Fabrizio Sarazani

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Fabrizio Sarazani (1905 – 1987), scrittore, drammaturgo e giornalista italiano.

Citazioni di Fabrizio Sarazani[modifica]

  • [Su Ossessione] È la prima volta, o quasi, che un regista italiano si è dedicato alla realizzazione di un film con tanto ispirato ardore e disinteresse, misurando gli effetti e le inquadrature con pazienza di miniaturista, scavando e cesellando i particolari con una morbosa e febbrile attenzione tecnica. Questa tecnica è diretta a rendere plastico un materiale di asciutto realismo, perché il romanzo di James Cain, dal quale piglia lo spunto il film, è tutto spalancato ad evidenze e termini di cruda e spietata drammaticità: passione di sensi e miseria di istinti sono guardate senza complimenti. [È la regola] di quel naturalismo che tanto ha servito lo stile della cinematografia francese. [La forza di persuasione di Ossessione] nasce dallo stile che è tutto misura ed eleganza pittorica: gli esterni, i chiaroscuri in certe sequenze che descrivono le arcaiche strade di Ancona, e la perfetta orchestrazione degli interpreti, guidati e controllati con disciplina militaresca, rendono questo film di Visconti un'opera che merita il nostro plauso e, nello stesso tempo, il nostro rammarico, poiché avremmo preferito che questa perizia e questo zelo si fossero indirizzati su un racconto non schiavo di tanto materialismo tragico.[1]
  • [Su Sorelle Materassi] Il superiore valore del libro, nel film non lo ritroviamo se non in una vaga – ed assai vaga – apparenza. Ma la parte esteriormente umana dell'avventura è raccontata con persuasiva chiarezza. [...] Il peggior difetto del film consiste in una dimenticanza. Mentre la cornice dei particolari (villetta di Santa Maria a Coverciano con le sue stanze e il magazzino, il comparsame, l'indovinata arcaicità dei vestiti delle zie) è centrata con mira esatta, il paesaggio, al contrario, è dietro le quinte: non si vede o si vede appena. E il paesaggio fiorentino, così come lo descrive Palazzeschi, fino dalla prima pagina, illumina e avvolge, in maniera prepotentissima, il colore della favola.[2]
  • [Su Bengasi] Il valore del film è proprio nella forma controllata che lo stile di Genina conquista con elegante disinvoltura: come ne L'assedio dell'Alcazar, anche qui Genina dà di dieci, venti personaggi il volto di un solo personaggio che sia agita, soffre e combatte al riflesso di una intera popolazione.[3]
  • [Su Malombra] La vicenda, che è chiarissima nel libro, diventa nel film oscura e complicata e tutto e tutti appaiono immersi nelle tribolazioni di una fotografia a tinte di carbone, in un continuo gioco di ombre soffocato nella più profonda notte. Quei pochi esterni che dovrebbero ricreare viva la poesia descrittiva del romanzo, riescono appena a dare un po' di respiro e di serenità ottica. [...] L'interpretazione subisce il fascino intelligente della regia. [...] Isa Miranda difende la sua parte con estatica diligenza. Nella figura, negli atteggiamenti, nella grazia Irasema Dilián sente, capisce ed esprime l'innocenza di Edith.[4]

Note[modifica]

  1. Da Il Tempo, 11 aprile 1945; citato in Savio, p. 249.
  2. Da Il Tempo, 19 gennaio 1945; citato in Savio, pp. 336-337.
  3. Da Il Giornale d'Italia, 25 ottobre 1942; citato in Bengasi, cinematografo.it.
  4. Da Il Giornale d'Italia, 25 dicembre 1942; citato in Malombra, cinematografo.it.

Bibliografia[modifica]

  • Francesco Savio, Ma l'amore no: realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), Sonzogno, Milano, 1975.

Altri progetti[modifica]