Manlio Sgalambro

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Manlio Sgalambro

Manlio Sgalambro (1924 – 2014), filosofo, poeta e paroliere italiano.

Citazioni di Manlio Sgalambro[modifica]

  • A me dà fastidio chi parla male della Sicilia, ma ne parla male perché il giudizio non è tale, è mal motivato, è piuttosto un qualcosa di non corrisposto, un risentimento.[1]
  • E quindi è diventato scrittore. Bravo. Ogni tanto tornerà per le vacanze, magari per vedere i suoi, ci criticherà ferocemente perché lui vive nella civiltà. Ma una cosa non sa, che questa terra come la Ionia di Eraclito e Anassagora è magica, e richiama sempre coloro che gli appartengono, come se esercitasse un diritto. La legge dell'appartenenza. E anche per lui un giorno inevitabile, il ritorno. Sarà il clima, la luce, l'aria...Una granita di mandorle![2]
  • Hegel lo chiamava spirito, noi cultura. Quella di cultura è una definizione negativa, è un’accozzaglia di cose, fatte per gli scopi più vari non per fornirci di un concetto dello spirito. Ernst Cassirer scrisse "Per una filosofia della cultura", ma era una filosofia dello spirito mascherata, ridotta, svilita.[3]
  • Ho avuto dalla vita tutto quello che ho voluto, adesso ciò che mi contraddiceva o contraddiceva quel mio modo di pensare, per esempio la mia famiglia, è scomparso: da anni vivo solo.[4]
  • Il cantante deve convincere delle sue tesi. Contrariamente al filosofo, però, lui può farlo senza argomenti.[5]
  • Io non sono un intellettuale, io sono un chierico. Intellettuale diventa colui che prende partito per valori estremamente politici. Il chierico invece è colui il quale si sforza di seguire valori che siano universali.[6]
  • Io sono io e la Sicilia. Non posso ignorarlo o escluderlo, sarei colpevole di un'astrazione malfatta.[1]
  • Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio. Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l'estinzione. L'angoscia dello stare in un'isola come modo di vivere rivela l'impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale. La volontà di sparire è l'essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere: la storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori ma dietro il tumulto dell'apparenza si cela una quiete profonda. Vanità delle vanità è ogni storia. La presenza della catastrofe nell'anima siciliana si esprime nei suoi ideali vegetali, nel suo taedium storico, fattispecie del nirvana. La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell'arte quest'isola è vera.[7]
  • La mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. [...] Sciascia era lo scrittore civile, un maestro di scuola che voleva insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come rileggere Silvio Pellico. La sua funzione s'è esaurita. Sciascia non ci serve più. Occorre una nuova riflessione, un'altra coscienza siciliana.[8]
  • La vera vita è la vita della mente.[4]
  • [Su Angelo Scandurra] Col suo linguaggio questo poeta spella vive le cose. L'immaginazione non sbriga affari correnti ma bussa con imperio alle porte dell'universo. L'immagine di un enorme ragno cresce sotto i nostri occhi. Il ragno con cui Spinoza giuoca, gettandogli mosche e ridendo, evoca nel filosofo l'immagine dell'orto divinus la cui insistita geometricità è l'implacabilità di un Dio senza passioni. Come un'enorme massa che incombe su esseri atterriti. Nel nostro poeta il ragno è un "dio scontroso e scaltro". L'immagine prepotente però non si accontenta. Il tema balena dietro gentilezze da uomo di mondo. Il poeta è sempre vigile. Secche staffilate o carezze, egli ci prende alle spalle. Come in un agguato in cui rischiamo la nostra prudente quiete. Si muovono da lontano vecchie sensazioni, emozioni ormai logore si ridestano e alla fine ci si incontra con se stessi.[9]
  • [Sul rapporto con la Sicilia] Per quanto ne sono consapevole – e di questo solo rispondo, non delle cose cosiddette inconsce, che non mi picco d'indagare — non ho "rapporti", è piuttosto l'estensione della mia pelle [...] Ho scritto qualcosa sulla Sicilia. Ma quanto al vivere qui, devo dire che mi trovo bene, ho un collegamento immediato, da ragazzino vivevo a Lentini dov'ero nato — non c'erano i giardini che avrebbero sostituito le pensioncine — mio padre era farmacista, mio zio avvocato e aveva delle campagne, dove ogni tanto andavamo. Ricchissima terra, dove poi ci sono stati ritrovamenti archeologici, e così mi sono trovato a giocare con le ossa — dei greci, dei graeculi, di tutti quelli che vi avevano abitato o comunque erano passati da lì (si ritrova in un mio poemetto...); ebbene, mi trovavo bene, mi ci trovo bene in mezzo.[10]

Dell'indifferenza in materia di società[modifica]

  • Che ‘io’ debba essere governato: ecco da dove inizia lo scandalo della politica. Esaminando dunque la mia avversione per essa, intendo esaminarne l’idea in relazione a chi ne fa professione, e poi entrambi in relazione al mio spirito. Essa appare ovvia se vista dall’esterno. Ma esaminata in rapporto al mio spirito, o a uno spirito qualsiasi, l’idea che qualcuno si ‘occupi’ di me (costui dovrebbe essere infatti l’‘uomo politico’) non finisce mai di sorprendermi. Che io debba essere governato, ecco dov’è lo scandalo. L’avversità del mio spirito a questa idea è totale.[11]
  • La politica è la tutela dei minorati.
  • Nell'uomo politico si incarna lo stato medio di una società – i vizi, le mediocrità, i difetti – come se egli ne assorbisse i mali alla maniera dei vecchi stregoni che succiano la ferita purulenta succhiandone anche il maleficio. Così i loro vizi, le turpitudini, il malaffare, sanno di qualcosa di diverso. È come se essi imbrigliassero tutto ciò che di turpe vi è in una convivenza e ne liberassero gli altri.
  • Solo chi conserva i valori li perde, e solo chi non può che sovvertirli in realtà li conserva.
  • Vero, la società dovrebbe salvarci dall'universo che ci ingoia. Ma cosa ci salva dalla società?

Del pensare breve[modifica]

  • Ci si trascina di notte per le vie e si parla tra sé. Il dialogo alligna di giorno e risuona dei suoi traffici ignobili. Di notte si monologa. Come dei re.
  • Ciò che vi è di altro nel bello è il suo effetto distruttore. La felice tensione di una poesia fa scoppiare, se essa entra in te, il tuo povero cuore. Tu ne sei la vittima che accoglie devota l'acuminato coltello con cui il bello di immola. Nessuno dev'esserci dov'è la bellezza, questo essa sembra dire e con gesto sdegnoso ti volta le spalle. Chi vede il volto della bellezza muore, sì, ma non disperato.
  • Come sopportiamo ancora di chiamarci viventi ― noi morenti!
  • Il primo venuto che vuol dire la sua vanta il diritto all'autonomo pensiero a cui è stato educato. Lasciate che parli: si impiccherà da sé.
  • La modestia è la vile riuscita di chi si annulla ma solo un pochino e proprio così si mette in risalto.
  • Perché mi ostino a definirmi "filosofo" benché né i filosofi mi vogliono né io voglio loro? Perché in questa disciplina, nella sua venerata regola, entrai fanciullo e mai venne meno la mia fedeltà. Per più di cinquant'anni l'ho studiata non distratto da altro. Ne ho carpito segreti e reticenze, ho visto esaltazioni e declini, eccessi e dimenticanze. Filosofi sull'altare e poi scagliati giù. Ho assistito al loro regno, e al dominio delle loro idee, e l'ho studiato più che quello di duci e condottieri. Ho avuto amori duraturi, ho imitato modelli (ma come si può imitare l'Idea, ahimè). Sono invecchiato lì dentro. Di essa conosco tre o quattro cose meglio dei miei contemporanei. Non ho altro da aggiungere.
  • Se Karl Kraus avesse scritto Il capitale lo avrebbe fatto in tre righe.
  • Se rubi ti arrestano; se affermi che esiste Dio è solo un'opinione. Ciò mi ha sempre meravigliato.
  • Si perdonano coloro che ci hanno offeso perché così il conto torna: un'offesa ciascuno. Ma quest'ultima è mortale.
  • Vera disciplina nelle cose dell'intelletto è una spietata intransigenza contro lo spirito di discussione. Ogni concessione fatta in nome della reciproca eguaglianza è un tradimento della verità su cui si fa prevalere la cortesia. Pensare divide.

De mundo pessimo[modifica]

  • Colui che è stato educato al pessimismo e ne è divenuto il discepolo, e per giunta, in qualità di epigono, intende trasportarlo nel proprio tempo, vede in esso un tema classico, un tema eterno. Sa bene quello che il pessimismo esige e quello che si esige da esso. Egli è il pessimista della verità, se così si può chiamare costui. Il pessimismo onora la verità: questa la tesi generale. Questo pessimista ha seguito il retto cammino dell'onore. Egli ha onorato la verità. Questo è il pessimismo che vogliamo con tutte le nostre forze, egli dice: percorrere il cammino che percorre ogni uomo che si sia accostato alla verità sino al suo nucleo più crudele, là dove essa non è più con lui. Perché la verità è il tutto contro la parte, il tutto contro di te.
  • Nello spirito vi sono ancora continenti da conquistare, scoperte e grandi viaggi.
  • Se dovessimo porci il problema dell'utilità e del danno del pessimismo per la vita, non ci sarebbe che una sola risposta da dare: la verità o la vita.

Dialogo sul comunismo[modifica]

  • I mezzi di annientamento di massa corrispondono al ritorno in grande stile del valore al posto dell'essere.
  • Se vuoi ancora che tragga fuori questa oscura mia evidenza e gli dia una qualche luce, comune io vedo, per dirtene una, il principio di non contraddizione, l'imperativo categorico, comuni i principi della scienza, il sapere circa il nostro sistema solare, quel tanto che basti per guardare in faccia la nostra sorte – intendo della specie. È a questo comunismo che mi riferisco.
  • Socrate muore perché ha violato la legge. È sciocco dire che egli era un galantuomo, dice giustamente Hegel. Se filosofo è colui che mette l'individuo contro il mondo non possiamo non provarne ripugnanza, egli aggiunge.

Dialogo teologico[modifica]

  • Definisco il pensare come l'attenzione per tutto ciò che non è se stessi o l'attenzione per se stessi ma come se non lo si fosse. Per gli equivoci che causa, sono propenso a usare invece di "pensare", "essere attento" e al posto di "pensiero", "attenzione". Uno dei benefici sarebbe quello di lasciare "pensiero" all'uso corrente. L'idea di sforzo connessavi sarebbe ben spiegata dal concetto di attenzione che è implicito in essa. Definisco, poi, idea lo scarto tra noi e le cose. Allibisco quando sento dire che le idee e le cose sono identiche. È il potere di questo scarto che definisce la capacità di pensare.
  • Depreco egualmente il trionfalismo di Kant e in genere di quelle filosofie che, trovando necessario partire dall'io, inneggiano ad esso come se fosse una grande conquista e non invece la miserabile sorte che ci è toccata.
  • Il compito della teodicea fu assolto nello stesso momento in cui essa scomparve, non per averlo fallito ma per esserci riuscita in pieno. In ultima analisi essa fece sparire la nozione stessa di male.
  • Un'idea non mi sembra veramente attendibile se non appaga anche i miei sensi.
  • Uomo giusto è chi sa questo: che egli deve annullare Dio quotidianamente affinché la misura dell'eterna giustizia quotidianamente si compia.

La conoscenza del peggio[modifica]

  • Che non ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare.
  • Il discorso pessimistico appartiene al genere oratorio, e questo perché presuppone un uditorio che può gridare e agitarsi.
  • Il meglio non è altro che la realtà così com'è. Questo fu il pessimismo di Hegel.
  • L'arte del filosofare viene alla luce anche grazie al comportamento mimetico di chi la esercita.
  • Le discoteche sono piccoli nirvana dove il solenne fragore del rock fa assaporare il piccolo nulla al figlio di Siddharta. Non essere per un poco è tutto quello che si chiede. Piccoli 'niente' di cui la vita dell'individuo odierno ha bisogno per rinascere e vivere un'altra settimana.
  • Nella musica 'industriale' è immanente l'irreversibilità del tempo. Essa è musica entropica, musica che si distrugge da sé. La musica leggera è la fattispecie dell'autodissolvimento della musica. E tuttavia è l'unica forma di musica che ha senso per tutti. Sul ciglio dell'abisso, Mahler compone Il canto della terra ma canticchia una canzone napoletana.

La consolazione[modifica]

  • La luce che emana da Spinoza, spiegava Colerus, non era da meno della luce del sole. Sospettai che a questa similitudine avessero messo mano cielo e terra compiaciuti. Eppure c'è una ragione, meno fortuita, per cui non farò mai a meno di pronunciare il nome di Spinoza. Scomparendo davanti alla propria opera, egli si legò ad essa per sempre. Dove sono, infatti, nell' Ethica, le tracce di un essere vivente? Saprebbe qualcuno indicarmi un punto in cui è presente anche solo la sua ombra? Non ti sembra però questo po' di realtà il suo maggiore attributo? Ecco dunque cosa ha fatto Spinoza, e la ragione per la quale dobbiamo assolutamente ricordarlo. Egli ha saputo fare in modo da non essere 'autore' dell'Ethica. (p. 100)
  • Qualcuno ha detto che solo Dio avrebbe potuto scrivere l'Ethica. Credimi, costui sbagliò. Nemmeno Dio. Infatti l'impossibilità per l' Ethica di essere scritta non è che la stessa impossibilità per il mondo di essere creato, cosa che l' Ethica dimostra perfettamente. (p. 100)
  • Man mano che Spinoza si sbarazzava di se stesso, dunque, nasceva l' Ethica. Ciò è tutto il contrario che esserne stato l'autore. Per potere scrivere l'Ethica egli non doveva esistere. Dovremmo dire, se volessimo essere più precisi, che un certo Baruch Spinoza, il quale non esisté, scrisse l' Ethica. (p. 101)
  • Convieni però che quando tutti cominciano: Baruch Spinoza nacque qua o là, il giorno e l'anno tale e tale, e solo poi parlano dell' Ethica, convieni, ammettilo, che sono solo dicerie. Bisognerebbe, caso mai, cominciare dalla sua morte, o da quando questa ebbe inizio, e proseguire a ritroso. Bisognerebbe dire come fu che costui un dato giorno cominciò a sparire. (p. 101)

La morte del sole[modifica]

  • È questo non cambiamento del mondo nel cambiamento della società che la filosofia, senza eccessiva stupefazione, deve rispecchiare.
  • Il bello è nell'attimo stesso in cui si avverte che un bello non è più. Per sempre ormai, possibile.
  • La verità, compito di chi si occupa di filosofia, non è il dialogo fra due che filosofano, ma un muto cenno che viene rivolto alla vittima designata.
  • Non si può essere reazionari perché non c'è dove tornare; non si può essere progressisti, perché non c'è dove andare.
  • Per la fisica il senso del mondo è nella fine. Lo sguardo che si affida alla fisica vede le cose dal punto di vista della loro fine. Si inverte così l’atteggiamento fondamentale dell’individuo. Alla luce della fisica, non l’origine, ma la fine è la meta. Il vedere tutto alla luce di essa, già distrutta la vita, ogni cosa in una eterna quiete, è vederlo come un giorno apparirà. Ma appare già oggi per chi sa scorgerne la sua contemporaneità morfologica con noi. Si tratta di vedere già il mondo alla luce di questa catastrofe finale e richiamarsi sin da ora a essa come contemporanei.[11]

Quaternario[modifica]

  • Aveva appreso che delle cose irrazionali non vi è sistema ma narrazione. Ma questo non gli bastava. Egli adorava i concetti e attraverso essi avvertiva gli odori delle cose e le loro quintessenze e sentiva scorrere nel suo sangue la loro potenza e avrebbe pure potuto chiamarle per nome una per una… I concetti erano la sua anima e attraverso essi filtrava anche i suoi umori. Gli individui sono dei concetti incarnati. Che mi importa di possedere la loro carne, usava dire. L'immagine di un individuo di cui niente si può sapere se non tramite la sua psicologia gli sembrava invecchiata e legata a una immagine diveniente dell'uomo. Laddove invece l'individuo è compiuto e non può essere più oggetto di psicologia ma di concetto. Questa era la sua convinzione. Non aveva alcun timore di avere dei pregiudizi.
  • Vedeva Parigi come un insieme di idee. Pensare in questa città è pensarla, diceva. E per un certo tempo gli dedicò il suo io.

Trattato dell'empietà[modifica]

  • La teologia non è scienza della salvezza, ma della perdizione.[11]
  • Qui vi è il tentativo di costruire una teologia pubblica – anzi, se ci è concesso di mutuare uno stilema a una grande memoria, una teologia pubblica europea. Se l'epoca della teologia appare conclusa, o se ne trascina appena l'ombra, ciò è avvenuto perché gli stinti intelletti che se ne sono occupati (a parte alcune eccezioni) portano in loro il tarlo che aveva roso la disciplina. Come se questa avesse dovuto seguire le sorti della religione a cui la legava la subalternanza. La stessa caduta della religione, ormai solo oggetto di fede e di speranza – squallidi sostegni del nostro incerto destino –, doveva favorirla e sbarazzare il campo da ogni equivoco. Che Dio esista è solo un fatterello sinistro. Niente di più. (Dato come vanno le cose, bisognava aspettarselo)
  • La teologia naturale, in quanto "disposizione naturale", appartiene cioè alla cieca spontaneità, alla bruta natura umana. Ma nello stesso tempo sta a ricordare che qui non v'è che il più infimo essente. La stessa cosa implica la cieca formalità del sillogismo disgiuntivo che, se vogliamo dire le cose come stanno, ci conduce ottusamente a concepire l'oltraggiosa idea di Dio. Con questa empietà comincia e finisce la teologia naturale.
  • La 'reductio' di tutte le cose in Dio la conosciamo con un altro nome. In chi muore si rivela eo ipsola forza infera o, mettiamola così, la cara, vecchia essenza del mondo.
  • Il proprio destino conoscitivo (non la 'lettera sull'argomento') conduce lontano. Porsi una domanda e leggere un libro – che vi può essere di più sciocco?

Trattato dell'età[modifica]

  • La specie non è niente, alcuni uomini sono tutto.
  • Non v'è dunque che una sola età. Oppure, come possiamo anche dire, tutte le altre età sono faccende da psicologia. Solo la vecchiaia è in sé. Soltanto essa non chiede meno di una metafisica per essere trattata adeguatamente.

Citazioni su Manlio Sgalambro[modifica]

  • La filosofia di Sgalambro, che dal punto di vista della qualità del linguaggio ha come autore di riferimento Schopenhauer, è una filosofia dolorosa, sulla cattività dell’uomo, sull’essere cattivo, nel senso di prigioniero, dell’uomo, con un tema teoretico centrale che è quello del rapporto tra essere e dover essere e con la pretesa di affermare la verità e non l’opinione: se parlo, parlo perché intendo ciò che dico come la verità, non per aggiungere dubbi a dubbi, altrimenti taccio. (Massimo Cacciari)
  • Sgalambro era uno schopenhaueriano, era Schopenhauer. Non credo abbia fatto molto bene questo filone critico e sostanzialmente pessimistico a Battiato che ha un po' perduto quella vena di dissacrazione, la carica paradossale, ironica, a volte anche assolutamente scanzonata che aveva nelle cose sue come 'Bandiera bianca'. (Massimo Cacciari)

Note[modifica]

  1. a b Citato in Addio a Sgalambro, filosofo e poeta del pessimismo siciliano, EuropaQuotidiano.it, 6 marzo 2014.
  2. Citato nel film Perduto amor (2003).
  3. Da un'intervista di Francesco Iannello, GAP, RAI Educational, 2013. Citato in RAI Cultura
  4. a b Dall'intervista a Freetime del 13 gennaio 2014. Come citata in Concetta Bonini, Manlio Sgalambro, l'ultima intervista, in Panorama, 6 marzo 2014
  5. Da Teoria della canzone, Bompiani.
  6. Da un'intervista a Rita Fulco del 2004. Come citato in [https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2022/12/Manlio-Sgalambro-Lultimo-chierico--03961631-ba35-4bcd-bfcc-39b0660496c0.html Manlio Sgalambro. L'ultimo chierico Un libro intervista di Rita Fulco], RAI Cultura
  7. Da Teoria della Sicilia, prologo dell'opera lirica Il Cavaliere dell'Intelletto; citato in Guido Guidi Guerrera, Battiato: Another link, Verdechiaro edizioni, 2006, p. 117. ISBN 8888285253
  8. Dall'intervista di Francesco Battistini, Sgalambro: Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera, 11 febbraio 2005, p. 33.
  9. Da Prefazione a Angelo Scandurra, Trigonometria di ragni, All'insegna del Pesce d'oro, Milano, 1993, pp. 7-8
  10. Citato in Il pessimismo osé di Manlio Sgalambro, PsychiatryOnline.it, 4 marzo 2013.
  11. a b c Citato in Essere contemporanei della fine del mondo. Saggi su Manlio Sgalambro, RAI Cultura

Bibliografia[modifica]

  • Manlio Sgalambro, De mundo pessimo, Adelphi, Milano, 2004. ISBN 88-459-1880-7
  • Manlio Sgalambro, Del pensare breve, Adelphi, Milano, 1991. ISBN 88-459-0820-8
  • Manlio Sgalambro, Dell'indifferenza in materia di società, Adelphi, Milano, 1994. ISBN 88-459-1080-6
  • Manlio Sgalambro, Dialogo sul comunismo, De Martinis, 1995.
  • Manlio Sgalambro, Dialogo teologico, Adelphi, Milano, 1993.
  • Manlio Sgalambro, La conoscenza del peggio, Adelphi, 1982.
  • Manlio Sgalambro, La consolazione, Adelphi, Milano, 1982. ISBN 88-459-1150-0
  • Manlio Sgalambro, La morte del sole, Adelphi, Milano, 1982. ISBN 88-459-1203-5
  • Manlio Sgalambro, Quaternario, Il girasole, 2006.
  • Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà, Adelphi, Milano, 1987.
  • Manlio Sgalambro, Trattato dell'età, Adelphi, Milano, 1999. ISBN 88-459-1490-9

Filmografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]