Michele Lessona

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Michele Lessona

Michele Lessona (1823 – 1894), zoologo, medico, scrittore, senatore italiano.

Citazioni di Michele Lessona[modifica]

  • Il tuo acquario andrà tanto meglio [...] quanto più tu ci baderai. Tienilo nella stanza dove suoli passare il maggior tuo tempo, e guardavi sovente; vedrai scene ora gaie ora terribili, che ti daranno un ben più grande diletto delle scene di commedia che in teatro ti regalano una più alta dose di quella noia che cerchi di fuggire andandovi. Guardalo di buon mattino, guardalo lungo il giorno, guardalo la sera mettendovi improvvisamente un lume dietro, e svegliando in sussulto i suoi abitatori: sempre vedrai cose nuove e meravigliose [...].[1]
  • Ora il Musinè è celebre nei fasti della botanica piemontese e menzionato in tutte le flore per la ricchezza mirabile della sua vegetazione.[2]

Volere è potere[modifica]

Incipit[modifica]

Da molti si è detto, fin dall'antichità, che l'uomo è quale la terra lo produce. I moderni hanno insistito in particolar modo intorno a cosiffatta sentenza, e si sono anche ingegnati di darne la ragione scientifica.
La qualità delle roccie nelle varie contrade, si è detto, i vari rilievi ed avvallamenti de terreni, la direzione e la forza de' venti, le pioggie, i laghi ed i fiumi, il corso delle stagioni, la calda e fredda temperie, tutto quanto infine costituisce la ragione del clima, opera sull' uomo e sullo svolgimento fisico di esso, sulla sua complessione, ne modifica la forza, la longevità, la condizione sociale, morale ed intellettuale.

Citazioni[modifica]

  • Il giornalista italiano è ignorante; salvo belle e poche eccezioni. Dovrebbe conoscere le lingue straniere, la geografia, la storia antica e la moderna, le amministrazioni del nostro paese comparate con quelle degli altri, la statistica, i principii generali della legislazione, tenere il lettore informato di quanto avviene di più rilevante presso le altre nazioni, raffrontare il presente col passato e dedurre prevedimenti per l'avvenire, porgere intorno alle cose di momento che avvengono dentro o fuori un dilettevole e quotidiano ammaestramento. Ma egli non ha quelle cognizioni, né può ammaestrare altrui di ciò che non mai seppe imparare. Che cosa fare allora? Polemica, impreteribilmente polemica. (p. 17)
  • Ah sì, pur troppo: in Italia tutto col governo, tutto pel governo, tutto dal governo, nulla senza il governo. Questo è un malanno terribile, perché così l'uomo non impara mai a fare assegnamento sulle proprie forze, ad osare, a confidare in sé stesso. Questo è un malanno terribile, perché in tal modo il povero governo viene ad essere nel concetto della nazione mallevadore di tutto. (p. 33)

Incipit di alcune opere[modifica]

Carlo Darwin[modifica]

Il Times non ha la pretesa di governare e volgere a sua posta la pubblica opinione ma si contenta di esserne specchio.
Quel giornale, annunziando la morte di Carlo Darwin, ha queste parole:
«....Non è ancora deliberato dove debbano essere sepolti i suoi avanzi mortali, ma il posto della sepoltura deve essere nel tranquillo cimitero del villaggio di Down presso il luogo dove Darwin passò quasi quarant'anni della sua vita....»
Ma la voce potente del popolo inglese gridò che la salma di Carlo Darwin doveva collocarsi nella abbadia di Westminster cogli antichi re e cogli uomini più grandi di quella grande nazione, accosto al Newton. E ciò seguì immediatamente.
L'amplissimo giornale parlò della cosa come se non avesse potuto essere altrimenti e riferì a lungo le onoranze di quella sepoltura.

Carlo Darwin e il gran premio di Torino[modifica]

Addì 4 settembre 1835 il dottore Cesare Alessandro Bressa faceva innovare un testamento nel quale lasciava tutti i suoi averi alla Accademia delle Scienze di Torino, affinché colle rendite di essi l'Accademia desse ogni due anni un premio di dodici mila lire a chi nel biennio avesse fatto qualche insigne od utile scoperta, od opera celebre in fatto di scienze fisiche, naturali, matematiche e storiche. Il dottore Bressa lasciava usufruttuaria dei suoi averi una signora, la signora Claudia Amata Dupêché per tutto il tempo della sua vita. L'Accademia delle Scienze di Torino ebbe libero dalla condizione di usufrutto il lascito Bressa soltanto nel mese di luglio del 1876.

Gli acquari[modifica]

Silvio Pellico tormentato nei piombi dal caldo, dalle zanzare e dai giudici, s'ebbe un conforto ineffabile da uno stuolo di formiche e da un ragno. Le formiche appena s'avvidero della mensa imbandita sulla finestra corsero a chiamare le compagne, ne venne un esercito, e coi bricioli del pane quotidiano dell'immortale prigioniero s'ebbero ben spesso le briciole dei buzzolai della pietosa Zanze: e il ragno gli s'era fatto così famigliare che venivagli sul letto e sulla mano a prendere la preda dalle dita. Onde quando Pellico, ignaro ancora dei patimenti lunghi e crudeli che lo aspettavano, fu tolto ad un tratto da quel carcere dove aveva pur tanto patito, il suo pensiero corse con dolore alle amate formiche, al povero ragno, e pensò che quelle avrebbero sofferto la fame, e temette che potesse venire là qualche nuovo ospite nemico dei ragni, che raschiasse giù colla pantofola quella bella tela, e schiacciasse la povera bestia.

I cani[modifica]

Forse fra meno di un secolo bisognerà andare a cercare i resti della vecchia Turchia in fondo alle più lontane province dell'Asia Minore, come si va a cercare quelli della vecchia Spagna nei villaggi più remoti dell'Andalusia.
Così dice Edmondo De Amicis, e dice che allora a Costantinopoli non vi saranno più i cani, che oggi ne costituiscono una seconda popolazione.

Il mare[modifica]

Fa meraviglia che, in tanta copia di lavori letterari, nissuno abbia pensato mai a raccogliere in un volume le principali cose dette dai poeti intorno al mare.
Ognuno, guardando il mare tranquillo agli splendori del tramonto, o in limpido mattino, o in burrasca, è commosso; ma queste emozioni, l'arcana malinconia, la gioconda festa, la selvaggia sublime voluttà, i poeti hanno, naturalmente, senza paragone più degli altri uomini, sentito e dipinto, e i colori son stati varii, secondo l'indole speciale e la tempra del loro animo e del loro ingegno, il tempo in cui hanno vissuto, il tratto della loro vita in cui hanno scritto.

In Egitto. La caccia della jena[modifica]

Stavamo, al tramonto d'un giorno d'autunno, sul pendio d'una collinetta, una lieta brigata di vostri ospiti; ed io narrava d'un crocchio artistico e letterario torinese, che avea messo nel regolamento il seguente articolo come condizione d'ammissione:
«Art.... Ogni socio, la sera in cui sarà accolto, narrerà in stile sublime la storia della sua vocazione, e in istile dimesso la storia dei suoi primi amori».

L'aria[modifica]

Devo parlare dell'aria: t'assicuro, lettor mio, che mi dà molto pensiero il modo di incominciare. Molti amici miei, che si arrovellano per far imparare al prossimo il modo d'insegnare, mi hanno più volte ricantato che non bisogna adoperare un nome del quale non siasi prima data un'esatta definizione, né servirsi di cognizioni che non siano venute per le vie scientifiche; precetto che un po' troppo rigorosamente applicato, condusse qualche maestro elementare ad insegnare in buona fede ai bambini, quali siano i muscoli che debbono muovere per pronunziare ciascuna vocale e ciascuna consonante dell'alfabeto: dissi insegnare, ma avrei dovuto dire invece fare imparare a memoria un trattatino fisiologico della pronunzia a quei poveretti, i quali te lo ripetono in coro, con quel tono con cui i pappagalli ripetono i vocaboli, i canarini le ariette di musica, e i versi di Dante un mio conoscente professore di declamazione.

Note[modifica]

  1. Da Gli acquari.
  2. Citato in Naturalisti italiani, A.Sommaruga, Roma, 1884.

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Altri progetti[modifica]