Giovanni Pico della Mirandola

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Giovanni Pico della Mirandola

Giovanni Pico dei conti della Mirandola (1463 – 1494), umanista e filosofo italiano.

Citazioni[modifica]

  • Alphano mio. Hebbi da M. Angelo el vostro libro, et molto caro ve ne ringratio: li caratteri sono indiani. Vi prego diciate al Maxeo ch'io ho ad Roma, con altri mei libri, certi soi quinterni. Como li ho qui, glieli manderò, alli piaceri vostri. Florentiae, 2 Iunii 1488. (lettera ad Alfano degli Alfani)
  • Di tutte le cose che si possono sapere e di alcune altre. (citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 541)
De omni re scibili et quibusdam aliis.
  • I nomi degli dei cantati da Orfeo non sono nomi di demoni ingannatori, dai quali proviene male e non bene, ma sono nomi di virtù naturali e divine, distribuite per tutto il mondo dal vero Dio a gran vantaggio dell'uomo, se questi sa servirsene. (Conclusiones magicae)[1]
  • Magia est pars practica scientiae naturalis. (Conclusiones magicae)[2]
  • Nell'ambito della magia naturale non c'è niente di più efficace degli Inni di Orfeo, se si eseguono con il concorso di musica adatta, di un'opportuna disposizione dell'animo, e delle altre circostanze ben note al saggio. (Conclusiones orphicae)[3]
  • Non esiste alcuna scienza che possa attestare meglio la divinità di Cristo che la magia e la cabala.
Nulla est scientia que nos magis certificet de diuinitate Christi quam magia et cabala. [4]
  • Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in futuro, non nelle scuole dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi, ma nelle accolte dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove non si tratta né si discute sulla madre di Andromaca, sui figli di Niobe e su fatuità del genere, ma sui principî delle cose umane e divine. [5]

Oratio de hominis dignitate[modifica]

  • [...] Già il Sommo Padre, Dio Creatore, aveva foggiato, [...] questa dimora del mondo quale ci appare, [...]. Ma, ultimata l'opera, l'Artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. [...] Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori [...] né dei posti di tutto il mondo [...]. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. [...]
  • [...] Stabilì finalmente l'Ottimo Artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l'uomo come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo, così gli parlò: –non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché [...] tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. [...]
  • [...] Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.– [...] Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti. [...] se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima celesta, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua unità, fatto uno spirito solo con Dio, [...].

Citazioni su Giovanni Pico della Mirandola[modifica]

  • Con Pico penetra nel mondo umanistico, spiegatamente, come un lievito, e un profumo, e un veleno, il senso delle scienze occulte, portando all'estremo tutto il meraviglioso allucinante ch'ebbe in passato i suoi sbocchi nell'astrologia e magari negromanzia e magari alchimia; ma penetra con la dignità di una severa dottrina, che iscrive in termini esatti una specie di sublime follia. Pico crede di tramutar le favole nascoste in verità scoperte, e crea spesso nuove e più arcane favole. (Francesco Flora)
  • Giovanni Pico della Mirandola fu ritenuto ed è senza dubbio la mente più vasta fra gli umanisti del suo tempo; e pur muore a trentadue anni, non nella superbia e nello scetticismo del letterato del Rinascimento, quale si è finto e dato a credere da taluni storici contemporanei, ma nella umiltà del cristiano, e col Credo della Chiesa sulle labbra. (Vincenzo Di Giovanni)
  • La cabala, che per il suo esotismo, per la sua aria di mistero, doveva esercitare tanto fascino, fu in realtà per il Pico soprattutto una conferma e un metodo. Una conferma, perché vi trovò l'estensione al mondo ebraico di un complesso di temi che aveva già sottolineato nel pensiero classico. Un metodo, perché i sistemi di esegesi cabalistica gli permettevano le acrobazie più ardite con tutti i testi, e soprattutto con quelli scritturali. Di quelle che erano le peculiarità specifiche del pensiero cabalistico il Pico non assimilò molto. (Eugenio Garin)
  • Pico della Mirandola fu il primo – per quel che mi risulta – che formulò esplicitamente un accostamento del genere. Discutendo della Cabala, nelle sue Conclusiones e nell'Apologia, Pico sostiene che un tipo di Cabala è un'ars combinandi, fatta con alfabeti ruotanti, e afferma più oltre che quest'arte è come «quella che si chiama, fra noi, l'ars Raymundi», vale a dire l'arte di Raimondo Lullo. A torto o a ragione, Pico pensava quindi che l'arte cabalistica di combinare le lettere fosse come il lullismo. (Frances Yates)
  • [Epitaffio] Qui giace Giovanni il Mirandola; il resto lo sanno il Tago, il Gange e forse anche gli Antipodi.
Johannes jacet hic Mirandula; caetera norunt | et Tagus et Ganges: forsan et Antipodes.[6]
  • Si è parlato più volte dell'infatuazione del Pico per la gnosi ebraica, la cabala, la tradizione orale. Complessa mescolanza di motivi disparati, volti a trovare nella Bibbia, attraverso complicati sistemi interpretativi, sensi riposti. La cabala, che ebbe nello Zohar una sistemazione ricca di splendide immagini, parve al Pico uno strumento adatto per svelare nei testi sacri una visione della vita religiosa intonata all'atmosfera in cui si muoveva, imbevuta di ermetismo e di neoplatonismo. La cabala fu così per lui, non solo la quasi divina conferma delle sue concezioni, ma la maniera per leggere nella Bibbia quelle dottrine che veniva elaborando. (Eugenio Garin)
  • Tra le figure più nobili che si presentano nella storia del Rinascimento in Italia, è senza dubbio molto attraente quella di Giovanni Pico della Mirandola. I contemporanei gli diedero il titolo di fenice degl'ingegni; l'ebbero come a miracolo di sapienza, degno di essere amato ed ammirato da' suoi carissimi Marsilio Ficino, Angelo Poliziano, Ermolao Barbaro, Cristoforo Landino, Lorenzo de' Medici; e fu compianto in pubblico da frate Girolamo Savonarola, ch'ebbe a dirlo uomo di tanta svariata dottrina e di tanto singolare ingegno, che a nessuno degli uomini era toccato. Fu per giudizio del Poliziano doctorum omnium doctissimus; e principe in ogni letteratura e disciplina il disse il Landino; come divino ingegno il salutò Ermolao Barbaro, mirabile sopra tutti; ammirando uomo sopra quanti sono stati e saranno per Baccio Ugolini; speranza delle buone discipline, e a lui non discepolo, ma maestro pel Guarino. Né senza lacrime e profondo dolore annunziava il Ficino ai suoi amici di Francia la morte di tanto lume filosofico che si era spento nel fiore degli anni. (Vincenzo Di Giovanni)

Note[modifica]

  1. Yates p.99
  2. Yates p.97
  3. Yates p.88
  4. Yates pp. 124-125
  5. Yates p. 180
  6. Epitaffio sulla tomba in San Marco a Firenze, composto da Ercole Strozzi. V. Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Milano, Hoepli, 1921, pag. 49. [1]

Bibliografia[modifica]

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