John Maynard Keynes

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John Maynard Keynes nel 1933

John Maynard Keynes, primo barone Keynes di Tilton (1883 – 1946), economista britannico.

Citazioni di John Maynard Keynes[modifica]

  • Contro la stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma dovrebbe scendere lui di persona, non mandare il Figlio; non è il momento dei bambini.[1]
  • Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi.[2]
  • Gli economisti si sono posti un compito troppo facile, troppo inutile se nelle stagioni tempestose possono solo dirci che quando la tempesta è passata l'oceano è di nuovo piatto.[3]
  • L'espansione, non la recessione, è il momento giusto per l'austerità al Tesoro.
The boom, not the slump, is the right time for austerity at the Treasury.[4]
  • La difficoltà non risiede nelle idee nuove, ma nello sfuggire a quelle vecchie.[5]
  • Le argomentazioni [di Abba Lerner] sono impeccabili, ma il cielo aiuta chiunque provi a comunicare all'uomo comune a questo punto dell'evoluzione delle nostre idee.[6]
  • Le persone timide in posizione di responsabilità sono un passivo per la nazione.[7]
  • Lo studio dell'economia non sembra richiedere alcuna dote particolare in quantità inusitate. Si tratta dunque di una disciplina molto facile, a confronto delle branche più elevate della filosofia e delle scienze pure? Una disciplina molto facile nella quale solo pochi riescono a eccellere! Questo paradosso trova spiegazione, forse, nel fatto che un grande economista deve possedere una rara combinazione di doti: deve essere allo stesso tempo e in qualche misura matematico, storico, politico e filosofo; deve saper decifrare simboli e usare le parole; deve saper risalire dal particolare al generale e saper passare dall'astratto al concreto nelle stesso processo mentale; deve saper studiare il presente alla luce del passato, per gli scopi del futuro. Nessun aspetto della natura dell'uomo o delle istituzioni umane gli deve essere alieno: deve essere concentrato sugli obiettivi e disinteressato allo stesso tempo; distaccato e incorruttibile, come un artista, ma a volte anche terragno come un politico.[8]
  • Ma questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine siamo tutti morti.[9]
But this long run is a misleading guide to current affairs. In the long run we are all dead.[10]
  • Montesquieu, il maggior economista francese, quello che è giusto paragonare a Adam Smith, e che in perspicacia, chiarezza di idee e buon senso (doti che ogni economista dovrebbe possedere) supera di cento cubiti i fisiocratici.[11]
  • Newton non fu il primo dell'Età della Ragione, bensì l'ultimo dei maghi, l'ultimo dei Babilonesi e dei Sumeri, l'ultima mente eccelsa che guardò il mondo visibile e intellettuale con gli stessi occhi di coloro che incominciarono a costruire il nostro mondo intellettuale poco meno di diecimila anni fa... Perché lo chiamo un mago? Perché guardava all'intero universo e a tutto quanto è in esso come a un enigma, a un segreto che poteva esser letto applicando il pensiero puro a certi fatti, certi mistici indizi che Dio aveva posto qua e là nel mondo affinché la confraternita esoterica potesse cimentarsi in una sorta di caccia al tesoro filosofica. Egli credeva che questi indizi fossero rintracciabili in parte nei fatti celesti e nella costituzione degli elementi (dal che deriva la falsa impressione che egli fosse un fisico sperimentale), ma in parte anche in certi documenti e tradizioni passati di mano in mano in una catena ininterrotta di iniziati che risaliva fino alla rivelazione originaria, manifestatasi a Babilonia in linguaggio cifrato. Newton considerava l'universo come un crittogramma apprestato dall'Onnipotente, così come egli stesso, corrispondendo con Leibniz, avvolse in un crittogramma la scoperta del calcolo infinitesimale. L'enigma si sarebbe svelato all'iniziato mediante l'applicazione del pensiero puro e della concentrazione mentale.[12]
  • Non c'è niente di male nel commettere qualche errore; specialmente se ti scoprono subito.[13]
  • Non so cosa sia che rende un uomo più conservatore: non conoscere nulla tranne il presente, o nulla tranne il passato.[14]
  • Se devi alla tua banca cento sterline, tu hai un problema. Ma se ne devi un milione, il problema è della banca.[15]
If you owe your bank a hundred pounds, you have a problem. But if you owe a million, it has.[16]

Attribuite[modifica]

[Citazione errata] Esistono diverse versioni di questa frase. Nel 1978, in un articolo apparso nel Wall Street Journal, Paul Samuelson attribuì a Keynes la frase "quando cambiano le mie informazioni, io cambio idea; e voi cosa fate?.[17] Questa versione è stata in seguito citata da Myron Weiner, Samuel P. Huntington e Gabriel Abraham Almond nel volume Understanding Political Development: an Analytic Study nel 1987. Nel 1979 James S. Earley, nella sua analisi di The Collected Writings of John Maynard Keynes per il Journal of Economic Literature, attribuì a Keynes la frase "Quando trovo nuove informazioni cambio idea; lei cosa fa?".[18] Nel 1983 di nuovo Samuelson, in un articolo per The Economist, citò Keynes usando la frase "Quando le informazioni cambiano, io cambio le mie conclusioni. Lei cosa fa, signore?".[19] Sempre nel 1983 Lindley H. Clark Jr., in un articolo per il Wall Street Journal, attribuì a Keynes un'altra versione della frase, "Quando mi sbaglio, cambio opinione".[20] Nel 1986 un articolo su The Economist riportò un'affermazione di Joan Robinson secondo la quale Keynes usava spesso l'espressione "Quando qualcuno mi convince che ho torto, io cambio idea".[21]

Esortazioni e profezie[modifica]

  • Nessun uomo intraprendente accetterà mai di rimanere povero quando sia convinto che chi sta meglio di lui si è procacciato la ricchezza con la fortuna e l'imbroglio. (1975, p. 77)
  • Se un determinato produttore, o un determinato paese, taglia i salari, si assicurerà così una quota maggiore del commercio internazionale fino al momento in cui gli altri produttori o gli altri paesi non facciano altrettanto; ma se tutti tagliano i salari, il potere d'acquisto complessivo della comunità si riduce di tanto quanto si sono ridotti i costi: e anche qui nessuno ne trae vantaggio. (1975, p. 107)
  • Il risultato sarebbe necessariamente un aumento sostanziale del numero dei disoccupati che riscuotono un sussidio ed un calo degli introiti fiscali in conseguenza dei minori redditi e dei minori profitti. Per la precisione, le conseguenze immediate di una riduzione del deficit da parte del governo sono esattamente l'opposto di quelli che si avrebbero se si finanziassero nuovi lavori pubblici aumentando l'indebitamento. (1975, p. 121)
  • Come abbiamo già visto, la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza ai rentiers, e a tutti i detentori di effetti monetari, da parte del resto della comunità; così come l'inflazione comporta un trasferimento di segno opposto. In particolare la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza da tutti i debitori (vale a dire: commercianti, industriali e agricoltori) ai creditori; dagli elementi attivi a quelli inattivi. (1975, p. 144)
  • Entrambe [inflazione e deflazione] sono "ingiuste" e deludono ragionevoli attese; ma, mentre l'inflazione, alleviando l'onere del debito nazionale e stimolando le imprese, mette un contrappeso sull'altro piatto della bilancia, la deflazione non offre alcuna contropartita. (1975, p. 147)
  • Se dunque, il livello dei prezzi esterni è al di fuori del nostro controllo, dovremo accettare che o il livello dei prezzi interni o il tasso di cambio subiscano l'influsso esterno. E se il livello dei prezzi esterno è instabile, non potremo mantenere contemporaneamente stabili sia il livello dei prezzi interni sia il tasso di cambio. (1975, p. 148)
  • La scelta preferibile non è necessariamente identica per tutti, e dipende in parte dall'importanza relativa del commercio estero nella vita economica del paese. (1975, p. 149)
  • Pochi sono gli inglesi che non si rallegrino della rottura del nostro legame al gold standard. Abbiamo la sensazione di essere finalmente liberi di fare quel che meglio fare. La fase romantica è conclusa: possiamo cominciare a discutere realisticamente della politica che più ci conviene. Potrà sorprendere che una decisione del genere, presentata come un disastro catastrofico, sia stata accolta con tanto entusiasmo; il fatto è che ci si è resi conto rapidamente i quali enormi vantaggi attribuivamo al commercio e all'industria inglese abbandonando lo sforzo artificioso per mantenere la nostra valuta al di sopra del suo valore reale. (1975, p. 215)
  • Le agenda [le cose da fare] più importanti dello Stato non riguardano le attività che i singoli individui già svolgono, ma le funzioni che cadono al di fuori della sfera dell'individuo, le decisioni che, se non assume lo Stato, nessuno prende. Importante per il governo non è fare le cose che gli individui stanno già facendo, e farle un po' meglio o un po' peggio, ma fare le cose che al presente non vengono fatte per niente. (1975, p. 237)
  • La miseria fisica fornisce l'incentivo a cambiare le cose proprio in circostanze in cui il margine per nuovi esperimenti è assai ridotto. La prosperità materiale elimina l'incentivo proprio quando si potrebbe tentare il nuovo senza troppi rischi. (1975, p. 241)
  • La disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti e economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera. (1975, p. 271)
  • Giungo alla conclusione che, scartando l'eventualità di guerra e di incrementi demografici eccezionali il problema economico può essere risolto, o perlomeno giungere in vista di soluzione, nel giro di un secolo. Ciò significa che il problema economico non è, se guardiamo al futuro, il problema permanente della razza umana. (1975, p. 272)
  • Dovremmo avere il coraggio di assegnare alla motivazione "denaro" il suo vero valore. L'amore per il denaro come possesso, e distinto dall'amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita, sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po' ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali. (1975, p. 275)
  • Ma attenzione! Il momento non è ancora giunto. Per almeno altri 100 anni dovremmo fingere con noi stessi e con tutti gli altri che il giusto è sbagliato e che lo sbagliato è giusto, perché quel che è sbagliato è utile e quel che è giusto no. Avarizia, usura, prudenza devono essere il nostro Dio ancora per un poco perché solo questi principi possono trarci dal cunicolo del bisogno economico alla luce del giorno. (1975, p. 277)
  • Quando si risparmiano cinque scellini, si lascia senza lavoro un uomo per una giornata. (1968, p. 122)
  • Quando l'accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale. Dovremo saperci liberare di molti dei princìpi pseudomorali che ci hanno superstiziosamente angosciati per due secoli, e per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli. Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione «denaro» il suo vero valore. (1968, p. 281)

Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta[modifica]

  • Si ha disoccupazione involontaria quando, nel caso di un piccolo aumento del prezzo delle merci-salario rispetto al salario monetario, sia l'offerta complessiva di lavoro da parte di lavoratori disposti a lavorare al salario monetario corrente, sia la domanda complessiva di lavoro a quel salario, sarebbero maggiori del volume di occupazione esistente. (2006, p. 199)
  • Dire che il prodotto netto odierno è maggiore, ma il livello dei prezzi è più basso, di un anno o dieci anni fa è press'a poco come dire che la regina Vittoria fu, come regina, migliore della regina Elisabetta, ma non più felice come donna; proposizione non priva di significato né di interesse, ma inadatta a fornire materia per il calcolo differenziale. (2006, p. 224)
  • La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale. (2006, p. 344)
  • Sono quindi vicino alla dottrina pre-classica, che ogni cosa è prodotta dal lavoro, coadiuvato da ciò che allora usava chiamarsi arte e che ora si chiama tecnica, dalle risorse naturali che sono gratuite o costano una rendita a seconda della loro abbondanza o scarsità, e dai risultati del lavoro del passato [...] È preferibile considerare il lavoro, compresi naturalmente i servizi personali dell'imprenditore e dei suoi collaboratori, come l'unico fattore di produzione, operante in un dato ambiente di tecnica, di risorse naturali, di beni capitali e di domanda effettiva. (2006, pp. 403-404)
  • [...] la disoccupazione si sviluppa perché la gente vuole la luna: gli uomini non possono essere occupati quando l'oggetto del desiderio (cioè la moneta) è qualcosa che non può essere prodotta e la cui domanda non può essere facilmente ridotta. Non vi è alcun rimedio, salvo che persuadere il pubblico che il formaggio sia la stessa cosa e avere una fabbrica di formaggio (ossia una banca centrale) sotto il controllo pubblico. (2006, p. 426)
  • Gli uomini della pratica, i quali si credono affatto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso gli schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, i quali odono voci nell'aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro. (2006, p. 557)
  • [...] l'esistenza di possibilità di guadagni monetari e di ricchezza privata può instradare entro canali relativamente innocui, pericolose tendenze umane, le quali, se non potessero venir soddisfatte in tal modo, cercherebbero uno sbocco in crudeltà, nel perseguimento sfrenato del potere e dell'autorità personale e in altre forme, di auto-potenziamento. È meglio che un uomo eserciti la sua tirannia sul proprio conto in banca che sui suoi concittadini; e mentre si denuncia talvolta che il primo sia soltanto un mezzo per raggiungere il secondo, talaltra almeno ne è un'alternativa. Ma per stimolare queste attività e per soddisfare queste tendenze non è necessario che le poste del gioco siano tanto alte quanto adesso. Poste assai inferiori serviranno ugualmente bene, non appena i giocatori vi si saranno abituati. (1968)
  • Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell'investimento si dimostrerà l'unico mezzo per consentire di avvicinarci alla occupazione piena; sebbene ciò non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorità collabori con la privata iniziativa. [...] I controlli centrali necessari ad assicurare l'occupazione piena richiederanno naturalmente una vasta estensione delle funzioni tradizionali di governo. (1968)
  • Mentre quindi, l'allargamento delle funzioni di governo, richiesto dal compito di equilibrare l'una all'altro la propensione a consumare e l'incentivo ad investire, sarebbe sembrato ad un pubblicista del diciannovesimo secolo o ad un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni dell'individualismo, io lo difendo, al contrario, sia come l'unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa delle forme economiche esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell'iniziativa individuale. [...]
    I sistemi moderni di stato autoritario sembrano risolvere il problema della disoccupazione a scapito dell'efficienza e della libertà. È certo che il mondo non tollererà ancora per molto tempo la disoccupazione che, salvo brevi intervalli di eccitazione, è associata – e, a mio parere, inevitabilmente associata – con l'individualismo capitalista d'oggigiorno. Ma può essere possibile, mediante una corretta analisi del problema, guarire la malattia pur conservando l'efficienza e la libertà. (1968)
  • Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto. (1971)
  • È meglio che un uomo sia tiranno con il suo conto in banca che con i suoi concittadini.[22]
  • Gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di intraprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l'accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un Casinò, è probabile che le cose vadano male. Se alla Borsa si guarda come a una istituzione la cui funzione sociale appropriata è orientare i nuovi investimenti verso i canali più profittevoli in termini di rendimenti futuri, il successo conquistato da Wall Street non può proprio essere vantato tra gli straordinari trionfi di un capitalismo del laissez faire. Il che non dovrebbe meravigliare, se ho ragione quando sostengo che i migliori cervelli di Wall Street sono in verità orientati a tutt'altri obiettivi.[23]
  • L'importanza della moneta deriva essenzialmente dal fatto che essa è un anello fra il presente e il futuro.[24]

Prospettive economiche per i nostri nipoti[modifica]

  • L'efficienza tecnica è andata intensificandosi con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a risolvere il problema dell'assorbimento della manodopera [...].
  • Pertanto la nostra evoluzione naturale, con tutti i nostri impulsi e i nostri istinti più profondi, è avvenuta al fine di risolvere il problema economico. Ove questo fosse risolto, l'umanità rimarrebbe priva del suo scopo tradizionale. Sarà un bene? Se crediamo almeno un poco nei valori della vita, si apre per lo meno una possibilità che diventi un bene. Eppure io penso con terrore al ridimensionamento di abitudini e istinti dell'uomo comune, abitudini e istinti concresciuti in lui per innumerevoli generazioni e che gli sarà chiesto di scartare nel giro di pochi decenni.
    Per adoperare il linguaggio moderno, non dobbiamo forse attenderci un "collasso nervoso" generale? [...] Per chi suda il pane quotidiano il tempo libero è un piacere agognato: fino al momento in cui l'ottiene. Ricordiamo l'epitaffio che scrisse per la sua tomba quella vecchia donna di servizio: "Non portate il lutto, amici, non piangete per me che finalmente non farò niente, niente per l'eternità." Questo era il suo paradiso. Come altri che aspirano al tempo libero, la donna di servizio immaginava solo quanto sarebbe stato bello passare il tempo a fare da spettatore. C'erano, infatti, altri due versi nell'epitaffio: "Il paradiso risuonerà di salmi e di dolci musiche ma io non farò la fatica di cantare." Eppure la vita sarà tollerabile solo per quelli che partecipano al canto: e quanto pochi di noi sanno cantare!
    Per la prima volta dalla sua creazione, l'uomo si troverà di fronte al suo vero, costante problema: come impiegare la sua libertà dalle cure economiche più pressanti, come impiegare il tempo libero che la scienza e l'interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza. [...] Per ancora molte generazioni l'istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti. Faremo, per servire noi stessi, più cose di quante ne facciano di solito i ricchi d'oggi, e saremo fin troppo felici di avere limitati doveri, compiti, routines. Ma oltre a ciò dovremo adoperarci a far parti accurate di questo "pane" affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito tra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi.
  • Noi [paesi all'avanguardia], invece, siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera.
    Ma questa è solo una fase di squilibrio transitoria. Visto in prospettiva, infatti, ciò significa che l'umanità sta procedendo alla soluzione del suo problema economico. Mi sentirei di affermare che di qui a cent'anni il livello di vita dei paesi in progresso sarà da quattro a otto volte superiore a quello odierno. Né vi sarebbe nulla di sorprendente alla luce delle nostre conoscenze attuali. Non sarebbe fuori luogo prendere in considerazione la possibilità di progressi anche superiori.

Citazioni su John Maynard Keynes[modifica]

  • Dovendo rivolgersi a un unico economista per comprendere i problemi economici, non c'è dubbio che quell'economista sarebbe John Maynard Keynes. (N. Gregory Mankiw)
  • L'importanza di Keynes sta soprattutto in una cosa: fu colui che prese il meglio di tutta l'economia sociale, quella pro-gente, la codificò cento volte meglio di chiunque fosse venuto prima, e cambiò per sempre il modo di pensare alla gestione economica di una nazione. Infatti sconvolse tutti, e fece infuriare in modo inaudito i nemici dell'economia sociale, i famosi Neoclassici di cui abbiamo parlato. Se Marx era stato fino a quel momento un muro da abbattere per le elite finanziarie dei predatori neoclassici, Keynes divenne la muraglia cinese da abbattere. Fu dopo di lui che la battaglia fra economisti pro-Stato e pro-gente, e quelli anti-Stato e anti-gente si trasformò in una carneficina, altro che battaglia. Con ferocia. Pensa che ancora oggi se si nomina Keynes alla Bocconi di Milano, noto covo di Neoclassici, tutti tirano fuori aglio, crocifisso, martello e paletti acuminati... (Paolo Barnard)
  • Per Keynes il controllo della domanda si collocava nell'ottica del pieno impiego, oggi il controllo della domanda si colloca nell'ottica di frenare l'inflazione. (Federico Caffè)
  • [Sull'utilizzo degli ammortizzatori sociali] Tutto il contrario di quello che sosteneva Keynes, il quale, dando peso alla dignità dell'uomo, si poneva l'obiettivo del pieno impiego e non quello, del tutto contrapposto, del sussidio generalizzato. (Federico Caffè)

Note[modifica]

  1. Da Le conseguenze economiche della pace (The Economic Consequences of the Peace, 1919), traduzione di Franco Salvatorelli, Adelphi, Milano, 2007.
  2. Citato in Sebastiano Maffettone, Ricchezza e nobiltà, L'Espresso, anno LII, n. 47, 30 novembre 2006.
  3. Citato da Leopoldo Gasbarro su Il Giornale del 8 gennaio 2021, pag. 23 "Mercati che fare"
  4. Da un discorso alla radio nel 1937.
  5. Citato in AA.VV., Il libro dell'economia, traduzione di Olga Amagliani e Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 158. ISBN 9788858014158
  6. Da una lettera a James E. Meade dell'aprile 1943.
  7. Da un'intervista del 14 novembre 1979; citato in Federico Caffè, Scritti quotidiani, Manifestolibri, Roma, 2007, p. 128.
  8. Da Alfred Marshall, 1842-1924, The Economic Journal, vol. 34, No. 135 (Sep., 1924), pp. 321-322; citato in Mankiw N. Gregory, Principi di economia, Zanichelli, Bologna, 2004.
  9. Parte della citazione («nel lungo termine siamo tutti morti») viene spesso erroneamente attribuita a John Kenneth Galbraith.
  10. (EN) Da A Tract on Monetary Reform, cap. III, 1923; (EN) citato in Athol Fitzgibbons, Keynes's Vision: A New Political Economy, Oxford University Press, Oxford, 1988, p. 49. ISBN 0198286414
  11. Dalla prefazione all'edizione francese di Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta; citato in Raymond Aron, Le tappe del pensiero sociologico, CDE, Milano, 1984, p. 35.
  12. Da Newton the man, The Royal Society. Newton Tercentenary Celebrations, Cambridge, 15-19 luglio 1946, p. 29; citato in Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi, pp. 28-29. ISBN 978-88-459-1788-2
  13. Da Essays in Biography; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  14. Da La fine del laissez-faire.
  15. La citazione è stata erroneamente diffusa nella versione «Se ti devo un dollaro io ho un problema, ma se ti devo un milione di dollari allora il problema è tuo».
  16. Citato in Pierangelo Soldavini, It's the economy, stupid! Metti il tuo inglese alla prova delle frasi celebri dell'economia, IlSole24Ore.com.
  17. Lindley H. Clark Jr, U.S. Monetary Troubles, in Wall Street Journal, 13 ottobre 1978
  18. James S. Earley, peer review di The Collected Writings of John Maynard Keynes, volume 22: Activities 1939-1945: Internal War Finance, (a cura di Donald Moggridge, John Maynard Keynes), in Journal of Economic Literature, American Economic Association, 1979.
  19. Paul A. Samuelson, The Keynes Centenary: Sympathy from the other Cambridge, in The Economist, 25 giugno 1983, pp. 19-21, in The Collected Scientific Papers of Paul A. Samuelson, Volume 5, (a cura di Kate Crowley), MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1986
  20. Linley H. Clark Jr., How the Fed Might Find Peace and Tranquillity: Speaking of Business, in Wall Street Journal 23 agosto 1983, p. 33.
  21. G. C. Harcourt, The Economic Journal, Supplement: Conference Papers, On the Influence of Piero Sraffa on the Contributions of Joan Robinson to Economic Theory, Royal Economic Society, 1986.
  22. Da Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, Il Sole 24 Ore, cap. VI, p. 512.
  23. Citato in il manifesto, 20 settembre 2008.
  24. Da Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, a cura di Terenzio Cozzi, traduzione di Aberto Campolongo e Terenzio Cozzi, UTET, Torino, 2013. ISBN 9788841888193

Bibliografia[modifica]

  • John Maynard Keynes, Esortazioni e profezie, il Saggiatore, Milano, 1968.
  • John Maynard Keynes, Esortazioni e profezie, Garzanti, Milano, 1975.
  • John Maynard Keynes, Occupazione, interesse e moneta. Teoria generale (The General Theory of Employment, Interest and Money, 1936), traduzione di Alberto Campolongo, UTET, Torino, 1968.
  • John Maynard Keynes, Prospettive economiche per i nostri nipoti (Economic possibilities for our grandchildren, 1928), in La fine del laissez-faire e altri scritti economico-politici, introduzione di Giorgio Lunghini, Bollati Boringhieri, Torino, 1991.
  • John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (The General Theory of Employment, Interest and Money, 1936), traduzione di Alberto Campolongo, UTET, Torino, 1971.
  • John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (The General Theory of Employment, Interest and Money, 1936), a cura di Terenzio Cozzi, UTET, Torino, 2006.

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