Michail Trepaškin

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Michail Ivanovič Trepaškin (1957 – vivente), avvocato ed ex agente segreto russo.

Citazioni di Michail Trepaškin[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Gruppi del crimine organizzato hanno cercato negli ultimi anni in tutti i modi di penetrare nell'Fsb. All'inizio si contentavano di stabilire un contatto con un agente dell'Fsb che li proteggesse nelle loro attività criminali, ma poi questi gruppi hanno iniziato a infiltrare i loro uomini facendoli assumere nel servizio stesso, ottenendo allo stesso tempo che fossero licenziati tutti coloro che avevano capacità professionali ed esperienza di lavoro operativo. Tutto questo è sotto il benevolo sguardo dell'ex collaboratore dell'apparato del personale, Patrushev. (da una lettera a Boris Nikolaevič El'cin, maggio 1997)[1]

"In Russia ha preso il potere la giunta militare cechista"

Appello dal carcere, 2005; riportato in Aleksandr Litvinenko, Perché mi hanno ucciso, AIEP Editore, 2008, pp. 57-59, ISBN 978-88-6086-011-8

  • Putin, Patrušev e l'Fsb hanno creato in Russia un'atmosfera di terrore generale. Posso dichiarare che al momento la situazione nel paese è uguale a quella degli anni trenta, quaranta e dell'inizio degli anni cinquanta dello scorso secolo. L'Fsb non si vergogna di agire per vendetta ed opera in questo senso apertamente, dando a far vedere di non temere alcuna responsabilità...
  • Ho scelto la via della lotta per la giustizia, per la tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini. Ho sempre ritenuto che l'uomo debba essere libero, apertamente e senza timore. Per questo mi trovo in prigione.
  • Per molti anni ho dato l'allarme che nell'Fsb era stata creata una struttura che si occupava di procure e tribunali. Formalmente è per la lotta alla corruzione, in pratica per gestire queste strutture e per collocarvi i propri uomini. Ed ecco che vediamo che i tribunali, dal basso all'alto, sono diventati gestibili e mansueti... A mio avviso si è insediato qualcosa di simile ad una "giunta militare cechista"...

Dall'intervista di Francesca Mereu, primavera 2008

Citato in L'amico di Putin. L'invenzione della dittatura democratica, Alberti Editore, 2011, ISBN 8874247400

  • Gochiyayev veniva dalla Caraciaievo-Cerkessia, ma viveva a Mosca da dieci anni. Qui si era trasferita quasi tutta la sua famiglia. Aveva un'impresa edile, la Capstroi 2000. Se avesse voluto preparare degli attentati, non avrebbe affittato gli scantinati a nome della sua ditta. E avrebbe fatto lasciare la città ai propri familiari mettendoli al sicuro. Per questo, più continuavo a indagare e più mi convincevo che non era stato lui a preparare gli attentati. Feci una richiesta affinché si controllassero i tabulati della milizia per verificare se quelle telefonate fossero veramente avvenute, ma ho incontrato soltanto ostacoli. Sono comunque sicuro che Gochiyayev non c'entrasse nulla; lui era però il candidato ideale. Era infatti nota la sua simpatia per le idee wahhabite.
  • La presa del potere all'interno del servizio segreto era ormai totale ed era pressoché impossibile lavorare in modo professionale e onesto senza incontrare ostacoli insormontabili. Al Kgb ero diventato un buon investigatore e quando ero all'Fsb i colleghi mi chiedevano spesso aiuto per indagini sul terrorismo o il contrabbando. Io li aiutavo, ma quando arrivavamo alla soluzione del caso i nostri capi, invece di premiarci, ce lo toglievano senza spiegazioni. Se insistevo, ci insultavano urlando che non dovevamo impicciarci di affari che non ci riguardavano. Con l'arrivo di Patrushev al Dipartimento di sicurezza interna cominciò una vera repressione contro gli agenti dotati di professionalità e integrità, compresi quelli che si occupavano della lotta al terrorismo: con i pretesti più vari venivano allontanati perché pericolosi; a loro non sarebbero sfuggiti gli affari più loschi ed era meglio non averli tra i piedi. I dirigenti del servizio venivano ormai scelti dal crimine organizzato e si arrivò presto alla violenza e persino agli omicidi. I terroristi venivano non soltanto protetti, ma usati per le operazioni più sporche chieste dall'alto. Insomma, la mafia aveva preso possesso dell'Fsb.
  • Avevo saputo che a Mosca una grossa partita di armi era sul mercato in attesa del compratore. Il direttore Patrushev non c'era, per cui io condivisi la mia informazione con ufficiali di rango inferiore. Così mi rivolsi al Ruop (il dipartimento della milizia contro il crimine organizzato) e decidemmo per un'operazione lampo prima che le armi sparissero. L'iniziativa ebbe successo e sequestrammo una gran quantità di bazooka e lanciafiamme, oltre a un'enormità di armi leggere che, messe in fila, avrebbero coperto chilometri. Ma quando arrestammo i responsabili, questi ci avvertirono che avremmo perso tempo perché sarebbero stati liberati subito avendo stretti legami con alti ufficiali. Era vero e scoprimmo che questa gente, con la complicità dei nostri militari e dei servizi segreti, stava preparando una strage a Mosca.
  • Conosco parecchi casi di omicidi perpetrati dall'Urpò. Una volta fecero fuori un criminale noto come plastmassnaya golova (testa di plastica), così chiamato perché aveva una placca di plastica sul cranio in seguito a un intervento chirurgico. Un altro fu picchiato a tal punto che la milizia all'inizio non voleva metterlo in cella, poi lo sbatterono dentro moribondo e scrissero che era morto dopo una lite con un altro detenuto. Ci fu in seguito la storia dell'uccisione di ben sei persone che controllavano un mercato ortofrutticolo vicino alla fermata della metropolitana Kievskaya. Era il 1997. L'ex capo del Kgb Vladimir Semichastnyi aveva chiamato il direttore dell'Fsb Kovalyov per chiedergli aiuto: disse che sua moglie aveva un'attività in quel mercato, ma alcuni individui le estorcevano denaro. Semichastnyi chiese a Kovalyov di mandare qualcuno a sistemare le cose. Così quest'ultimo chiamò Gusak, che organizzò una squadra punitiva. Anche Litvinenko era stato convocato per questa spedizione, ma riuscì a sfangarla. Gli uomini dell'Urpò arrivarono al mercato, catturarono i malcapitati – tre di origine slava e tre del Daghestan – li portarono a Serpukhov e li decapitarono. Gusak si fece dare i passaporti dei sei disgraziati e andò da Kovalyov. Gli disse che aveva risolto il problema. «Che avete fatto?» gli chiese Kovalyov. «Li abbiamo uccisi». «Come sarebbe a dire, li avete uccisi?» «Be', lei ci ha chiesto di sistemarli e noi li abbiamo sistemati» tagliò corto Gusak. Kovalyov naturalmente faceva soltanto finta di non capire e scandalizzarsi: non vi erano ordini scritti e tutto veniva stabilito a voce. Legalmente parlando, i sei decapitati sono considerati tuttora dispersi.
  • Al tempo della conferenza stampa gli agenti che vi avevano partecipato avevano almeno ventitré morti sulla coscienza. Litvinenko lo avevo conosciuto poco prima della famosa conferenza stampa, mentre Gusak era già venuto da me per una consulenza legale perché era spaventato e voleva sapere come comportarsi. Io andai allora a incontrare il magistrato che alla procura generale aveva la supervisione di tutti gli omicidi avvenuti su territorio russo e costui mi disse che gli agenti dell'Urpò colpevoli di omicidio sarebbero stati arrestati anche nel caso avessero eseguito ordini dei loro superiori, i quali invece dovevano considerarsi al sicuro. Il dipartimento 18 della procura che si occupa dell'Fsb, in realtà, invece di indagare usava tutte le sue risorse per insabbiare lo scandalo: nessuno aveva interesse a riesumare quei crimini imbarazzanti. In questo clima ambiguo e favorevole all'occultamento si assisté al voltafaccia di Gusak, che si mise a criticare Litvinenko dicendo che sul suo conto esisteva materiale compromettente. Fu un cambiamento di fronte penoso: Gusak all'inizio aveva coraggiosamente ammesso di aver compiuto omicidi su ordine dei superiori, ma si rese presto conto che non poteva dimostrare le sue accuse per mancanza assoluta di ordini scritti.
  • In quel periodo [Boris El'cin] beveva, era totalmente demotivato, stanco, e soltanto quelli del suo stretto entourage sapevano quali fossero i rari momenti in cui potevano sottoporgli qualcosa da firmare, senza leggere. Anzi, ne approfittavano: quando lui beveva gli facevano firmare tutto quello che volevano. Quante volte ho sentito questa gente confidarsi quali erano i momenti giusti per portagli documenti da firmare. La creazione del dipartimento Urpò non sarebbe mai stata possibile senza la firma del presidente.
  • Mi avevano chiesto a nome dell'Fsb di andare a Londra e incontrare Litvinenko. Mi avevano detto che non riuscivano a trovarlo, l'indirizzo che avevano non corrispondeva al luogo dove viveva. Io avrei dovuto incontrarlo e poi altri agenti lo avrebbero seguito per capire cosa facesse in realtà, quali fossero i suoi contatti. All'inizio pensai che avessero chiesto a Lugovoi la stessa cosa, ma poi ho parlato con persone a lui vicine e ho cambiato idea: adesso penso che Lugovoi sia realmente l'assassino, ma non quello che ha organizzato la missione. Lui è soltanto un piccolo anello della catena.
  • L'Urpò ha seminato cadaveri ovunque, lo so per certo e anche Litvinenko ha avuto paura a scrivere fino in fondo tutto quel che sapeva. Era una spetssluzhba nella spetssluzhba che si occupava di elaborare piani per eliminare fisicamente persone che venivano indicate dal capo dell'Fsb e dello Stato.

Citazioni su Michail Trepaškin[modifica]

  • Al contrario di Saša, che si era unito al KGB nel periodo in cui stava scomparendo, Trepaškin vantava quindici anni di eccellente servizio come investigatore della Lubjanka nell'era sovietica. La sua specialità era il commercio clandestino di opere d'arte e antichità. Nel periodo immediatamente successivo al crollo dell'Unione Sovietica, era stato spostato agli affari interni e aveva lavorato alle dipendenze dirette di Nikolaj Patrušev, succeduto a Putin come direttore dell'FSB. Aveva indagato sulla corruzione all'interno della Kontora e sui collegamenti di alcuni dei suoi agenti con gruppi di criminali ceceni a Mosca. Gli agenti fornivano «protezione» ai ceceni e in più si presentavano come mercanti d'armi per i separatisti. Una volta Trepaškin intercettò un carico di armi venduto da qualche ufficiale disonesto dell'FSB ai ribelli, cosa che gli fruttò una medaglia. Ma nel 1996 ruppe con la Kontora, quando fece pubbliche accuse di corruzione. E questo fu anche il motivo per cui finì nell'elenco dei bersagli dell'URPO. (Aleksandr Goldfarb)
  • L'isolamento di Michail Trepaškin non si può definire che come una lenta morte. (Achmed Zakaev)
  • Lei, Patrušev, è un VIGLIACCO. [...] Nella maniera più vile ha sbattuto dietro alle sbarre l'avvocato che aveva dimostrato come le abitazioni in questione e le persone che vi dormivano, siano state fatte saltare in aria proprio da lei. (Aleksandr Val'terovič Litvinenko)
  • Quando un suo superiore disse a Saša: «Dobbiamo occuparci di [Trepaškin]», decise di fingere di non capire.
    «Cosa vuol dire con "occuparci"?»
    «Be', è una situazione delicata. Capisci, sta per portare in tribunale il direttore e rilascia interviste. Dovremmo farlo tacere, su richiesta personale del direttore.»
    «E come lo facciamo tacere?»
    «Ficcagli una pistola nella schiena.»
    «Nemmeno per sogno. È un oper, conosce tutti i trucchi. Non rinuncerà mai a portare il direttore in tribunale.»
    «Be', allora uccidiamolo e basta.» Il superiore stava cominciando a perdere la pazienza. «Di' che abbiamo cercato di portagli via il documento d'identità dell'FSB, che ha resistito e che lo abbiamo abbattuto. Non fare lo scemo con me, Saša. Lo sai o no, che cosa facciamo qui? Siamo una divisione dedita a compiti speciali. Siamo qui per risolvere i problemi, non per fare domande.» (Aleksandr Goldfarb)

Note[modifica]

  1. Citato in Francesca Mereu, L'amico di Putin. L'invenzione della dittatura democratica, Alberti Editore, 2011, ISBN 8874247400

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