Ovidio

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Ovidio

Publio Ovidio Nasone (43 a.C. – 18 d.C.), poeta romano.

Citazioni di Ovidio[modifica]

  • Donne pure sono soltanto quelle che non sono state desiderate. Un uomo che si adira per gli amori di sua moglie, è uno zotico.[1]
  • La crudeltà nei confronti degli animali induce alla crudeltà anche verso gli uomini.[2]
Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in homines.

Amores[modifica]

  • Scorre nascostamente e sparisce il fuggevole tempo. (I, 8, 49)
Labitur occulte, fallitque volubilis aetas.
  • L'amore non dura se togli ogni lotta. (I, 8, 96)
Non bene, si tollas proelia, durat amor.
  • Ogni amante è un guerriero, e Cupìdo ha il suo accampamento. (I, 9, 1)
Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido.
  • Turpe è il vecchio che vuol ancora militare sotto le insegne di Cupido, turpe cosa è l'amore nei vecchi. (I, IX, 4[3])
Turpe senex miles, turpe senilis amor.
  • Mentre parlo, l'ora fugge. (I, 11, 15)
Dum loquor, hora fugit.
  • Io non avrei il coraggio di difendere costumi disonesti e di impugnare armi ingannatrici in difesa delle mie colpe. Anzi, confesso, se confessare i peccati può in qualche modo giovare; ma ora, dopo la confessione, ricado come un insensato nelle mie colpe. (II, 4, 1-4)
Non ego mendosos ausim defendere mores | falsaque pro vitiis arma movere meis. | confiteor — siquid prodest delicta fateri; | in mea nunc demens crimina fassus eo.
  • Beato colui che ha l'ardire di difendere ciò che ama. (II, 5, 9)
Felix qui quod amat defendere fortiter audet.
  • Stolto, che è il sonno, se non l'immagine della gelida morte! (II, 9b, 17)
Stulte, quid est somnus, gelidae nisi mortis imago!
  • Tendiamo sempre a ciò che è vietato e bramiamo ciò che ci viene negato. (III, 4, 17)
Nitimur in vetitum semper cupimusque negata.
  • Ti odierò, se potrò; altrimenti ti amerò mio malgrado. (III, 11b, 3)
Odero, si potero; si non, invitus amabo.
  • Così non riesco a vivere né con te né senza di te. (III, 11b, 7)
Sic ego nec sine te nec tecum vivere possum.
  • Né con te posso vivere, né senza di te. (III, 11, 39)
Nec sine te, nec tecum vivere possum.

Ars Amatoria[modifica]

Incipit[modifica]

Se c'è tra voi chi non conosca ancora
l'arte d'amare, legga il mio poema
e fatto esperto colga nuovi amori!
Solcano l'onde con le vele o i remi, sospinte ad arte, l'agili carene;
con arte dunque è da guidarsi Amore!
Esperto Automedonte era sul carro
alle briglie flessibili e pilota
Tifi fu un tempo sulla poppa emonia.
Me volle guida Venere e maestro
al più tenero amore: ch'io d'Amore
sia detto dunque Tifi e Automedonte!
S'è vero ch'è selvaggio e che sovente
scalpita e freme, Amore è ancor fanciullo:
docile età ch'è facile a guidarsi.

[Publio Ovidio Nasone, L'arte d'amare (Ars amatoria), traduzione di Ettore Barelli, BUR, 1958.]

Citazioni[modifica]

  • Che una bella donna conceda o neghi i suoi favori, le piace sempre che le vengano chiesti.
Quae dant quaeque negant, gaudent tamen esse rogatae. (I, 345)
  • Io canto amori certi e furti leciti,
    nessun delitto toccherà il mio carme. (1958, p. 20)
  • Roma può darti tante e tali donne
    che puoi ben dire: «Ciò ch'è bello al mondo
    è tutto qui». (1958, p. 21)
  • [A Roma] Tutto vi troverai: amore e scherzo,
    quella che ti godrai solo una volta,
    quella che val la pena mantenere. (1958, p. 22)
  • Appresta il vino i cuori e alla passione
    li fa più pronti: sfumano i pensieri;
    nel molto vino ogni penar si stempra. (1958, p. 29)
  • Chiedi alla luce se una gemma è pura,
    se ben tinta di porpora è una lana;
    al giorno chiedi se una donna vale. (1958, p. 29)
  • Ogni tuo nuovo amore non cominci
    mai dall'ancella. (1958, p. 35)
  • Tentata che tu l'abbia, devi averla;
    lasciala, se tu vuoi, ma dopo avuta. (1958, p. 35)
  • Erra chi pensi che soltanto all'uomo
    premuroso dei campi e ai marinai
    tocchi guardare il cielo e la stagione;
    ché non si può affidare ciecamente
    la semente alla terra ingannatrice,
    né la concava poppa ai verdi flutti. (1958, p. 35-36)
  • Col tempo anche il giovenco più scontroso
    viene all'aratro ed il cavallo impara
    a poco a poco a tollerare il morso.
    Un anello di ferro si consuma
    con l'uso assiduo il vomero ricurvo
    si logora nel fendere la terra.
    Nulla è più duro d'una rupe, nulla
    è più molle dell'onda; e tuttavia
    morbida l'onda scava anche la rupe. (1958, p. 38)
  • Consuma il tempo secondo il capriccio della tua donna!
Arbitrio dominae tempora pede tuae!
  • Ebbrezza vera può ben darti danno,
    giovarti finta: fa' che la tua lingua
    balbetti incerta e subdola ad un tempo,
    onde ciò che tu fai, ciò che tu dici
    di troppo audace e spinto, sia creduto
    frutto di troppo vino. (1958, p. 44)
  • Gli affetti umani sono tanto vari quanto sono diverse nel mondo le forme delle cose.
  • L'amore è una cosa piena di ansioso timore.[4] (I, 633)
Res est solliciti plena timoris amor.
Fallite fallentes.
  • L'ora passata non può tornare.
Nec quae praeteriit hora redire potest.
  • La bellezza è un bene fragile.
Forma bonum fragile est.
  • Né minore abilità del trovare nuove cose è nel saper conservare le già acquistate. (II, 13)
Nec minor est virtus quam quaerere, parta tueri.
  • Niente è più forte dell'abitudine. (II, 345)
Nil adsuetudine maius.
  • Non già che la mia severità vi condanni a una donna sola. Non piaccia agli dei! Soltanto una sposina può seguire una simile norma. Divertitevi, ma nascondete la colpa sotto un velo prudente; non si deve trarre gloria alcuna dal proprio peccato.
Nec mea vos uni damnat censura puellae; | di melius! vix hox nupta tenere potest. | Ludite, sed furto celetur culpa modesto: | gloria peccati nulla petenda suist.
  • Non puoi sconfiggere i fiumi, se nuoti contro l'impeto dell'onda.
Nec vincere possis flumina, si contra quam rapit unda nates.
  • Prima di tutto sia in te la certezza che tutte le donne
    si possono conquistare: le conquisterai, ma tendi bene le insidie.
Prima tuae menti venit fiducia, cunctas
Posse capi: capies, tu modo tende plagas.
  • Se poi chi prese i baci non saprà prendere anche il resto, sarà degno di perdere anche quello che gli è stato concesso. Che mancava, dopo i baci, per empire tutti i tuoi voti? Ahimè, questa è imbecillità, non pudore!
Oscula qui sumpsit, si non et cetera sumpsit, | haec quoque, quae data sunt, perdere dignus erit. | Quantum defuerat pleno post oscula voto? | Ei mihi! Rusticitas, non pudor ille fuit!
  • Sii amabile, se vuoi essere amato. (II, 107)
Ut ameris, amabilis esto.
  • Spogliati dell'orgoglio, tu che desideri godere di un amore durabile!
Exue fastus, | curam mansuri quisquis amoris habes!
  • Vi ho dato le armi come le diede Vulcano ad Achille; vincete con quelle che io vi dono come egli vinse! E chiunque con esse avrà trionfato su un'Amazzone, scriva su le spoglie: "Ovidio mi fu maestro!"
Arma dedit vobis: dederat Vulcanus Achilli: | Vincite muneribus, vicit ut ille, datis! | Sed quicumque meo superarit Amazona ferro, | inscribat spoliis: "Naso magister erat".
Nome amicitia est, nomen inane fides.
  • La semplicità, cosa rarissima a' nostri tempi. (241-242)
Aevo rarissima nostro | Simplicitas.
  • L'amore è una milizia: via di qui, o gente fiacca, ché le sue bandiere non impugni la mano di chi è vile! (II, 349-351; 2018, p. 91)
  • Correte a fianco a fianco, | fino alla meta. Il godimento è pieno | quando, vinti ad un tempo, e tu e lei, | soccomberete insieme. (II, 1088-1091; 1958)

Epistulae ex Ponto[modifica]

  • Migliore della sua stessa fama. (I, 2, 143)
Ipsa sua melior fama.
  • Non sa la medicina guarire la nodosa podagra. (I, 3, 23)
Tollere nodosam nescit medicina podagram.
  • Credimi, il soccorrere gl'infelici è cosa degna dei re. (II, 9, 11)
Regia, crede mihi, res est subcurrere lapsis.
  • L'autore loda il suo lavoro. (III, 9, 9)
Auctor opus laudat.
  • Che cosa, migliore di Roma?
Quid melius Roma?

Fasti[modifica]

  • Al povero va sempre male.
Pauper ubique iacet. (I, 218)
  • Ogni terra è patria per il forte.
Omne solum forti patria est. (I, 493)
«La coscienza retta si ride delle bugie della fama»
  • La coscienza retta si ride delle bugie della fama (ossia delle mendaci ciarle del pubblico). (IV, 311)
Conscia mens recti famae mendacia risit.
  • Grande era un tempo la riverenza per una testa canuta. (V, 57)
Magna fuit quondam capitis reverentia cani.
  • Divino spirto è in noi; per lui movente | vita godiam: l'estro, onde anch'io mi accendo, | semi contien della divina mente. (VI, 5-6, traduzione di G. B. Bianchi; citato in Fumagalli 1921, p. 545)
Est deus in nobis, agitante calescimus illo, | Impetus hic sacrae semina mentis habet.

Metamorfosi[modifica]

Incipit[modifica]

Ferruccio Bernini[modifica]

Canto le forme dei corpi che presero nuova figura.
Numi, poiché voi mutaste anche quelle, ispiratemi il canto,
e dall'origine prima del mondo remoto ai miei tempi
del mio poema continuo voi intessete la trama.

[Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, traduzione di Ferruccio Bernini, Zanichelli, 1989]

Giovanni Andrea dell'Anguillara[modifica]

Le forme in novi corpi trasformate
Gran desio di cantar m'infiamma il petto,
Da i tempi primi à la felice etate,
Che fu capo à l'imperio Augusto eletto.
Dei, c'havete non pur quelle cangiate,
Ma tolto à voi più volte il proprio aspetto,
Porgete à tanta impresa tale aita,
C'habbiano i versi miei perpetua vita.

[Publio Ovidio Nasone, Le Metamorfosi, traduzione di Giovanni Andrea dell'Anguillara, Venezia, Francesco de Franceschi, 1563]

In nova fert animus mutatas dicere formas | corpora; di, coeptis (nam vos mutastis et illas) | adspirate meis primaque ab origine mundi | ad mea perpetuum deducite tempora carmen!

Citazioni[modifica]

  • Dette (il creatore delle cose) all'uomo sublime il volto e gl'impose di contemplare il cielo e di innalzare lo sguardo diritto alle stelle (I, 85-86)
Os homini sublime dedit, coelumque tueri | Jussit et erectos ad sidera tollere vultus.
  • Non c'è erba che possa guarire l'amore. (I, 523)
Nullis amor est sanabilis herbis.
  • Il lavoro vinceva la materia. (II, 5)
Materiem superabat opus.
Medio tutissimus ibis.
  • Ma questo sono io! Ho capito, e la mia immagine non m'inganna piú! Brucio d'amore per me stesso, suscito e subisco la fiamma! Che devo fare? Farmi chiedere, oppure chiedere io? Ma poi, chiedere che? Quel che bramo l'ho in me: ricchezza che equivale a povertà. Oh potessi staccarmi dal mio corpo! Desiderio inaudito per un amante, vorrei che la cosa amata fosse piú distante. (Narciso; III, 463; 1994, p. 115)
Iste ego sum! sensi, nec me mea fallit imago. | Uror amore mei, flammas moveoque feroque! | Quid faciam? Roger, anne rogem? Quid deinde rogabo? | Quod cupio, mecum est: inopem me copia fecit. | O utinam a nostro secedere corpore possem! | Votum in amante novum: vellem quod amamus abesset!
  • Possiamo imparare persino dai nostri nemici. (IV, 428)
Fas est et ab hoste doceri.
  • Giunge poi dove appresso à Siracusa | sorge il famoso fonte d'Aretusa. (V)
  • E cerca ov'io sia gita, ov' io m'asconda. | Due volte disse, oime dolce Aretusa, | oime dolce alma mia, dove sei chiusa. (V)
  • E poi, ch'un lungo tratto hebbi trascorso | per quel condotto periglioso, e strano, | qui venni al giorno, e qui concessi il sorso | de le mie linfe al popolo Sicano. | Qui diè fine Aretusa al suo discorso, | e rinchiuse in se stessa il volto humano, | il verde crin, la cristallina fronte | attuffò come pria nel proprio fonte. (V)
  • Davvero allora, dopo questa prova, tutti, uomini e donne, temono l'ira divina e tutti con ancora più zelo venerano e onorano la potente dea madre dei due gemelli. E come spesso avviene, muovendo dal fatto recente la gente torna a narrare casi precedenti. (VI, 313; 1994, p. 225)
  • Tanto ci si può illudere sulla bontà di una cosa! (VI, 438; 1994, p. 231)
Usque adeo latet utilitas!
  • [...] la bramosia mi consiglia una cosa, la mente un'altra. Vedo il bene e lo approvo, e seguo il male. (VII, 19; 1994, p. 249)
Aliudque cupido, | mens aliud suadet: video meliora proboque, | deteriora sequor.
  • Vedo ed approvo le cose migliori, ma seguo le peggiori. (VII, 20)
Video meliora proboque, deteriora sequor
  • Fe far poi per nasconder tanto scorno[6] | Da Dedalo un difficil laberinto, | Il qual di grosse, e d'alte mura intorno | In pochi dì fu fabricato, e cinto. | Com'un dentro vi gia, perdea il ritorno, | E si trovava in mille errori avinto. | Da mille incerte strade hor quinci, hor quindi, | Spint'era hor ver gl'Iberi, hor verso gl'Indi. (VIII, 161-168; 1563)
  • O tre dee del castigo, Furie, volgete il vostro sguardo a questo rito infernale! Vendico una colpa commettendone un'altra. La morte va espiata con la morte. A delitto va aggiunto delitto, a funerale funerale: si estingua lo sciagurato casato, con questo accumularsi di lutti. (VIII, 481; 1994, p. 319)
«Poenarum que «deae triplices, furialibus», inquit | «Eumenides, sacris vultus advertite vestros! | Ulciscor facioque nefas; mors morte pianda est, | in scelus addendum scelus est, in funera funus: | per coacervatos pereat domus inpia luctus.
  • Ma il figlio d'Issíone derise chi ci credeva, e, miscredente e insolente com'era, disse: «Frottole racconti, Achelòo, e fai troppo potenti gli dèi, se pensi che diano e levino la figura alla gente». Gli altri allibirono e disapprovarono simili parole, e Lèlege, piú maturo di tutti di mente e d'anni, cosí prese a parlare:
    «Immensa e senza limiti è la potenza del cielo, e qualunque cosa gli dèi vogliano, si compie. [...]» (VIII, 611; 1994, p. 325)
  • «Ohè! Un po' di rispetto per me! Siete impazziti? Crede qualcuno di essere cosí potente da poter superare il destino? Per volere del destino Iolào è tornato ad anni già vissuti. Per volere del destino i figli di Callíroe otterranno di diventare adulti, e non con gli intrighi o le armi. Anche voi dipendete dal destino e, se ciò vi consola, anche io. Ché se fossi capace di mutarlo, il caro Èaco non sarebbe curvo sotto i suoi tanti anni e Radamanto avrebbe in eterno il dono della giovinezza e così il mio Minosse, che per l'amaro peso della vecchiaia è ora disprezzato e non governa più come una volta». (Giove; IX, 428; 1994, p. 365)
  • Lasciamo ai vecchi conoscere il diritto ed esaminare che cos'è permesso e che cos'è empio e non empio e rispettare le sottili distinzioni delle leggi. Alla nostra età si conviene essere temerari, in amore. Ancora non sappiamo che cosa sia lecito, e crediamo che tutto sia lecito e seguiamo l'esempio dei grandi dèi. (IX, 554; 1994, p. 371)
Iuta senes norint, et quid liceatque nefasque | fasque sit inquirant, legumque examina servent. | Conveniens Venus est annis temeraria nostris; | quid liceat nescimus adhuc, et cuncta licere | credimus, et sequimur magnorum exempla deorum.
  • Tanta è l'arte, che l'arte non si vede. (X, 251; 1994, p. 399)
Ars adeo latet arte sua.
  • Ma a che le giovò aver partorito due gemelli ed essere piaciuta a due dèi e avere per padre un gran guerriero e per nonno un fulgido astro? Non nuoce molte volte anche la gloria? (XI, 318; 1994, p. 443)
Quid peperisse duos et dis placuisse duobus et | forti genitore et progenitore comanti | esse satam prodest? An obest quoque gloria multis?
  • E anche questa mia facondia, se un po' ne ho, che oggi interviene per me come tante volte è intervenuta per voi, non mi attiri malanimo: nessuno deve rinunciare a sfruttare le doti sue personali. Io infatti esito a definire pregi di uno la stirpe, gli antenati e le cose che l'individuo non deve al proprio operare. (Ulisse; XIII, 135; 1994, p. 509)
  • [Pitagora] Per primo si scagliò contro l'abitudine di cibarsi di animali [...]. (XV, 72[7])
  • [Sul vegetarianismo] Smettetela, uomini, di profanare i vostri corpi con cibi empi! Ci sono le messi, ci sono alberi stracarichi di frutti, ci sono turgidi grappoli d'uva sulle viti! Ci sono erbe dolci e tenere [...]. Avete a disposizione il latte e il miele profumato di timo. La terra nella sua generosità vi propone in abbondanza blandi cibi e vi offre banchetti senza stragi e sangue [...]. Che enorme delitto è ingurgitare viscere altrui nelle proprie, far ingrassare il proprio corpo ingordo a spese di altri corpi, e vivere, noi animali, della morte di altri animali! Ti par possibile che tra tanto ben di dio che produce la terra, ottima tra le madri, a te non piaccia masticare altro coi tuoi denti crudeli che carne ferita, riportando in voga le abitudini dei Ciclopi? (Pitagora; XV, 75-93[7])
  • [Sul sacrificio del bovino] Una vittima senza macchia, dal bellissimo aspetto (questo le è stato fatale!), ornata d'oro e cinta di bende, viene collocata davanti all'altare, ode preghiere di cui non capisce il senso, vede che le pongono tra le corna quelle messi che sono cresciute grazie alla sua fatica e infine viene colpita e arrossa di sangue il coltello che forse aveva intravisto poco prima, riflesso nell'acqua limpida. Ed ecco che i sacerdoti si affrettano a scrutare dentro le viscere strappate al suo petto ancor caldo [...]. E di queste osate cibarvi, uomini? Tanto grande è la vostra fame di cibi proibiti! (Pitagora; XV, 130-138[7])
Donde nell'uomo tanta fame di cibi proibiti? (138[3])
Unde fames homini vetitorum tanta ciborum?
  • E non saremo domani quelli che fummo | né quelli che siamo.
Nec quod fuimusve sumusve, | cras erimus. (XV, 215-6)
  • Tutto si trasforma, nulla perisce. Lo spirito vaga e da lí viene qui e da qui va lí e s'infila in qualsiasi corpo, e dagli animali passa nei corpi umani e da noi negli animali, e mai si consuma. [...]
    E poiché ormai mi sono slanciato su questo vasto mare e corro a vele spiegate col vento in poppa: in tutto il mondo non c'è cosa che duri. Tutto scorre, e ogni fenomeno ha forme errabonde. (Pitagora; XV, 165; 1994, p. 613)
  • O Tempo divoratore, e tu, invidiosa Vecchiaia, voi tutto distruggete e a poco a poco consumate ogni cosa facendola morire, rosa dai denti dell'età, di morte lenta. (Pitagora; XV, 234; 1994, p. 615)
Tempus edax rerum, tuque, invidiosa Vetustas, | omnia destruitis, vitiataque dentibus aevi | paulatim lenta consumitis omnia morte.
  • E nulla perisce nell'immenso universo, credete a me, ma ogni cosa cambia e assume un aspetto nuovo. E nascere noi chiamiamo cominciare a essere una cosa che non si era, e morire cessare di essere la suddetta cosa. Anche se questo si trasferisce di là e quello di qua, il totale è sempre lo stesso. Sì, io credo che nulla conservi a nulla lo stesso aspetto. (Pitagora; XV, 252; 1994, p. 617)
  • Finirà il giorno e Febo si tufferà nelle profondità del mare con i suoi cavalli stanchi, prima che io riesca a elencare con la parola tutte le cose che assumono un nuovo aspetto. Cosí vediamo che le epoche cambiano e che là dei popoli diventano potenti, qua decadono. [...] Dunque anche Roma, crescendo, muta forma, e un giorno sarà la capitale del mondo immenso. (Pitagora; XV, 420; 1994, p. 625)
  • Ho finito ormai quest'opera, che né l'ira di Giove né il fuoco | né il ferro né il tempo divoratore potranno distruggere. | Quando vorrà quel giorno che ha diritti solo sul mio corpo | ponga fine al tempo della mia incerta vita; | ma con la parte migliore di me io mi innalzerò immortale | sopra le stelle, e il mio nome non perirà. (XV, 871-6)[8]

Citazioni sulle Metamorfosi[modifica]

  • Questa umanizzazione (o riumanizzazione?) della natura attraverso i miti laicizzati dà una nuova giustificazione alla rivendicazione della validità della fantasia. E la nostra civiltà, una volta scelta per sé una concezione che rimanda al cielo, torna sempre con gioia a ritrovare nelle Metamorfosi questo mondo terreno cosí ricco e vario dove potenze divine e creature umane s'incontrano, dove il favoloso è reale, dove l'affannarsi (lei corpi e della psiche si converte in giochi di forme. (Piero Bernardini Marzolla)
  • L'intento di Ščeglov è spiegare l'impressione comune, contraddittoria, che il mondo ovidiano lascia nel lettore: grande varietà e ricchezza, ma insieme grande unità, e parentela fra tutte le cose. Cercando di individuare i fattori che suscitano questa duplice impressione, Ščeglov – eccellente filologo – considera la strana insistenza con cui nel poema vengono usati epiteti che a prima vista possono apparire superflui o ornamentali (lungo serpente, umide paludi ecc.), e nota come questi abbinamenti abbiano invece la precisa funzione di isolare proprietà oggettive, di fissare tratti distintivi mediante concetti geometrici e fisici; e passando alla tecnica delle descrizioni ovidiane, in prima linea quelle delle trasformazioni, ci mostra come la riduzione di ogni fenomeno a un ristretto numero di elementi fondamentali (le proprietà, i tratti distintivi) abbia tutta una catena di effetti: da un lato Ovidio caratterizza non singole cose, ma classi di cose; dall'altro, dato che i concetti geometrici e fisici sono applicabili alle cose piú disparate, tutto diventa commensurabile e quindi riducibile ad altro: e qui appunto è riposto il segreto della facilità con cui le trasformazioni avvengono nel poema e sono da noi accettate, e il mondo per le infinite combinazioni possibili si allarga, e al tempo stesso, però, riportato a un livello unico, ci si presenta come un sistema. (Piero Bernardini Marzolla)
  • Il punto è che le Metamorfosi sono, sotto i panni della poesia epica, la prima opera narrativa di grande respiro della letteratura occidentale. (Piero Bernardini Marzolla)
  • Il «divertirsi» di Ovidio, anche coni mezzi stilistici, non è leggerezza ma una forma di umanità. Le Metamorfosi sono in fondo un poema pervaso da una profonda tristezza; l'affermazione può apparire sorprendente a chi si lasci trasportare, peraltro giustamente, dalla vivacità dei toni e dei colori, dalla piacevolezza del racconto, ma lacrime copiose rigano dappertutto i volti dei personaggi e ogni trasformazione è un dramma piú doloroso della morte vera, per la sua ambiguità, cioè perché, come dice Mirra (X 487), non è né vita né morte. Alla rappresentazione ora piú ora meno fredda, ma sempre partecipe, della sofferenza di chi perde la propria identità, il gioco condotto da Ovidio al livello degli slanci della fantasia e insieme del potere autonomo di suggestione dei mezzi stilistici, compreso quel mezzo che è la fluente sonorità, si affianca come gusto della vita ma anche, mettendo a nudo la «meccanicità» dei sentimenti e delle azioni, come un discreto sorridere sulle curiose e fantastiche cose che accadono al mondo, come una forma di saggezza. (Piero Bernardini Marzolla)

Heroides[modifica]

  • Bando ai pudori di fronte alla verità. (Enone a Paride, V)
Absit reverentia vero
  • Non sai che i re hanno le mani lunghe? (ep. XVII, Helena Paridi, v. 166)
An nescis longas regibus esse manus?
  • Questa lettera che leggi ti giunge da Briseide, la donna a te rapita: l'ho scritta stentatamente in greco con la mia mano di straniera. Tutte le cancellature che vedrai, sono state le lacrime a farle; ma, nondimeno, anche le lacrime hanno il peso della parola. (Briseide ad Achille, III)
  • Enea resta sempre impresso nei miei occhi insonni, Enea ho nella mente, notte e giorno. Ma lui è ingrato e sordo alle mie offerte generose e, se non fossi insensata, vorrei fare a meno di lui. Tuttavia non odio Enea, benché mediti il mio male, ma lamento la sua slealtà e, pur lamentandomi, lo amo di più. (Didone a Enea, VII)
  • Il fine giustifica i mezzi. (II, 85)
Exitus acta probat.

Rimedi d'amore[modifica]

  • Ripara in principio; troppo tardi si appresta la medicina quando i lunghi indugi hanno dato vigore al male. (91-92)
Principiis obsta: sero medicina paratur | Quum mala per longas convaluere moras.
  • L'amore cede di fronte agli affari. Se vuoi uscire | dall'amore, mettiti negli affari: sarai al sicuro. (143-4)
Qui finem quaeris amoris | cedit amor rebus; res age, tutus eris.
  • Sarai triste se sarai solo. (583)
Tristis eris si solus eris.

Tristia[modifica]

  • Una causa non buona diventa peggiore quando si vuole difenderla. (I, 1, 26)
Causa patrocinio non bona peior est.
  • Finché sarai felice, conterai molti amici, ma se i tempi si fanno più grigi, sarai solo.[9] (I, 1, vv. 39-40)
Donec eris felix, multos numerabis amicos, tempora si fuerint nubila, solus eris.
  • Finché sarai felice, conterai molti amici; ma se il tempo si rannuvolerà, resterai solo. (lib. I, el. IX, v. 5-6)
  • Come il biondo oro si mette alla prova del fuoco, così la fedeltà va esaminata nei momenti difficili.[10] (I, 5, vv. 25-26)
Scilicet ut fulvum spectatur in ignibus aurum, tempore sic duro est inspicienda fides.
  • Quel santo e venerabile nome dell'amicizia. (lib. I, el. VIII, v. 15)
Illud amicitiae sanctum ac venerabile nomen.
  • Riposino dolcemente le ossa. (III, III, 76).
Molliter ossa cubent.
  • Bene visse chi seppe vivere nell'oscurità. (III, 4, 25)
Bene qui latuit, bene vixit.
  • E speriamo che le nostre anime muoiano col corpo e che nessuna mia parte sfugga all'avido rogo, perché se lo spirito, immune da morte, se ne vola via in alto negli aerei spazi e le parole del vecchio di Samo [Pitagora] risultano vere, la mia ombra romana vagolerà fra le ombre dei Sàrmati e sarà sempre straniera fra selvaggi mani. (III, 359; citato in Metamorfosi, 1994, p. LII)
  • V'è un piacere nel piangere. (IV, 3, 27)[11]
Est quaedam flere voluptas.
  • Non vede né le fronde nei boschi né l'acqua in un fiume in piena. (5, 4, 9)
  • Noi pure fiorimmo un giorno, ma quel fiore presto appassì, e la nostra fu fiamma di stoppa, fuoco passeggero. (V, VIII, 19-20)
Nosquoque floruimus, sed flos erat ille caducus, | Flammaque de stipula nostra brevisque fuit.
  • Io qui sono come barbaro, perché nessuno m'intende. (V, 10, 37)
Barbarus hic ego sum, quia non intellegor ulli.
  • Sopporta e persevera; cose molto più gravi sopportasti. (V, XI, 7)
Perfer et obdura: multo graviora tulisti.
  • Piango i miei mali: nel pianto v'è una certa voluttà, ed il dolore che si scioglie in lagrime trova un sollievo.

Citazioni su Publio Ovidio Nasone[modifica]

  • Amor omnia vincit, dice il cugino Ovidio, quel gentile maestro in fatto di amore. (Louis-Benoît Picard)
  • L'arte di Ovidio di metter le cose sotto gli occhi, non si chiama efficacia, ma pertinacia. (Giacomo Leopardi)

Note[modifica]

  1. Citato in Jim Bishop, Il giorno in cui Cristo morì, traduzione di Maria Satta, Garzanti, 1958.
  2. Citato in Stefano Rodotà (a cura di), Trattato di biodiritto: ambito e fonti del biodiritto, Giuffrè, Milano, 2010, p. 20. ISBN 88-14-15909-2
  3. a b Citato in Fumagalli 1921.
  4. Citato in Mastellaro, p. 27.
  5. Citato in Mastellaro, p. 20.
  6. Il Minotauro.
  7. a b c Citato in Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci, Roma, 2008, p. 16. ISBN 978-88-430-4574-7
  8. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  9. Citato in Mastellaro, p. 19.
  10. Citato in Mastellaro, p. 18.
  11. Giuseppe Fumagalli (cfr. opera in bibliografia, p. 430) traduce questa frase in "Anche il pianto ha una certa voluttà", e ne individua la fonte in lib. IV, el. 3, v. 32.

Bibliografia[modifica]

  • Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921.
  • Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012. ISBN 978-88-04-47133-2
  • Publio Ovidio Nasone, Le Metamorfosi, traduzione di Giovanni Andrea dell'Anguillara, Venezia, Francesco de Franceschi, 1563.
  • Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, traduzione di Ferruccio Bernini, Zanichelli, 1989.
  • Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi. Testo latino a fronte, a cura di Piero Bernardini Marzolla, con uno scritto di Italo Calvino, Einaudi, 199410. ISBN 9788806176952
  • Publio Ovidio Nasone, L'arte d'amare (Ars amatoria), traduzione di Ettore Barelli, BUR, 1958.
  • Publio Ovidio Nasone, L'arte d'amare (Ars amatoria), traduzione di Ettore Barelli, BUR - Corriere della Sera, 2018.
  • Publio Ovidio Nasone, Opera omnia, Biblioteca Digitale IntraText. (Edizione IntraText) [Per le citazioni in latino]

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