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John Ruskin

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John Ruskin

John Ruskin (1819 – 1900), scrittore, pittore, poeta e critico d'arte inglese.

Citazioni di John Ruskin

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  • È un grande artista colui che ha incorporato nel suo lavoro il maggior numero delle più grandi idee.
He is the greatest artist who has embodied, in the sum of his works, the greatest number of the greatest ideas.[1]
  • Fra tutti i veleni della meccanica che ci ha propinato questo terribile XIX secolo, non possiamo non annoverare il sano antidoto che è il dagherrotipo, È davvero un'invenzione benedetta, ecco cos'è. Oggi ho ripercorso in lungo e in largo piazza san Marco nel dagherrotipo e ho notato dei particolari a cui non avevo fatto caso sostando nel luogo reale. È proprio una bella cosa poter contare su ogni dettaglio, sapere quindi non solo che il pittore è assolutamente onesto, ma che non può permettersi di fare nemmeno un errore. Ho ritratto in questa maniera Palazzo Foscari sino all'ultimo mattone e quindi ho schedato San Marco riprendendola sopra, sotto e tutt'attorno.[2]
  • I libri si possono dividere in due gruppi: quelli «dell'ora» e quelli «di sempre».[3][4]
  • Il manierismo di Canaletto è il più degradato che io conosca in tutto il mondo dell'arte. Esercitando la più servile e sciocca imitazione, esso non imita nulla se non la vacuità delle ombre, né offre singoli ornamenti architettonici, per quanto esatti e prossimi. [...] Né io né chiunque altro avrebbe osato dire una parola contro di lui: ma si tratta d'un piccolo, cattivo pittore, e così continua dovunque a moltiplicare e aumentare gli errori.[5]
  • Il miglior riconoscimento per la fatica fatta non è ciò che se ne ricava, ma ciò che si diventa grazie a essa.[6]
  • Il mondo non può diventare tutto un'officina... come si andrà imparando l'arte della vita, si troverà alla fine che tutte le cose belle sono anche necessarie.[7]
  • [Il Cervino] [...] il più nobile scoglio d'Europa [...][8]
  • L'arte migliore è quella in cui la mano, la testa e il cuore di un uomo procedono in accordo.
Fine art is that in which the hand, the head, and the heart of man go together.[9]
  • La cosa più nobile che lo spirito umano possa fare a questo mondo è vedere qualcosa, e dire in modo diretto quello che ha visto. Ci sono centinaia di persone che sanno parlare per una sola che sa pensare; ma migliaia sanno pensare per una che sa vedere. Vedere chiaramente è al contempo poesia, profezia e religione.[10]
  • La perfezione nel disegno a chiaroscuro sta tra questi due maestri; Rembrandt e Dürer. Rembrandt è spesso troppo molle e vago; e Dürer è un po' secco e non sa produrre l'effetto del nebuloso e dell'incerto.[11]
  • La qualità non è mai casuale; è sempre il risultato di uno sforzo intelligente.[12]
  • La vita senza operosità è peccato, l'operosità senza arte è brutalità.
Life without industry is guilt, and industry without art is brutality.[13]
  • Le grandi nazioni scrivono le loro autobiografie in tre manoscritti: il libro delle loro azioni, quello delle loro parole e quello della loro arte.
Great nations write their autobiographies in three manuscripts—the book of their deeds, the book of their words, and the book of their art.[14]
  • Le menti più pure e più pensose sono quelle che amano i colori.
The purest and most thoughtful minds are those which love colour the most.[15]
  • [A proposito dell'opera di Whistler, Nocturne in Black and Gold] Mai mi sarei aspettato di sentire un bellimbusto chiedere duecento ghinee per sbattere in faccia al pubblico un barattolo di pittura.[16]
  • Nessuno che non sia un grande scultore o pittore può essere architetto. Se non è uno scultore o un pittore, può essere solo un costruttore.[17]
  • Non insegnate ai vostri fanciulli mai nulla di cui non siete voi stessi assolutamente sicuri. Poiché è meglio che essi ignorino mille verità piuttosto che abbiano nel loro cuore una sola menzogna.[18]
  • Oggidì, dubito assai che vi sia un artista nell'Inghilterra, salvo David Roberts, che sappia tanto di prospettiva da poter disegnare nella giusta proporzione un arco gotico ad un angolo dato e ad una data distanza. Turner, sebbene fosse professore di prospettiva all'Accademia Reale, non sapeva quello che insegnava, né mai disegnò, per quanto mi ricordi, una sola fabbrica in giusta prospettiva; ma le disegnava solo con quel tanto di prospettiva che gli fosse convenuto. E così pure Prout. Io non li giustifico; e raccomando allo studioso di trattare la prospettiva almeno con un certo e doveroso riguardo, ma non di farle troppo la corte.[19]
  • Quando costruiamo, pensiamo che stiamo costruendo per sempre.[20]
  • Quando dico che la guerra è la fonte di tutte le arti: con ciò voglio dire che è la fonte di tutte le grandi virtù e di tutte le facoltà degli uomini; che tutte le nazioni hanno appreso in guerra la precisione dei termini del pensiero; che hanno tratto profitto durante la guerra e sono decadute durante la pace; che sono state istruite dalla guerra e tradite dalla pace; in una parola, che sono nate nella guerra e grazie alla guerra e che sono morte nella pace e a causa della pace.[21]
  • Questa è la vera natura della casa: il luogo della pace; il rifugio, non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia.[22]
  • Ricordati che le cose più belle del mondo sono anche quelle più inutili: i pavoni e i gigli, ad esempio.[23][4]

Diario italiano 1840-1841

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  • Genova, al nostro entrarvi, sì e no visibile in un crepuscolo foriero di tempesta, con i lampi che balenavano dietro il Faro e le navi che rollavano paurosamente sull'onda lunga del golfo. Eccomi di nuovo, dopo sette anni, a contemplare da sopra queste balconate di marmo il golfo di Genova, ma con più pena che piacere: molto di entrambi. Vi sono alcune belle imbarcazioni all'ancora in porto, come quella in margine, [a margine è disegnata a matita una barca] e il cielo è marezzato da linee luminose di frammenti di nuvole, rottami di una tremenda tempesta che mi ha svegliato prima dell'alba, abbattendosi con fragore lungo la stretta via oltre la mia finestra: la pioggia, da quel momento, è caduta a cateratte. (lettera del 31 ottobre 1840, p. 19)
  • Ieri in quattro palazzi, a mo' di penitenza; visto un solo Raffaello,[24] ma valeva la pena fare mille miglia. Sempre un cortile aperto, dentro, con archi e grandiosa concezione dell'effetto all'interno. (lettera del 1° novembre 1840, pp. 19-20)
  • [...] eseguito qualche schizzo della Cattedrale: devo prendere nota con cura, domani. Per ora, ho solo un'impressione generale di cose marmoree. (lettera del 1° novembre 1840, pp. 19-20)
  • Le donne [di Genova] quasi tutte di una bruttezza incredibile, ma qualche volto grazioso, quando c'era, messo in risalto dal velo bianco. Una ragazza vendeva castagne, profilo nobile e capelli biondi, bellissima; ma giallognole, per la maggior parte, e mal fatte. Tuttavia, l'effetto del costume, per la strada, veramente delizioso. (lettera del 1° novembre 1840, pp. 19-20)
  • Nel ritornare, veduta dal molo della città, [Genova] raggruppata in modo massiccio, sostenuta da archi sopra neri strati verticali di calcare, contro i quali si abbatte l'onda lunga e pesante del mare. Gli Appennini di un blu livido alle spalle, con frammenti di luce dorata fra i crinali, e l'intera parte occidentale del golfo fosca di tempesta. Buio pesto nelle strette viuzze mentre rientriamo, ma aria mite come fossimo in giugno, e una falce di luna che ora splende sulle onde del porto, in un cielo buio e perfettamente sereno. (lettera del 1° novembre 1840, pp. 19-20)
  • Il vaso verde smeraldo un falso anche più falso di quanto avessi immaginato: misero vetro. (lettera del 2 novembre 1840, pp. 20-21)
  • [Su Genova] Di nuovo a disegnare sul molo; tratto caratteristico dei portici, che corrono lungo l'intera città, bui come la pece e sudici, e in alto madonne in tutti gli angoli. Per tutta la città, questa è una cosa che colpisce: al di sotto dei portici, angoli di linea squisitamente morbida, ricchissima di ornamenti, con piccole immagini delicate; e immagini sopra quasi tutte le porte. Qui le strade, strettissime, mancano di effetto, bianche con semplici finestre quadrate. Di tanto in tanto una caditoia che sporge, o un bello stipite di marmo tutto arabescato, ma niente di sontuoso sulle facciate vere e proprie. (lettera del 2 novembre 1840, pp. 20-21)
  • [Su Genova] Tutti veli bianchi, e un immenso contrasto tra gli uomini e le donne: spesso una signora ben vestita, o qualcosa di apparentemente tale, appoggiata al braccio di uno sciatto ciabattino con un'aria da vagabondo. Moltissimi begli occhi, e labbra, ogni tanto, ma niente altro: brutto incarnato, tutte. (lettera del 2 novembre 1840, pp. 20-21)
  • [...] la Cattedrale all'esterno è orribile. Sopportabile il portico — in un grazioso alternarsi di marmo bianco e nero — ma la parte superiore di pessimo gusto, tutta a strisce come una zebra: detestabile. Sempre meglio di Orléans, tuttavia; brutta soltanto, ma non volgare. Molto imponente l'interno: il bianco e nero confinato a coronare due file di archi: bassa e a tutto sesto la superiore, su piccole colonne corinzie; l'inferiore ogivale, con grandi capitelli corinzi e colonne di marmo rosso. Tra gli archi, nervature nere, ma c'è ben poca luce, per cui non disturbano. Sopra l'altar maggiore, un gruppo bronzeo di grande potenza; dietro, finestre di un cupo cremisi: cinque, rotonde, e la parete fra l'una e l'altra riccamente scolpita. (lettera del 2 novembre 1840, pp. 20-21)
  • La Chiesa dell'Annunciazione colpisce per il soffitto affrescato, e per le colonne di marmo bianco scanalate in rosso. (lettera del 2 novembre 1840, pp. 20-21)

Sulla ricchezza

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  • La vera ricchezza
    Non c'è altra ricchezza che la vita. La vita che include tutte le forze dell'amore, della gioia e dell'ammirazione. Il paese più ricco è quello che nutre il più gran numero di esseri umani nobili e felici; l'uomo più ricco è quello che, avendo perfezionato le funzioni della propria vita al più alto grado possibile, ha anche la più vasta influenza, sia con la sua persona che con i suoi mezzi, nel soccorrere la vita altrui. (Unto this last, IV, § 77)
  • Economia "pratica"
    I capitalisti, quando non sanno cosa fare col loro denaro, convincono i contadini di diversi paesi che ciò che occorre loro sono fucili per spararsi gli uni con gli altri. I contadini perciò comprano i fucili, prodotti dalle fabbriche dalle quali i capitalisti traggono i loro dividendi e gli uomini di scienza il loro divertimento e la loro reputazione.
    I contadini cominciano a spararsi a vicenda, in buon numero, finché non sono stanchi, e si bruciano gli uni gli altri le case. Dopodiché mettono giù i fucili e li conservano in torri, arsenali ecc., composti in trofei ornamentali (i vincitori portano anche qualche bandiera sbrindellata nelle chiese). Allora i capitalisti li tassano entrambi, vincitori e vinti, perché paghino annualmente gli interessi sul denaro anticipato per i fucili e la polvere da sparo.
    Questo è ciò che i capitalisti chiamano "sapere cosa fare col proprio denaro", e ciò che tutti gli uomini del commercio chiamano l'economia politica "pratica", che è cosa ben diversa da quella "sentimentale". (Munera pulveris, prefazione, § 19)
  • Il capitale
    Il migliore e più semplice simbolo del capitale è un vomere ben fatto.
    Ora, se tale vomere non facesse altro che generare altri vomeri, come una proliferazione di polipi, per quanto il grande grappolo di vomeri-polipi scintilli al sole, avrebbe perso la propria funzione di capitale.
    Esso infatti diviene vero capitale solo attraverso un altro genere di splendore, quando è visto splendescere sulco, divenire splendente nel solco; piuttosto che con l'accrescimento della sua sostanza con la sua diminuzione, per il nobile sforzo dell'attrito. Perciò la vera domanda che dovrebbe essere familiare ad ogni capitalista, come ad ogni nazione, non è "quanti aratri hai?", ma "dove sono i tuoi solchi?", non "quanto rapidamente quel capitale si riproduce?", ma "cosa fa durante la sua riproduzione?" Che sostanza fornisce, che sia buona per la vita? Che opera costruisce, per proteggere la vita? Se non fa nulla di ciò il suo riprodursi è inutile – e se fa peggio che nulla (perché il capitale, così come può sostenerla, può anche distruggere la vita), la sua riproduzione è peggio che inutile; è un prestito con ipoteca di Tisifone, e non è in alcun modo un vantaggio. (Unto this last, IV, § 73)

Vera e falsa arte

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  • Il fine dell'arte è serio come quello di tutte le cose belle: dei cieli azzurri e dell'erba verde, delle nuvole e della rugiada. O sono inutili, oppure hanno una funzione molto più profonda di quella di dare divertimento. Qualunque maggiore o minore diletto noi troviamo in esse, è diverso da quello che traiamo da un gioco o riceviamo da una momentanea sorpresa. Sarebbe materia di una certa difficoltà metafisica il definire la differenza fra i due generi di piacere, ma è semplicissimo per ciascuno di noi avvertire che c'è una differenza di genere fra il piacere di assistere ad una commedia e quello di guardare il sorgere del sole.
    Non che manchi una sorta di Divina Commedia – una drammatica mutazione e potenza – nelle cose belle; la gioia della sorpresa e dell'accidente si mescola, in un modo nobile e durevole, nella musica, nella pittura, nell'architettura e nella stessa bellezza naturale con la perfezione di forma e colore eterni.
    Ma quando il desiderio del cangiamento diviene la cosa principale, quando non curiamo altro che nuovi suoni, nuove immagini e nuove scene, allora è perduta per noi ogni capacità di godere della Natura e dell'Arte ed ha preso il suo posto un fanciullesco amore per i giocattoli. (The Cestus of Aglaia, VIII, § 99)
  • Questa furia per la visione di nuove cose dalla quale siamo oggi infetti ed afflitti, sebbene risulti in parte dal fatto che tutto è divenuto oggetto di commercio, è ancora di più la conseguenza della nostra sete per l'opera drammatica anziché per quella classica. Perché quando noi siamo interessati alla bellezza di qualcosa, quanto più spesso la vediamo tanto meglio.
    Ma quando siamo interessati solo alla vicenda di una cosa, ci stanchiamo di sentire la stessa vecchia storia raccontata tante volte, che si ferma sempre allo stesso punto – e vogliamo subito una nuova storia, nuova e migliore – e il quadro del momento, il romanzo del momento, divengono altrettanto effimeri dell'acconciatura e del copricapo del momento. Questo atteggiamento è totalmente avverso all'esistenza di ogni arte degna di essere amata. Se pensi di gettarla via domani, non puoi neppure averla oggi. (Modern Art, § 16)

Incipit di alcune opere

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Le pietre di Venezia

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Dal giorno in cui gli uomini hanno affermato il loro dominio sul mare, tre Stati, degni d'essere ricordati, sono sorti sopra le sue sabbie: Tiro, Venezia e Inghilterra. Della prima di queste grandi potenze non rimane che la memoria, della seconda le rovine; in quanto alla terza che è oggi l'erede delle due prime, se dimentica il loro esempio può essere condotta, quantunque di più orgogliosa grandezza, ad una fine meno rimpianta.

Mattinate fiorentine

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Prima mattinata

Santa Croce
1. – Giotto è sicuramente, fra tutti gli artisti, quello cui più si conviene d'essere studiato in Firenze, se pur l'arte antica ha per voi qualche attrattiva.
Vi sono, è vero, lavori suoi in Assisi, ma forse non avrete agio di rimanere colà quanto basti; e i molti esistenti a Padova rispecchiano un solo periodo dell'arte sua. Mentre a Firenze, sua città nativa, ne troviamo di ogni data e di ogni genere. Preferibile però sarà di vedere, innanzi tutto, ciò che appartiene al suo miglior tempo e alla sua migliore maniera. Avendo egli lavorato dai dodici ai sessanta anni, ci ha lasciato pitture di piccole e grandi dimensioni, ha trattato soggetti che poco lo commovevano con una certa trascuratezza, ha messo in altri tutto il suo cuore. Terza mattinata

Dinanzi al Soldano
Vi prego di credermi sulla parola se vi dico che Giotto era un autentico etrusco-greco del XIII secolo benché convertito alla religione di San Francesco piuttosto che a quella di Ercole, ma, quanto a dipingere, era proprio il vecchio etrusco di sempre.

Citazioni su John Ruskin

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  • [Riferendosi alla mancata consumazione del matrimonio da parte del marito] Egli ha addotto varie ragioni, l'odio per i bambini, motivi religiosi, il desiderio di preservare la mia bellezza, e, infine, l'anno scorso mi ha detto il suo vero motivo... egli aveva immaginato che le donne fossero molto diverse dall'immagine che aveva trovato in me e che la ragione per cui non mi ha fatto sua moglie era perché aveva trovato disgusto per le mie fattezze corporee, la prima serata, il 10 aprile. [il giorno delle nozze, 10 aprile 1848] (Effie Gray)
  • John Ruskin è stato un gran scrittore [...]. Suppongo che la maggior parte dei membri dell'ashram sappiano che uno dei suoi libri [Unto This Last] ebbe grande influenza su di me e fu questo libro che mi spinse a cambiare in modo significativo la mia vita, praticamente all'istante.
    [...] ciò che Ruskin ha spiegato con la sua prosa erudita e raffinata ai lettori inglesi, racchiude praticamente le stesse idee che noi discutiamo col nostro linguaggio grossolano e che stiamo cercando di mettere in pratica. Io qui non sto paragonando due linguaggi, ma due scrittori. Non posso nemmeno sperare di eguagliare la padronanza di linguaggio di Ruskin, ma arriverà un giorno in cui l'amore per la nostra lingua diventerà universale e avremo scrittori come Ruskin che dedicheranno se stessi, cuore e anima, a questo scopo e che scriveranno in vigoroso gujarati come l'inglese di Ruskin. (Mahatma Gandhi)
  • John Ruskin, la cui critica è un rivivere, uno scomporre e un ricreare ditirambico e chiaroveggente. (Hugo von Hofmannsthal)
  • Quel quid divino che Ruskin sentiva in fondo al sentimento ispiratogli dalle opere d'arte era precisamente quel che tale sentimento aveva di profondo, di originale e che si imponeva al suo gusto senza essere suscettibile di modificazione. (Marcel Proust)
  • Ruskin è un profeta, anche se è stato un grande peccatore, e un profeta inascoltato per quel che vi è di più essenziale nella sua parola. (Lionello Venturi)
  • Temperamento d'artista, impressionabile, eccitabile, volubile, ricco di sentimento dava tono dommatico e forma apparente di teoria, in pagine leggiadre ed entusiastiche ai suoi sogni e capricci. (Benedetto Croce)

Note

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  1. Da Modern Painters, 1843-1860, vol. I, I, cap. II, sez. 9 (1843).
  2. Da una lettera al padre da Padova, 15 ottobre 1845. Citato in Arturo Carlo Quintavalle, Gli Alinari, Alinari, Firenze, 2003, p. 37. ISBN 9788872924372
  3. Da Of Kings' Treasuries, in Sesamo e gigli.
  4. a b Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, Milano, 2013. ISBN 9788858654644
  5. Da Modern Painters, 1843 – 1860; citato in Canaletto, I Classici dell'arte, a cura di Cinzia Manco, Rizzoli – Skira, Milano, 2003, pp. 181-188.
  6. Citato in Selezione dal Reader's Digest, settembre 1997.
  7. Da I luoghi dell'arte, vol. 5.
  8. Da Stones of Venice, 1898, vol I, p. 59. Citato in Guido Rey, Il monte Cervino, prefazione di Edmondo De Amicis, illustrazioni di Edoardo Rubino, nota ecologica di Vittorio Novarese, Ulrico Hoepli, Milano, 1904; ristampa anastatica Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2000, p. 25. ISBN 88-203-2840-2
  9. Da The Two Paths, Lecture II: "The Unity of Art", sezione 54, 1859.
  10. Citato in Umberto Veronesi, Dell'amore e del dolore delle donne, Einaudi, Torino, 2010, p. 156. ISBN 978-88-06-20133-3
  11. Da Elementi del disegno e della pittura, traduzione di E. Nicolello, Fratelli Bocca, Torino, 1898, p. 75.
  12. Citato in AA.VV., Come funziona il management, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2021, p. 41. ISBN 9788858035184
  13. Da Lectures on Art, 1870, III.
  14. Da St. Mark's rest; the history of Venice, 1877.
  15. Da Le pietre di Venezia, vol. II, cap. V, sez. 30.
  16. Da Fors Clavigera
  17. Da Lectures on Architecture and Painting. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  18. Citato in Masal Pas Bagdadi, Dizionario affettivo, Giunti, Firenze – Milano, 2011, p. 13.
  19. Da Elementi del disegno e della pittura, traduzione di E. Nicolello, Fratelli Bocca, Torino, 1898, Prefazione dell'Autore, pp. XXXVIII-XXXIX.
  20. Da Le sette lampade dell'architettura, traduzione di Renzo Massimo Pivetti, Jaca Book, Milano, 2007, p. 219.
  21. Da La corona di olivo selvatico; citato in Henry de Montherlant, Il solstizio di giugno, traduzione di Claudio Vinti, Akropolis, Napoli, 1983, pp. 139-140.
  22. Da Sesamo e gigli.
  23. Da Le pietre di Venezia, vol. I, cap. II, sez. 17.
  24. Secondo il curatore potrebbe essere la Madonna della Colonna nel Palazzo Pallavicini

Bibliografia

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  • John Ruskin, Diario italiano 1840-1841, traduzione di Hilia Brinis, Mursia, Milano, 1992
  • John Ruskin, Le pietre di Venezia (The Stones of Venice), traduzione di A. Tomei, Vallecchi, 1974.
  • John Ruskin, Mattinate fiorentine (Mornings in Florence), traduzione di O.H. Giglioli, Vallecchi, 1974.

Altri progetti

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