Zenone di Cizio

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Zenone di Cizio

Zenone di Cizio (333 a.C. – 264 a.C.), filosofo greco antico.

Citazioni di Zenone di Cizio[modifica]

  • Amore è tentativo di contrarre amicizia per mezzo della bellezza che si rivela nei giovani.[1]
  • Amore è un dio che coopera alla conservazione dello Stato.[1]
  • Anche dai sogni è possibile ad ognuno accorgersi dei suoi progressi sulla via della virtù; se non gli avviene di vedere in sogno ch'egli si compiaccia di qualcosa di disonesto che approvi o commetta azione alcuna indegna o mostruosa, ma come in un gran mare in perfetta bonaccia, lucido e trasparente, la facoltà fantastica e passionale dell'anima gli si illumini rasserenata dalla ragione.[2]
  • Avversari, nemici, schiavi, estranei gli uni agli altri, tutti gl'inetti, anche se padri e figli, fratelli e parenti tra loro.[3]
  • Bisogna farsi tagliare i capelli per la stessa ragione per cui si deve coltivare la chioma, cioè per conformarsi alla natura: per non essere dalla chioma gravati e impacciati in una attività qualsiasi.[4]
  • Buoni si diventa poco alla volta, ma non è cosa da poco.[5]
  • Ciò che fa uso della ragione è superiore a ciò che è privo di ragione; ma non c'è nulla di superiore al mondo; dunque il mondo ha l'uso della ragione.[6]
  • [Interrogato su quale fosse la sua reazione alla diffamazione] Come un ambasciatore che fosse inviato senza risposta.[7]
  • Di nulla abbiamo più bisogno che del tempo.[5]
  • È ridicolo che non diamo importanza ai precetti di un uomo singolo circa la condotta morale, e invece teniamo molto al plauso generale considerandolo come connesso con giudizio autorevole.[8]
  • Gli uomini dabbene sono tutti amici fra loro.[9]
  • I lineamenti dell'anima superano in bellezza quelli del corpo.[9]
  • Il piacere è indifferente, vale a dire bene male.[10]
  • Il sapiente non proferirà una parola senza averla intinta nel senno.[11]
  • Il sommo bene è vivere in coerenza con la natura.[12]
Lo scopo della vita è di vivere in accordo con la natura.[13]
  • I maestri, che passano il loro tempo sempre tra i ragazzi, hanno tanta poca intelligenza quanto loro stessi.[14]
  • I piaceri del mangiare e del bere si acquistano facilmente con la fatica; ma gli uomini preferiscono averli dall'arte del cuoco.[15]
  • [Vedendo che Teofrasto suscitava ammirazione per il gran numero di discepoli che aveva] Il suo coro sarà più grande, ma il mio è meglio intonato.[7]
  • L'arte è un sistema di percezioni concordanti ed esercitate tutte insieme per un fine di utilità pratica.[16]
  • L'esempio è la menzione di un fatto passato avente analogia con quello che si discute.[17]
  • La docilità e il saper profittare di un buon consiglio e metterlo in pratica è virtù superiore e più regale che non sia l'intelligenza.[18]
  • La felicità consiste in un corso facile di vita.[19]
La felicità è un buon flusso di vita.[20]
  • La passione è un correre sbigottito dell'anima.[21]
  • La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno.[22]
  • La virtù fondamentale è l'intelligenza. Esercitata nel campo degli ostacoli e dei pericoli, è fortezza; nel campo delle risoluzioni ed esecuzioni, è prudenza; nel campo della distribuzione, è giustizia.[23]
  • Lo strano è che gli uomini non esitano a dire liberamente cose che sono in sé sconce, come rubare, frodare, commettere adulterio; e si fanno scrupolo di dire cose che, essendo naturali, non possono essere turpi.[11]
  • Nessuno confida un segreto a un ubbriaco; ma ognuno lo confida a un uomo retto: dunque l'uomo retto non sarà mai ubbriaco.[24]
  • Non c'è cosa che più della presunzione sia estranea alla comprensione delle scienze.[25]
  • Non dobbiamo memorizzare voci e vocaboli, ma dobbiamo esercitare l'intelletto per disporlo all'uso, non come se dovessimo ricevere qualcosa bell'e cotto e imbandito.[26]
  • Non è da uomo forte il lasciarsi vincere dalle preghiere e distogliere dalla giusta severità.[27]
  • Per la maggior parte i filosofi sono saggi nelle cose di grande importanza, ignoranti nelle cose piccole e fortuite.[28]
  • Se l'inetto disputa col valentuomo, non è chiaro che avrà la peggio? Dunque l'inetto non ha diritto a parità di parola di fronte al valentuomo.[3]
  • Tutte le colpe sono eguali.[10]
  • [Alla domanda: «Che cosa è un amico?»] Un altro me stesso.[22]
  • Un male non può essere glorioso; ma esiste una morte gloriosa; dunque la morte non è un male.[10]
  • [ultime parole] Vengo: perché mi chiami?[29]
  • Vivi, o uomo, non solo per mangiare e bere, ma anche per fruire di una vita che sia ben vissuta.[5]

Citazioni su Zenone di Cizio[modifica]

  • Zenone ha in mira la felicità ragionevole. Sentire è patire; ragionare è agire, e la virtù è la forma e la legge della ragione attiva. Bisogna dunque agire e reagire secondo virtù, che è quanto dire secondo sé, e non a grado altrui. (Angelo Camillo De Meis)

Note[modifica]

  1. a b Citato in 1932, p. 20.
  2. Citato in 1932, pp. 122-23.
  3. a b Citato in 1932, p. 19.
  4. Citato in 1932, p. 75.
  5. a b c Citato in 2002, p. 137.
  6. Citato in 1932, p. 83.
  7. a b Citato in 2002, p. 125.
  8. Citato in 1932, p. 106.
  9. a b Citato in 1932, p. 18.
  10. a b c Citato in 1932, p. 121.
  11. a b Citato in 1932, p. 108.
  12. Citato in 2002, p. 87.
  13. Citato in Giuliana Baulino, Accanto a loro con sguardo amico: Aforismi, epigrammi, poesie, proverbi sui malati e il loro mondo, Effatà Editrice, Cantalupa, 2000, p. 55. ISBN 88-86617-51-8
  14. Citato in 1962, VII, 18, p. 299.
  15. Citato in 1932, p. 73.
  16. Citato in 1932, p. 111.
  17. Citato in 1932, p. 112.
  18. Citato in 1932, p. 98.
  19. Citato in 1932, p. 60.
  20. Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 67. ISBN 9788858014165
  21. Citato in 1932, p. 68.
  22. a b Citato in 1962, VII, 23, p. 301.
  23. Citato in 1932, p. 120.
  24. Citato in 1932, p. 74.
  25. Citato in 1932, p. 37.
  26. Citato in 2002, p. 133.
  27. Citato in 1932, p. 70.
  28. Citato in 1962, VII, 21, p. 300.
  29. Citato in 1962, VII, 28, p. 304. Scrive Diogene Laerzio: «La sua morte avvenne così: nell'uscire di scuola inciampò e si ruppe un dito, battette la mano sulla terra e citò il verso della Niobe: "Vengo: perché mi chiami?"». Il riferimento sarebbe alla Niobe di Timoteo (e non di Eschilo).

Bibliografia[modifica]

  • AA.VV., I frammenti degli stoici antichi, 2 voll., a cura di Nicola Festa, Laterza, Bari, 1932-1935, vol. I, 1932.
  • AA.VV., Stoici antichi, a cura di Roberto Radice, Bompiani, Milano, 2002. ISBN 88-452-9056-5.
  • Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, a cura di Marcello Gigante, Laterza, Bari, 1962.

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