Renato Fucini

Al 2024 le opere di un autore italiano morto prima del 1954 sono di pubblico dominio in Italia. PD
Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
(Reindirizzamento da Prepotenza umiliata)
Renato Fucini

Renato Fucini (1843 – 1921), scrittore italiano, noto anche con lo pseudonimo e anagramma di Neri Tanfucio.

Citazioni di Renato Fucini[modifica]

  • Du' minuti avanti di morì | pare na bu..., ma era vivo! (da La morte improvvisa)
  • Levato quer viziaccio di rubbare | San Ranieri è 'n gran santo di ve' boni. (da San Ranieri miraoloso)
  • Mi son domandato qual libro mi ha fatto maggiore impressione; e mi son risposto: — Forse quello che ne ha fatto meno ad altri. — Quale avrà influito più sul buon andamento della mia carriera? — Forse qualche libro che ha rovinato quella di altri.[1]
  • Poveri frati! avvezzi a nun fa' niente, | chi sa quanti ne stianta dar dolore. (da La soppressione de 'onventi, son. LXVII)

Napoli a occhio nudo, Lettere a un amico[modifica]

Incipit[modifica]

Napoli, 5 maggio 1877.

Eccomi a Napoli; eccomi finalmente in questa terra promessa ad incarnare il sogno dorato della mia vita. Non ti ho scritto subito, perché la confusione del mio povero cervello, appena piovuto in questa enorme voragine, è stata tale da non permettermi di farlo. Ora però che ho ripreso fiato e che ho cominciato a riordinarmi le idee fino ad oggi sparpagliate e frullate in tondo come foglie secche dal vento, mi faccio una festa di mantenerti la promessa e di scriverti qualche cosa da questo paese. La sera stessa del mio arrivo, vidi il nostro caro Enrico che m'era venuto incontro alla stazione. Cascammo l'uno nelle braccia dell'altro come due feriti al core; ci abbracciammo, ci stringemmo come pazzi e dopo un breve, ma furioso assalto di domande che non aspettavan risposta, si montò di volo in una vispa carrozzella e subito, per non perder tempo, senza pensare a valige, a stanchezza, a nulla, una corsa attraverso alla immensa città.

Citazioni[modifica]

  • Roma è troppo grande per la mia piccolezza [...]. (p. 2[2])
  • Strano paese è questo! Quale impasto bizzarro di bellissimo e di orrendo, di eccellente e di pessimo, di gradevole e di nauseante. L'effetto che l'animo riceve da un tale insieme è come se si chiudessero e si riaprissero continuamente gli occhi: tenebre e luce, luce e tenebre. (pp. 5-6[2])
  • Lo spirito di una indipendenza primitiva regna assoluto; ognuno fa quel che crede e quel che più gli accomoda senza curarsi se sarà ridicolo o se arrecherà molestia. (p. 6[2])
  • Nessun paese al mondo, io credo, conserva al pari di Napoli così scarsa e non pregevole quantità dì tracce monumentali delle dinastie che vi si sono succedute nel dominio. La ragione di questo fatto credo non possa ripetersi altro che dalla breve durata delle singole occupazioni, e, più che da questo, dalle lotte continue che gl'invasori hanno dovuto sostenere fra loro per contrastarsi accanitamente questa agognata regione, tantoché le arti della guerra mai non hanno dato una tregua abbastanza lunga, da permettere l'incremento di quelle della pace, che ogni invasore avrebbe potuto, o buone o cattive, trapiantarvi dal proprio paese. (pp. 9-10[2] )
  • Quante volte dal folto di questo pandemonio, allorché udivo appena il cannone di Sant'Elmo scaricato a mezzogiorno negli orecchi di Napoli, ho mandato un pensiero e un sospiro alla languida signora dell'Adriatico, ai suoi vuoti palazzi ed al silenzio de' suoi canali che lascia intendere il fiotto dei remi d'una gondola lontana e il tubare de' colombi su le cuspidi delle sue torri affilate! − Bellissime ambedue queste regine del mare, ma quanto diversamente belle! − Su la laguna posa languidamente la bellissima e pallida matrona, stanca sotto il peso degli anni, povera in mezzo alle sue gemme, ma ricca d'orgoglio per antica nobiltà. Ai piedi del Vesuvio, la voluttuosa e procace Almea, balla in ciabatte la tarantella, e canta e suda povera di tutto, ma ricca di speranze, di giovinezza e di sangue. Quella si nutrisce di mestizia e di gloria; questa, di maccheroni e di luce. Quella coperta di laceri broccati, ma lindi; questa seminuda e lercia, dalle ciabatte sfondate alla folta chioma nerissima ed arruffata. (p. 18)
  • S'io ti dovessi dipingere i colori del camaleonte o disegnarti le forme di Proteo, in verità mi sentirei meno imbrogliato che a darti una netta definizione di quello che mi è sembrato essere il carattere di questo popolo.
    È così instabile, così pieno di contradizioni; si presenta sotto tanti e così disparati aspetti dagli infiniti punti di vista da cui può essere osservato, che su le prime è impossibile raccapezzarsi. Ad un tratto ti sembreranno ingenue creature e ti sentirai portato ad amarle; non avrai anche finito di concepire questo sentimento che ti appariranno furfanti matricolati. Ora laboriosissimi per parerti dopo accidiosi; talvolta sobrii come Arabi del deserto, tal'altra intemperanti come parasiti; audaci e generosi in un'azione, egoisti e vigliacchi in un'altra. Passano dal riso al pianto, dalla gioja più schietta all'ira più forsennata, con la massima rapidità, per modo che in un momento li crederesti deboli donne o fanciulli, in un altro, uomini in tutto il vigore della parola; insomma, la loro indole non saprei in massima definirla altro che con la parola: anguilliforme, poiché ti guizza, ti scivola così rapidamente da ogni parte che quando credi d'averla afferrata, allora proprio è quando ti scapola e ti lascia con tanto di naso e con le mani in mano. (pp. 19-20)
  • Sparito il pretto tipo del Lazzaro, il quale aveva stabilito quasi un costume, nelle sue brachette fino al ginocchio, camicia aperta sul petto, maniche rimboccate e tradizionale scazzetta in capo, quello de' suoi eredi non ha nulla di uniforme altro che negli strappi e nel sudiciume. Un grosso volume parlerebbe meno del loro abbrutimento, di quel che lo facciano i luridi cenci che questi atleti della miseria hanno il coraggio di portare addosso sorridendo. Una balla da carbone lacera in mano di cotesta gente, parlo sempre dell'infima plebe, con pochi colpi di forbice si trasforma in una comoda sottana per signora; con pochi stracci raccattati fra le immondizie della via e qualche metro di spago di diverse qualità, la madre di famiglia ha trovato stoffa e guarnizione per provvedere di un intero tout-de-mème da ogni stagione il marito e i suoi guaglioncelli, che fino ad ora hanno avuto abiti un po' troppo di confidenza: o una sola camicia con poco davanti e meno di dietro, o un abito adamitico addirittura, tranne l'incomodo della foglia. (p. 22)
  • Son troppi quelli che abbisognano di lavoro, di fronte al movimento industriale e commerciale del paese, onde molti, lo ripeto, rimangono involontariamente inoperosi; ma quando offriamo loro da lavorare, è un'atroce calunnia, almeno ora, il dire che lo ricusino, perché hanno mangiato. Sono stato troppe volte e sul molo e nei quartieri poveri, dove abbondano gli sdraiati e gli addormentati e troppe volte ho fatto la prova, destandoli e incaricandoli di qualche piccola commissione e qualche volta anche grossa e faticosa, e mai mi son sentito rispondere il famoso aggio magnato. Sorgono in piedi come se scattassero per una molla, si stropicciano gli occhi e per pochi centesimi si mettono alle fatiche più improbe, fanno due chilometri di strada correndo, e ritornano ringraziandovi, domandandovi se comandate altro, e scaricandovi addosso un diluvio di eccellenze e di don, come se avessero da voi ricevuto il più grosso favore del mondo.
    Gli ho osservati nelle loro botteghe, passando per le vie, ed ho visto che lavorano; sono stato a visitare opificj e ne sono uscito con le mie convinzioni più radicate che mai. Non contento de' miei occhi, ne ho domandato ad alcuni direttori di stabilimenti manifatturieri, non napoletani e perciò non pregiudicati, e tutti mi hanno confermato nella mia scismatica opinione. Chi ha gambe venga e chi ha occhi veda, e dopo, se è onesto, dovrà convenire con me che lo sbadiglio lungo, sonoro, spasmodico, che quell'aspetto di prostrazione fisica, che quelle fisonomie assonnate e quasi sofferenti per la noia che s'incontrano specialmente nelle città di secondo ordine delle altre provincie, fra le quali non ultima la nostra leggiadra Toscanina, a Napoli non le troverà certamente; e giri, e cerchi, e osservi pure a suo piacere, assolutamente non le troverà. (pp. 27-28)
  • Di patria, d'Italia, di nazionalità non occorre parlarne. Essi sono napoletani e basta, ed il resto degl'Italiani, dal lato Nord son Piemontesi, dal lato Sud cafoni e niente altro [...] (p. 35) [2]
  • Tanti hanno detto di questa terribile associazione e con profonda conoscenza di causa, che io non m'impancherò ora a parlartene. Ti dirò soltanto che da quel tempo in poi la camorra non ha mai cessato di esistere e che non cesserà mai, nonostante le sfuriate di persecuzione che si è preteso farle, finché non sarà affatto scomparsa l'ultima delle cause che le dànno vita.
    La plebaglia ne ha paura, ma la rispetta, perché da questa specie di prepotenti che la opprimono, è sicura di esser difesa, quando la prepotenza e l'abuso le cadano addosso da altre parti. In qualche momento potrà anche odiarla, ma la difenderà sempre, riguardandola come la sola, come l'unica autorità, dalla quale possa sperare qualche cosa che somigli alla giustizia, fino a quando non avrà appreso per esperienza e palpato con mano che i tempi e le cose sono cambiati in meglio anche per lei. (pp. 38-39) [2]
  • Dio si deve esser pentito d'essersi lasciato cadere questo pezzo di paradiso su la terra. Per correggere lo sbaglio, ha aperto quaggiù gole d'inferno che vomitan fiamme e minacciano distruzione da ogni parte, ma, per il suo scopo, ha fatto peggio che a lasciar correre.(p. 42) [2]
  • Il Sorrento dei poeti non è Sorrento, ma la strada che conduce a Sorrento.
    E questa strada è maravigliosa. (p. 43) [2]
  • Tutto è intonato in questa beata regione : il cielo, il mare e la terra rivaleggiano di splendore, di luce e di vita ; l'uomo solo rimane inferiore in questa artistica gara e quanto al di sotto! (p. 47) [2]
  • Sei già stato ad Amalfi? — mi domandarono subito. — Sì. — Diccene, diccene qualche cosa, perché prima di tornare alle nostre case, vogliamo andarvi anche noi. — Andatevi e farete bene, ma andatevi dopo d'aver visto tutte le bellezze dei prossimi dintorni di Napoli, perché la costiera d'Amalfi vi farà lo stesso effetto che a guardar fìssi nel disco del Sole; vi troverete abbagliati e per qualche tempo non sarete capaci di veder altro. (p. 48) [2]
  • Se poi mi domandate in che consiste tanta bellezza, io vi risponderò come se mi aveste domandato: perché i poemi d'Omero sono belli? I poemi d'Omero son belli, perché sono belli, e se qualcuno volesse provarvelo con altri argomenti, ditegli che non capisce nulla e non avrete sbagliato. (p. 48) [2]
  • Il giorno del giudizio, per gli Amalfitani che andranno in Paradiso, sarà un giorno come tutti gli altri. (p. 50) [2]
  • Non me lo permise. Era un Francese e tanto basta, per capire che doveva essere una persona gentile; ma, del resto, non capiva nulla. (p. 50) [2]
  • [...] mi accolsero con quella ospitalità larga, piena e spontanea, la quale, almeno per noi persone civili, è diventata ormai qualche cosa che va cercata come il fungo porcino: O ne' boschi o nulla. (p. 81) [2]
  • [...] e che le grandi gioie dell'animo somiglian troppo al dolore, tanto è impastata male questa povera creta umana. (p. 110) [2]
  • Togliete a Napoli il Vesuvio, e la voce incantata della sirena avrà perduto per voi le sue più dolci armonie. (p. 121) [2]
  • Il fascino di questo abbrustolito Prometeo [Vesuvio], che ravviva con la sua anima di fuoco tutte le membra della bellissima sfinge posata voluttuosamente ai sui piedi, è qualche cosa di strano, qualche cosa di irresistibile.
    Scendete alla riva di Santa Lucia, o a Mergellina; salite alla rocca di Sant'Elmo, al Vomero, a Posillipo, a Capodimonte, od in qualunque altro luogo, donde si scorga la sua mole fantastica, e contemplate. (pp. 121-122) [2]
  • Il Vesuvio è il core, è l'anima, è il sunto di tutti gli splendori del Golfo; è il rubino gigantesco che sta come il fermaglio in questa collana di perle composta nel cielo, forse per adornarne il seno di Venere, e smarrita fra le alghe dal Genio della spensieratezza. (p. 122) [2]
  • Non v'è sguardo umano, io credo, in questa regione che alla sera si chiuda senza aver guardato la cima della montagna [Vesuvio].Il marinaro la guarda prima di sbrogliare la vela della navicella per leggere nel suo pennacchio la direzione del vento. (p. 122) [2]
  • Egli [Vesuvio] possiede il fascino della ferocia tranquilla, le attrattive della bellezza ruvidamente accoppiata alla modestia; è il gran delinquente dalle bellissime forme che tutti ammirano perché è feroce, che tutti amano perché è bello.
    L'Arcangelo Michele è un poliziotto volgare; Lucifero è un eroe. (p. 123) [2]
  • L'aspetto del Vesuvio, quella notte, era troppo solenne. La insolita vivacità che lo animava, presentava ai nostri sguardi uno di quei grandi spettacoli della natura, davanti ai quali ci sentiamo forzati a contemplare attoniti e silenziosi. (p. 124) [2]

Explicit[modifica]

  • Addio, Napoli mia, e, se l'ira del tuo vulcano non ti tocchi in eterno, vogli compatire il piccolo figlio d'una delle tue cento fortunate sorelle, che limpida e sconfinata, come la serenità del tuo cielo, vorrebbe la purezza della tua grande anima di fuoco.

Le veglie di Neri[modifica]

Incipit[modifica]

Quella sera non stavo bene di spirito. Alla smodata allegria d'un intiero giorno passato sulle praterie in mezzo ai cari amici, laggiù convenuti per esser pronti la mattina dopo ad aprire la caccia, era subentrata una profonda tristezza, alimentata forse dalla scena mestissima d'un tramonto di sole in padule.

Citazioni[modifica]

  • Dimmelo te, gran Dio... Ma il mio lamento | vola e si perde sull'ali del vento. (p. 20)
  • Se ancor, dolcezza mia, non lo sapete | dove per me s'è aperto il Paradiso | guardatevi allo specchio e lo vedrete | tutto dinanzi a voi nel vostro viso... (p. 47)
  • Né lingua né becco, né gola non ha... | povero merlo! come farà a cantà? (p. 51)

Incipit di Il ciuco di Melesecche[modifica]

Il ciuco di Melesecche[modifica]

— Povero me, povera la mia famiglia! — gridava singhiozzando Melesecche sul corpo allampanato del suo ciuco che giaceva stecchito attraverso alla stalla. — Che ho fatto io di male in questo mondo, — continuava Melesecche, — per essere perseguitato dalla sventura con tanto accanimento? Eccola lí quella bestia impagabile! Eccola lí la mia speranza, il mio sostegno, il pane per i miei disgraziati figliuoli!

La Regina di cuori[modifica]

La Regina di cuori,
un bel giorno d'estate,
rinunziando, pel caldo, ad andar fuori,
restò in casa a impastar delle schiacciate.

I due amici e l'orso[modifica]

Due amici andavano insieme a diporto per una selva. Uno era buono e modesto; l'altro cattivo e vantatore sfacciato della propria generosità e del proprio coraggio.
— Mi vedrai al cimento, — diceva egli al compagno, sgranando due occhi da basilisco e facendo il mulinello con un gran bastone bernoccoluto, — mi vedrai al cimento, se avremo la fortuna che ci capiti il pericolo di qualche disgrazia.

La canzone da un soldino[modifica]

«Canta, bambino, su, canta bambino;
poi ti darò un soldino...
Poi ti darò, se la canzone è bella,
un bel grappolo d'uva moscatella».

La novella del cane e del gatto[modifica]

Bisogna sapere che nei tempi antichi, e precisamente ai tempi del paradiso terrestre, tutti gli animali erano amici fra di loro come tanti fratelli. Non come tanti fratelli che conosco io, capaci soltanto a farsi dispetti dalla mattina alla sera; ma buoni fratelli come son sicuro che presto diventeranno quelli che conosco io.

Fatto orribile[modifica]

Fermatevi, ascoltate, o buona gente;
vi canterò la canzonetta mia.
Se sarà corta, non v'è mal di niente:
il tempo mai non va buttato via.

La chioccia e i pulcini[modifica]

— Quello che piú importa, figliuolini miei... Lei si pulisca subito il becco, porcellone! Lei ha beccato qualche porcheria! Guardi come l'ha sudicio! Vergogna!...
La chioccia s'era interrotta per correggere il piú indisciplinato dei suoi pulcini. Rimase qualche momento a guardarlo, minacciosa e a ciuffo ritto, poi riprese il suo discorso.

I tre allegri cacciatori[modifica]

Io narro di tre allegri cacciatori
che armati di trombone e di bisaccia,
una mattina insieme usciron fuori
per andarsene a caccia.

Il falco e la gallina[modifica]

Non bisogna mai sgomentarsi davanti alle difficoltà, ma non bisogna neanche pretendere d'esser falchi quando siamo nati galline. Il mettersi in testa d'esser buoni a far tutto è da sciocchi, come è da poltroni il mettersi in testa di non esser buoni a far nulla.
E a proposito di falchi e di galline, mi ricordo d'una storiella che cantava un cieco sulle cantonate, accompagnandosi con la chitarra:

C'era una volta un falco di cent'anni
che aveva il covo in cima a un campanile...

La casa di Bastiano[modifica]

Questa è la casa fatta da Bastiano.
Questa è la talpa che ha mangiato il grano
che era nella casa di Bastiano.
E questo è il gatto che mangiò la talpa
la quale avea mangiato tutto il grano
che trovò nella casa di Bastiano.

Prepotenza umiliata[modifica]

I Faraoni?!... chi? quei tirannacci feroci che anticamente regnavano nell'Egitto?... Quelli, caro mio, erano certi arnesi che a vederseli rigirare d'intorno c'era da sentirsi puzzar di morto prima che arrivasse il becchino. I Faraoni?! I Faraoni a ammazzare per un capriccio una, dieci, mille persone, ci pensavano come tu penseresti a mangiare una, dieci, mille ciliege lustrine, e forse meno. Di nulla nulla: Zà! e ti vedevi ruzzolare la testa per la terra come un popone senza gambo.

Il garzone del contadino[modifica]

Quand'ero contadino
o, piuttosto, garzon d'un contadino,
io, da onesto garzone,
io badavo i cavalli del padrone.

La civetta[modifica]

Una magnifica sera di giugno, il signor Luigi e i suoi tre figlioletti stavano insieme seduti a frescheggiare sul prato della villa. Il sole era presso al tramonto e il signor Luigi si compiaceva della impressione che quel superbo spettacolo faceva nelle giovani menti dei suoi piccini. Era un cicaleggio lieto ed animato e un continuo invitarsi fra loro, ora a guardare il giallo dorato dell'orizzonte, ora la delicata sfumatura con la quale il cielo passava da quel giallo infuocato al celeste puro, e il violetto dei poggi di faccia, e il roseo di quelli a tergo e le loro cime e il luccichío della prima stella della sera che brillava già tra i luminosi vapori del crepuscolo.

I bambini nel bosco[modifica]

O babbi, o mamme, state ad ascoltare
la storia triste che racconterò;
e se incomincerete a lacrimare,
sei fazzoletti vi regalerò.

Il rublo fatato[modifica]

Vi è in Russia una leggenda popolare, la quale insegna il modo di procurarsi, per mezzo della magia, un rublo fatato; e questo rublo, quando si spende, ha la virtú di ritornare da sé, intatto, nella tasca di chi lo ha speso. Per giungere a possedere questa magica moneta occorre sottoporsi a una quantità di prove paurose che io non ricordo bene quali e quante siano. Ne ricordo una sola: quella del gatto.

Gian Carlo[modifica]

Gian Carlo era un onesto cittadino
negoziante di stoffe e liberale;
membro del Trinkensvaine di Dublino
e maggior della Guardia Nazionale.

Note[modifica]

  1. In I migliori libri italiani, Hoepli, Milano, 1892, p. 90.
  2. a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u Citato anche in Pierro, 2000.

Bibliografia[modifica]

Filmografia[modifica]

Altri progetti[modifica]