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Derg

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Emblema del governo militare provvisorio dell'Etiopia socialista

Citazioni sul Derg o Governo militare provvisorio dell'Etiopia socialista.

Citazioni

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  • Dobbiamo scartare una volta per tutte la nozione che l'Etiopia sia governata da una giunta militare o che Menghistu regni solo come un primus inter pares. Ancora oggi, gli scrittori occidentali dell'Etiopia continuano ad usare il termine "Derg" per descrivere l'istituzione apparentemente responsabile del governo in Etiopia. Questo alimenta un' impressione totalmente falsa di un processo decisionale collettivo quando in realtà la direzione degli affari è concentrata nelle mani di un solo individuo. (David A. Korn)
  • I nuovi dirigenti dell'Etiopia continuano a restare nell'ombra. Si dice che abbiano giurato di non concedere interviste personali, di non prendere mai decisioni senza prima essersi consultati con gli altri membri del «Derg», di non fare nulla che possa provocare dissidi e rancori, formazioni di correnti o, peggio, di fazioni Se un tale patto esiste, bisogna ammettere che esso è stato rigorosamente rispettato. (Arminio Savioli)
  • I rappresentanti dei paesi socialisti e di quelli arabi progressisti, pur non essendo tutti unanimi nel giudicare gli avvenimenti e soprattutto nel formulare pronostici sul futuro immediato, manifestando apertamente, tallora con qualche riserva, spesso con entusiasmo, una grande fiducia, un profondo rispetto per gli uomini nuovi che hanno assunto il potere in Etiopia. Vi è chi evoca i nomi di Kemal Ataturk, di Nasser, dei generali peruviani, e chi invece vede nel carattere assembleare del nuovo gruppo dirigente o un ritorno alle più antiche tradizioni africane di democrazia tribale e di villaggio, o al contrario (ma in fondo è lo stesso) una anticipazione di sviluppi ancor più vigorosamente rivoluzionari. (Arminio Savioli)
  • Il colpo di Stato, operato dai militari del Derg, che avrebbe dovuto far crollare l'antico impero di Hailè Selassié, giudicato troppo lento nel realizzare le necessarie riforme, in realtà non generava affatto libertà e democrazia, ma soltanto un nuovo ordine contrassegnato dalle peggiori brutalità e da una guerra civile che avrebbe spento intere generazioni. (Angelo Del Boca)
  • Il Consiglio militare vuole instaurare un regime democratico. (Tafari Bante)
  • La giunta Derg ha assassinato l’imperatore e mezzo milione di altri etiopi – per lo più quelli più istruiti – durante il Terrore rosso, che quasi raggiunge il livello dei campi di sterminio dei Khmer rossi. (Gwynne Dyer)
  • – Ma loro non sono socialisti veri!
    – Sta di fatto però che l'Unione Sovietica li appoggia.
    – Sono social imperialisti. (Teza)
  • Menghistu e gli altri nel Derg avevano due ragioni per volere armi sovietiche. In primo luogo, assunsero il potere come rivoluzionari con un programma radicale. Denunciavano regolarmente l'imperialismo, e tuttavia restavano fortemente dipendenti dal baluardo di ciò che loro chiamavano imperialismo, gli Stati Uniti, per la più essenziale delle merci, l'armamento per il loro esercito. Potevano essere autentici rivoluzionari e socialisti e tuttavia mantenere un legame così vitale con gli Stati Uniti? Era molto imbarazzante. Ma era più di questo. Il secondo ed altrettanto potente motivo che li spinse verso i sovietici era che volevano un esercito molto più grande di quello di cui disponeva l'Etiopia allo scoppio della rivoluzione. La decisione di optare per una soluzione militare in Eritrea rese ciò assolutamente essenziale, e c'era anche una crescente preoccupazione per la minaccia della Somalia. (David A. Korn)
  • [...] non avevano un nome, non avevano un volto, non potevano essere comprati o promossi con il collaudato sistemo dello shum-shir, non potevano nemmeno essere liquidati fisicamente. E anche la loro tecnica era nuova per l'Etiopia. Memori degli errori commessi nel dicembre del 1960 [il Colpo di Stato in Etiopia del 1960], essi tendevano a non abbattere subito l'imperatore. Volevano anzi sfruttarne ancora l'autorità e il carisma per indebolire il regime, e nello stesso tempo gli facevano intorno il vuoto, per isolarlo e renderlo inoffensivo; il tutto senza correre il rischio di scatenare una guerra civile. (Angelo Del Boca)
  • Non possiamo dare la colpa soltanto alla giunta [il Derg]. Noi intellettuali dispersi che abbiamo fatto? Alla fine, l'abbiamo confusa noi la giunta. [...] Ogni volta che la giunta si muoveva a sinistra, noi ci ritiravamo di più a sinistra, per cui, alla fine, a forza di comportarci così, siamo stati tutti consumati dalle fiamme e abbiamo finito per esaurirci completamente. (Teza)
  • In questo paese si uccidono studenti e lavoratori. Dov'è il socialismo? Studenti e lavoratori sono parte integrante della società. [...] In Etiopia esiste solo fame di potere, non si può uccidere in quel modo la propria gente.
  • L'attività dell'Urss in Etiopia è pericolosa per l'esistenza della Somalia.
  • L'Etiopia non è marxista né leninista, non è socialista e neppure democratica. Sa fare una sola cosa: uccidere.
  • Come negli altri Paesi dell'Africa che hanno accettato l'aiuto e la presenza dei «tecnici» del mondo comunista, anche qui la divisione delle specializzazioni passa per una sorta di riserve nazionali: se ai cubani spetta l'addestramento agricolo e ai russi quello militare con le armi più sofisticate, i tedeschi dell'Est hanno competenza assoluta nel settore della propaganda, dell'informazione e della sicurezza.
  • I sovietici ne hanno fatto il caposaldo della loro avventura africana; le hanno dato armi per duemila miliardi di lire, coltivano l'approdo di Daklah con l'attenzione ossessiva delle teste di ferro, vi hanno portato uomini, generali e rubli. Da questo altopiano verde, dove gli animali pascolano e uccidono come ancora in un paradiso terrestre, si dominano le tentazioni di mezzo mondo: il continente gli sta tutto di sotto e alle sue pendici s'appoggiano il Medio Oriente e il teatro armato del Golfo. La storia sarà obbligata a passare per la strada di Salomone.
  • L'Etiopia che muore di fame è ancora per molti l'Etiopia socialista. Anzi l'Etiopia marxista-leninista, che spaccia dappertutto una falce e martello color rosso sangue e appende ai muri dei palazzi pubblici le facce tristi di Engels, Marx e Lenin, infilate sopra giacche di color marrone. C'è più ortodossia che a Pyongyang. Ora, dopo dieci anni di rivoluzione, c'è anche il partito unico. È tutto vero. Ma è anche noioso, prolisso, irresistibilmente posticcio sui colori vitali dell'Africa.
  • La rivoluzione dei militari, e la conquista del potere da parte del colonnello Menghistu, hanno segnato la fine d'una dinastia: ma quanto alla fine d'un impero, è da dubitare che questa avvenga. Il colpo di stato del '74 ha portato certamente un duro attacco all'egemonia millenaria degli amhara, e la sua vittoria è stata la vittoria del Sud «nero» contro il Nord «bianco»: non soltanto nel senzo d'un trasferimento del potere nelle mani dell'etnia negra e meridionale degli oromo (o galla), alla quale appartiene lo stesso Menghistu: ma anche per il progetto di trasformazione sociale che sta alla base della nuova politica etiopica, dove rivoluzione significa soprattutto decolonizzazione.
I capi del Derg; Menghistu Hailè Mariàm, Aman Mikael Andom e Atnafu Abate.
  • I membri del Derg erano uomini estremamente coraggiosi e, in parte, anche disperati, visto che (come in seguito confessarono), pur avendo deciso di contrapporsi all'imperatore, non credevano a una possibilità di riuscita.
  • Il Derg stesso non era totalmente omogeneo: pur essendo tutti uniti nel voler liquidare il Palazzo e cambiare il sistema anacronistico e obsoleto che andava avanti per forza di inerzia, gli ufficiali non riuscivano a trovare un accordo sulla sorte del sovrano.
  • Sulle prime, i membri del Derg agirono nella massima segreteza, senza neanche sapere su quanta parte dell'esercito avrebbero potuto contare. [...] Avevano dalla loro operai e studenti, circostanza importante; ma la maggior parte dei generali e degli alti ufficiali, ossia quelli che comandavano e davano gli ordini, era contro di loro.
  • All'inizio il Derg aveva promesso una "rivoluzione incruenta", ma nei fatti si era rivelato efferato e sanguinario. Nonostante le rassicurazioni che giungevano dal quartier generale di Menelik Palace, la gente non si fidava più del regime militare. Nessuno credeva alla versione ufficiale, secondo la quale l'imperatore era morto per cause naturali. Non era un segreto che i cumuli di terra nei sobborghi della città fossero altrettante fosse comuni. E gli scontri a fuoco, le scaramucce fra soldati e contestatori, erano il segno di una ribellione che montava ogni giorno di più. Neppure il coprifuoco bastava a spegnere i tumulti, riportando il silenzio nelle notti dell'Etiopia.
  • «I militari vogliono farci capire chi comanda. [...] Avete sentito che hanno cambiato nome? Sapete come si fanno chiamare?»
    «L'ho scordato. Mi pare che non sia una parola amarica...» disse Kifle.
    «Derg» disse Hailu. «Ora si chiamano Derg. Che significa "consiglio" in ge'ez».
    «Che senso ha usare l'antica lingua dei preti per questa messinscena?» borbottò Kifle.
  • Il Derg aveva insediato un gran numero di tribunali militari, anche se le istruttorie erano condotte dalla magistratura ordinaria. I reati erano sempre gli stessi: corruzione, abuso di atti d'ufficio, dissimulazione della carestia. Il Derg aveva promesso che i processi si sarebbero svolti in modo ordinato e tempestivo. Ma Dawit non aveva immaginato che gli arresti potessero essere così numerosi.
  • Questo governo non fa che inventarsi comitati! Uno di questi giorni il Derg ci insegnerà a lavarci la schiena in modo socialista!
  • Forse noi etiopici abbiamo bisogno di un periodo di transizione. Prima non c'era democrazia. Parlamento, governo, giornali: erano una finzione. Ora c'è un governo militare. Essi [il Derg] sono senza dubbio dei nazionalisti, come me. Ho fiducia in loro.
  • Non conosco personalmente nessuno del "Derg". O, almeno, non so se ne conosco qualcuno... I loro nomi sono sconosciuti, tranne quello di Haile Mariam Menghistu. Ma è possibile che i miei libri abbiano dato un contributo, una spinta, al movimento antifeudale.
  • Penso che nelle sue file vi siano ufficiali molto più radicali di me, altri più moderati. Abbiamo vissuto tutti, più o meno, la stessa vita, abbiamo fatto gli stessi studi, sofferto per le stesse ingiustizie. Penso sia logico che io, come loro, come tutti, abbiamo te stesse aspirazioni e speranze...

Voci correlate

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