Gianpaolo Ormezzano
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Gianpaolo Ormezzano (1935 – vivente), giornalista, scrittore e personaggio televisivo italiano.
Citazioni di Gianpaolo Ormezzano
[modifica]- È sufficiente passare mezz'ora nella mia città per capire che tifare Juve è una specie di delitto contro l'aria, il sole, le nuvole, le fontanelle col torello che sputa acqua, le case, le cose, la gente, la storia.[1]
- La Juventus è da sola una parte enorme del nostro calcio. C'è perché sennò non c'era proprio niente alla «j» o «i lunga», e se è vero che non c'è niente neppure alla «y» o «i greca», è anche vero che da quelle parti del dizionario non si trova la più importante squadra d'Italia e – dicono – del mondo.[2]
- Vittorio Pozzo era riuscito a gestire la nazionale, che pure il regime voleva usare come strumento di propaganda, tenendola abbastanza lontano dalle pressioni e dalle tresche dei gerarchi. [...] Pozzo non fu antifascista, né mai pretese di esserlo, ma non fu nemmeno banditore troppo strumentalizzato da parte del potere. [...] Forse quello fu l'unico modo per evitare che la sua squadra diventasse la Nazionale di Mussolini.[3]
Citazioni tratte da articoli
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- In una storia lunga più di un secolo tante cose belle ha insegnato la Juventus al calcio italiano, concentrando e limitando apprendimento e frequentazione di quelle brutte ad un periodo corto, gli anni appunto Calciopoli. Il club che ha "fondato" uno stile, che ha riempito di giocatori la Nazionale, che ha vinto più scudetti di ogni altro.[4]
- Ho avuto due fortune nella vita: non essere nato donna afghana a Kabul e tifoso della Juventus a Torino.[5]
- [Su Livio Berruti] Chi scrive, in oltre sessant'anni di giornalismo [...] sportivo, non ha mai conosciuto uno come lui. Uno al quale (la definizione è di Gianni Mura) sembra che abbia nevicato dentro, per come e quanto è pulito, placido, sereno al punto di apparire talora algido, di una serenità onnicomprensiva per cui non è blasfemo scrivere che lui sa amare un piatto ben riuscito, un vino giusto, ai tempi giovani anche una bella donna, quanto una medaglia olimpica.[6]
calciomercato.com, 13 luglio 2019.
[Su Nils Liedholm]
- Il suo calcio era stellare ma geometrico, non magico. [...] Molto semplicemente si riteneva il migliore del mondo nel suo ruolo (mezzala, si diceva) e non solo. Provvisto poi del tiro più fulminante del pianeta.
- Era allenatore ideale per la Juve, con moglie torinese di stirpe bianconera, ma a Boniperti presidente il "Barone" Nils aveva chiesto anche un maggiordomo pagato dal club, non se ne fece nulla.
- A Milano-San Siro da giocatore per due anni non sbagliò un passaggio, quando finalmente si permise l'errore la gente in coro fece "ooohhh" e poi applaudì.
- Ai Giochi Olimpici di Los Angeles 1984 stavo in un albergo di uno svedese che sosteneva di avere giocato da ragazzo con il grande Liedholm, e che mi chiese di dirlo a Nils. Nils mi ascoltò, mi disse di non ricordare assolutamente la cosa, gli chiesi comunque di scrivere due righe al presunto compagno di pallone, mi chiese un giorno di tempo. "Non so più scrivere bene in svedese". Poi compitò la lettera, ovviamente scrisse che ricordava tutto, da allora io ogni volta a Los Angeles ho avuto in quell'albergo lussuosa stanza gratis e ricco buono pasto con champagne californiano.
La Stampa
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Sul video Viola si era imposto con quella cosa che si chiama stile; non aveva fisico speciale, nè voce flautata, nè capacità di coltivare i cosiddetti buoni sentimenti. Molto semplicemente, era intelligente e spiritoso.[7]
- [Nel 1993] Ma che bravo e che furbo lo sport; che in questi ultimi anni si è inventato una specialità nuova, appassionante: la designazione della città sede dei Giochi. È una specialità composita, c'è tutto: tattica della pubblicità, tecnica degli impianti, si gioca a zona, con rotazione addirittura dei continenti, e a uomo, con pressione diretta sui membri del Cio. C'è il lungo allenamento, il riscaldamento degli ultimi giorni, la vampa del voto [...]. C'è pure la corruzione. Il doping è quello del denaro, l'antidoping non esiste, come negli sport chic.[8]
- [Su Pietro Mennea] Lo sport italiano gli deve molto, lui ha cercato sovente di dar se stesso allo sport in vari modi, quasi per "equilibrare". Ma aveva un carattere difficile, un eloquio spesso aggrovigliato, e poi sempre era come posseduto da quel revanscismo che lui stesso definiva etnico e che gli pregiudicava tanti rapporti. E invano chi lo conosceva bene diceva di una sua forte solarità, soltanto difficile da liberare dalle nubi contingenti, di una sua interna allegria che comunque, quando riusciva ad espandersi in giro, voleva dire ad esempio l'amicizia fortissima con uno che, come lui, quando sorrideva e faceva sorridere sembrava intristirsi, Massimo Troisi.[9]
- Pietro Mennea è morto giovane, sessantun anni scarsi, ma era nato vecchio, tormentato da sempre dai problemi della sua terra (era di Barletta, Puglie, si definiva negro d'Italia), ed ha avuto una vita pienissima, quasi affannata, sicuramente logorante, non solo di sportivo anzi di campione dello sport, ma anche di uomo politico, deputato europeo, di personaggio del mondo del lavoro, quattro lauree – scienze politiche, giurisprudenza, lettere e scienze motorie –, uno studio di avvocato, di eterno polemista, e di forte testimonial dell'antidoping dopo essere uscito pulito da ogni sospetto di disinvoltura chimica. In età avanzatella si era pure sposato. Nell'atletica si è costruito campione con una volontà disperata, quasi straziante, nel senso che, assolutamente non dotato dalla natura di quello che si dice fisico strepitoso, si allenava ferocemente, correva acremente e vinceva a muso sempre duro.[9]
La Stampa, 3 maggio 1989, p. 29.
[Su Valentino Mazzola]
- Chi lo conosceva bene lo diceva nel privato chiuso, difficile, introverso, di poche parole e di idee appena essenziali. Coi tifosi era quasi solare, per loro la sua voce, al Filadelfia, quando Valentino guidava anche le partite di allenamento, era bellissima: anche se era strana, un po' chioccia. È possibile che nasca un altro come lui. È possibile: però Boniperti e anche chi scrive dicono che come Mazzola non hanno visto più nessuno.
- Quando Barassi, durante l'orazione funebre, lesse la formazione, ci fu come sempre, anche in lui, un modo diverso di dire «Mazzola». Proprio come fanno adesso, in certi stadi, certi speakers tifosi. Valentino Mazzola era il Grande Torino. Nessuna offesa a nessuno se si dice che gli altri, tutti gli altri, compreso Maroso dalla classe immensa, erano calciatori che avevano la fortuna di giocare con lui. D'altronde, i primi a parlare così erano loro, i giocatori granata. Era Mazzola che guardavano quando, poche volte, perdevano, era da lui che andavano quando un gol, anche segnato da un altro, faceva vincere la partita. Valentino Mazzola non era quel che si dice un bellissimo atleta. Non alto, un po' tozzo. Il viso sì era bello, intenso. Il biondo non era troppo biondo, dava sul rosso.
- Valentino saltava di testa come nessuno, toglieva il pallone anche ai giganti. Il tackle era sempre suo [...]. I suoi tiri non erano speciali, ma esatti, forti il giusto. Il suo correre unico. Più che un correre, un onorare appuntamenti col pallone, noti solo a lui e alla sfera: gli altri non ci arrivavano. La quantità di palloni che Mazzola toccava, portava avanti, passava, lavorava in una partita era enorme. Uno solo lo ha avvicinato: Di Stefano. Ma all'argentino i compagni passavano la palla come per un ordine: Mazzola no, andava a cercarsela, non gradiva quei tocchetti di appoggio che pure molti assi chiedono. La forza di Valentino Mazzola era comunque fatta di tante normalità esaltate. Lui non eseguiva numeri pirotecnici, funambolici: correva, come correvano tanti, ma più costantemente di tutti; contrastava, come da copione, ma il suo tackle era sempre «gridato», da attore che vuole farsi sentire da tutto il teatro; di testa, già detto, era un combattente; e trascinava trascinava trascinava. Ognuno, vedendolo giocare, pensava di poter fare quello che faceva lui: come non accadde vedendo giocare Sivori, e adesso Maradona. Il problema era farlo sempre, e sempre al massimo, e insufflando gioco nei compagni.
La Stampa, 19 settembre 1990, p. 1.
[Sulla selezione della città organizzatrice dei Giochi della XXVI Olimpiade]
- Lo spirito olimpico mette il lutto, il corpaccio ultimamente cresciutissimo dell'Olimpiade si gonfia di altro denaro. Atlanta ha battuto Atene nella votazione [...] per la sede estiva dei Giochi 1996. Il Comitato Internazionale Olimpico quasi al gran completo [...] ha così diviso i suoi 86 voti nella quinta decisiva tornata: 51 alla capitale della Georgia, 35 alla capitale della Grecia. Dodici anni dopo Los Angeles i Giochi torneranno negli Stati Uniti. In Grecia, dove sono nati, probabilmente non torneranno mai più: la Grecia non ha i soldi per operare la Grande Seduzione, e la poesia del Grande Ritorno non basta più. [...] All'uscita dalla gran sala della votazione già venivano distribuiti distintivi con la scritta: Coca Cola-Atlanta. Il breve filmato di Atlanta, offerto con gli altri al pubblico in attesa della proclamazione e televisto in 38 Paesi collegati [...], era stato chiuso dal nome al neon della bevanda che nella città più emergente degli Usa ha la casa madre e che è «sorella» del Cio.
- Atlanta ha promesso tecnologia avanzatissima, metropoli cablata, telecomunicazione del duemila e passa, villaggio di comodità fantascientifica e soprattutto sponsor e sponsor e sponsor. Atene ha promesso installazioni perfette (ci sono già quasi tutte) e storia, cultura, memorie. Il Cio non è riuscito a pagarsi il lusso di un'edizione dei Giochi, quella del centenario, nel posto più giusto. È anche una sconfitta di Samaranch che ieri [...] ha aperto la busta e ha letto il nome che lui e i suoi sapevano già. Samaranch, uomo di sport, voleva Atene, ma Samaranch industriale dello sport, commerciante dello sport, ha messo in moto il processo di arricchimento del Cio, il volano dei miliardi. Ieri l'apprendista stregone non ce l'ha fatta a governare il suo incantesimo.
- Muore l'olimpismo diciamo classico, con un atto veramente ufficiale, cioè questa votazione. O forse questo olimpismo era già morto, soltanto un'illusione aveva permesso di credere nella sua esistenza per celebrare degnamente il centenario dei Giochi moderni. Forse ieri il corpo olimpico ha soltanto squamato, rivelando la sua nuova pelle. Una muta, ecco: ma la pelle nuova è già spessa. [...] E sia chiaro che siamo più tristi che scandalizzati.
La Stampa, 20 settembre 1990, p. 35.
[Sulla selezione della città organizzatrice dei Giochi della XXVI Olimpiade]
- Atlanta, la capitale mondiale delle telecomunicazioni, ha forse ottenuto [...] l'organizzazione dei Giochi Olimpici 1996, a spese della favoritissima Atene, con un'offerta speciale, tecnologica e decoubertiniana insieme, validissima nei riguardi dei membri terzomondisti del Comitato Internazionale Olimpico. [...] durante i Giochi nella capitale della Georgia ogni paese potrà godere di trasmissioni speciali, gratuite o quasi, della propria Olimpiade, della gara del proprio atleta, dell'intervista particolare. Un'offerta sensazionale, unica per chi, debole di atleti e povero di soldi, di solito deve rassegnarsi a sparire nell'Olimpiade in televisione. Che accade infatti? Che le riprese [...] sono orientate principalmente sulle grandi prove, e sui campioni di tali prove. E questo è il menu servito a tutte le televisioni «minori» [...]. Il rimedio, per ora, era la cosiddetta trasmissione unilaterale, cioè l'affitto di un satellite per mandare alla propria televisione nazionale qualcosa di interesse particolare. Milioni, insomma.
- I Paesi poveri hanno sempre ricevuto le immagini televisive degli sport e dei campioni dei paesi ricchi, e basta. Soltanto eccezionalmente un loro uomo riusciva ad avere per sé i teleschermi, compiendo un'impresa, rivelandosi con un exploit. Ma per il resto, niente da fare: le Olimpiadi televisive non sono mai esistite per i pallavolisti del Marocco [...] o per quelli dell'Honduras. Marocco-Honduras non va in televisione, non ci va il lunghista dell'Oman, né la nuotatrice senegalese e neppure il lottatore siriano. Ad Atlanta 1996 ci sarà invece televisione davvero per tutti, e senza sacrifici economici. [...] e dunque lo spirito di De Coubertin, tradito dal no ad Atene per i Giochi del centenario della sua invenzione, è rispettato e consolato da questa iniziativa. Forse proprio questo argomento ha convinto i votanti terzomondisti, i votanti dei Paesi poveri, ad attuare il ribaltone di ieri l'altro.
- [...] non pensiamo che dopo la scommessa vinta con Seul 1988, città scelta nonostante lo stato di guerra fra le due Coree e la frontiera in armi a quarantacinque chilometri dallo stadio olimpico, si potesse temere di Atene l'instabilità politica, il terrorismo (e quanto all'inquinamento, che dire di Los Angeles, di Città del Messico, di Tokyo, tutte città olimpiche?). Piuttosto sta prendendo peso un'altra considerazione, di tipo politico-morale: il voto ad Atlanta anche come risarcimento all'impegno materiale e morale degli Stati Uniti gendarmi del mondo in Medio Oriente, nel Golfo. Una cosa impalpabile ma innegabile.
Note
[modifica]- ↑ Citato in Giorgio Dell'Arti, Catalogo dei viventi, cinquantamila.corriere.it.
- ↑ Da Tutto il calcio parola per parola, Editori Riuniti, Roma, 1997, ISBN 8835-94370-1, p. 14.
- ↑ Da Il calcio: una storia mondiale, Longanesi, 1989.
- ↑ Da Juventus, la festa è doppia, famigliacristiana.it, 5 maggio 2013.
- ↑ Da un articolo per il mensile francese So Foot; citato in G.P. Ormezzano: "Ho avuto due fortune nella vita: non essere nato donna afghana a Kabul e tifoso Juve a Torino. Se il derby si disputa secondo le regole, possiamo vincerlo", tuttojuve.com, 29 settembre 2013.
- ↑ Da Io e Berruti con un oro in macchina, SportWeek nº 20 (937), 18 maggio 2019, pp. 64-65.
- ↑ Da Raccontava sport sorridendoci sopra, La Stampa, 19 ottobre 1982, p. 21.
- ↑ Da Nello sport una specialità nuova, designare la città sede dei Giochi, La Stampa, 20 settembre 1993, p. 25.
- ↑ a b Da Addio Mennea, re della velocità azzurra. Un campione proletario del riscatto, lastampa.it, 21 marzo 2013.
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