Michail Afanas'evič Bulgakov

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
(Reindirizzamento da Michail Bulgakov)
Michail Afanas'evič Bulgakov nel 1928

Michail Afanas'evič Bulgakov (1891 – 1940), scrittore e drammaturgo russo.

Citazioni di Michail Afanas'evič Bulgakov[modifica]

  • [All'amico Popov] Ed ecco, alla fine del mio lavoro letterario sono stato costretto a fare una riduzione. Che brillante finale, non ti pare? Anime morte non può essere ridotto in forma scenica. Prendilo come assioma enunciato da un uomo che conosce bene il romanzo. Mi hanno detto che esistono centosessanta versioni sceniche. Può essere, ma in ogni caso è un'impresa impossibile.[1]
  • Io sono uno scrittore mistico. Mi servo di tinte cupe e mistiche per rappresentare le innumerevoli mostruosità della nostra vita quotidiana, il veleno di cui è intrisa la mia lingua, la trasfigurazione di alcune terribili caratteristiche del mio popolo.[2]

Memorie di un giovane medico[modifica]

Morfina[modifica]

Incipit[modifica]

Le persone intelligenti sanno da sempre che la felicità è come la salute: quando la possiedi, non te ne accorgi. Ma quando passano gli anni, allora ti torna in mente, oh se ti torna in mente.[3]

Citazioni[modifica]

  • Tutte le sensazioni sgradevoli si interrompono completamente. È il punto culminante della manifestazione della forza spirituale di un uomo.
  • Non «una condizione di depressione», ma una lenta morte s'impossessa del morfinomane se solo per un'ora o due lo private della morfina. L'aria non nutre, non la si può inghiottire... Nel corpo non c'è una sola cellula che non brami... che cosa? Questo non può essere in alcun modo definito, o spiegato. In poche parole, l'uomo non c'è. È disinnescato. Quello che si muove, s'angoscia, soffre è un cadavere. Non vuole niente, non pensa a niente che non sia la morfina. La morfina!
  • Il morfinomane ha una fortuna, che nessuno gli può sottrarre, ed è la capacità di condurre la vita in completa solitudine. E la solitudine implica dei pensieri importanti, pieni di significato, implica contemplazione, tranquillità, saggezza...

Io ho ucciso[modifica]

Incipit[modifica]

Il dottor Jašvin sorrise d'un sorrisetto storto e strano, e pose questa domanda: «Si può staccare il foglietto dal calendario? Adesso sono le dodici in punto, significa che ha avuto inizio il due».

Citazioni[modifica]

  • Ah, che stelle ci sono in Ucraina. Ecco, sono sette anni che vivo a Mosca, e comunque sono ancora attratto dalla patria. Il cuore si stringe, a volte si prova il desiderio tormentoso di prendere il treno... E andare laggiù. Rivedere i dirupi sepolti dalla neve. Il Dnepr... Al mondo non esiste città più bella di Kiev.

Cuore di cane[modifica]

Incipit[modifica]

Nadia Cicognini[modifica]

U-u-u-u-u-uhu-hu-huuu! Oh, guardatemi, sto per morire! La tempesta nel portone mi ulula il de profundis e io mugolo con lei. Sono finito, finito! Una canaglia col berretto bisunto, il cuoco della mensa per l'alimentazione normale degli impiegati del Soviet Centrale dell'Economia Nazionale, mi ha versato addosso dell'acqua bollente e mi ha scottato il fianco sinistro. Che bestia, e pensare che è un proletario! Oh, Signore, mio Dio che male! L'acqua bollente mi ha corroso l'osso e adesso mugolo, mugolo, mugolo, ma serve forse a qualcosa?

Giovanni Crino[modifica]

U-u-u-u-u-u-hu-hu-huu!... guardatemi, muoio. E il mio ululato si confonde con quello della tormenta che così, attraverso il portone, mi canta la sua messa da morto. È finita per me, proprio finita. Un individuo schifoso, con quel suo lurido berretto, il cuoco della mensa per l'alimentazione normale degli impiegati del Consiglio Centrale dell'Economia Nazionale, si è preso il gusto di sbattermi addosso una pentola d'acqua bollente e mi ha mandato in malora il fianco sinistro. Brutta carogna! E sì ch'è un proletario!... Santissimo Iddio, che male mi fa! Quell'acqua diabolica m'ha lessato la carne fino all'osso, e ho un bell'ululare, tanto non serve a nulla!

Viveka Melander[modifica]

Uuuuhhh! Guardatemi sto morendo. La bufera nel portone mi urla il de profundis e io ululo con lei. Sono finito, finito. Un delinquente col berretto sporco, il cuoco della mensa degli impiegati del Consiglio Centrale dell'Economia Nazionale, mi ha rovesciato addosso dell'acqua bollente e mi ha bruciato il fianco sinistro. Che bestia! E sì che è un proletario! Signore santissimo, che dolore! Quella maledetta acqua bollente mi ha ustionato fino alle ossa e adesso ululo, ululo, ululo, ma serve forse a qualcosa?

Citazioni[modifica]

  • Fra tutti i proletari, i portinai sono la razza più abbietta, l'infima categoria: autentici rifiuti umani. (1979, p. 17)
  • Oggi sono presidente, e tutto quel che rubo voglio spendermelo in donne, gamberetti e champagne. Ne ho fatto abbastanza di fame quand'ero giovane, ora basta, e quanto alla vita ultraterrena... tanto, non c'è. (1979, p. 19)
  • Col terrore non si ottiene nulla da nessun animale qualunque sia il suo grado di sviluppo. L'ho sempre affermato, lo affermo e lo affermerò sempre. È inutile credere di poter fare qualcosa con il terrore. (1979, pp. 33-34)
  • Ma ora mi pongo la domanda: a che pro? Per trasformare un simpaticissimo cane in una schifezza che fa rizzare i capelli?

Citazioni su Cuore di cane[modifica]

  • In Cuore di cane è il comico e il grottesco a prevalere sul tragico: niente drammi e catastrofi, ma soltanto guai spiacevoli e innumerevoli scocciature, dietro le quali si avverte la presenza costante del sorriso dell'autore. (Giovanni Albertocchi)

Il Maestro e Margherita[modifica]

Incipit[modifica]

Salvatore Arcella[modifica]

Era l'ora straordinariamente calda del tramonto di una giornata di primavera. Agli stagni Patriarsie giunsero due cittadini. Il primo indossava un vestito grigio, era basso di statura, corpulento, calvo, teneva in mano il suo bel cappello a forma di tortellino e sul volto ben rasato aveva poggiato un paio di occhiali smisurati con la montatura di corno. Il secondo – un giovanotto muscoloso che sui capelli rossi e arruffati portava un berrettino a quadri messo sulle ventitré – aveva una camicia da «cow boy», pantaloni bianchi sgualciti e scarpe nere.
[Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, traduzione di Salvatore Arcella, Newton & Compton, 1994.]

Vera Dridso[modifica]

Non parlare mai con sconosciuti

Nell'ora di un caldo tramonto primaverile apparvero presso gli stagni Patriaŝie due cittadini. Il primo – sulla quarantina, con un completo grigio estivo – era di bassa statura, scuro di capelli, ben nutrito, calvo; teneva in mano una dignitosa lobbietta, e il suo volto, rasato con cura, era adorno di un paio di occhiali smisurati con una montatura nera di corno. Il secondo – un giovanotto dalle spalle larghe, coi capelli rossicci a ciuffi disordinati e un berretto a quadri buttato sulla nuca – indossava una camicia scozzese, pantaloni bianchi spiegazzati e un paio di mocassini neri.
Il primo altri non era che Michail Aleksandrovič Berlioz, direttore di una rivista letteraria e presidente di una delle più importanti associazioni letterarie di Mosca, chiamata con l'abbreviazione MASSOLIT[4]; il suo giovane accompagnatore era il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, che scriveva sotto lo pseudonimo Bezdomnyj[5].
[Michail Bulgakov, Il maestro e Margherita, traduzione di Vera Dridso, Gli Struzzi Einaudi, 1970]

Maria Serena Prina[modifica]

Nell'ora di un caldo tramonto di primavera agli stagni Patriaršie fecero la loro comparsa due cittadini. Il primo, sui quarant'anni, indossava un completo estivo tendente al grigio, era basso di statura, scuro di capelli, ben pasciuto, stempiato, teneva in mano una dignitosa lobbietta e aveva il volto accuratamente rasato e sormontato da un paio di occhiali dalle dimensioni addirittura sovrannaturali, con una montatura di corno nero. Il secondo, un giovinotto dalle spalle larghe, fulvastro, tutto arruffato e con un berretto a quadretti spinto all'indietro sulla nuca, indossava una camicia da cow-boy, pantaloni bianchi tutti spiegazzati e un paio di scarpette leggere, nere.
Il primo altri non era che Michail Aleksandrovič Berlioz, il direttore di una grossa rivista letteraria e presidente di una delle massime associazioni letterarie di Mosca, nota con la sigla MASSOLIT, mentre il suo giovane compagno era il poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv, in arte Bezdomnyj.
[Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, traduzione di Maria Serena Prina, Mondadori, 2005]

Citazioni[modifica]

  • "Se non ho sentito male, lei stava dicendo che Gesù non è mai esistito?" chiese cortesemente lo straniero. "No, non ha sentito male" disse Berlioz. Ah, com'è interessante!, e, scusate se sono importuno, voi oltretutto non credete neppure in Dio? – fece gli occhi impauriti e aggiunse – giuro che non lo dirò a nessuno". "Sì, noi non crediamo in Dio, siamo atei – rispose Berlioz sorridendo della paura del turista straniero – ma se ne può parlare con assoluta libertà". A questo punto il forestiero si alzò e strinse la mano all'allibito direttore dicendo: "Permetta che la ringrazi di tutto cuore dell'informazione che per me, viaggiatore, è eccezionalmente interessante! – e lo straniero volse lo sguardo impaurito alle case attorno, quasi temesse di vedere un ateo ad ogni finestra – ma ecco il problema che mi turba: se Dio non esiste, allora, mi domando, cosa dirige la vita umana e in generale tutto l'ordine della terra?" "L'uomo stesso li dirige" si affrettò a rispondere Bezdomnyj irritato. "Chiedo scusa – replicò dolcemente lo sconosciuto – ma per dirigere bisogna per questo avere un piano preciso per un periodo di tempo almeno rispettabile. E come può dirigere l'uomo, se non soltanto gli manca la possibilità di fare un piano anche per un periodo di, poniamo mille anni, ma non può disporre neppure del proprio domani? Immagini che lei, ad esempio, cominci a dirigere, a disporre di sé e degli altri, insomma a prenderci gusto, quando improvvisamente le capita… eh… eh… un sarcoma al polmone – e lo straniero socchiuse gli occhi come un gatto – ed ecco che tutto il suo dirigere è finito! Nessun destino, a parte il suo, le interessa più. I parenti cominciano a mentirle mentre lei si precipita prima dagli specialisti, poi dai ciarlatani, se non addirittura dalle chiromanti. E alla fine, colui che s'immaginava di dirigere qualcosa si trova a giacere in una cassa di legno, e gli altri lo cremano in un forno. E capita anche di peggio! Uno ha appena deciso di andare in villeggiatura, un progetto da nulla, sembrerebbe, ma non può attuare nemmeno quello perché tutt'un tratto scivola e finisce sotto un tram!" disse lo sconosciuto strizzando l'occhio a Berlioz, che effettivamente aveva deciso di andare in villeggiatura.
  • Eppure dovrai metterti l'animo in pace, – replicò Woland, e un sorriso beffardo storse la sua bocca. – Non hai fatto in tempo ad apparire sul tetto che hai già detto una sciocchezza, e ti dirò io in che cosa consiste: nel tuo tono. Hai pronunciato le tue parole come se tu non riconoscessi l'esistenza delle ombre, e neppure del male. Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Le ombre provengono dagli uomini e dalle cose. Ecco l'ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quanto c'è di vivo per il tuo capriccio di goderti la luce nuda? Sei sciocco.
  • Margherita aveva sognato un sito sconosciuto, desolato, triste, sotto il cielo fosco della primavera precoce. Aveva sognato quel cielo grigiognolo, pezzato di nuvole trascorrenti e sotto uno stormo silenzioso di cornacchie. Un piccolo ponte rozzo, sotto di esso un un torbido fiumicello primaverile. Alberi malinconici, stenti, semispogli. Una tremula solitaria e più lontano, fra gli alberi, al di là di un orto, una casupola di tronchi, forse una cucina isolata, oppure un capanno da bagno o sa il diavolo che cosa! Tutto intorno un non so che di morto e di così triste, che veniva voglia d'impiccarsi a quella tremula vicino al ponticello. Che sito infernale per una persona viva! (1970)
  • I manoscritti non bruciano. (1994)
  • Le scienze nutrono i giovani e sono la consolazione dei vecchi. La scienza ci abbrevia la vita, che è già breve di suo. (1994)
  • Questo è un fatto. E i fatti sono la cosa più ostinata del mondo. (1994)
  • L'insulto è la ricompensa abituale di un lavoro ben fatto. (1994)
  • Seguimi lettore! Chi ha detto che non c'è al mondo un amore vero, fedele, eterno? Gli taglino la lingua malefica a quel bugiardo! Seguimi lettore e io ti mostrerò un simile amore! No, si ingannava il maestro quando all'ospedale, verso mezzanotte diceva con amarezza a Ivanuska che essa l'aveva dimenticato. Questo non poteva accadere. Lei naturalmente non l'aveva dimenticato. (1994)
  • "Tra le altre cose, gli ho detto" raccontò l'arrestato "che qualsiasi potere rappresenta una forma di violenza sugli uomini, e che arriverà il giorno in cui non esisterà più né il potere dei cesari, né qualsiasi altra forma di potere. L'uomo entrerà nel regno della verità e della giustizia, dove non sarà più necessario alcun potere" (cap. 2, traduzione di M.S. Prina)
  • Che senso ha morire in corsia, con l'accompagnamento dei gemiti e dei rantoli dei malati inguaribili? Non sarebbe meglio organizzare con quei ventisettemila rubli una bella festa e prendere del veleno, trasferirsi nell'altro mondo al suono della musica, circondato da belle ragazze ebbre e da amici scanzonati? (2005, p. 201)
  • Noi abbiamo voluto metterla alla prova, – disse Woland, – non chieda mai nulla a nessuno! Mai nulla a nessuno e tanto meno a quelli che sono più forti di lei. Ci penseranno loro a offrire e daranno tutto. (2005, p. 276)
  • L'amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpì subito entrambi.
    Così colpisce il fulmine, così colpisce un coltello a serramanico! (2005, p. 135)

Citazioni su Il Maestro e Margherita[modifica]

  • Anch'io ho il mio piccolo zaino dal quale estraggo Il Maestro e Margherita di Bulgakov. È uno dei primi romanzi che ho letto quando ero in prigione, a Novara, e ricordo d'esserne rimasto incantato. L'irrompere della vita sotto forma di diavoli e gatti mammoni nella grigia, soffocante atmosfera della Mosca staliniana mi aveva fatto sentire più libero, nonostante fossi rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. (Bruno Morchio)

La guardia bianca[modifica]

Incipit[modifica]

Anjuta Gančikov[modifica]

Grande fu, e terribile, l'anno 1918 dopo la nascita di Cristo, il secondo dall'inizio della rivoluzione. Fu ricco di sole in estate, ricco di neve in inverno, e due stelle stettero particolarmente alte nel cielo: la vespertina Venere, stella dei pastori, e il rosso, fremente Marte.
Ma come frecce, negli anni di pace e negli anni di sangue, volavano i giorni, e i giovani Turbin non si erano accorti che nell'intenso gelo già era giunto il bianco, arruffato dicembre. Oh, Babbo nostro Natale presso l'abete, splendente di neve e di felicità! E tu, mamma, regina di luce, dove sei?
[Michail Bulgakov, La guardia bianca, traduzione di Anjuta Gančikov, Superbur Classici, 2001. ISBN 8817125229]

Serena Prina[modifica]

Grande fu l'anno, e terribile, il 1918 dalla nascita di Cristo, il secondo, dall'inizio della rivoluzione. Fu copioso di sole in estate, e di neve in inverno, e particolarmente alte nel cielo brillarono due stelle: la stella dei pastori, Venere serotina, e Marte, rosso, tremulo.
Ma tanto negli anni di pace che in quelli di sangue i giorni volano come frecce, e i giovani Turbin non si resero conto di come nel gelo intenso fosse arrivato il bianco, ispido dicembre. Oh, il nostro Babbo Natale, scintillante di neve e felicità! Mamma, regina radiosa, dove sei?
[Michail Bulgakov, La guardia bianca, traduzione di Serena Prina, Feltrinelli, Milano, 2019. ISBN 9788858835418]

Citazioni[modifica]

  • Perché mai una simile offesa? Una simile ingiustizia? Perché c'era stato bisogno di portare via la madre, quando tutti si erano riuniti, quando era giunto un momento di sollievo? Dio che volava nel cielo nero, screpolato, non dava alcuna risposta, e lo stesso Nikolka ancora non sapeva che qualsiasi cosa accada, accade sempre così come è necessario, e solo per il meglio.
  • Quando nessuno vede, si può essere se stessi.
  • Come un affastellarsi di favi, vaporava, e rumoreggiava, e viveva la Città. Splendida nel gelo e nella nebbia sulle colline, sopra al Dnepr. Per giorni interi, a spirali, il fumo si levava verso il cielo dagli innumerevoli camini. Le vie fumigavano foschia, e scricchiolava l'enorme quantità di neve ammaccata. E case di cinque, e di sei, e di sette piani si ammucchiavano le une accanto alle altre. Di giorno le finestre erano nere, ma di notte ardevano a file nel blu scuro dell'alto cielo. A piccole catene, fin dove l'occhio poteva arrivare, come pietre preziose, splendevano i globi elettrici, appesi in alto agli uncini di lunghi pali grigi. Di giorno, con un gradevole rombo prolungato, correvano i tram con i gialli sedili di paglia leggera, sul modello di quelli stranieri. Da un declivio all'altro, gridando ai quattro venti, andavano i vetturini, e i colletti scuri – di pelo argentato e nero – rendevano enigmatici e belli i volti delle donne.
    I giardini erano taciturni e quieti, gravati da una neve bianca, intatta. E di giardini in Città ce n'erano così tanti, come in nessun'altra Città al mondo. (2019, p. 97)
  • D'inverno, come in nessun'altra citta al mondo, calava la quiete sulle vie e sui vicoli, tanto della Città alta, sulle colline, che della Città bassa, che si stendeva lungo le anse del Dnepr intirizzito, e tutto il rombo delle macchine si perdeva all'interno degli edifici di pietra, si smorzava e diventava un borbottio sordo. Tutta l'energia della Città, accumulata nel corso di un'estate di sole e temporali, si profondeva in luce. Dalle quattro del pomeriggio la luce cominciava ad ardere nelle finestre delle case, in tondi globi elettrici, nei lampioni a gas, nei fanali delle case con i numeri illuminati, e nelle vetrate a tutta parete delle centrali elettriche, che evocavano il pensiero del futuro elettrico dell'umanità, terribile e irrequieto, con le loro finestre a tutta parete dove si vedevano le ruote scatenate delle macchine che giravano senza posa, squassando fino alla radice le fondamenta stesse della terra. Scintillava di luce e traboccava luce, riluceva e danzava e baluginava la Città, nelle notti, fino al mattino, e al mattino si spegneva, indossava il fumo e la nebbia. (2019, p. 98)
  • Oh, solo colui che è stato a sua volta sconfitto conosce il sapore di questa parola! Assomiglia ad una stanza nella quale si sia guastata l'illuminazione. Assomiglia ad una stanza in cui sulla carta da parati strisci una muffa verde, gravida di una vita malata. Assomiglia a rachitici demoni fanciulli, all'olio rancido, a una bestemmia pronunciata da voci femminili, nel buoi. In una parola assomiglia alla morte.
  • "Signore, i tuoi pope dicono che i bolscevichi finiranno all'inferno. E questo allora," dico, "che è? Loro non credono in Te, e guarda un po' che razza di caserme gli hai preparato." "E così non credono?" domanda.
  • "Per quanto è vero Dio", dico, e io stesso, capisce, mi spavento, suvvia dire a Dio parole del genere! Lo guardo e quello sorride. Ma cosa sto a fare, penso, a raccontargli certe cose che lui conosce meglio di me. Tuttavia sono curioso di sapere quello che dirà. E lui dice: "Se non ci credono," dice, "che ci si può fare? Lasciali perdere. A me la cosa non fa né caldo né freddo. E anche a te," dice, "e anche a loro," dice, "fa lo stesso. Perché a me della vostra fede non viene in tasca un bel niente. Uno crede, un altro non crede, ma vi comportate tutti allo stesso modo; adesso vi pigliate a vicenda per la gola, e per quel che riguarda le caserme, Zilin, qui bisogna capire, Zilin, che voi siete tutti uguali – morti ammazzati sul campo di battaglia. Questo, Zilin, va capito, e non tutti ci riescono. E tu, in generale, Zilin," dice, "non star lì a spaccarti la testa con simili domande. Vivi la tua vita, spassatela."
  • L'uomo ha eretto, senza neppure saperlo, torri, segnali d'allarme e armi per un unico scopo – fare la guardia alla guerra e al focolare degli esseri umani. E per questo che combatte e, a dire il vero, non si dovrebbe combattere per nessun'altra ragione al mondo.
  • Se così avesse fatto, la sua vita sarebbe andata in modo del tutto differente, ma ecco che così non fece. Esiste una forza tale che a volte ti costringe a guardare giù nell'abisso, dall'alto di un monte... che trascina verso il freddo... verso l'abisso.
  • C'era la pace, ed ecco che la pace era stata uccisa. Gli anni passati non tornano.
  • Forse sono i soldi che impediscono di essere simpatici.
  • Il sovrannaturale, nella vita, non esiste. Perché tutto, in essa, è sovrannaturale.
  • Donne del demonio... mai che fossero attratte da una brava persona.
  • Le consiglio caldamente di leggere meno l'Apocalisse... le ripeto che le è dannosa.
  • Fuori la notte continuava a sbocciare. Nella sua seconda metà tutta la pesante azzurrità, il sipario di Dio, che rivestiva il mondo, si ricoprì di stelle. Era come se nell'altezza incommensurabile di là da questa azzurra cortina, accanto alle porte regali, stessero celebrando il vespro che precede le grandi feste. Sull'altare si accendevano i lumini, ed essi trasparivano sul sipario come intere croci, come cespugli e quadrati.
  • Tutto passa. Le sofferenze, i tormenti, il sangue, la fame e la pestilenza. La spada sparirà, e le stelle invece rimarranno, quando anche le ombre dei nostri corpi e delle nostre azioni più non saranno sulla terra. Le stelle rimarranno allo stesso modo immutabili, allo stesso modo scintillanti e meravigliose. Non esiste uomo sulla terra che non lo sappia. Perché allora non vogliamo la pace? Perché non vogliamo rivolgere il nostro sguardo alle stelle? Perché?

Citazioni su La guardia bianca[modifica]

  • La guardia bianca non è solo la storia dei tre fratelli Turbin, colti e raffinati borghesi simpatizzanti della Monarchia, che vivono in mezzo alla tempesta scatenatasi in Città. È un grande affresco corale sulla fine di un mondo, dove tutti vengono chiamati alla lotta e alla verifica dei propri valori. (Fausto Malcovati)
  • Le pagine del romanzo sono interamente percorse da un tragico dilemma: come è possibile conservare un passato così ricco e fecondo, e vivere il presente che lo rinnega? (Fausto Malcovati)

Lettera a Stalin[modifica]

  • Io posso dimostrare, documenti alla mano, che l'insieme della stampa sovietica e le commissioni di controllo del repertorio teatrale sono sempre stati unanimi ad accanirsi contro le mie opere le quali hanno diritto di cittadinanza nell'Unione Sovietica. Io considero la lotta contro la censura, di ogni natura e qualsiasi potere la sostenga, come un dovere dello scrittore allo stesso titolo degli appelli alla libertà di stampa. Io sono un feroce partigiano di questa libertà e dichiaro che uno scrittore che possa farne a meno somiglia ad un pesce che dichiara pubblicamente di poter fare a meno dell'acqua.
  • Una sola volta, allorché io cominciavo ad essere conosciuto, ha dichiarato con una certa soddisfazione: Bulgakov vuol diventare lo scrittore satirico della nostra epoca (Komsomolskaia Pravda, n. 6, 1925). Olé! il verbo volere è usato al presente quando avrebbe dovuto essere usato al passato. Mikail Bulgakov è diventato scrittore satirico in un momento in cui tutto ciò che sfiora i tabù non è assolutamente tollerato.
  • Grazie ai ritagli della stampa sovietica che conservo, ho constatato che negli ultimi dieci anni della mia attività letteraria, mi hanno consacrato 301 critiche di cui solamente tre favorevoli, mentre le 298 erano ostili ed ingiuriose. Attualmente io sono un uomo finito ed il mio annientamento è stato accolto dal pubblico sovietico con grande soddisfazione.
  • Per le mie opere non vi sono speranze. Chiedo dunque al governo sovietico di esiliarmi d'urgenza. Faccio appello allo spirito umanitario del potere sovietico perché mi lasci in libertà, poiché come scrittore nella mia patria, io non sono più utile.

Incipit di alcune opere[modifica]

La vita del signor de Molière[modifica]

Una levatrice, che aveva appreso l'arte nella Divina casa della maternità di Parigi, dall'insegnamento della sua maestra, la famosa Louise Bourgeois, aiutò la gentildonna Poquelin, nata Cressé, a mettere al mondo il 13 gennaio 1622 il suo maschio primogenito, nato prematuramente.

[Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937]

Uova fatali[modifica]

Il professor Pérsikov

La sera del 16 aprile 1928 Vladimir Ipat'evic Pérsikov, professore di zoologia presso la IV Università statale e Direttore dell'Istituto Zootecnico di Mosca, entrò nel suo studio annesso all'Istituto di via Herzen. Accese il globo smerigliato sospeso al centro del soffitto e girò lo sguardo intorno.

[Michail Bulgakov, Uova Fatali, traduzione di Maria Olsufieva, Milano, Bompiani, 1990. ISBN 9788845206450]

Citazioni su Michail Afanas'evič Bulgakov[modifica]

  • Ma figuratevi se invidio gente come Bulgakov, per esempio. Il Maestro e Margherita è un'operina banale infarcita di intellettualismi da quattro soldi. Ma il suo capolavoro è Cuore di cane, zeppo di ripugnante razzismo sociale e di un disgustoso disprezzo per la classe operaia. (Ėduard Limonov)

Note[modifica]

  1. Citato in introduzione a Il maestro e margherita a cura di Fausto Malcovati, traduzione di Vera Drisdo, Einaudi Scuola, 1999.
  2. Citato in Il "Maestro" Bulgakov un veggente che raccontò la Russia dello zar Putin, il Giornale.it, 11 novembre 2013.
  3. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  4. Sigla di «Letteratura di massa».
  5. Senza casa

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]