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Proteste in Russia del 2011-2013

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50 000 manifestanti riuniti in Piazza Bolotnaja, a un miglio di distanza dal Cremlino

Citazioni sulle proteste in Russia del 2011-2013 o rivoluzione bianca.

Citazioni[modifica]

  • L'8 dicembre 2011, tre giorni dopo l'inizio delle proteste, Putin accusò Hillary Clinton di aver dato loro il via: «Ha dato il segnale». Il 15 dicembre, dichiarò che i manifestanti erano pagati. Non venne portata nessuna prova, e del resto non era quello il punto: se, come affermato da Il'in, le elezioni costituivano soltanto un'apertura alle influenze straniere, il lavoro di Putin era quello di inventare una storia sull'influenza straniera e usarla per cambiare la politica interna. Il punto era quello di scegliere il nemico che si adattava meglio alle necessità di un leader, non quello che minacciava di fatto il Paese. In effetti, era meglio non parlare di minacce reali, in quanto il fatto stesso di discutere di veri nemici avrebbe rivelato delle debolezze effettive, mettendo così in luce la fallibilità degli aspiranti dittatori. [...] Il vero problema geopolitico per la Russia era la Cina; ma proprio perché la potenza cinese era reale e vicina, la considerazione degli effettivi problemi geopolitici della Russia avrebbe potuto portare a conclusioni deprimenti. (Timothy Snyder)
  • Per Putin, i mesi tra il dicembre del 2011 e il marzo del 2012 furono un momento di scelta. Avrebbe potuto ascoltare le critiche alle elezioni parlamentari. Avrebbe potuto accettare l'esito delle votazioni e vincere al ballottaggio anziché già al primo turno; in fondo, la vittoria al primo turno non era nient'altro che una questione di orgoglio. Avrebbe potuto comprendere che molti dei contestatori erano preoccupati riguardo al principio di legalità e al principio di successione nel loro Paese. Invece, sembrò prendere le proteste come un'offesa personale. (Timothy Snyder)
  • Putin era tornato al Cremlino sullo sfondo di proteste diffuse che lo facevano sentire insicuro. Il suo indice di gradimento era in calo, mentre la richiesta di riforme da parte dell'opinione pubblica continuava a crescere. Le autorità stavano aprendo procedimenti penali contro i membri dell'opposizione, la macchina della propaganda del paese proponeva sempre nuove accuse e provocazioni, eppure tutto questo non sembrava altro che un tentativo di fermare il corso naturale della storia. Nell'aria si respirava libertà, il cambiamento sembrava inevitabile. [...] Poi però è arrivato il 2014, con l'annessione della Crimea. (Il'ja Jašin)

Nicolai Lilin[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il solo fatto che Putin abbia perso le elezioni - e dico perso tra virgolette, perché ha sempre intorno al 50% - mi riempie di gioia. Perché la Russia è un Paese basato sulla corruzione e sul controllo dei servizi segreti, dove i cittadini sono trattati come schiavi. E ora qualcosa si sta muovendo.
  • [Le proteste] vogliono dire che il popolo russo ha ripreso coscienza, le persone non hanno più paura perché sono disperate. Attenzione però a dire che Putin è l'obiettivo, perché non è così. È il sistema di potere nel suo insieme: i russi hanno capito che vivono in un Paese corrotto e vogliono seguire invece una via democratica.
  • Questo non è un movimento pilotato dagli Usa. Il nastro [bianco] è solo un modo per riconoscersi, come facevo anch'io con i miei compagni durante le operazioni di combattimento in guerra, per evitare il fuoco amico.
  • Le proteste sono state grandi. Ma ho visto, tra tanta gente per bene, anche chi non avrei voluto vedere. Gruppi neonazisti, ultrà sportivi, organizzazioni estremistiche di sinistra. E anche personaggi pubblici alla Nemtsov o persino Kassianov, ex premier di Putin, che hanno sfruttato le proteste ma che non hanno lo spessore per promuovere un vero cambiamento.

Ol'ga Aleksandrovna Sedakova[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Sta chiudendosi un'intera epoca, iniziata poco prima che Putin salisse al potere alla fine degli anni Novanta. Dal punto di vista della società e non del governo, la chiamerei l'epoca dell'indifferenza: come ai tempi sovietici, sia il popolo che gli intellettuali si erano rinchiusi nella vita privata, avevano rinunciato all'impegno pubblico. Le manifestazioni come quella di piazza Bolotnaya hanno segnato la fine dell'epoca dell'indifferenza: io parlo a nome degli apartitici e dei senza bandiera, che sono sempre la maggioranza in queste manifestazioni, e posso dirvi che ho incontrato per strada intellettuali amici o conoscenti miei che da vent'anni non partecipavano a nessuna iniziativa.
  • Nessuno più da anni andava a votare perché tutti sapevamo che non sono elezioni reali, che non c'è niente da eleggere. Ma all'improvviso moltissime persone hanno manifestato l'intenzione di partecipare al voto, come se fosse una cosa seria. Perché il punto è che non c'era vera scelta, ma la pazienza è esaurita e bisognava farlo sapere. Le ragioni per protestare si sono accumulate.
  • Ai giornalisti che li intervistavano [i manifestanti] rispondevano: «Vogliamo il rispetto. Siamo qui perché la nostra dignità è stata ferita». Questo è un sentimento totalmente nuovo, che in epoca sovietica non esisteva e che si è sviluppato nei sotterranei dei tempi di Putin. Al tempo dell'Urss la persona era interamente funzionale allo Stato, il sentimento della dignità personale non esisteva. Lo si sta scoprendo ora.
  • Non è stato ancora trovato un nome per la protesta, tanto che i nomi correnti sono dei peggiorativi avanzati dagli avversari. La chiamano "rivoluzione della palude", alludendo all'etimologia della parola Bolotnaya, oppure la chiamano "rivoluzione di visone" perché la maggioranza dei manifestanti era vestita bene perché benestante. Si dice che quella della Bolotnaya è la protesta dei ricchi, di quanti guidano auto costose, frequentano locali dispendiosi e fanno le vacanze all'estero, si propone una contrapposizione artificiosa fra i "ricchi" e i "moscoviti" da una parte, il "popolo" e i "provinciali" dall'altra. Invece bisognerebbe rallegrarsi di questo fatto: c'è gente che non va in piazza spinta dal bisogno economico, ma per ragioni ideali. Ed è gente che si informa su internet anziché dalla televisione e dai giornali, che viaggia e parla lingue straniere e che lavora in proprio. D'altra parte, è vero che il movimento di protesta non ha un programma e non ha leader, al massimo ha qualche simpatia.
  • È stato un momento meraviglioso di manifestazioni in cui si sentiva che il futuro poteva essere vicino. Una primavera di speranza. La speranza incarnata dalle persone che erano scese in piazza: moderne, illuminate, libere. Pensavamo che queste persone potessero essere la forza determinante del nostro paese. Recentemente abbiamo visto una situazione analoga in Bielorussia. Ma tutto questo non ha prodotto un risultato politico. Perché? Io penso che la ragione consista nel fatto che in Russia le persone con una mentalità democratica e moderna non si impegnino davvero nella politica. Mancano i movimenti, i partiti, i programmi, così abbiamo avuto una festa ma non le abbiamo dato un seguito. L'unico seguito che c'è stato è l'intensificazione della repressione.

Sandro Viola[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il ceto sociale che essendo uscito nell'ultimo decennio dai prefabbricati delle periferie desolate e dalla stretta delle penurie sovietiche, aspira adesso alla libertà, alla dignità e a un rispetto da parte del potere, che un regime poggiato su un paio di centinaia di ex Kgb non intende dargli. La "classe media" che ha manifestato negli ultimi due mesi a Mosca e a Pietroburgo, gridando "Putin vattene".
  • Sino a che punto questa parte dei russi è pronta a opporsi al regime? A rischiare una fase d'instabilità che sì aprirebbe sicuramente in un confuso, o addirittura drammatico, dopo-Putin? La risposta a queste domande non c'è. Gli oppositori sono tuttora molto divisi, non hanno un programma di governo né un leader. Ma essi, la cosiddetta "classe media", rappresentano tuttavia un nuovo capitolo della storia russa. Il capitolo del discontento organizzato, pianificato, rabbioso e rumoroso, qualcosa che in Russia s'era visto soltanto con la rivoluzione del '17.
  • Sul finire del suo secondo mandato, mentre si allestiva la sceneggiata della presidenza Medvedev, le cose cambiarono. Troppo lampanti erano ormai le magagne del regime. Lo smodato arricchimento dei sodali del "Voz", la corruzione dilagante senza che Putin desse segno di volere davvero mettervi fine, la soggezione del sistema giudiziario ai voleri del governo, la libertà di stampa mutilata. Era troppo, specie per le giovani generazioni, e il discontento cominciò a serpeggiare per poi esplodere con i brogli elettorali nelle politiche del dicembre scorso. Un po' come nelle rivolte arabe la parte più aspra della protesta è scaturita infatti dalla ferita della dignità negata. Da un potere che si permetteva qualsiasi abuso nella certezza che ogni abuso sarebbe stato ingoiato, senza mai una reazione, dai cittadini. Invece, stavolta la "classe media" ha alzato la testa. Il terzo mandato di Putin alla presidenza della Federazione si apre così in un' atmosfera ben diversa, più incerta, da com'erano cominciati nel 2000 e nel 2004 gli altri due.

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