Vittorio Spinazzola (archeologo)

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Vittorio Spinazzola

Vittorio Spinazzola (1863 – 1943), archeologo italiano.

L'arte ed il Seicento in Napoli[modifica]

  • Nella chiesa del Museo di S. Martino, che è modello senza possibili paragoni del genere [...] l'esuberante spirito dell'arte napoletana raggiunge un così armonico equilibrio d'insieme e di parti che ricchezza e bellezza sono in essa la stessa cosa. Le proporzioni non sono vastissime, le linee non sono torturate, i colori non sono stridenti, gli ornati non sono ingombranti, la ricchezza non è banale. Architettura, decorazione, arredamento sono organicamente uniti. Il cinquecento o per meglio dire la fine di quel secolo le ha dato la sua giustezza composta delle linee e delle sagome architettoniche; ma il seicento tutta la sua calda ricchezza ornamentale. (pp. 11-12)
  • [...] Carlo Maratta, un pittore di grido, un caposcuola, anzi, dell'arte romana, che ha, nella cappella di S. Giovanni Battista[1], il S. Giovanni dell'altar maggiore, di puro disegno, ma vuoto, liscio, senza colore, senza anima, insignificante. (p. 13)
  • Il Lanfranco è vissuto ed ha molto dipinto in Napoli, dove son di sua mano la cupola del Gesù Nuovo e molte opere nella chiesa dei SS. Apostoli, in S. Gennaro, in S. Chiara. Ne ha preso un fare largo, più libero, un po' trascurato, che unisce ad una certa armonia di linee o di colori propria del Correggio, che egli volle imitare, una spigliatezza, un ardimento negli scorci, un movimento nelle azioni, una certa rozzezza del contorno che par gli venga tutta da Napoli e dalla sua arte. (p. 14)
  • Il cav. D'Arpino è un mediocre pittore di quadri e S. Martino ne ha uno, sulla porta della sacrestia, che è una povera e vuota cosa, una Crocefissione. Ma i varii compartimenti della volta in quel monumento di arte che è la sacrestia dei Certosini, i freschi con le storie del nuovo testamento, come i tondi con le Virtù, e i putti con i segni della passione, sono un vero miracolo di gusto, di sobrietà e di armonia di mezzi pittorici. La freschezza del colore è pari alla purezza del disegno e alla grazia e perfezione degli scorci; l'invenzione è ricca ed originale; lo aggiustamento decorativo dei più felici nella sua straordinaria profusione di purissimo oro. (pp. 14-15)
  • Anche Giuliano Finelli visse nel seicento, anzi accanto a Bernini, e fra i suoi cari discepoli. il dolce artista, a Roma come a Napoli, sentì il bisogno di esprimere forme semplici, e contenne il suo spirito in un ideale di arte corretta, piena di certa signorile dignità e distinzione. (p. 27)

Le origini e il cammino dell'arte[modifica]

  • La civiltà greca, quella di Fidia e di Prassitele, non ha precedenti, ecco, secondo Taine, la grande fortuna dell'arte greca. (cap. I, p. 46)
  • Il greco che, nelle notti stellate recavasi sull'Acropoli, sentiva, come ha detto il poeta, dinanzi al Partenone, scorrere ancora la maestà del fiume della patria nelle belle forme dell'Ilisso che Fidia aveva scolpito fra quelle immortali immagini divine. (cap. II, p. 92)
  • [...] contansi a milioni le belle creature della vita che non vissero mai, e son milioni le forme che, fuori d'ogni sesto e misura, vivono la vita, serena ed immortale, dell'arte. Non muteranno così i giudizii vostri e l'esame delle opere d'arte, come la moda, come il capriccio, come il gusto del momento. Voi così non vedrete, col Taine, un giovane lord inglese nell'Apollo del Belvedere, che Winkelmann cosparse di fiori, e leva in alto come cosa immateriale la bellissima testa dal candido corpo giovanile, leggiero e casto come non fu mai forma umana. (cap. II, p. 95)
  • Heracles era l'eroe greco per eccellenza ed era il semidio salito, dopo la morte, agli onori del Cielo donde avea tratto l'origine. Era la rappresentazione dell'uomo, figlio di Giove, lo splendente armonico etere, che con l'aiuto della ordinatrice e vincitrice forza paterna sgombra la terra delle piaghe che la infestano, feroci animali, paludi pestifere, società selvagge e violenti. (cap. IV, p. 225)
  • Agesilao, per incoraggiare i suoi soldati, fece un giorno spogliare dinanzi alle belle persone dei Greci diritti e forti come acciaio brunito i Persiani prigionieri. Alla vista di quelle carni bianche e molli, i Greci risero, e andarono innanzi, pieni [di] sdegno per quei loro nemici. (cap. V, p. 277)
  • [...] in quella stessa Sparta dove i generali di armata che non avevan un marziale portamento, erano relegati nella sfilata corale agii ultimi posti, lo sciancato poeta Tirteo anima col verso, assai meglio di un bel generale, gli Spartani alla vittoria [...].
  • «Fidia – così era scritto sulla base del Giove di Olimpia, figlio di Carmide, Ateniese, mi ha fatta». Ed è ad un dipresso quanto sappiamo di più certo della vita del più grande scultore che abbia avuto l'arte di tutti i tempi. (cap. V, p. 280)
  • «Il Partenone» ecco il grido che si leva dal cuore di chi prima vede di lontano la bella forma cui pare che tutto il colle roccioso a forma di nave faccia da base maestosa; ed il palpito dell'animo è pari solamente alla dolcezza infinita che la linea del potente colonnato e del nudo frontone rivolto al sole occidente produce negli occhi e nello spirito nostro. Se, dappresso, voi vi sarete recati a contemplarlo, a saziarne i vostri occhi, voi potrete appena darvi ragione del sentimento vostro. Il seno squarciato, restano le due fronti, rivolte ad oriente e ad occidente. Poggiano sugli alti gradi le otto colonne doriche scanellate su cui l'architrave ed il fregio dorico sta con riposo eterno, mentre gira il colonnato, dove ancora rimasto in piedi, dove infranto, con poderosa e compatta mole. Avvolge tutto il sole, che si nasconde nell'Egeo, nei tramonti attici, puri come puri zaffiri, ed i raggi della luce danno riflessi d'oro, fasciano tutto d'oro quel miracolo dell'arte o della natura, poi che la natura stessa pare che abbia su quelle belle assise eterne, poggiati i marmi ove erano le metope a rilievo, d'intorno, e le belle forme degli Dei, nei frontoni di Fidia. (cap. V, pp. 298-299)

Note[modifica]

  1. Nella Certosa di San Martino di Napoli.

Bibliografia[modifica]

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