Edmondo Berselli
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Edmondo Berselli (1951 – 2010), giornalista e scrittore italiano.
Citazioni di Edmondo Berselli
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- L'Unione europea ha la caratteristica infallibile di apparire un congegno perfetto quando c'è bonaccia e di tramutarsi in un campo di battaglia non appena il mare si increspa.[1]
- Vincere il mondiale. Inutile aggiungere altre specificazioni. Il Mondiale è il Mondiale. Non è un campionato, non è un torneo. È un assoluto. Quando l'arbitro fischia la fine dell'ultima partita, sembra che la vittoria non appartenga soltanto ai giocatori che hanno giocato sul campo, al commissario tecnico, ai dirigenti calcistici, allo staff azzurro. Si ha la sensazione che il successo sia stato conseguito con uno sforzo corale, attraverso un impegno collettivo che ha coinvolto tutta la società italiana, quasi senza eccezioni. Per questo alla fine si è stremati ed euforici tutti. Perché il Mondiale lo si vince ogni morte di Papa.[2]
- I successi nel calcio non cambiano l'andamento dell'economia o l'efficienza della burocrazia. Eppure, quell'euforia che accompagna una vittoria rappresenta un momento di coesione, in cui si rafforza l'idea che possiamo farcela, che quando l'emergenza lo impone siamo in grado, tutti, di giocare e lottare per uno scopo.[2]
- Che dire quando tutto va bene e gli ascolti, e il sospiro di sollievo scioglie cinque giorni di fatica nello show della serata finale, tra i fiori e il trionfo? Niente, conviene tenere il profilo basso. Perché nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo, sulla cinquantasettesima edizione del Festival di Sanremo. Festival della terza età, festival Viagra, lo avevano definito all'annuncio dei concorrenti, vedendo i nomi di Milva, Dorelli, Al Bano. Questo per segnalare che tutti si aspettavano un ulteriore scalone al ribasso nello share, con l'apertura del dibattito-psicodramma sull'agonia o la morte di Sanremo, e sul futuro salvatore del Festival. Forse si era trascurato che era un festival in versione Baudo, superprofessionalità televisiva destinata direttamente al pubblico della tv generalista. Ed ecco infatti a sorpresa indici elevati, consensi generalizzati, il manifesto che sdogana Sanremo a sinistra perché sul palco dell'Ariston é arrivato qualcosa di simile alla politica e per di più come ha detto Sandro Curzi, è entrato "il sociale". [...] Già sentita alcuni milioni di volte, certo, questa di Sanremo specchio dell'Italia. Vale un po' sì e un po' no. Anche perché il pubblico dell'Ariston si emoziona con le tirate anticattiviste, ma i telespettatori brandiscono il telecomando non appena l'intrattenimento minaccia di prendere i toni dell'impegno. Meglio semmai la paranza con le rime in anza dell'anarchico Daniele Silvestri. E quindi occorrerà trovare qualche altra ragione per spiegare quell'alchimia irripetibile che fa di un Festival un successo. C'entra sicuramente il pippismo, vale a dire il protagonismo assoluto e invasivo di Baudo [...]. Insomma Baudo è riuscito nell'impresa di fare aderire il Festival alla sua audience fisiologica, preparando un prodotto praticamente perfetto per una platea di pochi giovani e molti anziani, scegliendo così di rivolgersi al target naturale della Rai anziché cercare avventure nell'allargamento della maggioranza, con esiti sempre problematici. Eppure così facendo ha realizzato il Sanremo della larga intesa, con una identificazione esatta fra spettacolo e spettatori.[3]
- [...] Baudo non si assume e non si licenzia, perché l'ha scelto, nella sua sovranità, il popolo.[3]
- Nei primi tempi della Rai, la Tv dei ragazzi non era una parte residuale nel palinsesto dell'unico canale pubblico. Anzi, la tv nazionale si caratterizzava per un'offerta molteplice rivolta a settori specifici di spettatori: al pubblico generalista con gli sceneggiati come Una tragedia americana, all' Italia premoderna con il programma pedagogico Non è mai troppo tardi del maestro Manzi, e ai giovani o giovanissimi con lo spazio intitolato La tv dei ragazzi. Ma forse sarebbe sbagliato considerare la Tv dei ragazzi semplicemente uno "spazio". La televisione-contenitore non era ancora stata inventata. Era invece un vero e proprio appuntamento quotidiano. Qualcosa che interrompeva lo studio e talvolta radunava gruppi di amici. I pomeriggi si qualificavano nell'immaginario infantile (e non soltanto infantile) di massa per telefilm come Avventure in elicottero, o per le serie di Rin-Tin-Tin e di Lassie.[4]
- Forse il segreto della Tv dei ragazzi era la combinazione, potremmo dire con il lessico di oggi, di fiction e di programmi in diretta. Intere generazioni sono cresciute aspettando la puntata settimanale della saga di Ivanhoe, interpretata da un giovane e atletico Roger Moore; mentre la domenica era monopolizzata da Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, uno sceneggiato musicale vagamente salgariano, scritto da Vittorio Metz e interpretato fra gli altri da Giulio Marchetti e Pietro De Vico, di cui furono realizzate tre serie a partire dal 1961 (per inavvertenza, tutte le puntate furono cancellate, e quindi non esiste traccia di questa serie di eccezionale successo popolare). La Nonna era interpretata da Anna Campori, la sigla è ancora nella memoria di molti: «Un doppio urrah per Nonna Sprint, la vecchia ch'è più forte di un bicchiere di gin...». Qualcosa si può trovare su YouTube, ma si tratta di pochi frammenti.[4]
- Il senatore Dell'Utri è un vero bibliofilo. In quanto tale, non si fa scappare niente: libri falsi, libri tarocchi, libri farlocchi. Aveva cominciato con i diari di Benito Mussolini, autentica araba Fenice letteraria del Novecento, comprati attraverso transazioni complicate: meritevoli comunque di una memorabile, in quanto breve e definitiva, demolizione filologica di Luciano Canfora. Ma uno non è un bibliofilo per nulla, non si ferma di fronte a certe inezie. Dell'Utri è andato in giro per l'Italia a presentare i presunti diari del cavalier Benito, in mezzo a radunate di gente nostalgica che godeva al pensiero che Mussolini non fosse così fesso. Incoraggiato dai successi di pubblico, se non proprio di critica, Dell'Utri ha recuperato il capitolo mancante del Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Libro forse ancor più misterioso dei diari di Mussolini, libro misteriosissimo. Che nei suoi capitoli più misteriosi potrebbe rivelare sviluppi singolari sulla morte di Enrico Mattei, e forse sul ruolo avuto nella vicenda da Eugenio Cefis. Ma si sa che il petrolio è materia grassa, è una possibile macchia antiecologica che imbratta le pagine. Sicché l'ultimo capitolo dell'opus magnum pasoliniano, grazie a Dell'Utri, potrebbe rivelare un libro unto. Petrolio, senatore, una macchia nera nella letteratura italiana![5]
- Berlusconi ha ragione: come è possibile che, possedendo tutto, gli sia impossibile controllare tutto ciò che possiede o crede di possedere in virtù del voto popolare, compresi i processi e le inchieste giudiziarie? E come mai non è possibile, da parte sua, padrone assoluto dei media, controllare il sistema televisivo e i programmi politici di approfondimento e di dibattito? Che ci sta a fare l'Agenzia per le comunicazioni, se non esegue i comandi che vengono dall'alto? Naturalmente Berlusconi ignora, volutamente, la complessità del sistema della comunicazione pubblica. Ai suoi occhi basterebbe una telefonata all'Innocenzi di turno per stroncare un programma come quello di Michele Santoro (o come il salotto di Floris o della Dandini), considerato da mesi una delle «fabbriche di odio» nei confronti del premier e del Popolo della Libertà. È una situazione disperata, quella di Berlusconi, che lo induce a gesti disperati, o almeno terribilmente disinibiti, nel senso che fanno a pezzi il tessuto generale delle istituzioni del nostro Paese. Il "padrone" non riesce più a comandare, il suo partito si sta sfaldando, e i vari cacicchi cercano un'area di autonomia personale e politica. Berlusconi teme una "sindrome francese" e una sostanziale non vittoria alle elezioni regionali. Paradossale situazione del padrone che non riesce a spadroneggiare fino in fondo, pur cercando di farlo in tutti i modi. C'è una contraddizione intrinseca nell'azione di Berlusconi, e la formula proprietaria o "padronale" la riassume tutta, senza risolverla. Ma la questione è: in una democrazia può il capo del governo rivolgersi come un padrone alle autorità di garanzia?[6]
- Arbasino non usa il computer , bensì una vecchia macchina per scrivere elettrica, bellissimo esemplare di una qualche età industriale [...]; un'età già seriamente passata di cottura e anzi completamente out-of-date, anche se reinterpretabile in chiave vintage, come oggetto decisamente «pre». Quando gli hanno chiesto il motivo, o il Leitmotiv, di questa pur innocua fissazione, lo scrittore ha accampato ragioni eccelse, come la necessità di vedere modellarsi sulla carta anche la forma materiale del testo: una questione di spazi, di bianchi, di proporzioni. E forse anche di ritmo. Solo nell'ascoltare la scansione tambureggiante dei tasti e la visione dei caratteri che si imprimono sul foglio, Arbasino evidentemente è in grado di percorrere quegli spazi siderali che si dispiegano fra il post e il meta, fra l'ultra e il trans.[7]
Note
[modifica]- ↑ Citato in L'Europa come campo di battaglia, La Stampa, 7 gennaio 1998, p. 1.
- ↑ a b Citato in Una vittoria mondiale che fa bene anche al Paese, Atlante de la Repubblica, 2006, p. 3.
- ↑ a b Da Il miracolo del Baudismo, repubblica.it, 4 marzo 2007.
- ↑ a b Da Così si spegne la televisione dei ragazzi, la Repubblica, 15 febbraio 2010.
- ↑ Da Il petrolio di Dell'Utri, la Repubblica, 6 marzo 2010.
- ↑ Da La sindrome del padrone, repubblica.it, 17 marzo 2010.
- ↑ Da Venerati maestri, Milano, Mondadori, 2010.
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