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Osip Ėmil'evič Mandel'štam

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Osip Mandel'štam

Osip Emil'evic Mandel'štam (1891 – 1938), poeta russo.

Citazioni di Osip Ėmil'evič Mandel'štam

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  • A Pietroburgo ci incontreremo di nuovo | come se vi avessimo sepolto il sole, | e una beata insensata parola | per la prima volta pronunceremo. || Nel nero velluto della notte sovietica, | nel velluto del vuoto universale, | cantano sempre i cari occhi di donne beate, | sempre fioriscono fiori immortali.[1]
  • [Alla moglie Nadežda che si lamentava per la sua ingiusta persecuzione] Che hai da lamentarti? Solo da noi hanno rispetto per la poesia, visto che uccidono in suo nome.[2]
  • E sopra il bosco quando fa sera | s'alza una luna di rame; | perché mai così poca musica, | perché mai un tale silenzio?[3]
  • Ellenismo è la pentola sulla stufa, la paletta per la brace, la brocca del latte, sono le suppellettili, le stoviglie, ciò che attornia il corpo; ellenismo è il calore del focolare domestico, percepito come sacro, è ogni cosa appartenente all'uomo che lo mette in contatto con una parte del mondo esterno [...]. Ellenismo è circondare appositamente l'uomo di suppellettili invece che di oggetti qualsiasi, trasformare questi ultimi in arredo, umanizzare il mondo circostante, infondergli un sottile tepore teleologico. Ellenismo è la stufa accanto alla quale un uomo sta seduto e gode del caldo che emana, così affine al calore che ha dentro.[4]
  • Io amo le abitudini del filo: | il fuso ordisce, ronza l'arcolaio. | Quasi peluria candida di cigno, | ecco giungere Delia a piedi nudi. | Debole tronco la nostra vita, | com'è scarna la lingua della gioia. | Tutto già fu ed ancora si ripete. | Ma il riconoscimento è sempre dolce.[5]
  • La libreria della prima infanzia ti accompagna per tutta la vita. La disposizione dei ripiani, la scelta dei libri, il colore delle rilegature, li percepisci come colore, altezza e disposizione della letteratura universale.[6]
  • La poesia è un aratro che scava il tempo, di modo che i suoi strati profondi, la sua terra più fertile, finiscono in superficie. Ma ci sono epoche in cui l'umanità, insoddisfatta del presente, presa dalla nostalgia di questi strati profondi, agogna al suolo vergine del tempo come un contadino che ara il terreno. [...] Spesso si sente dire, a proposito di qualcosa: non è male, ma è superato. Ma io dico: ciò che è di ieri non è ancora nato. Non è ancora stato davvero. Voglio un nuovo Ovidio, un nuovo Puškin, un nuovo Catullo, la loro esistenza storica non mi appaga.[7]
  • Mia cara bambina,
    non c'è praticamente nessuna speranza che questa lettera ti arrivi. Prego Dio che tu capisca quello che sto per dirti: piccola, io non posso né voglio vivere senza di te, tu sei tutta la mia gioia, sei la mia tutta mia, per me è chiaro come la luce del giorno. Mi sei diventata così vicina che parlo tutto il tempo con te, ti chiamo, mi lamento con te.[8]
  • Nei tempi passati, assomigliava [Feodosia] non a Genova, nido di predoni, mercanti-guerrieri, ma piuttosto alla raffinata Firenze.[9]
  • Non si può salpare con la barca senza ormeggi, | ascoltare il passo felpato dell'ombra, | vincere la paura qui nel bosco della vita. || Ci resta solo questo: i baci uguali alle api, | le piccole, pelose api negli alveari – | il loro volo fuori è un volo mortale.[10]
  • Su di me, come su molti miei contemporanei, pesa la balbuzie della nascita. Abbiamo imparato a non parlare, ma a balbettare, e soltanto prestando ascolto al crescente fragore del secolo e imbiancati dalla spuma della sua cresta, abbiamo acquistato una lingua.[11]
  • Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese, | a dieci passi le nostre voci sono già bell'e sperse. [...] | Le sue tozze dita come vermi sono grasse | e sono esatte le sue parole come i pesi d'un ginnasta. | Se la ridono i suoi occhiacci da blatta | e i suoi gambali scoccano neri lampi.[12] [I versi si riferiscono a Stalin]

Incipit di Viaggio in Armenia

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Sull'isola, che si distingue per due pregevolissimi monumenti architettonici del VII secolo così come per le grotte di pidocchiosi eremiti da poco deceduti ― capanne sotterranee invase da ortiche e lappole, non più spaventevoli di cantine di dacie abbandonate ―, io ho vissuto un mese, godendo dell'immobilità dell'acqua lacustre a un'altezza di quattromila piedi e avvezzandomi alla contemplazione di due o tre decine di tombe disseminate alla maniera di aiuole tra le residenze monastiche ringiovanite dai restauri.[13]

Citazioni su Osip Ėmil'evič Mandel'štam

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  • Per quei soldi ogni tanto litigano. Al mercato un giorno Nadežda ha in tasca tre rubli sufficienti per comprare la carne, ma Osip vede degli iris di uno sfolgorante color violetto e li desidera; Nadja sta per comprarne uno, ma lui li vuole tutti... tutti o niente... (Elisabetta Rasy)
  • Come forse per nessun altro dei suoi contemporanei e compagni di sventura poetanti in Russia [...] per Osip Mandel'štam, classe 1891, la poesia è il luogo ove ciò che può essere percepito e raggiunto mediante la lingua si raccoglie attorno a quel centro da cui esso ricava forma (Gestalt) e verità: attorno a quella individuale esistenza (Dasein) che pone interrogativi all'ora presente, sia la propria che quella del mondo, al battito del cuore e al secolo.
  • Mandelstamm:
    vetro, fiato, scritto.
  • Nel 1928 esce di nuovo un volume di poesie − l'ultimo. Alle due prime raccolte, in esso riprese, se n'è aggiunta una nuova. «Cessato il respiro – il firmamento pieno di vermi»: è il verso che apre il ciclo. L'interrogativo «da dove...?» si fa più stringente, più disperato – la poesia – in un saggio sulla poesia Mandel'štam la definisce un aratro – mette allo scoperto i più profondi strati del tempo, la «terra nera del tempo» viene alla luce. Colloquiando con quanto ha visto, l'occhio dolorante sviluppa una nuova capacità: esso diventa visionario; accompagna il poema nei suoi sprofondamenti. Il poeta si ascrive a un tempo altro, «estraneissimo».

Note

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  1. Da A Pietroburgo ci incontreremo di nuovo, traduzione di Angelo Maria Ripellino; citato in Incontrarsi a Pietroburgo. Osip Mandel’štam, Quotidiano.net, 26 dicembre 2015.
  2. Citato in Luigi Fenizi, Icaro è caduto Parabola storica dell'utopia moderna, Bardi Editore, Roma, 2003, p. 288
  3. Da Kamen
  4. Da O prirode slova [Sulla natura della parola, 1922], in Polnoe sobranie sočinenij i pisem v trech tomach (Opere complete e lettere in 3 voll.). Sost. A.G. Mec. T. 2., Progress-Plejada, Mosca, 2010, vol. II, pp. 75-76; citato in Daniela Rizzi, Note sul tema: Osip Mandel'štam e la Crimea, in La Crimea tra Russia, Italia e Impero ottomano, a cura di Aldo Ferrari ed Elena Pupulin, Eurasiatica. Quaderni di Studi su Balcani, Anatolia, Iran, Caucaso e Asia, n. 8, Edizioni Ca' Foscari, Venezia, 2017, p. 198.
  5. Da Tristia, in Il fiore del verso russo, Mondadori, Milano, 1968, pp. 439-440. Citato in Italo Lana e Armando Fellin Civiltà letteraria di Roma antica, Casa Editrice G. D'Anna, Messina-Firenze, 1973, volume III, p. 475.
  6. Da Il rumore del tempo, a cura di Daniela Rizzi, Adelphi, 2014
  7. Da Polnoe sobranie sočinenij i pisem v trech tomach (Opere complete e lettere in 3 voll.). Sost. A. G. Mec. T. 2. Mosca, Progress-Plejada. Citato in Daniela Rizzi, Note sul tema: Osip Mandel’štam e la Crimea, traduzione di Daniela Rizzi; in La Crimea tra Russia, Italia e Impero ottomano, a cura di Aldo Ferrari ed Elena Pupulin, edizionicafoscari.unive.it, 2017, edizionicafoscari.unive.it p. 197. ISBN 978-88-6969-201-7
  8. Da una lettera a Nadežda Jakovlevna, 5 dicembre 1919; citata in E. Rasy, La scienza degli addii, Corriere.it
  9. Da Il comandante del porto, in Il rumore del tempo, traduzione di Giuliana Raspi, Passigli Editori, Firenze, 2010, p. 88
  10. Da Poesie tradotte da Paul Celan, traduzione di Dario Borso, Crocetti Editore, Milano, 2023, p. 109. ISBN 978-88-588-5607-9
  11. Citato in Francesco Cataluccio, Immaturità. La malattia del nostro tempo, Einaudi, Torino, 2004, p. 92. ISBN 9788806143558
  12. Da Cinquanta poesie, Einaudi
  13. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Voci correlate

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Altri progetti

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