Tommaso Casini
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Tommaso Casini (1859 – 1917), scrittore, storico, critico letterario e filologo italiano.
Citazioni di Tommaso Casini
[modifica]- Dirò cosa che a molti parrà incredibile, come a me par certa, cioè che nel secolo XIII ai Genovesi e ai Pisani, ai Lombardi e ai Toscani il viaggio di Sardegna doveva essere assai più familiare che oggi generalmente non sia per noi Italiani del continente. I terramagnensi, come allora si dicevano nell'isola i continentali, vi appariscono per tutto quel secolo in grandissima quantità, sia costituiti in uffici civili, militari, ecclesiastici, sia nell'esercizio della mercatura o dell'arte marinaresca; sebbene sia relativamente scarso il numero dei documenti a noi pervenuti, e anche questi sieno per lo più di tal natura da non potervisi trovare altra menzione che di persone di primaria importanza.[1]
- Quando si incorniciasse tra noi a scrivere in poesia volgare, con intendimenti più o meno determinati di fare opera letteraria, è tal questione che forse non potrà mai essere risoluta, chi non si contenti di accettare un'indicazione approssimativa che può variare anche di qualche decennio. Date precise non si debbono pretendere né assegnare, poiché la evoluzione iniziale di qualsiasi forma letteraria in un periodo di origini è per sua natura un fatto, il quale sfugge a qualunque determinazione cronologica che non sia largamente intesa e fermata. E i documenti della poesia italiana che sinora si son fatti passare come appartenenti al secolo XII sono in generale molto sospetti; sospetti non già quanto alla genuinità loro, ma riguardo alle date ad essi congetturalmente attribuite.[2]
Le forme metriche italiane
[modifica]- È generalmente lamentata la scarsezza delle cognizioni degli italiani intorno alle forme metriche della loro gloriosa poesia, e dalle nostre scuole i giovani escono per lo più con tale ignoranza di questa parte importantissima del nostro patrimonio letterario, da non sapere spesso distinguere una canzone da una ballata, un sonetto da un madrigale. (Prefazione, p. V)
- La più antica e la più notevole delle forme liriche italiane è la Canzone, che Dante, nel suo libro De vulgari eloquentia, definisce come il modo più eccellente di poesia; e veramente essa fu adoperata in ogni tempo dai nostri lirici per l'espressione dei pensieri più nobili e dei sentimenti più elevati, né fu rivolta mai alla rappresentazione di concezioni famigliari o di affetti volgari. (cap. I, p. 1)
- La canzone è una serie di stanze o strofe, alla quale spesso si aggiunge il congedo; e la stanza è una serie di versi, che possono essere della stessa misura (endecasillabi; ottonari; settenari) oppure di misura varia (endecasillabi e settenari, endecasillabi e quinari, settenari e quinari), ordinati e collegati secondo un certo sistema di rime. (cap. I, pp. 1-2)
- Sebbene si possa dire che la teorica della canzone italiana è identica a quella della provenzale, almeno nei principii generali e nelle modalità tecniche, è da notare una sostanziale modificazione fatta dai primi rimatori che dedussero questa forma nella nostra poesia; poiché, mentre i provenzali mantenevano per tutte le stanze le rime della prima, gli italiani serbarono nelle stanze susseguenti alla prima solo l'ordinamento di rime proprio ad essa: e la ragione di questa modificazione, che accrebbe d'assai la varietà ritmica e melodica della canzone, è del tutto linguistica; poiché, mentre la lingua provenzale abbondava di parole omioteleute[3] per essere scarsa di suffissi nominali e verbali, la lingua italiana ne era invece assai povera. (cap. I, p. 8)
- Nobilitato dal Cavalcanti, da Cino e da Dante, ed innalzato alle più alte cime dell'arte dal Petrarca, il sonetto divenne la forma prediletta dei lirici italiani e specialmente dei petrarchisti, che abbondarono nei secoli XV e XVI; e dalla materia amorosa e insegnativa si allargò ben presto anche alla politica, mescolandosi a tutti i grandi avvenimenti civili e letterari, ora assumendo il tono dimesso e domestico della poesia affettiva ed intima ed ora assorgendo alla dignità del canto nazionale. Oscurato per un momento nel secolo XVII dalla canzonetta e nel XVIII dal verso sciolto, non ostante gli sforzi degli arcadi per richiamarlo all'antico splendore, fu restituito alle meritate altezze dal Monti e dal Foscolo, ed oggi ancora domina sovrano sulle altre forme liriche degli italiani. (pp. 40-41)
- Il Madrigale o, come costantemente dissero gli antichi, mandriale, fu nelle sue origini una forma di canto popolare, anzi, più precisamente, rustico e villereccio ; e fu cosi detto perché uscito dalle mandre, per esser cioè un componimento pastorale e campagnuolo: ciò è attestato con ammirabile concordia dalla maggior parte dei nostri antichi trattatisti, coi quali si accordano i più autorevoli filologi moderni. (cap. IV, p. 47)
- Come tutte le forme toccate dalla mano fatata del Petrarca, il madrigale fu largamente usato dai nostri lirici dei secoli XV e XVI, presso i quali conservò sempre un ricordo della sua origine campagnuola, poiché essi avevano l'occhio ai madrigali del cantore di Laura, che in tutti i suoi pose, come osservò il Dolce[4], o erbe o acque o cose che a ville e solitari luoghi si appartengono. (cap. IV, p. 48)
- Lo strambotto, cosi detto, quasi strano motto[5], per essere come anormale ed eterogeneo di fronte alle forme metriche regolari, fu certamente derivato nella poesia letteraria dai canti popolari della Sicilia e del mezzogiorno d'Italia, perché i più antichi esempi di esso, oltre ad avere la forma conservata fino ad oggi nelle poesie popolari di quelle regioni, hanno nei manoscritti i nomi di ciciliana o napolitana[6]. (cap. IV, p. 52)
- Lo strambotto consiste, nella sua forma primitiva, in una serie di distici a rima alternata: i versi sono sempre endecasillabi, e il numero dei distici è per lo più di quattro, qualche rara volta di tre; ecco un esempio dei più antichi strambotti:Valletto, se m'amate, siate saggio,(cap. IV, pp. 52-53)
non vi fidate in nullo compagnione;
tienì cielato quel che ditto t'aggio,
non vi vantate della mi' persone,
ché, se 'l sapesson gli parenti ch'aggio,
tu sarie morto ed io scamparia none.
Se fossi morto saria gran dannaggio,
s'io fossi morta saria gran ragione.
- Nella prima metà del secolo XVI lo strambotto scomparve dalla poesia letteraria, cedendo il campo al madrigale. (cap. IV, p. 54)
- Una forma di poesia popolare, coltivata qualche volta anche dai letterati e confusa spesso collo strambotto, è il rispetto, che vive ancora specialmente fra le popolazioni della campagna toscana. Il rispetto consta di una quartina a rime alternate, nella quale il poeta espande intero il suo sentimento, e di uno o due distici a rima baciata, nei quali il sentimento espresso nei versi precedenti si riprende e rifiorisce con qualche modificazione di parole; onde poi è dato agli ultimi quattro versi il nome di ripresa. (p. 55)
- I più vecchi esempi di rispetto risalgono al secolo XIV, ma questa forma si sviluppò specialmente nel XV. Eccone, per saggio, uno del trecento;Donna già fu' gentile innamorata,(cap. IV, p. 55)
facendo 'l servo mie' dolze sembiante;
or son in biscia orribil tramutata
sol per uccider questo falso amante.
Non so come 'l suo cor ma' lo sofferse,
ch' a dirmi villania si discoperse.
Come di tormentarlo sarò sazia,
tornerò donna e renderogli grazia.
Note
[modifica]- ↑ Da Ricordi danteschi di Sardegna, Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma, 1895, p. 7.
- ↑ Da Studi di poesia antica, Casa editrice S. Lapi, Città di Castello, 1913, cap. III, p. 279.
- ↑ più comun. omoteleute da omoteleuto.
- ↑ Osservationi della volgar lingua. Venezia, 1566, pag. 227. [N.d.A.]
- ↑ Altri fanno derivare il nome di questa poesia dall'agg. strambo; e altri ancora credono che sia in rapporto coi nomi estrabot ed estribot che nel francese antico e nel provenzale designavano forse un componimento satirico. Sono derivazioni ipotetiche come la nostra, la quale almeno è confermata dalla forma antica strammotto e dalla siciliana moderna strammuotto. [N.d.A.]
- ↑ Ferrari Sev., Biblioteca di Letteratura popolare, Firenze, 1882, vol. I, pag. 70, 72. [N.d.A.]
Bibliografia
[modifica]- Tommaso Casini, Le forme metriche italiane, G. C. Sansoni Editore, Firenze, 19152.
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