Marco Pantani
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Marco Pantani (1970 – 2004), ciclista su strada italiano.
Citazioni di Marco Pantani
[modifica]- Avrei voluto essere battuto dagli avversari, invece ancora una volta mi ha sconfitto la sfortuna.[1] [dopo il ritiro, causa caduta, al Giro d'Italia 1997]
- [Parlando della fidanzata Christina] È una persona fredda, che mi giudica, scappa quando ho bisogno, e io, con il carattere duro che mi ritrovo, continuo a sfidarla.[2]
- C'è qualche cosa di strano. Ripartire dopo una batosta come questa... L'ho fatto dopo grossi incidenti, mi sono sempre rialzato, ma questa volta non mi rialzo più. Ora vorrei solo un po' di rispetto. Penso ai miei tifosi, mi dispiace per loro e per il ciclismo. (Madonna di Campiglio, 1999[2])
- Quando scatto cerco di distruggere psicologicamente i miei avversari che non sanno mai fin dove posso arrivare.[2]
- Aspetto con tanta verità sono stato umiliato per nulla e per 4 anni sono in tutti i tribunali, ho solo perso la mia voglia di essere come tanti altri sportivi ma il ciclismo ha pagato e molti ragazzi hanno perso la speranza della giustizia e io mi sto ferendo con la deposizione di una verità sul mio documento perché il mondo si renda conto che se tutti i miei colleghi hanno subito umiliazioni in camera, con telecamere nascoste per cercare di rovinare molti rapporti fra famiglie. E dopo come fai a non farti male. Io non so come ma mi fermo, in casi di sfogo, come questi, mi piacerebbe che io so di avere sbagliato con droghe ma solo quando la mia vita sportiva soprattutto privata è stata violata ho perso molto e sono in questo paese con la voglia di dire che basta la vittoria è un grande scopo per uno sportivo ma il più difficile è di avere dato il cuore per uno sport con incidenti e infortuni e sempre sono ripartito, ma cosa resta se tanta tristezza e rabbia per le violenze che la giustizia a te ti è caduta in credere, ma la mia storia spero che sia di esempio per gli altri sport che le regole si devono avere ma uguali non esiste lavoro che per esercitare si deve dare il sangue e controlli di notte a famiglie di atleti io non mi sono sentito più sereno di non essere controllato in casa in albergo da telecamere e sono finito per farmi del male per non rinunciare a la intimità che la mia donna gli altri colleghi hanno perso, e molte storie di famiglie violentate ma andate a vedere cosa è un ciclista e quanti uomini vanno in mezzo a la torrida tristezza per cercare di ritornare con i miei sogni di uomo che si infrangono con droghe ma dopo la mia vita di sportivo e se un po di umanità farà capire e chiedere cosa ti fa sperare che con uno sbaglio vero, si capisce e si batte per chi ti sta dando il cuore questo documento è verità e la mia speranza è che un uomo vero o donna legga e si ponga in difesa di chi come si deve dire al mondo regole per sportivi, uguali e non falso mi sento ferito e tutti i ragazzi che mi credevano devono parlare. (Parole scritte da Pantani nel suo passaporto durante il suo ultimo viaggio ai Caraibi[2])
Citazioni su Marco Pantani
[modifica]- Ancora oggi quando penso a Marco mi viene un po' di rabbia e molto dolore. Era fantastico e tragico, imprevedibile, quando gli facevi del bene ti dava un morso. (Alessandra De Stefano)
- Bastava vederlo che.. aveva qualcosa di diverso. Sembrava che la bici non toccasse neanche terra. Si alzava sui pedali, si metteva seduto. Poi teneva sempre gli occhi bassi e ogni tanto guardava avanti. Era una sfida, secondo me neanche con gli avversari, era una sfida proprio con la salita. Perché quando arrivava in cima era quasi sfigurato. Mi ricordo quando vinse a Montecampione alzò le braccia al cielo e fece uno sbuffo come per dire: "anche questa volta ce l'ho fatta". (Davide Cassani)[3]
- Corri più veloce del vento | il vento non ti prenderà mai | corri ancora adesso lo sento | sta soffiando sopra gli anni tuoi. | Dammi la mano fammi sognare | dimmi se ancora avrai | al traguardo ad aspettarti | qualcuno oppure no. (Nomadi)
- Ho i video in cui vengo accostata a lui, per il modo di scattare sui pedali. Marco, per fortuna, l'ho conosciuto. Nel 1995, al Mondiale di Duitama. Avevo 21 anni e venivo dai successi al Giro e al Tour, ma mi ritirai dopo una brutta gara. Marco fu il primo a venire a consolarmi e io feci avvicinare soltanto lui. (Fabiana Luperini)
- Io sto vincendo questo tour, ma se ci fosse Pantani lo vincerebbe lui. (Lance Armstrong)
- Marco l'ho avuto sempre tra i pedali. È sempre stato il più bravo, un fenomeno: nessuno come lui. (Ivan Gotti)
- Non c'è niente da fare... quando la strada si rizza sotto i pedali Pantani è il più forte. (Adriano De Zan)
- Non è questione di santificare o beatificare, sublimare o divinizzare. Marco non era santo, non era beato, non era divino [...]. Però Marco in bicicletta aveva saputo regalarci emozioni, brividi, sentimenti, e di questo gli saremo sempre grati. Era un uomo di quei tempi, bui, gli anni di piombo del ciclismo, e questo bisogna considerarlo, non come una giustificazione, ma come una realtà. (Marco Pastonesi)
- Sul Mortirolo (quota 1854) è nato il mito di Marco Pantani, quando il 5 giugno 1994 salutò tutti e andò in fuga nell'ultima parte della salita, passando in vetta con 10 minuti su Nelson Rodriguez, primo degli inseguitori. (Aldo Grasso)
- Un dio dello sport: si chiama Marco, il nome forte di un evangelista. È andato lassù [...] a predicare sulle montagne il mistero eterno dell'uomo ai confini della più spietata fatica. (Candido Cannavò)
- Era fascinazione, innamoramento collettivo, palpitazione agonistica.
- Un leader nato, fragile quanto forte, perché munito di una sensibilità fuori dal comune. L'hanno fatto passare per dannato, ma la dannazione è stato perderlo.
- Un ragazzo semplice e spontaneo, anche se prima dei grandi appuntamenti diventava un po' burbero. Se sentiva la giornata, dovevi solo lasciarlo tranquillo. Tu lo guardavi e dal suo sguardo capivi che aveva in mente di fare qualcosa di grande. Lui si trasferiva in una sua dimensione e da lì scrutava il mondo.
- Il coraggio delle fughe di Pantani. Che si alzava sui pedali come per vedere cosa c’era là davanti. E non lo vedeva mica. C’era solo la strada ripida e cattiva, e un tornante che chiudeva l’orizzonte, e tutta la fatica, tutto l’ignoto della vita che lo guardavano in faccia. E Pantani dritto in piedi, le mani a stringere la parte bassa del manubrio, chiudeva gli occhi e ci si tuffava dentro. Ci vuole un sacco di coraggio, per fuggire.
- Come tutte le persone con cui si intende e si trova bene, [Luciano Pezzi] è molto più vecchio di lui. Ma è normale, Marco viene dal passato, da un tempo senza tempo dove si mescolano forze primitive e portentose. Quelle stesse forze muovono Luciano Pezzi, che ha settantacinque anni, è stato capo partigiano, ha corso con Coppi e Bartali, ha portato il giovane Gimondi a vincere il Tour de France. E adesso è convinto di poter fare lo stesso con lui, che non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto.
- C’era il traguardo, un arco colorato di giallo su un viale di Dublino. Sotto non passava nessuno, perché erano arrivati tutti, la tappa appena finita. E in blu la tabella con la classifica, che scorreva dal primo all’ultimo. Ullrich aveva vinto, aveva già la Maglia Gialla di chi comanda il Tour. Gli altri favoriti stavano tutti nei primi dieci posti, poi via via nomi sempre più piccoli fino in fondo alla lista dei centottantanove partenti. “Marco Pantani, Italia, centottantunesimo.”
- Era la sua facilità di interpretare tutto fuori dagli schemi che mi sorprendeva. Gli spiegavi una salita inedita nei dettagli, per ore, e alla fine ti diceva: ma non l'abbiamo già fatta questa salita? Niente, non c'era verso.
- Era un ragazzo d'oro, ma talora il suo carattere si faceva difficile a causa della troppa gente, anche con doppi fini, che voleva avvicinarlo. Non mi pentirò mai di averlo difeso.
- Era uno che se la mattina aveva voglia di andare a fare un giro con un suo amico, andava a fare il giro invece di allenarsi. Poi magari usciva in bici alle cinque del pomeriggio e stava fuori fino alle nove di sera. Gli atleti normalmente hanno una routine, lui no. [...] Forse una volta che mi aveva fregato, era ancora abbastanza giovane, era il '94: siamo andati al Giro del Messico con la Carrera per fare bene. C'era lui, c'era Chiappucci, Schiavina. In aereo gli vado vicino: dimmi un po' gli allenamenti che hai fatto. E lui: ma lì dove andiamo non c'è modo di fare allenamento? Impazzisco: ma come, serve un adattamento, saremo a duemila metri. Ho scoperto in aereo che non si era allenato praticamente mai, mi sono arrabbiato e lui diceva: ma dai, abbiamo quindici giorni... Oh, se non sbaglia strada l'ultima tappa la vince.
- Ha fatto innamorare le persone normali del ciclismo. Tutti guardavano le imprese di questo ragazzo, ed è questa la forza di Marco. [«Sei riuscito a capire perché?»] Perché vinceva quando la gente immaginava di vederlo vincere. C'era una salita e tutti si aspettavano che si muovesse Pantani, che vincesse Pantani. E una buona parte di quelle corse le ha vinte davvero, o almeno è stato protagonista fino in fondo. Non ho mai visto Marco scattare su una salita a 500 metri dall'arrivo com'è successo a molti altri campioni. Quando iniziava la salita la gente pensava: adesso parte Pantani. E il bello è che Pantani partiva. È stato un fuoriclasse, uno che poteva cambiare le corse, e ha cambiato il ciclismo. A suo favore. Quando andavo in giro con l'ammiraglia lo riconoscevano tutti: non mi è mai più successo, e di campioni ne ho avuto molti.
- Marco per me è stato ed è un mito, uno di quei corridori che la gente ricorda per le vittorie ma anche per le emozioni che trasmetteva e che non si dimenticano mai, normale che anche i corridori di oggi sappiano delle gesta di Marco... troppe emozioni per non ricordarlo sempre. Le vittorie di Oropa, dell'Aprica e dell'Alpe d'Huez non si dimenticano facilmente e non c'è gente che non le guardi all'infinito.
- Sarebbe normale dire quanto andava forte in salita. Ma io l'ho visto andare più forte in allenamento che in corsa. In gara sei preso da tutta una serie di fattori: l'emozione, la classifica, il fatto di dover vincere. Ma quello che gli ho visto fare in allenamento non l'ho mai visto fare a nessuno. E faceva in modo che io non potessi seguirlo. Mi diceva: aspettami qua che torno indietro subito. Qualche volta mi ha fregato. Ma altre volte facevo finta di aspettare e poi lo seguivo: oh, non lo trovavo più, lo prendevo magari dopo cinque chilometri. Andava come nessuno.
- [«Pantani era più talento, più voglia di farcela o più sacrificio?»] Talento sicuramente al cento per cento, e quello o ce l'hai o non ce l'hai. Sul fatto che fosse capace di soffrire, dubbi non ce ne sono. Quanto ai sacrifici, a lui veniva abbastanza facile tutto. Magari faceva il sacrificio – mentale più che fisico – di dover arrivare preparato al Giro. Tutto qui.
- Allenarsi con Marco Pantani era una soddisfazione e un supplizio in quanto non sapevi mai cosa aspettarti. Nel luglio del 1999, dopo la batosta di Madonna di Campiglio, ricordo che con Fontanelli, Conti, Coppolillo e Pantani abbiamo inforcato le bici per raggiungere San Marino. In fondo alla discesa di Acquaviva ci siamo fermati in un alimentari per mangiare qualcosa. L'idea iniziale era un allenamento da tre ore e mezzo. A quel punto se ne esce Marco che dice, "ragazzi, andiamo a fare il Fumaiolo". Noi rimaniamo un po' basiti, ci guardiamo l'un l'altro e, dopo un attimo di smarrimento, ripartiamo. Marco in quel periodo aveva di questi lampi, che ci facevano ben sperare, rimasti purtroppo episodi isolati.
- L'aneddoto più bello è dei tempi alla Carrera, quando partì senza aver fatto colazione e poi come al solito decise di allungare. Fece il Carpegna e quando finì la discesa si rese conto di essere svuotato e di non avere in tasca neanche una lira. Allora entrò in un negozio. "Sono Marco Pantani, non ho un soldo e ho una fame nera. Mi date un paio di barrette di cioccolata per arrivare a casa?". Ovviamente gli diedero quello che chiedeva e lui ripartì. Mi disse che quando arrivò all'incrocio di Savignano [...] era talmente sfinito che non ricordava nemmeno di essersi fermato al semaforo. Il giorno dopo ovviamente tornò su e gli portò i soldi per pagare quel che aveva mangiato.
- Pantani è sempre stato puntiglioso specialmente in allenamento. In tasca aveva sempre le chiavi necessarie per regolarsi sella e manubrio e poi armeggiava con i tacchetti. Nel 1995, eravamo ancora alla Carrera, in allenamento a Mercatino Conca decide di fermarsi per modificare il manubrio, forse di un millimetro... Fatto sta che nell'armeggiare gli si rompe la vite di bloccaggio. Sarebbe stato impossibile tornare a casa. Allora vado in avanscoperta e trovo un benzinaio tuttofare che, in un modo o nell'altro, riesce a darci un surrogato del pezzo rotto così da permetterci di arrivare a casa.
- Parla la gente... Marco in pochi anni ha lasciato un segno indelebile. Da quando se n'è andato, senza lui manca qualcosa al ciclismo. Oltre al fatto che era un fenomeno e che era esaltante vederlo correre, era un personaggio genuino anche fuori dal contesto di gara. Con lui avevo un'amicizia non indifferente, era una brava persona nonostante tutto quello che è successo.
Citazioni in ordine temporale.
- Quello che mi sconcerta e fatico a comprendere è questo "disturbo bipolare" di cui soffre il giornalismo italiano. Pantani Dio o mostro? Eroe da idolatrare o simbolo del male? In questi anni abbiamo visto e ascoltato di tutto. Ma se è giusto che ognuno abbia la propria opinione, che può anche subire delle sensibili modificazioni nell'arco del tempo, lascia perlomeno basiti la disinvoltura che molti miei colleghi mostrano sull'argomento da una settimana all'altra. La commissione del Senato francese per la salute pubblica che ha indagato sui controlli del Tour del '98 rivela che Pantani era carico di Epo? Giù a massacrare il Pirata che non c'è più. C'è da celebrarlo perché in questi giorni cade il decennale della sua morte? Nessun problema: si celebra. Se è per far cassetta diciamo anche che è stato una vittima. Che l'hanno ammazzato. Anzi, alimentiamo il dubbio così ognuno di noi ha un buon motivo per indagare e scrivere altri libri. Magari strombazzando incredibili rivelazioni [...]: rilanciare una tesi o una notizia è sempre buona cosa, ma farlo sulla pelle di un ragazzo che non c'è più e sulla sua storia tragica non ci sembra assolutamente un bel modo di ricordarlo.
- Io [...] voglio ricordarlo come il corridore che più di ogni altro mi ha esaltato. Mi ha fatto sognare. So razionalmente che probabilmente il suo sangue era "arricchito", ma so anche che non era il solo, ma è il solo che ha pagato un prezzo altissimo, spropositato, perché anche nella sconfitta lui era diverso dagli altri. Il suo orgoglio era smisurato e la sua forza era anche la sua debolezza.
- In questa terribile storia ci sono troppe verità. E le più vere vengono allegramente dimenticate. Non raccontate. Si vuole raccontare tutta un'altra storia, che ha responsabilità ben precise, nomi e cognomi, compreso quello di Marco Pantani, che cocciutamente si è consegnato e affidato alle persone sbagliate. Marco avrebbe voluto che i suoi colleghi parlassero, raccontassero con nomi e cognomi come funzionava il ciclismo in quel periodo. Non voleva essere la sola vittima sacrificale. Non voleva pagare il conto per tutti. I suoi colleghi decisero di tacere, Marco ha deciso di inseguire con orgogliosa determinazione il silenzio eterno. Una brutta storia, a tratti aspra e cattiva, che ha una sola verità. Tutto il resto sono speculazioni e prove di vanità sulla pelle del povero Marco, che avrebbe bisogno solo di rispetto. E di silenzio.
- In quel ciclismo Marco svettava per personalità e imprevedibilità. Era un artista e faceva cose che per altri erano improponibili e non per quello che alcuni di voi – maliziosamente – potrebbero pensare. Aveva talento, su questo non si discute. Era un ciclismo diverso con un protagonista atipico. Difficilmente catalogabile e riproducibile.
- Si alzava sui pedali e via di scatto ad abbreviare l'agonia di una fatica eterna alla ricerca di un traguardo infinito, con quell'incedere progressivo e ossessivo che sembrava per noi danza e armonia, per i suoi avversari sofferenza e dolore.
- Marco conquistò tutti, anche chi di ciclismo aveva poca contezza. La sua forza è stata questa: catturare la vista e i cuori di tutti, con il suo modo di intendere il ciclismo e le corse, portando lo sport del pedale fuori dai propri confini. Era magnetico e persino ieratico in sella alla sua bicicletta, anche se lui da ragazzo di mare che amava le montagne si è sempre sentito un brutto anatroccolo, anche quando è diventato cigno. Era un centauro, metà uomo e metà bicicletta: solo su quell'arnese trovava il suo equilibrio. Pace e gioia. Solo in salita sentiva di avvicinarsi a Dio, puntando verso il cielo, con foga e compostezza. Con ferocia e leggerezza. Con rabbia e sublime bellezza. Per noi è stato tanto se non tutto in quel momento della nostra vita di sconcertante bellezza e di assoluta gratitudine sfociata in adorazione.
- Una sorta di supereroe assoluto, capace di scalare le montagne come i più grandi campioni del passato, come i Coppi e i Bartali, i Gaul e i Bahamontes. Ha fatto capire a noi boomer [...] cosa devono essere stati quegli anni ruggenti, quell'euforia contagiosa e delirante di un'Italia unita per il ciclismo che si divideva tra Coppi e Bartali. Perché Marco è stato esattamente quella roba lì. Nessuno, dopo di lui, è stato in grado di incatenare i cuori allo stesso modo. Perché parlate solo di lui?, si lamentavano in tanti. Perché aveva un dono che si chiama carisma. Aveva una capacità innata di fascinazione che nessuno poteva vantare. Anch'io ho vinto un Giro, dicevano. Ma lui vinceva in un altro modo, portandoci in altri mondi, perché sulla scena bisognava avere quella cosa invisibile che ti fa vedere rispetto agli altri. Difficile da descrivere, facile da riconoscere.
- Pensatela come volete, ma Marco Pantani in salita è stato di un altro pianeta. Faceva cose con una teatralità assoluta e tragica, seguendo un copione che pareva studiato a tavolino, ma era pura improvvisazione istintiva che noi tutti abbiamo imparato a conoscere e a riconoscere. Sapevamo perfettamente quando sarebbe stato il giorno, quale tappa, su quale montagna e in che punto avrebbe scatenato l'inferno. Con i suoi gesti ci aveva educato a riconoscerlo. Ora scatta. Ora parte. Si è tolto gli occhiali, tra poco getta via la bandana. Si spogliava come a liberarsi di un peso, prima di librarsi in cielo, prima di dare inizio alla sua danza carica di rilanci nell'atto di raggiungere una sublime solitudine che si sarebbe trasformata come d'incanto in estasi e in sommo godimento.
- Ho sempre nella memoria il Pantani a braccia alzate, vincente, quello che attirava le folle, quello che bloccava l'Italia intera perchè tutti rimanevano incollati alla tv a seguire le sue imprese. Se il ciclismo ha avuto così tanta popolarità in Italia lo si deve anche a un personaggio come lui.
- Marco è diventato importante e popolare perché interpretava un ciclismo che piaceva alla gente, un ciclismo d'attacco. Non era un calcolatore, era un istintivo; spesso si facevano tante riunioni ma poi alla fine appena agganciava i pedali alla bicicletta sconvolgeva tutti i piani interni alla squadra.
- Pantani aveva un'attenzione mediatica unica, mi ricordo che la televisione nazionale venne addirittura alla Vuelta Valenciana per documentare la marcia di avvicinamento di Marco al Giro d'Italia. Ovviamente i giornalisti che erano là hanno fatto interviste anche ad altri corridori, e uno di loro – del quale non faccio il nome – quando vennero con le telecamere da lui, rispose in malo modo, dicendo di andare a intervistare Pantani, dato che erano là per lui. Se si vuole bene al ciclismo non si può fare questo, anche perché le telecamere riprendevano le imprese di tutti e non solo quelle di Pantani. Un po' di invidia in gruppo quindi c'era, Marco era l'immagine del ciclismo e oscurava gli altri. Ma più in generale, se noi chiediamo a qualsiasi persona di fare il nome di un ciclista, ancora oggi ti risponde Pantani. Marco è il ciclismo.
Note
[modifica]- ↑ Citato in Pier Bergonzi e Claudio Gregori, Pantani, calvario senza fine, la Gazzetta dello Sport, 25 maggio 1997.
- ↑ a b c d Citato in Manuela Ronchi e Gianfranco Josti, Un uomo in fuga, Rizzoli Editore, 2004. ISBN 88-17-00367-0
- ↑ Le grandi salite del ciclismo n. 1 - Mortirolo, De Agostini, 2007
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