Johann Gottlieb Fichte

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Johann Gottlieb Fichte

Johann Gottlieb Fichte (1762 – 1814), filosofo tedesco.

Citazioni di Johann Gottlieb Fichte[modifica]

  • Il mio mondo è oggetto e sfera dei miei doveri, e assolutamente niente altro.[1]
  • In questo mio Io sensibile c'è [...] una quantità di modificazioni che non sono da ricondurre a quelle forme immodificabili del mio Io puro; modificazioni sulle quali l'immutabile legge morale non stabilisce nulla e la cui determinazione quindi dipende dal mio arbitrio, che è esso stesso mutevole. (da Lo Stato di tutto il popolo, a cura di Nicolao Merker, Roma 1978)
  • L'io è finito perché deve essere delimitato, però in questa finitezza è infinito perché il confine può essere spostato sempre più in là, all'infinito. È infinito secondo la sua finitezza e finito secondo la sua infinità. (da Fondamento dell'intera dottrina della scienza, 1794 – GA, I/2 p. 394)
  • L'Io puro oppone nell'Io ad un io divisibile un non-io divisibile. (dalla Dottrina della scienza, 1794)
  • L'umanità respinge il cieco caso e il potere del destino. Essa ha in mano il proprio destino. (citato in Roger Garaudy, Karl Marx)
  • L'uomo ha la missione di vivere in società; se viene isolato, non è un uomo intero e completo, anzi contraddice se stesso. (dalle Lezioni sulla missione del dotto, 1794)
  • L'uomo può ciò che egli deve; e se dice: "Io non posso", segno è che non vuole. (da Contributo per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese, 1793)
  • La scelta di una filosofia dipende da quel che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un inerte suppellettile, che si possa prendere o lasciare a piacere, ma è animato dallo spirito dell'uomo che l'ha. (dalla Prima introduzione alla dottrina della scienza, 1797)
  • Noi agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché siamo destinati ad agire; la ragion pratica è la radice di ogni ragione. (da La missione degli uomini, 1800)
  • Pensa all'io e osserva che cosa è coinvolto nel farlo. (citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 176. ISBN 9788858014165)
  • Sotto i vostri occhi e, posso aggiungere a vostra vergogna, se ancora non lo sapete, risvegliato da Rousseau, lo spirito umano ha compiuto un'opera che voi avreste dichiarata la più impossibile tra tutte le impossibilità se foste stati capaci di concepirne l'idea: lo spirito umano ha misurato se stesso.[2]

Attribuite[modifica]

  • Essere liberi è nulla, diventare liberi è il paradiso.[3]

Discorsi alla nazione tedesca[modifica]

  • L'uomo si ambienta facilmente sotto qualunque striscia di cielo. (IV discorso, p. 50)
  • Che cosa entusiasmava i nobili romani, le cui disposizioni d'animo e modi di pensare vivono e respirano ancora tra noi nei loro monumenti, fino al punto di sopportare e di compiere fatiche e sacrifici per la patria? Lo dicono essi stessi, spesso e chiaramente. Era la saldezza della loro fede nella durata eterna della loro Roma, e la loro fiducia nella prospettiva di sopravvivere essi stessi, in questa eternità, eternamente nella corrente del tempo. Nella misura in cui era fondata e in cui essi stessi l’avrebbero colta, se fossero stati perfettamente chiari in se stessi, questa fede non li ha ingannati. Ciò che nella loro Roma eterna era davvero eterno, sopravvive in mezzo a noi ancora oggi insieme a loro, e sopravviverà nelle sue conseguenze sino alla fine dei giorni. (VIII discorso, pp. 115-116)
  • [Su Johann Heinrich Pestalozzi] Noi abbiamo letto e meditato gli scritti originali dell'uomo, e ci siamo formati da questi il nostro concetto della sua arte nell'istruzione e nell'educazione. [...] Anch'egli ha avuto una vita difficile, e ha lottato con ogni possibile ostacolo, interiormente con la propria cocciuta oscurità e debolezza, egli stesso scarsamente dotato dei più comuni strumenti di un'educazione dotta; all'esterno, con un persistente misconoscimento, verso un obiettivo appena presentito e a lui stesso del tutto ignoto, sostenuto e sospinto da un impulso inesauribile, onnipotente e tedesco: l'amore per il popolo povero più indifeso. Questo amore onnipotente ne aveva fatto un suo strumento, proprio come Lutero, solo in un rapporto diverso e più conforme al suo tempo, ed era divenuto la vita nella sua vita. Esso fu per lui il filo conduttore saldo e immutabile, a lui stesso sconosciuto, di questa sua vita, che lo ha condotto attraverso la notte che lo circondava da ogni parte, e che coronò la sera di quella vita – poiché era impossibile che un amore del genere abbandonasse la terra senza ricompensa – con la sua scoperta autenticamente spirituale, che ha fatto molto di più di quanto egli avesse mai desiderato con i suoi più audaci desideri. Egli voleva semplicemente aiutare il popolo; ma la sua scoperta, assunta in tutta la sua estensione, annulla il popolo, toglie ogni differenza tra questo e un ceto colto, invece della ricercata educazione popolare fornisce una educazione nazionale, e avrebbe senz'altro la capacità di sollevare i popoli e l'intero genere umano dalla profondità della sua attuale miseria. (IX discorso, pp. 132-133)

Introduzione alla vita beata[modifica]

  • L'essenza interna ed assoluta di Dio viene alla luce come bellezza.
  • La fonte originaria della bellezza è unicamente in Dio ed essa si manifesta nell'animo di coloro che sono entusiasticamente pervasi di lui.
  • La pietra rimane pietra in eterno e non è affatto suscettibile di un tale predicato [la bellezza]: ma l'anima dell'artista era bella quand'egli concepì la sua opera e bella diverrà l'anima di ogni osservatore intelligente che la concepisce dopo di lui.
  • Solo la fiamma della conoscenza chiara, totalmente trasparente a se stessa e in libero possesso di tutta la sua intimità, garantisce, in virtù di questa chiarezza, la propria durata immutabile.
  • Soltanto ciò che è metafisico e non la dimensione storica rende beato; la seconda arreca soltanto erudizione. Se qualcuno si è realmente unito a Dio ed è entrato in lui, è del tutto indifferente per quale via vi sia giunto.
  • Vivere veramente significa pensare veramente e conoscere la verità.

La missione del dotto[modifica]

Incipit[modifica]

Lo scopo delle lezioni che comincio oggi, vi è in parte già noto. Vorrei dare una risposta o, piuttosto, vorrei spingere voi, miei signori, a darla ai quesiti seguenti: qual è la missione dell'intellettuale? quale il suo rapporto sia con la totalità del genere umano che con i vari ceti sociali di esso? con quali strumenti egli può realizzare con la massima sicurezza la sua sublime missione?

Citazioni[modifica]

  • L'intellettuale è tale solo in quanto viene contrapposto agli altri uomini che intellettuali non sono. (p. 7)
  • L'autocoscienza empirica, ossia la consapevolezza di una qualsivoglia determinazione presente in noi, non è possibile se non presupponendo un Non-Io. Questo Non-Io deve esercitare un'azione sulla capacità elettiva dell'uomo che noi chiamiamo sensibilità. L'uomo, dunque, in quanto è qualcosa, è un ente sensibile. (p. 12)
  • L'Io puro si lascia rappresentare solo in negativo, come l'opposto del Non-Io che ha come carattere distintivo la molteplicità. Perciò l'Io puro viene inteso come una completa ed assoluta identità con se stesso, esso è sempre Uno e Identico e mai un'altra cosa. (p. 12)
  • L'Io puro non può mai trovarsi in contraddizione con se stesso, giacché al suo interno non può esservi molteplicità, ed esso è sempre Uno e Identico. Ma l'Io empirico, determinabile e determinato per mezzo delle cose a lui esterne, può contraddirsi. (p. 13)
  • All'Io empirico deve venir data una disposizione come se questa potesse valere in eterno. Potrei dunque – e vi accenno solo di sfuggita e con scopi asplicativi – esprimere il principio fondamentale della morale con la formula seguente: Agisci in modo da poter concepire la massima della tua volontà come una legge per te eterna. (p. 13)
  • Il fine ultimo e sommo dell'uomo è la perfetta corrispondenza con se stesso e – affinché egli possa corrispondere a se stesso – la corrispondenza di tutte le cose a lui esterne con i concetti necessari e pratici di esse che egli porta in sé (ossia i concetti che determinano come le cose dovrebbero essere). (p. 16)
  • Non è vero che ciò che ci rende felici è buono; al contrario: solo ciò che è buono ci rende felici. (p. 17)
  • Lo scopo finale dell'uomo è di sottomettere a sé tutto ciò che è privo di ragione e di padroneggiarlo liberamente secondo la propria legge. Questo scopo finale è completamente irraggiungibile e deve restare eternamente irraggiungibile, altrimenti l'uomo cesserebbe di essere un uomo e diverrebbe un Dio. Fa parte del concetto stesso di uomo il fatto che il suo fine ultimo sia irraggiungibile, che il suo cammino in quella direzione sia senza fine. La destinazione dell'uomo non è dunque il raggiungimento di questo fine. Egli deve e, allo stesso tempo, può avvicinarsi sempre più a questo fine: e perciò l'infinito approssimarsi a questo fine costituisce la sua vera destinazione in quanto uomo, cioè in quanto ente razionale ma al tempo stesso finito, in quanto essere sensibile ma anche libero. (p. 17)
  • L'uomo esiste per migliorarsi sempre più dal punto di vista morale e per rendere migliore tutto ciò che lo circonda: sia nella sfera della sensibilità, sia anche, se lo consideriamo nell'ambito della sensibilità. sia anche, se lo consideriamo nell'ambito della società, dal punto di vista etico e così facendo, per rendere se stesso sempre più felice. (p. 18)
  • Chiamo società la relazione reciproca degli esseri razionali. (p. 22)
  • La natura, quando agisce in modo teleologico, agisce secondo leggi necessarie. La ragione agisce invece secondo il modo delle libertà. (p. 26)
  • L'istinto sociale appartiene dunque agli istinti fondamentali dell'uomo. L'uomo è destinato a vivere in società, egli deve vivere nella società; se vive isolato non è un uomo completo e compiuto, e contraddice a se stesso. (p. 28)
  • L'uomo è destinato alla società; anche la socievolezza rientra nel novero di quelle capacità che egli deve perfezionare in sé per adempiere alla sua destinazione. (pp. 30-31)
  • Noi siamo ancora al basso grado della semi-umanità, ovvero alla schiavitù. (p. 32)
  • Libero è solo colui che vuole rendere libero tutto ciò che lo circonda e che effettivamente lo rende libero mediante un certo influsso del quale non sempre si percepisce la causa. (p. 32)
  • Tutti gli individui che appartengono al genere umano sono diversi tra loro. Solo in una cosa sono completamente concordi, e questa è il loro fine ultimo, la perfezione. La perfezione è determinata soltanto in un unico modo; essa è sempre perfettamente uguale a se medesima. Qualora tutti gli uomini potessero diventare perfetti, qualora potessero raggiungere il loro sommo ed ultimo fine, allora sarebbero tutti perfettamente uguali. Essi sarebbero un Uno, un unico soggetto. (pp. 33-34)
  • Il fine ultimo e sommo della società è dunque una completa unità ed unanimità fra tutti i suoi possibili membri. (p. 34)
  • L'intellettuale è tale solo se considerato all'interno della società. (p. 37)
  • Tutte le leggi della ragione sono fondate nell'essenza del nostro spirito. Ma esse arrivano alla coscienza empirica solo attraverso una esperienza a cui siano applicabili; e quanto più spesso vengono usate, tanto più intimamente essi si connettono con questa coscienza. (p. 39)
  • La scelta di un ceto è una libera scelta, nessun uomo può quindi essere costretto a sceglierne uno, o a esserne escluso. Ogni singola azione, ed ogni disposizione generale che che si proponga una tale costrizione, è illegittima. (p. 49)
  • Un certo ceto, l'ulteriore sviluppo di uno specifico talento, sono stati scelti per poter restituire alla società ciò che essa ha fatto per noi. È quindi obbligatorio per tutti utilizzare la propria cultura per contribuire in modo concreto al profitto della società. Nessuno ha il diritto di lavorare solo per la propria personale soddisfazione, di chiudersi nei confronti dei suoi simili e rendere la sua cultura inutile per essi. (p. 50)
  • Con orgoglio sollevo il capo verso le minacciose catene montuose, verso le impetuose cascate e verso le nuvole in tumulto che nuotano in un mare di fiamme, e dico: io sono eterno, e sfido la vostra potenza! Io infrango qualunque ostacolo si frapponga alla prosecuzione del mio cammino, e tu terra, e tu cielo, e tutti i vostri elementi, frammischiatevi in un selvaggio tumulto, spumeggiate e smaniate; schiacciate pure in una lotta selvaggia l'ultimo atomo del corpo che chiamo mio; solo la mia volontà con il suo saldo progetto deve sollevarsi ardita e fredda sulle macerie del cosmo. Io, insomma, ho afferrato la mia destinazione ed essa dura quanto duro io: essa è eterna, e come lei eterno son'io! (p. 53)
  • Nell'uomo esiste uno stimolo al sapere, e in particolare a ciò che gli torna utile. (p. 58)
  • La vera destinazione del ceto intellettuale: il controllo supremo sul progresso effettivo del genere umano nel suo complesso, e il continuo promuovimento di questo progresso. (p. 62)
  • Dal progresso delle scienze dipende in modo diretto il progresso complessivo del genere umano. Chi frena il primo frena anche il secondo. (p. 62)

Citazioni sull'opera[modifica]

  • L'aula più grande che vi fosse a Jena risultò troppo piccola, il corridoio e il cortile erano stipati, su banchi e tavoli gli uditori stavano letteralmente gli uni sugli altri. (da una lettera alla moglie del 26 maggio 1794; citato nell'introduzione, p. IX)
  • La «missione del dotto» ovvero, sappiamo oramai, la funzione dell'intellettuale nella società, continuò insomma ad occupare Fichte sino alla fine della sua vita, e non soltanto in lezioni che avevano quell'argomento per tema specifico, ma anche, in filigrana, in altri suoi scritti. (Nicolao Merker)
  • Le lezioni del 1811 Sulla missione del dotto teorizeranno che l'intellettuale vero, educatore dell'umanità, è una sorta di profeta. Soltanto lui è il detentore di una visione ideale del mondo riservata a pochissimi eletti, anzi addirittura religiosa perché ispirata loro da Dio. (Nicolao Merker)

Citazioni su Johann Gottlieb Fichte[modifica]

  • Alla filosofia fichtiana spetta il profondo merito di aver fatto avvertire che le determinazioni del pensiero son da dimostrare nella loro necessità; che sono essenzialmente da dedurre. (Georg Wilhelm Friedrich Hegel)
  • Fichte è un titano che lotta per l'umanità e il suo raggio di azione non resterà limitato alle pareti della sua aula. (Friedrich Hölderlin)
  • I Fondamenti della dottrina della scienza ci insegnano che il fine della nostra esistenza è instaurare il regno del razionale, in noi e fuori noi, nella natura e nella società. (Roger Garaudy)
  • Johann Gottlieb Fichte, il più grande discepolo di Kant, non possedette soltanto la facoltà di immergersi in se stesso, il senso mistico che conduce fino alle profondità della vita interiore, ma altresì l'inflessibile volontà ed il forte sentimento di sé, senza di cui la convinzione del diritto eterno della vita interiore e della sua superiorità su tuttociò che è esteriore non può né affermarsi né svolgersi. (Harald Høffding)
  • L'idea madre del sistema di Fichte è quella dell'uomo creatore, la concezione che l'uomo è ciò che egli stesso si fa. (Roger Garaudy)
  • L'ideale di Fichte non è l'uomo puramente sensibile, affidato a ciò che a costui dettano semplicemente l'intuizione e la fantasia, ma, in armonia con la dottrina dei due Io, un uomo il cui lato sensibile abbia il supporto della razionalità. (Nicolao Merker)
  • Nella filosofia primeggiava Fichte, co' suoi vibrati discorsi alla nazione tedesca aveva risvegliato un entusiasmo maggiore per sé. Il suo sistema, che è un'esagerazione della critica razionale di Kant, dettato con acume energicamente morale, conveniva affatto allo stato militare della Prussia, ed al patriottismo allora mal coltivato. Fichte rigettava l'antica credenza, non lasciando null'altro che la conoscenza di sé stesso; ma davanti a tutte le cose riconosceva in sé stesso un precetto morale, un comando incitante al bene, colla coscienza del quale egli si era studiato di percuotere i Prussiani nella loro età di sventura. (Wolfgang Menzel)
  • Un gruppo molto singolare, benché rimasto allo stato embrionale, si riunisce a Berlino intorno al 1812. A costituirlo sono alcuni giovani che seguono con vivo interesse le lezioni del filosofo Fichte, i celebri Discorsi alla nazione tedesca. Tredici tra gli uditori di Fichte, giovani ufficiali, istitutori, studenti, scoprono la concordanza delle loro idee e decidono di passare dalla contemplazione all'azione. (Hans Mayer)

Note[modifica]

  1. Da La missione dell'uomo, a cura di Remo Cantoni, Laterza, Bari, 1970, p. 119.
  2. Da Sulla Rivoluzione francese. Sulla liberta di pensiero, a cura di Vittorio Enzo Alfieri, Laterza, Roma-Bari, 1974, p. 79.
  3. Citazione riferita nella Entsiklopediceskij slovar alla voce "Fichte", vol. XXXVI, San Pietroburgo, 1890-1907, pag. 50, col. 2, e in Xavier Léon, Fichte et son temps, vol. I, Colin, Parigi, 1922-27, p. 47, ma non rintracciabile in Fichte. L'attribuzione potrebbe essere scorretta ( Cfr. Isaiah Berlin, Libertà, a cura di Henry Hardy, traduzione di Gianlazzaro Rigamonti e Marco Santambrogio, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 52, nota 48. ISBN 88-07-10379-6)

Bibliografia[modifica]

  • Roger Garaudy, Karl Marx (Clefs pour Karl Marx), traduzione di Marilena Feldbauer, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1974.
  • Johann Gottlieb Fichte, Discorsi alla nazione tedesca, a cura di Gaetano Rametta, Gius. Laterza & Figli, Roma-Bari, 2005. ISBN 8842069906
  • Johann Gottlieb Fichte, La missione del dotto (Einige Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten), a cura di Nicolao Merker, traduzione di Marco Marroni, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1991.
  • Johann Gottlieb Fichte, Introduzione alla vita beata, a cura di Boffi G. e Buzzi F., San Paolo Edizioni, 2004.

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