Daniello Bartoli

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Daniello Bartoli

Daniello Bartoli (1608 – 1685), gesuita, storico e scrittore italiano.

Citazioni di Daniello Bartoli[modifica]

  • Anco da questi e singolarmente da' Tartari di Niuche detti Chin, e sono più orientali, vien difesa la Cina per munizione a mano, cioè quella tanto famosa muraglia, di cui qui è luogo di ragionare. Il capo o fondatore della imperiale famiglia Cin, una delle antichissime, principe in prodezza d'armi e in opere più che reale magnificenza glorioso sopra ogni altro nelle istorie dei cinesi e per diverse cagioni continuo in memoria de' letterati, fosse sogno che ne avesse o predizione fattane da indovini (che in ciò non s'accordano gli scrittori, e forse non v'ebbe altro che buon avviso di providenza), presentì che i Tartari, quanto prima lor ne venisse il bello, metterebbono ogni opera allo sforzo di rompere i confini e scender giù ad inondare e tutta riempir di loro nazione la Cina. Perciò consigliatosi col suo gran cuore, non solo a chiuderla loro al presente ma tale alzarvi un riparo che ne la sicurasse anco ne' secoli avvenire, determinò, per quanto si distendono quelle frontiere a settentrione, armarle di muraglia invincibile al contrasto e de' Tartari e del tempo. Né indugiò punto a mettere mano all'opera.[1]
  • Ella è tutta intramezzata di saldissime torri e spesse, che con bella proporzione e di spazio e d'altezza si lievano sopra 'l muro; e v'ha perpetuamente soldati in guernigione, quanti son di vantaggio a difendere que' tanti passi di cortina che fanno ala alla torre che guardano. Così anche castelli fortissimi alla difesa di quelle poche porti che fu necessario aprire nella muraglia[2]
  • Io non l'ho mai voluta alle mani con niuno, né a campo aperto in battaglia, né in isteccato a duello. Ma se pur mai con alcuno, al certo nò co' Grammatici; terribili huomini, sì come quegli, de' quali le parole non son parole, ma fatti. E guardimi Iddio da punto mai stuzzicarli; ché, e per poco s'adirano, e se dan di piglio a que' loro squadernati Vocabolarij, come fossero lo Scongiuratore di Michele Scotto, in solamente aprirli, ne fanno saltar fuori, a guisa di Spiriti presti a ogni loro comando, tanti, non dico Nomi, e Verbi, ma Sopranomi, e Proverbi, che men periglioso sarebbe trovarsi in mezzo d'uno sciame di calabroni attizzati, che fra essi.[3]
  • [...] la più bella parte d'un discorso è la bellezza dell'argomento: e chi lavora di cervello sa per prova, che il suggetto ingegnoso aguzza mirabilmente l'ingegno e pare quasi, che la materia nobile somministri da sé pensieri degni di sé, ambitiosa d'esser nobilmente trattata.[4]
  • Le gran mutazioni si vogliono imprendere con gran consiglio e andar lento per andar sicuro: altrimenti, invece d'un bene da savio, due mali da pazzo s'incontrano, che sono determinare senza giudicio e pentirsi senza rimedio. (da La missione al gran Mogor[5])
  • Le spine sono a cento per una delle rose. (da L'uomo al punto[5])
  • [Sulla Grande muraglia cinese] Tutta murata a pietre vive riquadrate, di vena forte per reggere a ogni tormento d'aria e d'acque; e, sia verità o giunta al verisimile, corre tuttavia fra' cinesi che il re Cin mandò gittar bando la testa a' capimastri dell'opera, se dove l'una pietra s'immargina e combacia coll'altra le giunture vi fossero tanto disgiunte che vi si potesse conficcare un chiodo: la quale, ove sia non altro che espressione d'ingrandimento, pur non avrebbe luogo a fingersi, se eziandio la riquadratura e 'l commesso de' marmi non fosse opera esquisitamente condotta.[6]

La geografia trasportata al morale[modifica]

  • I due sterminati Oceani, che da gli opposti fianchi dell'Africa vengon giù, e s'affrontano a questo Capo [di Buona Speranza], l'un l'altro con sì furiosi urti si cozzano, come quinci vedete. Alpi, dirò così, e apennini d'onde, sospinte a frangere gli uni incontro a gli altri: con che la tempesta per sì strano modo si sregola, che non v'è regola d'arte per volgere di timone, che basti a ricever col fianco obliquo, e smorzar l'impeto al furioso percuotere de' marosi. Qui poi il mare è profondo quanto un abisso, e pien di terribilissimi mostri, annuntiatori della vicina tempesta, quando tran fuori il capo, e boccheggiano, e gittano colle gran trombe un fiume d'acqua in aria: talvolta a tanti insieme, che ho testimonio di veduta, quanto può girar l'occhio fino all'ultimo lembo del suo orizzonte, tutto apparir gremito di tali scontrafatti animalacci. A terra, tutto è scogli, e montagne, e rupi d'inaccessibile altezza, e tagliate a piombo in mare, onde il rompere che a' lor fianchi fanno i marosi correnti a battervi di sì gran foga, cagiona il formidabil fracasso, che ci atterrisce, e assorda. Lungo esse, va una violentissima corrente a Libeccio, cui se contrasta il mare sospintole addosso, e il vento opposto, ella, o ripercuotasi, o sormonti, raddoppia le smanie alla tempesta, e fa un bollir d'onde, e un avvolgersi in rapidissimi giri sì violento, che ognun d'essi al tirar sotto qualunque sia gran nave, è una Cariddi. Finalmente, questo interminato Oceano, che va quinci fino a non si sa quant'oltre verso l'Antartico, è un campo aperto alle battaglie de' venti, che interi, e stesi, tanto più possono a metter sottosopra il mare, quanto non han niun ostacolo che ne rompa il corso, e le forze. (parte I, cap. XII, Capo di Buona Speranza; 1664, pp. 176-177)
  • Io non vorrei, che per falso imaginare, credeste, che il veder gli Antipodi, dove hora son su 'l condurvi, fosse per costarci un viaggio d'almeno undicimila miglia, quante se ne contan di qua perfino alla parte opposta del Mondo. Tutto arrovescio del vero; e sì fattamente, che la via da non vi giunger mai, è l'andarvi: e n'è chiarissima la ragione; peroché non ci sono Antipodi, se non contraposti piè contra piedi; né contraporre si possono a dirittura, altrimenti, che su le punte del diametro della terra: dunque ne dobbiamo essere un mezzo Mondo lontani. (parte I, cap. XIX, Gli antipodi; 1664, p. 295)
  • [...] col più fino dell'arte, non solamente dissimulata, o nascosa, ma perdutavi dentro, parea quel corpo [del Colosso di Rodi], come già gli huomini di Deucalione da' sassi, così egli per divin magistero nato di sé medesimo. E per non dir nulla della ben intesa proportione delle sue membra, tutte rispondenti al perfettissimo naturale; e del morbido, e del risentito, senza l'un discordare dall'altro; e della viva, e spiritosa attitudine, con che e posava, e sopra sé medesimo si ergeva; il volto era in lui temperato d'un sì bello, e sopra tutti difficile misto d'aria, che non si distingueva qual fosse in lui che vincesse, o l'amabile giustamente voluto in una effigie del Sole, o il maestoso altrettanto dovuto alla faccia d'un Dio. (parte I, cap. XX, Rodi; 1664, p. 308)
  • [...] questo impareggiabile Re' de' monti, l'Atlante che ci sovrasta. Miratelo, come tutto monta in sé stesso, e si rizza, e la superba testa sollieva e volge verso la sempre da lui temuta, e sempre a lui nemica Europa, in atto di riconoscerla, e spiarla: e come allarga lo smisurato dorso verso quella gelosa frontiera della sua Africa, in atto di sicurarla, e difenderla con le spalle. Né per molto che sia quel che ne veggiamo, è egli perciò né il tutto dell'Atlante, né il più; ma solamente il sommo. (da L'Atlante, p. 79)
  • Qui non si abbatte vela, qui non si lieva mano dal remo, qui non si gitta ancora per dar fondo. Terra Incognita. Il solo nominarla è comprendere quanto v'è da saperne. Eccone in su questo mare i liti corsi dall'occhio, ma non ancora dal pié di verun che ne sappia. Voi, se di sol vederla non v'appagate, e v'è in piacere d'avventurarvi a domandarne, volgetevi verso colà e gridate: O di costà che mondo è il vostro? che region? che paese? Isola tutta in seno al mare o terra ferma? dimestica o incolta? erma, solitaria, diserta o abitata? e di che moltitudine uomini? e di che lingua, e costumi, e religione, e Dio? Avvi Re, maestrati, popolo; avvi adunanze e citțà, o vi si vive all'incerta, come gli Sciti, vagabondo e ramingo? Niun si mostra a rispondere: tal che la risposta è un profondo silenzio, il quale non per tanto a chi ha buoni orecchi è la vera risposta, peroché sol tacendone si può dire quel ch'ella è, cioè Terra Incognita.
    Or crediam noi, che questo tuttavia occultarcisi d'una si gran parte del mondo si faccia per punto di reputazione dalla Natura? altrimenti, come del filosofare intorno a questo grande universo disse lo Stoico, Pusilla res mundus est, nisi in illo quod quærat omnis mundus habeat[7]: così la Terra, in finendo d'esserci tutta scoperta, finirebbe di parerci un mondo, e cominceremmo ad averla in conto di non gran cosa , Perciò, tanta se ne riserba tuttavia incognita da Settentrione, tanta da Mezzodì tanta nelle sue parti da lungi al mare, e tante Isole, piccoli mondi da sé, sparse e perdute per l'immensità dell'Oceano, come per gl'infiniti spazj del vacuo i mondi veduti ne' lor filosofici sogni da Democrito e da Epicuro. Così avrà opinion di grande la Terra, al potersene dire, che tanti secoli, quanti ne conta ne' suoi annali il tempo, si sono affaticati intorno allo scoprirne le parti, e tuttavia ne rimangano ad altri Iddio sa quanti secoli, da scoprire. (da Terra incognita, pp. 330-331)
  • Qui solo un contrasegno ci manca ad averli tutti in pruova d'esser noi su la sterile riva del tanto ricantato e temuto Lago Averno: ciò che altro e Istorici e Poeti hanno scritto di lui, qui si riscontra col vero, e ce ne fan piena fede i nostri occhi. Ecco il continuato cerchio de' monti, nel cui profondissimo centro il Lago s'avvalla, e vi riman sì fattamente soppresso che sia verno sia state, nasca o tramonti, o s'alzi al circolo meriggiano il Sole, mai non vi può sì che il vegga pure con un riflesso di luce, o sia da lui veduto: perciò questa infelice acqua nel malinconico bruno che sempre mostra par che abbia le tenebre dell'inferno stemperatevi dentro per più annerarla. Ecco le folte selve che gli si addensano intorno, e di nuovo anch'esse l'acciecano, raddoppiandogli l'ombre. Egli da ogni parte serrato non ha per dove menar fuori pure un sottil filo d'acqua, e muoversi come vivo; ma tutto fra le sue rive ristagna, tutto entro a sé medesimo impaluda, e come un cadavero d'acqua impuzzolisce. De' Cimmerj che v'han loro alberghi vicino, non posso altro che accennar col dito, e dirvi, colà nelle loro caverne sotterra si stanno: se vivi o morti, non se ne sa il vero; perché la medesima che loro è casa è sepolcro. Ben da quest'altro lato vi sarà agevole a ravvisare in quella gran fenditura di monte la scura e paurosa bocca, o più tosto voragine, in cui convien che si gitti chi ha cuore di mettersi per entro le viscere della terra, e calar giù vivo se può a' Campi Elisi, se no, ed è più verisimile, all'Inferno.
    Sol dunque ci manca il veder qualche incauta torma d'uccelli volar per quest'aria che soprastà e cova sul Lago, e in entrarvi e attrarre il pestilente vapor che n'esala, avvelenarsi, e tempestar giù, non so se tramortiti o morti. Ma il tanto indugiarci in su questa infelice proda al fetor del zolfo che ci morde il celabro, e ci strangola, sarebbe un pagar la curiosità troppo caro. (da Il lago Averno, p. 343)

La ricreatione del savio[modifica]

Incipit[modifica]

Il mare Atlantico, tempestato da' venti, che sopra lui le implacabili loro inimicitie disfogano, avvenutosi nello stretto di Gibilterra, colà ove l'Africa, e l'Europa s'affrontano, quivi entro si caccia, Eliso fluctu irrumpens (dice il Filosofo) ut dicere eum possis, in portum se recipere; e quanto può, allargandosi, viene a far questo nostro Mediterraneo, in cui, per la strettezza de' liti, e per le tante isole che l'interrompono, i venti hanno al più uno steccato in cui azzuffarsi a duello, non come colà nell'oceano, una campagna aperta dove accamparsi, e far battaglia.

Citazioni[modifica]

  • Una sola, e diritta come un raggio di luce, è la via del vero: infinite, e contrarie son quelle, che uscendone menano al falso. (libro I, cap. IV; 1659, p. 55)
  • La radice, che tanto teme, che il ciel non la vegga, il sol non la tocchi, l'aria non l'offenda, ben intendente di qual sia il suo ministerio, tutta si ficca giù sottoterra, e nel suo nascere tenerissima, pur la trafora, e penetra, e vi dirama, e spande: e tanti tronchi, e rami, e barbe gitta per tutto, che ella sembra un albero capovolto, e sepolto: e perciò viva perché sepolta, altrimenti, a disotterrarla, si muore. Quivi ella è in prima fondamento della fabrica che sostiene, e ben rispondente ad essa, cioè per le alte, profondo, per le ampie, diffuso, per le scosse da' turbini, ripartito, e fermo da ogni lato onde che tragga il vento: come gli alberi delle navi, che si tengono alle sarti, le quali a guisa di braccia da ogni intorno l'afferrano, e 'l fermano. Oltre a ciò, la radice è tutto insieme quelle che ne gli animali la bocca, il ventre, e 'l fegato. Succia l'alimento, il concuoce, il trasmuta in sugo, indifferente a ricevere le diverse forme delle diverse parti, che a sé il derivano. (libro I, cap. VII; 1659, p. 97)
  • Udite: potea parere il giorno troppo più onorato con le opere della mano, di che la notte è priva, se a questa non si davano in iscambio di quelle le opere dell'ingegno. Il dì dunque ha le fatiche, la notte i pensieri; e convenienti all'uno e all'altro, quello lo strepito, questa il silenzio. (libro I, cap. X; 1839, p. 97)
  • Ma prima di condurvi innanzi le chiocciole mi convien fare come quel savio dipintore Teone raccordato da Eliano, che non prima svelò l'immagine d'un soldato in arme esposta a un gran popolo curiosissimo di vederla, che da un pieno coro di musici facesse udire una sonata in istile guerriero, come di sfidar due eserciti a battaglia, per cui poiché vide gli spettatori aver conceputo un non so che di spiriti marziali, ritrasse la cortina dal quadro e v'apparì il soldato in sì fiero atto d'uscire addosso al nemico, che come il descrive l'istorico, sembrava avere il lampo negli occhi e 'l fulmine nella destra, tanto appariva terribile con lo sguardo e formidabile con la spada, corrente poi di foggia e in un portamento di vita, quale appunto sta bene ad un portato per impeto di furore. Tal era il soldato di Teone, per cui mostrare egli prima dispose gli animi de' riguardanti con quella sonata invitantegli a un vero spettacolo di battaglia. (libro I, cap, XI; 1839, p. 101)
  • E non s'è egli mostrato sommamente ammirabile Iddio, nel variare in cento, e più diverse maniere, il circolarsi, e ravvolgersi d'una chiocciola in sé stessa? Puossi dir cosa più eguale, più determinata, più semplice? e, pur nelle mani sue, divenuta capevole di sì grand'arte. Alcune si girano con volute, campate l'una, fuori dell'altra, appunto come se si attorcigliassero intorno a un fuso: e procedendo in lungo, assottigliano, e fino in punta digradano con ragione. Altre, all'oposto, tutte in loro stesse ritornano: e dicami Archimede, che sì ingegnosamente ne scrisse, chi insegna loro a condurre una linea in ispira, sì perfettamente, che in nulla non ismisuri? Dicammi gli Architetti, che tanto penano a disegnar con regola le Volute, e pur non mai altro che false, mentre, per più non sapere, le compongono d'alcuna parte di circolo, e circolo elle non sono, avvegnaché circolari: chi ne ha infusa la regola alle chiocciole? nate maestre in un'arte, di cui essi ancor non si veggono buoni discepoli. (libro I, cap. XI; 1659, pp. 173-174)
  • [...] lavorare a Grottesco [...] tutto è, si può dire, un mosaico di spropositi insieme commessi, tanto più bello, quanto le parti sono tolte di più lontano, e in più sciocche forme si adunano. Spuntar dal gambo d'un fiore il collo d'una gru, finito in un capo di scimia, con quattro corna di lumaca che buttan fuoco: fiorire al mento d'un vecchio una coda di pavone per barba, e una folta zazzera di coralli, a un altro le braccia viti, le gambe essere attorcigliate, gli occhi due lumicini accesi nel guscio di una conchiglia, il naso un zufolo, gli orecchi un paio d'ali di vipistrello, e specchiandosi in una rete, si vede dietro risponder l'imagine d'un mammone: e di cotali fantastiche bizzarrie, quante i dipintori ne sogliono imaginare. Ma pur anche in ciò ha mestieri di senno, che come ogni albero in ogni albero non s'innesta, così né anche ogni parte a ogni parte nel grottesco ben si congiunge, e capriccio vuol essere, non isciocchezza, né vi campeggia meno la saviezza del giudicio nel disporre, che la pazzia dell'ingegno nell'inventare. (libro I, cap. XVI; 1659, pp. 284-285)
  • E giacché siamo nel volerne risapere tutto tragga fuori, e ci mostri le mani e misuriangliele, se per avventura elle fossero come quelle del re Artaserse, cioè d'Assuero marito d'Ester soprannominato Longimano, perciocché l'una mano avea più lunga dell'altra; e intendasi perch'egli ad alcuni dà scarsamente e solo quando è bisogno o gli aiuti della grazia, o i beni che chiamiam di fortuna ad altri si abbondantemente che lor sopravanza e traboccano. (libro II, cap. III; 1839, pp. 201-202)
  • Del sole Sant'Anastagio Sinaita, portò una strana opinione ch'egli fosse da Dio creato qua su la terra, indi levatone e trasportatolo al quarto cielo, di dove quella virtù che giù basso giacendo potea diffondere a pro di pochi, diffondesse a beneficio di tutti, e colà fosse come il cuore della natura, dal cui vital calore ella si anima e de' cui spiriti ha vigore per muoversi ed operare. (libro II, cap. VII; 1839, p. 240)

Incipit di alcune opere[modifica]

Dell'uomo di lettere difeso e emendato[modifica]

Disavventura, per non dire, come altri, destino dell'infelice Virtù, provato e pianto in ogni tempo, è, che ella non truovi in questo gran Teatro del Mondo luogo pari al suo merito, e nicchia degna della sua statua. Già tramontarono que' Secoli d'oro, quando le corone reali si mettevano all'incanto, e si pesavano le teste di chi vi pretendeva: quando le fasce de' diademi reali servivano non a legare, come in molti avvenne, il cervello de' pazzi, ma ad onorare il merito e coronare il senno de' Savj. Le mura, le fondamenta, le vestigie di quel famoso tempio dell'Onore, in cui s'entrava solo per la porta del Merito, sono oggi sì distrutte e sepolte, che non n'è rimaso né la memoria dov'egli fosse, né la speranza di rivederlo risorto dallo scempio delle presenti rovine alla gloria delle passate grandezze.

L'uomo al punto[modifica]

In questa folta selva di mali che ingombrano tutta la terra, sì raddoppiati e densi, che nell'aggirarci che per lo mezzo d'essi facciamo, appena è mai, che volte a una sciagura le spalle fuggendone, non diam di petto in un'altra scontrandola; pur nondimeno è vero, non avervi niun male, a cui manchi questa qualunque condizion di bene, cioè, il poter'avvenire ch'ei non avvenga.

Citazioni su Daniello Bartoli[modifica]

  • Pari o somigliante a quel terribile e stupendo Bartoli non abbiamo nessuno. Il quale nelle Istorie volò come aquila sopra tutti i nostri scrittori. (Pietro Giordani)
  • Alla prosa d'arte si ascrivono prevalentemente le opere di Daniello Bartoli, che pur trattano argomenti storici, speculativi, scientifici, religiosi, perché tra le facoltà dello scrittore sormonta il piacere descrittivo della parola, e, si potrebbe dire, la stremata e rotta poesia del dizionario. (Francesco Flora)
  • Il Bartoli, come tutti i Gesuiti, non ha un affetto mai, non ti fa sentire mai un affetto neppure pei Santi dei quali egli parla, onde tu non sai se egli creda davvero quello che dice: nessun pensiero mai, né ti fa mai meditare. Egli ebbe memoria forte, e fantasia gagliardissima, però il suo stile è tutto immagini, tutto frasi, tutto parole; è un giuoco, una fantasmagoria, e niente altro. Dentro è vuoto, senza pensiero, senza vita, senza verità, senza ordine: e un fascio di fattarelli tratti da tutti gli scrittori sacri e profani, o descrizioni di ogni minima inezia. (Luigi Settembrini)
  • Il Bartoli rappresenta la mentalità tipica del letterato del Seicento: meravigliosa padronanza della forma, assoluta mancanza o deficienza di pensiero. Non si direbbe davvero che egli sia venuto al mondo una generazione dopo il Galileo e il Sarpi. (Eugenio Donadoni)
  • Il Marino della prosa fu Daniello Bartoli, fabbro artificiosissimo e insuperabile di periodi e di frasi, di uno stile insieme prezioso e fiorito. È stato in ogni angolo quasi della terra; ha fatto migliaia di descrizioni e narrazioni: non si vede mai che la vieta di tante cose nuove gli abbia rinfrescate le impressioni. Retore e moralista astratto, pieno il capo di mitologia e di sacra scrittura, copiosissimo di parole e di frasi in tutto lo scibile, colorista brillante, credé di poter dir tutto, perché tutto sapeva ben dire. La natura e l'uomo non è per lui altro che stimolo e occasione a cavargli fuori tutta la sua erudizione e frasario. Altro scopo più serio non ha. Estraneo al movimento della coltura europea e a tutte le lotte del pensiero, stagnato in un classicismo e in un cattolicismo di seconda mano, venutogli dalla scuola, e non frugato dalla sua intelligenza, il suo cervello rimane ozioso non meno che il suo cuore; e la sua attenzione è tutta intorno alla parte tecnica e meccanica dell'espressione. Tratta la lingua italiana, come greco o latino, come lingua morta, già fissata, e da lui pienamente posseduta. (Francesco De Sanctis)

Giacomo Leopardi[modifica]

  • Chi vuol persuadersi dell'immensa moltiplicità di stili e quasi lingue diverse rinchiuse nella lingua italiana, consideri le opere di Daniello Bartoli.
  • Il p. Dan. Bartoli è il Dante della prosa italiana. Il suo stile in ciò che spetta alla lingua è tutto a risalti e rilievi.
  • Uomo che fra tutti del suo tempo, e fors'anche di tutti i tempi, fu quello che e per teoria e scienza e per pratica, meglio e piú profondamente e pienamente conobbe la nostra lingua.

Note[modifica]

  1. Da Dalla «CINA», in Daniello Bartoli e Paolo Segneri, Prose scelte, a cura di Mario Scotti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1967, p. 319.
  2. Da Dalla «CINA», 1967, p. 320.
  3. Da Il torto e il diritto del non si può, Ignatio de Lazzeri, Roma, 1655, p. 6.
  4. Da Dell'huomo di lettere difeso et emendato, parte II, cap. Oscurità, § Che l'Argomento dee scegliersi pari all'ingegno di chi lo tratta, Heredi di Francesco Corbelletti, Roma, 1645, p. 371.
  5. a b Citato in Frasi celebri della letteratura italiana, p. 41. ISBN 88-11-93614-4
  6. Da Dalla «CINA», 1967, p. 320.
  7. Il mondo sarebbe ben piccola cosa, se in esso tutti i suoi abitanti non trovassero materia per fare ricerche. Seneca, Naturales quaestiones, VII, 30, 5. Citato in Giorgio Bàrberi Squarotti, Prosatori e narratori barocchi, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 2002, p. 354, nota 21. ISBN 9788824019675

Bibliografia[modifica]

  • Daniello Bartoli, Dell'uomo di lettere difeso e emendato, Giacinto Marietti, Torino, 1834.
  • Daniello Bartoli, Della Geografia trasportata al Morale, Egidio Ghezzi, Roma, 1664.
  • Daniello Bartoli, La geografia trasportata al morale, dalla tipografia di Giacinto Marietti, Torino, 1839.
  • Daniello Bartoli, La ricreatione del savio, Ignatio de' Lazzeri, Roma, 1659.
  • Daniello Bartoli, La ricreazione del savio, Borel e Bompard, Napoli, 1839.
  • Daniello Bartoli, L'uomo al punto, 2 voll., a cura di Adolfo Faggi, UTET, Torino, 1930.

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