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Raffaello Piccoli

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Raffaello Piccoli

Raffaello Piccoli (1886 – 1932), scrittore, poeta e traduttore italiano.

Astrologia dantesca

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  • La fortuna dell'astrologia nel Medio Evo è dovuta in gran parte, (oltre che all'appello ch'essa fa, nelle sue manifestazioni evidentemente superstiziose, ad alcuni lati sentimentali del carattere medievale), alla conformità della sua logica propria con la logica in uso nelle scuole. Intendo qui per logica non la forma, rigidamente scientifica, del ragionamento scolastico, ma la sua natura intrinseca e il suo criterio dì verità. (cap. I, p. 5)
  • L'aver fondata la sua teoria cosmogonica[1] sull'analogia dell'uomo con l'universo, a quel modo che nella Repubblica aveva ricavato la politica dalla analogia dell'uomo con lo stato; l'aver fatto del mondo un animale intelligente e animato; e l'aver giustificato questa sua fantasia cosmica [...]; dovevano fare di Platone il maestro di tutti i cosmologi ed astrologi futuri, i quali trovavano nel suo sistema quasi i fondamenti scientifici delle loro opinioni. (cap. II, p. 12)
  • Dante, cosmologo ed astrologo, cita spesso Platone; e più spesso, senza sospettarlo forse, si vale di idee da lui primamente enunciate. Si dà il primo caso per la teoria delle idee o intelligenze dei cieli, e per quella del ritorno delle anime alle stelle, che implica l'altra dell'ufficio e natura degli astri; il secondo, per la teoria dei movimenti dei cieli, per la distinzione della creazione in mediata e immediata, e in generale per tutto ciò che di Platone era vivo nella teologia e nella mistica cristiana. (cap. II, p. 12)
  • Manifesta è la incondizionata adesione di Dante alla dottrina tomistica; considerate nel corpo di quella, le sue parole si illuminano subitamente; manifesta qui, come in ogni lato, si può dire, del pensiero dantesco; ma quel che non si nota abbastanza è che al tempo dell’Alighieri il tomismo non poteva dirsi una dottrina pacifica, appena uscita com'essa era da violente battaglie di scuola. Solo dopo la morte d Dante e la canonizzazione del Santo, furono ritirate a Parigi le proibizioni di Stefano Tempier[2], e decaddero le censure oxoniensi[3] [...]. (cap. IV, p. 27)

Bergson e l'estetica

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  • La mediazione bergsoniana è non razionale, empirica. L'intuizione, che ne è lo strumento, non si ha se non cercando di profondarsi, con la più assoluta libertà e umiltà, nell'anima dell' oggetto che si vuole afferrare, tentandone una specie, com'egli dice, di auscultazione intellettuale; anzi ancora più, se non abbandonando tutte le forme razionali, che ci dànno abitualmente sulla realtà quella presa ottima per i puri fini pratici, che noi scambiamo per una conoscenza disinteressata, per trasferirci interamente, senza residui concettuali, con un vero sforzo e sacrificio del pensiero ragionante, nel cuore e nella corrente dell'oggetto della nostra ricerca metafisica. Ma tale conoscenza intuitiva, che, s'installa nel mobile e adotta la vita stessa delle cose, non dura che un istante: la sua espressione ed applicazione deve, di necessità, essere conforme ai nostri abiti razionali: bisogna insomma tornare ai concetti così empiricamente mediati, e compresi, e valersi di immagini successivamente approssimantisi alla diretta intuizione, per condurre verso quella gli individui cui si vuol comunicare, e rendere agevole, lo sforzo compiuto. (pp. 5-6)
  • Alla concezione volgare del tempo, che è come d'una cornice in cui noi inseriamo la nostra vita, d'un mezzo in cui viviamo ed agiamo; alla concezione Kantiana d'una forma a priori che lo spirito impone ai fenomeni; il Bergson sostituisce la concezione del tempo come dell'essere stesso della vita, ch'egli ritrova dentro di noi come una molteplicità qualitativa, come uno sviluppo organico che pure non è una quantità crescente, come una eterogeneità pura nel cui seno non si trovano qualità distinte, i cui momenti non sono esterni gli uni agli altri. Io non posso indugiarmi a chiarire queste frasi, che sono il risultato d'una lunga ricerca: ma chi ha qualche familiarità col pensiero bergsoniano, e sa ch'esse in certo senso rappresentano la forma, e perciò la realtà, della nostra vita spirituale, non può sfuggire come ciascuna di esse sia applicabile senza mutamento alla musica. (p. 14)
  • Che tutte le arti aspirino verso la condizione della musica, è stato detto primamente da Walter Pater, ed è ormai un luogo comune della estetica snobistica, troppo spesso priva d'una chiara idea corrispondente. Chiarissima idea ne avevano invece i Greci, per quanto riguarda almeno le tre arti della musica della danza e della poesia. (p. 15)
  • Per l'architettura, solo in tempi relativamente recenti s'è perduta la coscienza dei suoi rapporti misurabili con la musica. Viva ne è la tradizione nei classici; ripresa dall'Alberti e dagli altri trattatisti del Rinascimento; e la stessa asimmetria della architettura medievale è traducibile in ritmi ben definiti, di cui alcuni si continuano, specie per gli edifici del culto, in quella sua trasformazione organica che è l'architettura di quasi tutto il Quattrocento. Ma il rapporto tra il ritmo spaziale e il ritmo interno che la genera, è occulto e segreto: sorprenderlo si potrebbe soltanto entrando nella coscienza dell'architetto creatore, in certe sue pieghe profonde. (p. 16)

Note

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  1. Nel testo: "cosmogomica".
  2. Teologo e vescovo cattolico francese del XIII secolo.
  3. Da Oxonia, nome latino medievale della città di Oxford.

Bibliografia

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Altri progetti

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