Giovanni Lanza
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Giovanni Lanza (1810 – 1882), politico italiano.
Citazioni di Giovanni Lanza
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [Il 9 gennaio 1850, intervenendo nella discussione al Parlamento Subalpino sul trattato di pace con l'Austria, al termine della prima guerra d'indipendenza] L'onore di una nazione non si sacrifica ad una semplice e nuda asserzione. Dunque, che cosa ci rimane ora a fare? Ci rimane di piegare il capo, non solamente sotto il peso di un trattato così gravoso per gl'interessi politici e materiali che lede, ma anche piegarlo sotto un trattato che disonora la nazione. Per me, o signori, lo dico sinceramente: in questo momento non mi sento la forza di votare questo trattato senza le guarentigie volute; e deporrò il voto nero nell'urna.[1]
- [Sulla scelta di nomina a presidente della Camera] Dopo matura riflessione io non potrei scorgerla se non nel fatto di essere io stato parte di quel Ministero la cui politica seppe sottrarre il Piemonte dall'isolamento pericoloso in cui languiva, collegandosi colla Francia e coll'Inghilterra nella guerra di Crimea, e dopo questo segnalato servigio reso all'Europa civile, preparare nel Congresso di Parigi la terza riscossa coll'aiuto delle armi francesi, la quale doveva poi rendere gran parte d'Italia signora de'suoi destini, costituire nella penisola un grande regno indipendente e forte sì, che valga a respingere le aggressioni straniere, a compiere l'opera del nostro riscatto, a fare d'Italia una nazione libera e degna di riprendere il seggio che le appartiene fra le grandi potenze d'Europa. Benché lieve sia stato il mio concorso alla riuscita di questo grandioso disegno, che devesi alla specchiata lealtà e all'eroico valore del nostro Re, secondato dalla rara sagacia dell'illustre uomo di Stato che tuttora presiede il Gabinetto, e dal valente generale che, dopo avere riordinato l'esercito, guidollo alla vittoria sui campi della Crimea e l'apprestò alla terza guerra italiana. [...] [sull'Unità d'Italia e la scelta dei granducati di allearsi al Regno di Sardegna] Fu tutto un popolo, dall'artigiano allo statista, dal popolano al patrizio, penetrato di questo vero: che solo dalla unione di tutti in una sola famiglia può scaturire la forza e la potenza nostra; essere assicurata la indipendenza e la libertà; redente dalla oppressione quelle provincie consorelle che ancora vi gemono; fondata sopra base incrollabile la nazionalità della patria italiana.[2]
- Ci sia sempre presente alla mente che solo colla concordia o colla sagacia abbiamo potuto superare immense difficoltà, e raggiungere infine la sospirata indipendenza della diletta nostra patria; non dimentichiamo che per causa d'intestini dissidi molte nazionalità perirorono, e divennero schiave di stranieri potentati.[3]
- [Dal suo testamento] Tutti gli atti degli uomini chiamati al governo devono essere improntati alla più scrupolosa moralità. Non distinguo tra moralità pubblica e privata, distinzione ipocrita e falsa. L'esempio cade dall'alto. Col suo esempio il governo può educare o corrompere i popoli.[4]
Citazioni su Giovanni Lanza
[modifica]- Figlio di un fabbro e medico di professione, Lanza incarnava, nella Destra piemontese tradizionalmente formata da nobili, militari e grandi borghesi, un tipo umano del tutto insolito: il nuovo piccolo ceto medio, spartano e puritano, formatosi nelle scuole serali e nell'Università popolare. (Indro Montanelli)
- Il Lanza, [...], si avvicinava di molto alle idee del Sella, così per la questione romana, che per la guerra franco-tedesca. La natura lo aveva dotato di un senso pratico molto giusto che la lunga consuetudine dei pubblici negozi aveva affinato, e che gli valse quella influenza politica che altri acquistarono in grazia di qualità più appariscenti. Egli giudicava rettamente delle vere disposizioni dell'opinione pubblica e delle condizioni morali ed economiche del paese, e ciò lo rendeva decisamente avverso ad una politica di avventure. (Alessandro Guiccioli)
- Lanza, ministro dell'istruzione pubblica, è uomo d'animo; dotato di vigore e di fermezza, più che d'accorgimento, si tien forte al proposito, e vince d'ostinazione. Forse gli han dato un portafoglio non di sua vocazione, ma è uomo sincero, coscienzioso, solerte, fermo al dover suo, attento al disimpegno de' doveri altrui. Se non come Ministro, varrà sempre tesori come primo uffiziale. (Antonio Gallenga)
- Carattere indipendente, sinceramente devoto al re e al suo grande ministro[5], non esitava a dir loro in faccia schiettamente il proprio parere. «Rustico» lo definiva il primo, cui, qualche volta, non andava tanto a genio il fare asciutto e casalingo del Lanza; ma gli voleva bene ugualmente.
- Non aveva altro desiderio, se non quello di trascorrere in pace l'ultimo tempo della vita. In pace e assai modestamente, perché anche per lui si poteva dire, come per altri uomini di quella grande generazione di costruttori disinteressati, «il potere in Italia non ha arricchito nessuno». L'uomo politico che pagava il biglietto ferroviario ogni volta che viaggiava per proprio interesse, non aveva mai trovato il denaro necessario per condurre sua moglie a Roma.
- Uscito dal governo nel '73[6], dirà, caduta la Destra, di sentirsi ormai «una moneta fuori corso». Come la maggior parte degli uomini della Destra stessa, era incapace di rendersi conto del mutamento degli ideali e delle nuove esigenze dei tempi.
Note
[modifica]- ↑ Citato in Licurgo Cappelletti, Storia di Vittorio Emanuele II e del suo Regno, Voghera Enrico tipografo, Roma, 1892, vol. I, cap. IV, p. 94.
- ↑ Dal Discorso di insediamento alla Presidenza della Camera del Regno di Sardegna, VII legislatura, 12 aprile 1860; disponibile su Camera.it.
- ↑ Dal Discorso di insediamento alla Presidenza della Camera del Regno d'Italia, X legislatura, 9 dicembre 1867; disponibile su Camera.it.
- ↑ Citato in Alberto M. Ghisalberti, Italia dal 1870 al 1915 (Fatti e figure), collana Classe unica n. 20, Edizioni Radio Italiana, Torino, 1954?, cap. 2, pp. 15-16.
- ↑ Vittorio Emanuele II e Cavour.
- ↑ Il 10 luglio 1873 era caduto il governo presieduto da Lanza.
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