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Raffaele Pettazzoni

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Raffaele Pettazzoni (1883 – 1959), storico delle religioni e accademico italiano.

La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran

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  • [Su Angra Mainyu] Non è un dio: è l'antidio, l'antitesi dualistica del dio vero e sommo; e da questo dualismo viene all'idea monoteistica mazdea forse minor jattura di quella che talvolta parve venire al monoteismo cristiano dal dogma della Trinità. (p. 2)
  • L'Avesta quale noi lo possediamo nella sua forma vulgata risale soltanto all'epoca dei Sassanidi. L'Avesta sassanidico, molto più ampio dell'Avesta attuale, aveva già una storia. La tradizione parsi parla di testi sacri esistenti già al tempo degli Achemenidi, distrutti e dispersi in gran parte dai Greci conquistatori. (p. 10)
  • Il dio di Zarathustra è un dio unico. È questo un concetto che non solo è estraneo a tutta la tradizione iranica, ma contrasta con essa in modo assoluto. Per esso Zarathustra inaugura un'epoca nuova nella storia delle genti iraniche. Egli è il profeta di Ahura Mazda, e Ahura Mazda è il solo dio. (p. 55)
  • Non per nulla nelle Gatha è esaltata la santità della Giovenca primordiale. Tra i doveri di un fedele seguace di Zarathustra è il rispetto e il risparmio del bestiame bovino. Con tali precetti la Riforma mirava a tutelare le basi economiche di una società dedita alla pastorizia e all'agricoltura. Ma mirava anche ad un fine di elevamento spirituale. Ai sacrifici cruenti, del pari che al sacrifizio della bevanda inebriante, a tutte, dunque, le pratiche esteriori di un culto materiale, voleva sostituire la preghiera, la celebrazione della gloria di Ahura Mazda, la pietà interiore, le buone opere, e il merito sommo della sincerità contro la vile menzogna (Drug). (p. 59)
  • È probabile che Zarathustra sia nato e cresciuto tra i Magi, Mago egli stesso. Certo è che nei Magi sopratutto trovò gli oppositori più fieri della sua Riforma e i nemici più accaniti. Ed è naturale. L'idea monoteistica bandiva, insieme con i daeva, il culto tradizionale a base di sacrifizi cruenti e di libazioni inebrianti di haoma. Di questo culto i Magi erano i ministri e rappresentanti. Al ritualismo sacrificale Zarathustra sostituiva la preghiera, l'inno di gloria al Signore e la bontà delle opere. Vien fatto di pensare, per analogia, all'opposizione dei Brahmani contro Buddha. (pp. 84-85)
  • Contro i maestri dell'errore Zarathustra è implacabile: nessuna tregua tra i devoti di Ahura Mazda (mazdayasna) e gli empi adoratori dei daeva (daeva yasna). La vita si delinea come lotta; e la lotta umana non è che un episodio della lotta cosmica fra il principio del bene e il principio del male. L'annientamento dei malvagi è opera meritoria. (p. 86)
  • La predicazione del verbo di Zarathustra fra le genti turaniche ha una particolare importanza storico-religiosa. Essa ci rivela nel Zoroastrismo un'attitudine e una tendenza a propagarsi oltre i confini del suo piccolo mondo originario, a diffondersi fra genti straniere. (p. 90)
  • L'idea monoteistica ci appare nel Zoroastrismo delle origini allo stato puro. Il dualismo non la offende. In realtà il dualismo non è negazione del monoteismo: anzi, è un riflesso di questo. Non è una tappa - l'ultima tappa prima dell'unità - sulla via di quel processo di generalizzazione progressiva che fu costruito schematicamente dagli evoluzionisti. Nel dualismo sono tutti presenti quegli elementi divini che il monoteismo nega e rinnega, ma presenti in quella forma che è la sola compatibile con l'idea, anch'essa presente, del dio unico: è la forma stessa dell'unicità che dalla sfera del divino passa ad applicarsi al complesso degli elementi anti-divini; onde questi riescono unificati, mentre pur sono negati come divini. Così Anrama(i)nyu non è essenzialmente un altro iddio accanto ad Ahura Mazda: è lo stesso Ahura Mazda nella inversione di tutti i suoi valori. Anrama(i)nyu è l'erede e l'esponente di tutti gli dei (daeva) del paganesimo politeistico: non è esso stesso un dio tradizionale: è una figura nuova che subentra con la Riforma, sostituendosi a tutte le figure divine della tradizione, e così riducendole ad unità, tutte le rappresenta. (p. 96-97)
  • [Su Cambise I di Persia] Nelle varie occasioni che ebbe, di conoscere da vicino la religione egiziana, ne ritrasse delle impressioni di ripugnanza e di ridicolo; le quali [...] costituiscono un interessante documento di psicologia religiosa, data la natura psicopatica del soggetto. L'atteggiamento ostile di Cambise di fronte ai culti e ai costumi egiziani rappresenta dunque, se mai, una reazione tutta personale, per quanto determinata dalle reali differenze profonde fra la religione persiana e l'egizia, specialmente nella concezione e rappresentanza del divino (naturalistica ed elementare presso i Persiani, simbolica e teriomorficamente mostruosa presso gli Egizi). (p. 122)
  • [Su Dario I di Persia] Più equilibrato di Cambise, fu, anche, più liberale. In Egitto rimise in onore i nomi, i templi e le feste degli iddii nazionali, riorganizzò il sacerdozio, e si fece rappresentare in atto di render omaggio al dio Amon sulle pareti del tempio di Hib, da lui fatto costruire nell'oasi di el-Chargeh; in altri monumenti appare come devoto della dea Neith. - Verso gli Ebrei fu indulgente e condiscendente, secondo l'esempio di Ciro: sotto il suo regno fu consacrato il nuovo tempio di Gerusalemme (a. 515). - Anche per i culti greci (nell'Asia minore) mostrò un interessamento vigile e premuroso. (p. 124)
  • Sarebbe esatto dire che Dario fu un mazdeista senza essere un zoroastriano. (p. 128)
  • La religione persiana sotto gli Achemenidi non fu dunque tutta "pagana", come non fu tutta zoroastrica: fu, in certo gli elementi tradizionali (nazionali) e quelli confessionali (riformati), senza fondersi né respingersi a vicenda, trovarono tuttavia un loro modus vivendi sotto la vigile tutela del sovrano: di quei sovrani i quali certo non smentirono nella politica religiosa interna quelle loro qualità di moderatori onde seppero regolare all'estero le competizioni religiose fra i popoli molti e diversi ed eterogenei che furon soggetti al loro vastissimo impero. Per quanto questo o quello dei re di Persia sia stato personalmente disposto a favorire il Zoroastrismo, certo nessuno giunse mai fino ad essere intollerante verso la religione tradizionale. (p. 30)
  • Durante tutta l'epoca degli Achemenidi il Zoroastrismo in Persia, lungi dal divenire esso la religione dello Stato e la religione di tutto il popolo, non riuscì a scalzare la posizione ufficiale del politeismo: non solo, ma nemmeno valse a impedire che il politeismo si rafforzasse per l'aggiunta di elementi esotici, e si consolidasse pel concorso di quel sussidio validissimo fra tutti ch'è l'antropomorfismo applicato alla rappresentazione materiale delle figure divine. Anzi, il politeismo fu così forte che finì per imporsi allo stesso monoteismo zarathustrico. (p. 133)
  • Ellenismo e Iranismo si erano già respinti violentemente al primo incontro: all'epoca di Dario e di Serse, di Maratona e di Salamina. Venuti di nuovo a contatto per l'opera mediatrice del Macedone, riconfermarono la loro reciproca incompatibilità. La politica conciliatrice di Alessandro non riuscì a trionfare di quella fondamentale opposizione. Invano egli incorporò nel suo esercito le milizie persiane, e promosse i matrimoni dei suoi soldati con le donne di Persia, dando egli stesso l'esempio (Roxane, Stateira, Parysatis, Barsine); invano conservò la ripartizione dell'impero in satrapie, e a capo di alcune lasciò dei Persiani. (p. 158)
  • Il Mitraismo non è uno svolgimento del Zoroastrismo: non è, come parve ad alcuni, un Zoroastrismo alterato nel corso delle sue peregrinazioni e adattato al genio occidentale. Il Mitraismo risale [...] all'antica religione delle genti iraniche; alla quale ultimamente risale anche il Zoroastrismo. Conviene soggiungere che da quell'antica religione il Zoroastrismo procede per negazione ed antitesi: il Mitraismo, invece, ne discende per tradizione e continuazione, staccandosi da quella - per costituirsi in forma propria - in un momento in cui essa aveva già incorporato taluni concetti propri del Zoroastrismo. (p. 167)
  • Con l'avvento dei Sassanidi la Persia rinacque a nuova vita. E fu vita di quattro secoli, fino alla conquista araba. Fu, dopo il Medioevo della dominazione straniera, un vero Rinascimento. All'anarchia del regime feudale successe l'unità politica sotto la monarchia ereditaria, secondo il principio legittimistico ch'era stato in vigore al tempo degli Achemenidi. (p. 183)
  • [Sulla religione nell'Impero sasanide] Dominato sempre dalla tradizione di un grande impero scomparso, del quale talvolta parve destinato a risuscitare la grandezza, lo stato persiano non poteva ridursi a comunità religiosa sul tipo della comunità giudaica. Lo stato fu laico: bensì il re, divino e consacrato dall'autorità ecclesiastica, dovè curare in primo luogo gl'interessi della religione, secondo i criteri e i suggerimenti di un clero che fu influentissimo. (pp. 185-186)
  • Il regno nuovo persiano, mentre riprendeva nella forma le tradizioni dell'antico, se ne allontanava nello spirito. Nazionale era stata la religione degli Achemenidi; e nazionale era la religione dei Sassanidi. Ma quella era stata la religione originaria: nazionale perché nata con la nazione stessa, frutto naturale e spontaneo di quello spirito collettivo onde sorgono insieme presso un popolo la lingua, la fede, il costume. Questa, dei Sassanidi, era una antica religione fondata, di origine individuale, che nazionale era divenuta alterando prodondamente la sua natura: per quante concessioni avesse fatte alla credenza popolare, per quanti elementi tradizionali si fosse incorporata, era ancora e sempre la religione di Zarathustra. Quel che il Zoroastrismo non era stato mai, né al tempo delle sue origini né sotto gli Achemenidi e nemmeno sotto gli Arsacidi - cioè la religione ufficiale di un grande stato nazionale iranico -, lo divenne ora per effetto di quelle vicende che portarono, insieme, alla formazione del regno dei Sassanidi. (pp. 186-187)
  • Sono come due spiriti eterogenei che attraversano la storia della Persia sassanidica senza mai riuscire a conciliarsi - e il loro contrasto finì poi per essere fatale -: uno spirito settario e intollerante, discendente degenere di una antica idea religiosa ultra-nazionale e proselitistica; e uno spirito fortemente nazionale, inestinguibile e insopprimibile, il quale si sforza di affermare tra le varie confessioni religiose la supremazia sua. (p. 189)
  • Certo il Manicheismo non è un'emanazione diretta del Mazdeismo, una specie di Mazdeismo modificatosi a contatto col Cristianesimo. (p. 190)
  • L'idea centrale della dottrina di Mani è ancora e sempre il dualismo: ma se questo vi è svolto in forma diversa che nel Gnosticismo, e più sistematica e rigorosa, ciò si deve verosimilmente alle influenze del Mazdeismo persiano. Elementi di origine persiana abbondano nel Manicheismo: e sono in ispecie quegli elementi mitici e leggendari che gli conferiscono quel colorito imaginoso e fantastico onde si rischiara. (p. 191)
  • Onde si vede come il Manicheismo rappresenti, al pari del Mitraismo e a poca distanza da questo, una penetrazione di idee iraniche (persiane) in Occidente: la quale parimenti si attuò in senso universalistico e ultranazionale; ma con questa grande differenza, che l'universalismo nella religione di Mithra - il dio - non era elemento congenito ed originario, sì bene assunto secondariamente sull'esempio di altre religioni, mentre nella religione di Mani - il fondatore - era connaturato ed innato, e inizialmente il Manicheismo se lo propose come compito, e come compito lo perseguì consapevolmente durante tutto il tempo del suo propagarsi. Onde anche risulta che non è il Mitraismo, bensì il Manicheismo - nella sua propagazione orientale e occidentale -, l'erede e il continuatore vero di quella missione universalistica cui il Zoroastrismo, nazionalizzandosi, aveva rinunziato. E questa è poi anche la ragione per cui il Manicheismo fu in Persia perseguitato e dalla Persia bandito: appunto perché era universale, e invece lo spirito persiano era, in allora specialmente, nazionale. (pp. 192-193)
  • Mazdak fu un riformatore religioso: ma il suo programma ebbe anche un contenuto sociale. Voleva la comunanza dei beni: voleva che le donne fossero poste in comune. Non era soltanto fantasia di un utopista. L'utopia aveva un suo fondamento nelle condizioni economiche e sociali dello stato persiano. Economicamente, si trattava di ristabilire un equilibrio che la concentrazione della ricchezza nelle mani dei nobili, specialmente, e degli alti dignitari aveva rotto da un pezzo. (pp. 199-200)
  • [Sulla Conquista islamica della Persia] Il Zoroastrismo non valse a tener testa alla religione dei conquistatori. Chi sa se a lungo andare non avrebbe finito per cedere allo stesso Cristianesimo (nazionalizzato)? Certo non era riuscito ad impedire del Cristianesimo i progressi e l'incremento. (p. 215)
  • La Persia sassanidica e il Zoroastrismo ufficiale erano sorti insieme; e insieme tramontarono. L'invasione degli Arabi segnò, con la fine della religione. (p. 216)
  • Come si vede, la Persia aveva perduto l'indipendenza, ma aveva conservato la sua cultura. La religione ufficiale era ormai un'altra. Ma l'antica non era interamente distrutta: si esprimeva tuttavia nella nuova letteratura sacerdotale; si rifletteva nella epopea. (p. 220)
  • Lo stesso Firdusi, ufficialmente musulmano, era troppo imbevuto di spirito iranico per essere un convinto zelatore della fede dei dominatori stranieri. (p. 226)
  • [Sull'Impero mongolo] I loro massacri e le terribili devastazioni non furono ispirati da passione religiosa, bensì dalla naturale barbarie. (p. 227)

Bibliografia

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  • Raffaele Pettazzoni, La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran, Bologna, Nicola Zanichelli editore, 1920.

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