Alberto Arbasino

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Alberto Arbasino, 1976

Alberto Arbasino (1930 – 2020), scrittore e saggista italiano.

Citazioni di Alberto Arbasino[modifica]

  • C'è stata vera saggezza. Perché nessuno di noi veri avventori della dolce vita partecipò al film. [La dolce vita] Fellini era un amico, veniva a sedersi spesso ai nostri tavoli, conosceva tutti benissimo, arrivava in compagnia di Guidarino Guidi. Al tempo delle riprese ci chiese spesso di partecipare interpretando noi stessi. Una sera ci invitò a vedere via Veneto ricostruita a Cinecittà da Piero Gherardi. [...] Era tutto molto accurato, un Doney perfetto con un po' di Excelsior dietro... Visto che avevamo approvato tutto, Federico tornò all'attacco: "non prendereste parte a qualche ripresa, così..." E noi tutti insieme "no, no, no". Guidarino Guidi insisteva molto. E saggiamente rimanemmo fuori. Era facile prevedere che in seguito si sarebbe stati "sbertulati". Un termine dell'epoca per dire "presi in giro".[1]
  • Con intuizione corretta, Antonioni fotografava tedio, imbecillità e incomprensioni sentimentali della società europea sottoposta all'industrializzazione forzata. Metteva sotto la lente quel disagio che i milanesi bramarono di provare nell'istante immediatamente successivo all'edificazione del primo grattacielo cittadino. Ma nel suo cinema, la pretesa letteraria si risolveva in bozzetti incongrui e programmatici. La serietà con cui agghindava i suoi improbabili personaggi, le mezze calzette elevate a paradigma del Paese, involontariamente comica. Passata la sbornia e svanito l'equivoco, in effetti, si rise.[2]
  • [...] da noi, un musulmano ammazzato può ancora fare notizia o scandalo, mentre parecchi cristiani bianchi ammazzati ogni giorno da bianchi cristiani per spacciare la droga fanno per lo più statistica.[3]
  • E man mano che arriveranno i milioni di profughi dal comunismo europeo, annunciati e affamati ed extracomunitari come i fratelli di colore, quali considerazioni pratiche e non astratte da dibattito per presentazione di volumetti, potrebbe fornire la sinistra che da tanto e con tante parole intrattiene l'Italia sui nomi e le targhe e non sulla sostanza del proprio fenomeno?[3]
  • Flaiano conosceva meglio di tutti l'ambiente intellettuale di Roma... Ma da dove sono venuti quegli intellettuali che ne La dolce vita dicono quelle stupidaggini tremende? [...] Flaiano sapeva benissimo cosa fosse il salotto Bellonci, chi frequentava la casa di Emilio e Leonetta Cecchi. C'erano signore intellettuali, Paola Masino, i coniugi Graziadei, i D'Avack, tutt'altro tipo di intellettuali rispetto al film, cioè grandi avvocati e signore laureate... Non corrispondono a quei personaggi così ridicoli, nella loro tragicità.[1]
  • Gadda diceva di sé: "Io non sono né esibitivo né narcissico" e io posso dire la stessa cosa di me. "Low profile" è la parola d'ordine.[4]
  • I dileggi dell'intero pubblico, anche nei cinema pariolini meno permeabili all'ironia, sottolineavano i punti più incredibili.[5]
  • Il sonno della ragione produce ministri.[6]
  • [Su La dolce vita] Il film ha segnato la fine della vera dolce vita, che non si chiamava così perché il titolo è di Flaiano. Dopo il film arrivarono frotte di turisti, e addio. Una vera tragedia. Lì nacque un'altra battuta di Flaiano: "Vedi, quelli? Credono di essere noi".[1]
  • In Italia c'è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di brillante promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l'età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro.[7]
  • In lui la componente populistica e quella dannunziana convivevano contribuendo all'essenza di un Visconti che nel retropalco e nell'isolamento sembravano esattamente la stessa persona. Uno che ideologicamente pendeva per il proletariato, detestava la classe media e respirava circondato dallo sfarzo. Un signorotto di geniale talento, ben allevato da genitori che lo portarono alla Scala fin da bambino, con una sua corte di zelantissimi sottomessi, affannati nell'eseguirne gli ordini. Frequentarlo annoiava e addolorava. Giovanni Testori, un caro amico, era sfruttato malamente. Sul versante teatrale poi, anche se gli dobbiamo spettacoli sommi come Anna Bolena e La sonnambula, l'elenco di quelli infelici ha voci in quantità. A un certo punto, anche dal loggione, prevalse lo strepito collettivo: 'Che palle'.[2]
  • Io agisco regolarmente su due piani: "il piano umano", cioè la vita quotidiana; e il "piano disumano", cioè la finzione letteraria, le rappresentazioni della fantasia, più, ­e qui viene il bello, quella parte ("adattata") di vita quotidiana che io volgo a profitto della letteratura, sfruttandone gli eventi come contenuti ai fini narrativi.[8]
  • [Parlando di Gadda] La derisoria violenza della sua scrittura esplodeva esasperata, contestando insieme il linguaggio e la parodia, tra il ron-ron rondesco-neoclassico-fascistello e il pio-pio crepuscolare-ermetico-pretino, in schegge di incandescente (espressionistica) espressività... Proprio come per Rabelais e per Joyce che gli sarebbero poi stati accostati, «a braccio» e «a orecchio», i suoi messaggi fanno a pezzi ogni codice, spiritate e irritate, le sue invenzioni verbali dileggiano significati e significanti; devastano ogni funzione o finalità comunicativa; rappresentano innanzitutto se stesse, e i propri fantasmi, in un foisonnement inaudito e implacabile di spettacolari idioletti... [...] La complessa ricchezza linguistica e tematica dell'opera gaddiana, così visceralmente composta e tramata, e sardanapalesca, e pantagruelica, continua a sollecitare una pluralità di letture, a diversi livelli, lungo differenti parametri, secondo i più svariati presupposti e pregiudizi: a costo di razionalizzare fin troppo lucidamente attraverso nitidi procedimenti di schede e di referti quel suo atrabiliare viluppo di fantasticate irrisioni e di furie «compossibili»... [...] Non per nulla, gl'interessi enciclopedici dell'Ingegnere coincidono (fino al delirio di riversare tutta la Funzione nell'Espressione) coi manifesti tracciati due secoli fa dagli impeccabili fratelli Verri e da Cesare Beccaria, risoluti a insultare programmaticamente la Crusca in nome di Galileo e di Newton, cioè a sviluppare una cultura extraletteraria cosmopolita e un pensiero intellettuale «assolutamente moderno» a dispetto della grammatica arcaica dei Pedanti, trasgredendo al purismo imbecille che caldeggia l'impiego di qualsiasi grulleria del Piovano Arlotto per definire prodotti e nozioni del nostro tempo.[9]
  • Leggerezza calviniana. Un pesante equivoco del nostro tempo. Italo Calvino non era affatto leggero. Era molto serio, laborioso, parsimonioso, industrioso, assorto, concentrato, moderato, indaffarato, calcolatore, misuratore, come tutti i migliori liguri.[10]
  • Nella stupenda Lamont Library, dentro Harvard, non solo si potevano prelevare i libri direttamente dagli scaffali, ma negli attigui cessi non-stop si liberavano i più immediati sfoghi plurimi e anonimi fra studenti sportivi non meno vogliosi dei ragazzoni in divisa fra stazioni e cinema nell'Italia profonda. (Prima che l'esibitivo outing demarcasse e denominasse le comunità e categorie).[11]
  • Niente di peggio che lavorare a orario fisso: si produce scrittura burocratica.[12]
  • [Sugli Stati Uniti d'America] Quel paese è così interessante, in ogni momento provocherà continuamente emozioni fortissime, dall'irrefrenabile entusiasmo alla disperazione che si finisce per provare ad ogni passo. Una soddisfazione profonda ogni volta che i fatti confermano i miti che ci si porta dietro, e d'altra parte ogni contraddizione del mito che si verifica finisce per sembrare una scoperta eccitante.[13]
  • [Su ] Questo film è una tappa avanzata nella storia della forma romanzesca. Già La dolce vita, con la sua struttura a blocchi, indicava una strada significativa sia nel cinema sia nella letteratura. Otto e mezzo, invece, non soltanto si lascia dietro di un mucchio d'anni quasi tutto il cinema che si fa correntemente, casca per di più sopra la nostra narrativa nel momento più sensibile della frizione tra convenzione e avanguardia, e le può dare una bella botta in direzione dello sperimentalismo, cioè del futuro, per quello che riguarda tra l'altro i problemi dell'essere, dello scrivere, del rapporto con la realtà. (da Il Giorno, Milano, 6 marzo 1963[14])
  • Si comincia sempre con molti appunti presi qua e là, in giro. Poi vengono diverse stesure successive a casa, fra pareti di libri pronti per la consultazione e divani comodi ove stendersi a leggere. Buona musica di fondo: ha influenze stupende sulla struttura del fraseggio, mentre la telefonata di una vociaccia ha il potere di far sprofondare nella volgarità. Ma nessuna stesura è definitiva! Si cerca di migliorare con ogni riscrittura. E niente di peggio che lavorare a orario fisso: si produce solo scrittura burocratica. I risultati migliori, alla fine di una giornata, dipendono dall’aver incominciato quando si aveva davvero voglia, e smesso quando il desiderio era passato: come col mangiare, il bere e il sesso.[15]
  • Sull'Aldilà, invece, sembra vigere una generale rassegnazione. Macché più fondi-oro, cupole con affreschi, mosaici, navate, vetrate. Né prediche o predizioni o profezie. I fedeli credenti – e anche chi evita senza sforzi né meriti i peccati della carne o dello spirito – paiono adeguarsi all'eterno riposo in un Paradiso pieno di prelati e presuli, con sermoni teologici, lezioni ideologiche e politiche, esortazioni fiscali, omelie ripetute cento volte uso Tv-spot. E i «castighi di Dio?». Frequenti e mitici un tempo, chi ne parla più? Se poi si indica il Cielo ai Terzi Mondi, arrivano maledizioni e peggio.[16]
  • [Gli intellettuali non sanno se sia] più di sinistra mangiare macrobiotico o nutrirsi di confezioni in cellophane prodotte da lavoratori alimentari in lotta.[17]
  • [Sull'adozione da parte di coppie dello stesso sesso] Piuttosto diversa si presenta la questione delle adozioni, e non solo perché coinvolgono una creatura impotente a decidere circa una scelta non pacifica. Già le rivolte edipiche, infatti, sono frequenti nelle famiglie con un babbo solo. Ove ce ne siano due, potrebbe raddoppiarsi anche l'Edipo?[18]
  • Si può caricaturare un ministro in forma di nano o di gobbo, se è vecchio e se si è sicuri che non ha mai reagito male. Ma chi direbbe, cortesemente, nano o gobbo a chicchessia come una volta al varietà? Chi oserebbe definire non solo drogato un drogato, ma facchino un facchino in una notizia di cronaca?[3]
  • Una visibilità ottenuta appiccicandosi etichette e sfoggiando distintivi, infatti, conduce per lo più a una ghettizzazione di tipo settoriale. Non per niente, gli ebrei o altre minoranze integrate nella collettività non provano il bisogno di ostentare contrassegni o comportamenti specializzati per marcare la propria identità, o diversità. E l'orgoglio gay sembra un concetto sempre più immaginario. Già. Se non riscuote gran considerazione, fra la gente, l'orgoglio di chi si vanta nativo di Voghera piuttosto che di Ferrara, e appartenente a questa o quella "classe di ferro", portatore di "Dott." o "Rag." sul biglietto da visita, tifoso della Roma o dell'Inter, socio dei Canottieri o abbonato alla Filarmonica, sarà più 'distinto' l'orgoglio del sedere, anche se lo si pratica una tantum, mentre si è funzionari o trentenni o studenti o diabetici full time?[18]
  • Una volta per tutte: le "denunzie" si fanno in Questura, le "istanze" si presentano ai Superiori, i "messaggi" si spediscono per posta.[8]

Fratelli d'Italia[modifica]

Incipit[modifica]

Siamo qui da un'ora all'aeroporto senza colazione aspettando due amici di Antonio che arrivano adesso in ritardo da Parigi; si mangerà un pesce se si farà in tempo sul molo, in un bel posto degli anni scorsi che forse peró quest'anno già non va più tanto bene; e non abbiamo ancora avuto un momento per parlare della nostra estate, che ormai è qui.
Appena arrivato a casa sua a Roma (ha questo appartamento nuovo in via Giulia foderato di finto legno "come una scatola di sigari!", e starò lì in una stanza dell'Elefante con tappezzeria tropicale tutta-uccelli), ho appena fatto in tempo a lasciar giù le mie robe. Una doccia svelta. A dormire: erano le quattro della mattina, lungo l'Aurelia m'ero fermato a far delle piogge nei pineti neri tra Viareggio e Pisa. Fratte, ginepri, mirti, giochi molto sportivi.[19]

Citazioni[modifica]

  • All'inferno ci va chi ci crede [...] (Einaudi, 19763, p. 644)
  • Avvicinandoci alla città il cielo s'oscura e l'aria si fa soffocante. Le fiammate delle raffinerie tingono di rosso e di giallo il polverone dei cementifici, a nuvoloni foschi: ma lo si è sempre saputo fin da Virgilio che questi paraggi sono le porte dell'inferno, la sede dell'orrore. (Einaudi, 19763, p. 22)
  • E poi, insomma, una città fra le più vecchie d'Europa, e dalla Magna Grecia in poi sono i suoi stessi governi a ripeterle che non è ancora matura per... E lei, lì, ad aspettare che vengano Elargite Provvidenze, senza muovere un dito... Tanto vero che mentre gli altri ricostruiscono Amburgo o Hiroshima qui non hanno ancora incominciato a portar via le immondizie del Dugento dalle strade... [...] Solita colpa dei Borboni che avrebbero borbonizzato la città? Mah, dev'essere lei che ha napoletanizzato loro. (Einaudi, 19763, p. 17)
  • Fare oggi un romanzo tradizionale ha lo stesso senso che conquistare oggi l'Eritrea o fondare oggi la Fiat.[20]
  • Io poi a Napoli vorrei starci sempre il meno possibile. Mai combinato niente e sempre litigato con tutti. Una depressione, sempre. Veramente è una città che non mi dice niente, perciò trovo inutile venirci. Non so cosa farmene del sole mediterraneo e dell'eredità classica e dell'architettura normanna e delle semplici gioie della vita contadina e della pizza alla pescatora. Commedia dell'arte, per me no, grazie.[21]

Paesaggi italiani con zombi[modifica]

Incipit[modifica]

"Oggi c'è l'Italia!" significa, per i più, che stasera gioca la squadra omonima. Preparare le bandiere. (Le vendono gli extracomunitari ai semafori). "Tranquilli". (In un paese apatico e feroce).

Citazioni[modifica]

  • Erano gli anni delle 'cause' ricavate da "Paese Sera": ogni sera Elsa Morante arrivava in trattoria agitando "Paese Sera" e strillando che era uno scandalo e bisognava mobilitarsi, una volta per la bomba atomica, un'altra per i gatti di Roma. E il giorno dopo, al telefono Gadda: "Ha urlato parecchio anche ieri sera? Ho fatto bene a non uscire". (da Panorami con accidenti, p. 78)
  • Lessico familiare. Chiamare "esproprio" (come un procedimento legale) il furto a mano armata, "commando" (come le eroiche pattuglie nei film di guerra) gli armati che ammazzano i disarmati di sorpresa, ed "esecuzione" (come un'opera di giustizia) il massacro a tradimento... Che pubblicità gratuita e ricaduta d'immagine con poca spesa: bastano una telefonata, un foglietto. E le grancasse e i tamtam varranno un Perù. (da In questo Stato (1978-1998), p. 114)
  • A. Lo stesso oggetto contrassegnato in tedesco, inglese e americano dalla vocale aperta 'A' (Arsch, arse, ass) viene invece caratterizzato dalla vocale chiusa 'U' (culo, cul) in italiano e in francese e lingue affini. Sono spigolature che si potrebbero trovare nelle Note azzurre del Dossi). (da Deposito cartacce, p. 333)
  • ARTE. Un'opera d'arte "fine a se stessa"? Mmm. Ma quali secondi fini dovrebbe avere, per far piacere alla signora? Aiutarla a digerire, farla piangere, spiegarle qualche inumana condizione in giro per il mondo, sostituire o affiancare l'azione del detersivo, del deodorante, del callifugo? (da Deposito cartacce, p. 336)
  • FOTOGRAFIA. Un momento! Devo sistemare gli occhiali, il berretto, il foulard, la barba, la pipa, il sigaro, la sigaretta e il telefono e il gatto. E la faccia, dov'è? (da Deposito cartacce, p. 355)
  • PREGHIERA. Pare meno popolare e frequente, l'uso. Per esempio, fra i viaggiatori in pericolo. Sembrava piuttosto di prammatica un classico di routine: "In quei frangenti, per prima cosa ho raccomandato l'anima al Signore". Adesso prevalgono piuttosto le notazioni di costume, anche fra gli incidenti e i rapimenti e i naufragi in mezzo a tribù selvagge e mari pericolosi: ci hanno trattato bene (o male), mi hanno sequestrato i rullini o restituito il cellulare, abbiamo ingannato il tempo, questa è da raccontare a Novara. Sempre, "È stata un'esperienza". Gesù Cristo, mai. (da Deposito cartacce, p. 379)

Explicit[modifica]

Quando eravamo sentimentali e soft, di fronte alle grandi masse inconsce e amorfe si diceva volentieri: un gregge di pecorelle eterodirette. La nostra speranza. I giovani. E mo?

Incipit di alcune opere[modifica]

La bella di Lodi[modifica]

Le ragazze di Lodi, grandi, belle, con la loro pelle splendida e un appetito da uomo, quando son dritte possono essere molto più forti di quelle di Milano. Quando son dritte, oltre ai bei denti e ai begli occhi e alla gamba lunga e al capello magnifico, chiaro, hanno tanta terra, almeno un paio di migliaia di pertiche (quindici pertiche fanno un ettaro); e anche se un anno il foraggio è scarso, un altro anno il prezzo del grano è fissato un po' troppo basso, o il riso non rende, o se arrivano tutte insieme un bel po' di cartelle d'imposte di successione arretrate, male che vada si tratterà di rinunciare a cambiare l'Alfetta per l'estate, o di non prendersi un gattaccio nuovo per il prossimo St Moritz; ma l'attività delle centinaia di vacche e del caseificio annesso basta comunque a produrre un reddito ancora abbastanza soddisfacente.

Super-Eliogabalo[modifica]

Un nero volo di uccellacci frenetici.[22]

Citazioni su Alberto Arbasino[modifica]

  • Alberto Arbasino. Non è una miniera, è un magazzino. (Marcello Marchesi)
  • Anticomunista e avversario del politicamente corretto senza essere di destra. Pronto a intervenire nel dibattito civile senza essere di sinistra. (Aldo Cazzullo)
  • Arbasino è stato uno scrittore di grandi qualità e creatività, un romanziere innovatore, un uomo di cultura poliedrico, tra i motori del Gruppo 63. La sensibilità con cui ha guardato la realtà si combinava con il coraggio della sperimentazione. Ha cercato espressione anche nella poesia. E con passione civile è stato giornalista, cercando sempre nella modernità strumenti utili alla narrazione e alla comprensione dei mutamenti, sociali e di costume. L’Italia si è arricchita del suo talento, e la cultura ne farà tesoro. (Sergio Mattarella)
  • Arbasino non usa il computer , bensì una vecchia macchina per scrivere elettrica, bellissimo esemplare di una qualche età industriale [...]; un'età già seriamente passata di cottura e anzi completamente out-of-date, anche se reinterpretabile in chiave vintage, come oggetto decisamente «pre». Quando gli hanno chiesto il motivo, o il Leitmotiv, di questa pur innocua fissazione, lo scrittore ha accampato ragioni eccelse, come la necessità di vedere modellarsi sulla carta anche la forma materiale del testo: una questione di spazi, di bianchi, di proporzioni. E forse anche di ritmo. Solo nell'ascoltare la scansione tambureggiante dei tasti e la visione dei caratteri che si imprimono sul foglio, Arbasino evidentemente è in grado di percorrere quegli spazi siderali che si dispiegano fra il post e il meta, fra l'ultra e il trans. (Edmondo Berselli)
  • Arbasino riesce a cogliere nella superficie gli elementi più rilevanti della società italiana e non solo: scrive microstorie che raccontano il risvolto etico delle società, i tic, le mondanità e il loro lato grottesco. Arduo da tradurre: mi ricordo di aver visto le annotazioni che faceva alle traduzioni francesi dei suoi primi libri. Micidiali, ma l’avrei affrontato molto volentieri. Con le sue divagazioni e curiosità su tutto, dalla letteratura al teatro al cinema alla musica, Arbasino mi sembra anche più efficace di Pasolini nell’analisi della società contemporanea. (Jean-Paul Manganaro)
  • Arbasino, il più cosmopolita e il più italiano dei nostri autori, il più serio e il più satirico, il più variabile e il più fedele a se stesso. (Paolo Di Stefano)
  • Con Arbasino, come lettore, non so convivere. È troppo veloce: io amo la lentezza. Dà troppo: ho bisogno di meno. Lui enumera: io cerco una sintassi. Lui registra, provoca, mette in fila interrogazioni retoriche: io mi aspetto ragionamenti. Lui deborda: io vorrei pause e confini. Le sue energie sono infinite: io vorrei una sosta. Preferisco gli scrittori che cambiano ritmo e tono: lui (come peraltro Pasolini e Calvino) ha sempre un ritmo e un tono. Mi sento a mio agio con gli scrittori che hanno un io di media grandezza: l'io di Arbasino è invece un io minimo prossimo allo zero, sparisce di fronte all'oggetto su cui lavora. Oppure è un io che si dilata fino a coincidere con il fiume del divenire, con il mare dell'essere e con ognuna delle loro increspature: è un io sconfinato, veloce, perpetuamente mobile, che non sopporta né lo spazio né il tempo. Un io virtuosamente estroverso, perché l'interiorità è madre di tutti i vizi. La vitalità di Arbasino sfiora il sovrumano, anzi lo scavalca. Io amo tipi che disperano di poter raggiungere semplicemente l'umano. (Alfonso Berardinelli)
  • Un modernista conservatore [...] Significa, per lui, riservarsi la possibilità di respingere quello che non gli piace senza negarsi la possibilità di conoscerlo. Significa stare nel corso del tempo senza farsene trascinare. (Raffaele Manica)

Note[modifica]

  1. a b c Citato in Paolo Conti, E Arbasino stronca «La dolce vita», Corriere.it, 21 dicembre 2008.
  2. a b Dall'intervista di Malcom Pagani per il Fatto quotidiano; citato in Viva Arbasino! – "Si è deciso a tavolino che i nostri best-seller dovessero essere al livello del fruitore. Vendono moltissimo. Sono un prodotto da banco. Uno shampoo. Forse sono più alternativo io.", Dagospia.it, 15 luglio 2014.
  3. a b c Da Uguali un corno, la Repubblica, 10 aprile 1991, p. 30.
  4. Citato in Giulia Borgese, Arbasino, un compleanno nelle terre del risotto, Corriere della sera, 22 gennaio 2000, p. 37.
  5. Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Vol. XII, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1984, p. 608.
  6. Da Matinée: un concerto di poesia, Garzanti.
  7. Citato in Gino & Michele, Milano, da Jannacci a Franca Rame, una città che muore e ci lascia qui, IlFattoQuotidiano.it, 23 giugno 2013.
  8. a b Da L'Anonimo lombardo.
  9. Da Genius Loci, in Certi romanzi, pp. 339-71.
  10. Da Paesaggi italiani con zombi, Adelphi, Milano, 1998, p. 361.
  11. Da Romanzi e racconti, Mondadori, Milano, 2010, Cronologia; citato in Camillo Langone, La morale del libertino, Il Foglio, 22 gennaio 2010.
  12. Dall'intervista di Grazia Cherchi, Panorama, novembre 1990; anche in Grazia Cherchi, Scompartimento per lettori e taciturni, a cura di Roberto Rossi, Feltrinelli.
  13. Da America Amore, Adelphi.
  14. Citato in Claudio G. Fava, I film di Federico Fellini, Volume 1 di Effetto cinema, Gremese Editore, 1995, p. 110. ISBN 8876059318
  15. Arbasino su come scrive, in un’intervista a Grazia Cherchi pubblicata su Panorama nel 1991 e poi nel suo libro, Scompartimento per lettori e taciturni. Citato in "Prima lezione di scrittura creativa da Arbasino", su ilpost.it.
  16. Da Diario, Nuovi argomenti, quinta serie, n. 51, luglio-settembre 2010; pubblicato in ebook nella collana "XS" della Mondadori, 2012, p. 7.
  17. Da Un paese senza, Garzanti, Milano, 1980; citato in Alberto Arbasino, a cura di Giorgio Dell'Arti, Cinquantamila.it.
  18. a b Da Matrimoni gay troppo froufrou, la Repubblica, 23 gennaio 1996.
  19. In Einaudi, 19763: "Siamo qui a Fiumicino senza colazione aspettando due amici di Andrea che arrivano adesso in ritardo da Parigi, si mangerà un pesce se si farà in tempo sul molo, in un bel posto degli anni scorsi che forse però quest'anno non va già più bene; e non abbiamo ancora avuto un momento per parlare della nostra estate. Appena arrivato a casa sua a Roma (ha questo appartamento nuovo in via Giulia tutto foderato di finto-legno come una scatola di sigari, e starò lì in una stanza dell'elefante con tappezzeria tropicale tutta-uccelli), ho appena fatto in tempo a lasciar giù le mie robe. Una doccia svelta. A dormire: erano le quattro della mattina, lungo la strada m'ero fermato a fare dei giochi nelle pinete nere di Pisa, molto sportivi, e già quasi estivi, tutti, e così vanesii, così narcisi, con un buon odore di pioggia sul nudo e di caprifoglio appena fiorito, splendido."
  20. In Einaudi, 19763, p. 49: "[...] fare oggi un romanzo tradizionale e contemporaneo ha lo stesso senso che conquistare oggi l'Eritrea o fondare oggi la Fiat!"
  21. In Einaudi, 19763, p. 17: "Io poi a Napoli vorrei starci sempre il meno possibile. Mai combinato niente e sempre litigato con tutti. Una depressione, sempre. L'orrore delle strade, l'orrore della gente, la compassione o l'indignazione ogni volta, ma come si fa. Davvero è un posto che non mi dice niente, non ha niente da darmi, non mi importa niente, perciò trovo inutile venirci. Quindi gran stoltezza e only myself to blame se mi lascio trascinare anche stavolta, giacché non m'interessano il sole pittoresco e i golfi folklorici, e non so cosa farmene delle furberie stradali e della pizza alla marinara. Commedia dell'arte, per me no, grazie, mi fa vomitare."
  22. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Alberto Arbasino, Certi romanzi, Einaudi, Torino, 1977.
  • Alberto Arbasino, Fratelli d'Italia, Adelphi.
  • Alberto Arbasino, Fratelli d'Italia, Einaudi, Torino, 19763.
  • Alberto Arbasino, L'Anonimo lombardo, Feltrinelli, 1966.
  • Alberto Arbasino, La bella di Lodi, Adelphi.
  • Alberto Arbasino, Fratelli d'Italia, Adelphi.
  • Alberto Arbasino, Paesaggi italiani con zombi, Adelphi, 1998. ISBN 88-459-1404-6

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Opere[modifica]