormente il reddito personale e familiare, aggravando la recessione senza nessuna contropartita. Ma questo è il livello dell'attuale intelligenza economica.[3]
  • In economia, speranza e fede coesistono con grandi pretese scientifiche e un profondo desiderio di rispettabilità.
In economics, hope and faith coexist with great scientific pretension and also a deep desire for respectability.[4]
  • L'economia è estremamente utile come forma di lavoro per gli economisti.[5]
  • La politica non è l'arte del possibile. Consiste nello scegliere fra il disastroso e lo sgradevole.[6]
  • La sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere persino l'astrologia un po' più rispettabile.[7]
  • Le persone che si credono intensamente impegnate a riflettere in privato di solito non stanno facendo nulla.[8]
  • Ma, se non vide, o se non previde completamente la Rivoluzione industriale nella sua piena manifestazione capitalistica, Smith osservò con grande chiarezza le contraddizioni, l'obsolescenza e, soprattutto, l'angusto egoismo sociale del vecchio ordine. Se egli era un profeta del nuovo, ancor di più era un nemico del vecchio.[9]
  • Mi sono sempre preoccupato di conservare una certa distanza e penso che si debba sempre tenersi stretta una parte del proprio io e non essere mai totalmente convinto della giustezza di quello che si fa. La fede dovrebbe sempre essere temperata dalla moderazione.[10]
  • Nella società opulenta non si può fare nessuna valida distinzione tra i lussi e le necessità.[11]
  • Nessuno può mettere in dubbio che lo sviluppo del socialismo e dello stato assistenziale negli ultimi settant'anni sia stato strettamente collegato con l'ascesa dello sport di squadra.[12]
  • Non c'è niente che faccia tanto prestigio in un'azienda quanto il numero dei propri subordinati. E non c'è niente di tanto gratificante quanto poter passare a dei subordinati la responsabilità di pensare. Ne derivano un potente impulso ad aumentare le schiere del personale e una marcata tendenza alla stasi burocratica.[13]
  • Non occorrono né coraggio né prescienza per predire il disastro. Il coraggio è necessario per affermare che le cose vanno bene, proprio nel momento in cui stanno andando bene. Gli storici si divertono a crocifiggere il falso profeta del millennio. Non insistono mai sull'errore dell'uomo che a torto predisse l'Armageddon.[14]
  • Se ogni altra cosa fallisce, l'immortalità può sempre essere garantita da un errore spettacolare.[15]
  • Si può formulare la regola che quanto più l'esercizio di un qualsiasi potere è antico, tanto più apparirà benevolo, mentre quanto più recente ne è l'assunzione, tanto più apparirà innaturale e perfino pericoloso.[16]

Attribuite

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  • Nel lungo termine siamo tutti morti.
In the long run we are all dead.[17]
[Erroneamente attribuita] La frase viene spesso attribuita a Galbraith, in realtà essa appartiene a John Maynard Keynes e la citazione completa è: «Ma questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine siamo tutti morti.»[18]

L'età dell'incertezza

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  • Devo constatare con tristezza che gli idealisti, inclusi i riformisti liberali di oggi, sono spesso danneggiati meno dai loro avversari, che dalla loro propensione alla polemica. Essi sono onestamente convinti che si debba sacrificare tutto a un buon litigio sui princìpi di fondo, o a una lotta senza quartiere su chi avrà il comando, ammesso che si voglia lasciarlo a qualcuno. (cap. I, p. 30)
  • Spencer fu scrittore altamente prolifico, profondamente intellettuale e eccezionalmente cupo. I suoi numerosi libri erano influenti in Inghilterra, ma negli Stati Uniti erano addirittura quasi rivelazione divina. In tutti gli Stati Uniti, nei quarant'anni che seguirono il 1860 – ciò accadeva prima delle edizioni economiche e quasi ancor prima che esistessero le librerie – si vendettero 368.755 copie dei suoi libri. Spencer era il Vangelo americano perché le sue teorie si adattavano alle necessità del capitalismo, ed in particolar modo dei nuovi capitalisti, al modo del famoso guanto e persino meglio. (cap. II, p. 45)
  • Se concordiamo sul fatto che la Bibbia è frutto di un lavoro collettivo, c'è solo Maometto che possa competere con Marx per il numero di seguaci dichiarati e fedeli reclutati da un singolo autore. E il confronto non è proprio esatto. Oggi i seguaci di Marx superano di molto il numero dei figli del Profeta. (cap. III, p. 73)
  • Periodicamente nella storia gli intellettuali restano talmente colpiti dalla loro propria originale visione del vero, da sentirsi predestinati a cambiare radicalmente il pensiero umano. (cap. III, p. 78)
  • Le Crociate sono rilevanti per la singolare e durevole importanza del mito. Il mito raccontava di uomini ispirati dalla più nobile devozione religiosa e dal più altruistico sentimento di impegno. Lo scopo era di redimere Gerusalemme dagli infedeli, e salvare i cristiani orientali di Costantinopoli dai turchi. Ancora ai nostri giorni un crociato è un uomo ispirato da una forza interiore morale o spirituale; in politica non c'è nessuno che metta più in imbarazzo di un «crociato». Il vero movente, inconfessato, delle Crociate era la conquista di terra e altre ricchezze. Nel 1095 a Clermont, papa Urbano II, predicando la prima Crociata, fu abbastanza candido da dichiarare che in Terra Santa c'era dell'ottima proprietà fondiaria a disposizione dei Cristiani. Era questo un pensiero profondamente esaltante per i rampolli più giovani e \senza terra della nobiltà dei Franchi. (cap. IV, p. 112)
  • Gli economisti sono economi tra l'altro anche in idee. E ancor oggi fanno così. Fanno durare per tutta la vita quelle che hanno imparato all'università. I cambiamenti in economia vengono soltanto col cambio di generazione. (cap. VII, p. 213)
  • Fu John Foster Dulles a scovare la dottrina completamente accettabile su cui fondare la guerra fredda, una dottrina che evitava ogni impedimento. La guerra fredda non aveva niente a che fare con l'economia; anzi una preoccupazione eccessiva per i valori materiali era esattamente il difetto capitale della parte avversa. Si alludeva alla libertà, ma tale concetto non era centrale. La guerra fredda era una crociata per il recupero dei valori morali – per il bene contro il male, il giusto contro l'ingiusto, la religione contro l'ateismo. Era per la difesa della fede dell'americano medio, cordiale buon vicino di casa e timorato di Dio; in difesa delle proprie credenze e delle credenze di quelli della porta accanto. (cap. VIII, pp. 234-235)
  • Kruscev fu, come egli stesso riconobbe pienamente, un sostenitore non deviazionista di Stalin. Se così non fosse stato, non si sarebbe mantenuto in buona salute. (cap. VIII, pp. 241-242)
  • L'uomo, per lo meno quando è istruito, è un pessimista. Ritiene più sicuro non soffermarsi sui suoi conseguimenti; Giove notoriamente abbatte gli audaci. A persistere nella sua mente sono i pericoli, i compiti lasciati incompiuti, i fallimenti. (cap. XII, p. 328)
  • L'esempio della Svizzera mi ha sempre incoraggiato a credere nel potere e nell'efficacia della democrazia. È insito nell'istinto svizzero il fatto di ritenere che i problemi possono essere risolti dalla gente stessa, tramite la responsabilità e l'intelligenza collettive. A contare sono proprio tale responsabilità e intelligenza. Il risultato è che la soluzione dei problemi compete ai cittadini e non al leader. Il cittadino svizzero non delega il problema ai grandi del paese fidando che essi conoscano tutte le risposte. Cerca lui stesso la risposta. (cap. VIII, p. 330)
  • La selezione presidenziale per la campagna successiva comincia non appena è terminata l'ultima campagna. Nella sua forma intensiva dura un anno, costa centinaia di milioni di dollari, e sotto molti aspetti somiglia a una gara di resistenza, e quanto ai record è eccentrica. Eugene McCarthy ha osservato che, nei primi duecento anni, essa ci ha portato da George Washington a Richard Nixon, da John Adams a Spiro Agnew, da John Jay a John Mitchell e da Alexander Hamilton a John Connally. E poi ha aggiunto: «Si tratta di sapere per quanto tempo possiamo continuare a permetterci un simile progresso». (cap. VIII, p. 335)
  • Tutti i grandi leader ebbero una caratteristica personale in comune: la volontà e la disponibilità ad affrontare in modo inequivocabile la principale ansietà dei loro popoli ai loro tempi. Solo questo, e ben poco altro, costituisce l'essenza della leadership. (cap. VIII, p. 339)

Note

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  1. Da American Capitalism, 1952.
  2. Da Storia dell'economia, 1987.
  3. Da L'economia della truffa, Rizzoli, 2004.
  4. Da "The New York Times Magazine", 7 giugno 1970.
  5. Citato in Focus n. 104, p. 188.
  6. Citato in Al Gore, La Scelta, pag. 350.
  7. Citato in Panorama del 7 maggio 2009, p. 103.
  8. Da Discorso sulle scienze e sulle arti.
  9. Da Storia dell'economia, 1987.
  10. Citato in Ralf Dahrendorf, Erasmiani, traduzione di M. Sampaolo, p. 175.
  11. Da La società opulenta, XXI; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013. ISBN 9788858654644
  12. Citato in Focus, n. 88, p. 106.
  13. Citato in Focus, n. 114, p. 151.
  14. Da Il grande crollo, 1954.
  15. Da La moneta: da dove viene e dove va, 1975.
  16. Da Il nuovo stato industriale; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  17. (EN) Citato in Congressional Record, V. 151, parte 18, dal 27 ottobre al 7 novembre 2005, U. S. Government Printing Office, p. 65.
  18. Cfr. (EN) Ralph Keyes, The Quote Verifier: Who Said What, Where, and When, Macmillan, 2007, p. 41. ISBN 1429906170

Bibliografia

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  • Al Gore, La Scelta, traduzione di Ilaria Katerinov e Manuela Carozzi, RCS libri, 2009. ISBN 978-88-17-02263-7
  • John Kenneth Galbraith, L'età dell'incertezza (The Age of Uncertainty), traduzione di Giovanni Dosi e Marina Bianchi, Edizione Euroclub Italia su licenza di Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1978.

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