Antonio Fogazzaro

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Antonio Fogazzaro

Antonio Fogazzaro (1842 – 1911), scrittore e poeta italiano.

Citazioni di Antonio Fogazzaro[modifica]

  • Il lume nasce e muore; | che riman dei tramonti e delle aurore? | Tutto, Signore, | tranne l'eterno, al mondo | è vano.[1]
  • La sua vita [del Santo] era questa. Sull'alba andava alla messa dell'arciprete. Lavorava fino alle undici. Mangiava pane, erbe, frutta, non beveva che acqua. Nel pomeriggio lavorava per niente le terre delle vedove e degli orfani. La sera, seduto sulla sua porta, parlava di religione.[2]
  • Se è vero che il romanzo è la forma prevalente del sentimento poetico del nostro tempo, la povertà dell'arte italiana è ben grave.[3]

Discorsi[modifica]

  • [...] l'ingegno di Giacomo Zanella fu per eccellenza italiano. Nessuno fra i nostri poeti di questo secolo si è intinto, direi, quanto lui, alla superficie, nelle letterature straniere, restandone, quanto lui, intatto nel cuore. Egli si assimilò tutto che poté trovare nei poeti stranieri di chiaro, di corretto, di misurato, di conforme all'indole italica; la sua natura respinse inesorabilmente il resto. [...] Trovo poi che la profonda italianità sua fu temperata, colorata d'un carattere regionale spiccatissimo, che fu per eccellenza una italianità veneta. (p. 36)
  • [...] quella poesia in cui Giacomo Zanella, giunto alla maturità dell'ingegno, meglio specchiò sé stesso, è [...] latinamente grave, precisa, chiara, religiosa, venetamente conservatrice, conciliatrice, sempre mite, talvolta molle.
    Essa venne sorgendo in mezzo all'opera abbondante dello scrittore come, in qualche solitudine, un insigne monumento sacro sorge fra le pietre sparse e le minori dimore di coloro che vi lavorano. Essenzialmente lirica, quindi disgregata e frammentaria in apparenza, ha veramente l'organismo di una potente unità. (p. 37)
  • La potenza della ragione è piuttosto ammirata che amata dagli uomini. Il comune degli uomini par credere a un antagonismo naturale fra la lucidità della ragione e il calore dell'affetto. Un uomo del quale vien detto che si governa in tutto secondo ragione, è spesso giudicato avere il cuore freddo. Poco diversamente giudica il mondo coloro che sa dediti all'amor di Dio. Li stima assorti nel Creatore e freddi verso le creature. Ne l'uno né l'altro di questi erronei giudizii umani sono senza scusa. Essi hanno realmente alcune apparenze a loro favore. Molte volte la ragione e l'affetto appariscono contraddirsi nella vita per modo che la prima ne prende quasi un colore odioso. Molte volte si vedono uomini dediti a un ascetismo sincero, alla preghiera, alla penitenza, che esercitano la carità verso il prossimo per ossequio a un padrone severo, per mortificazione di se stessi, senza calore d'anima, senza fuoco d'amore né per la famiglia né per la patria né per l'umanità, e paiono assiderati nel loro ascetismo. (p. 159)

Malombra[modifica]

Incipit[modifica]

Uno dopo l'altro, gli sportelli dei vagoni sono chiusi con impeto; forse, pensa un viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, oramai senza rimedio, porterà via lui e i suoi compagni nelle tenebre. La locomotiva fischia, colpi violenti scoppiano di vagone in vagone sino all'ultimo; il convoglio va lentamente sotto l'ampia tettoia, esce dalla luce dei fanali nell'ombra della notte, dai confusi rumori della grande città nel silenzio delle campagne addormentate; si svolge sbuffando, mostruoso serpente, tra il laberinto delle rotaie, sinchè, trovata la via, precipita per quella ed urla, tutto battiti dal capo alla coda, tutto un tumulto di polsi viventi.

Citazioni[modifica]

  • Dove trovate un italiano bastantemente colto che vi parli come vi parlo io dell'arte? La grande maggioranza degli uomini educati non ne capisce niente, ma si guarda molto bene dal confessarlo. È curioso di star ad ascoltare un gruppo di questi sciocconi ipocriti davanti ad un quadro o a una statua, quando fanno una fatica del diavolo per metter fuori dell'ammirazione, credendo ciascuno di aver che fare con degli intelligenti. Se potessero levarsi la maschera tutti ad un tratto, udreste che risata!
  • Fuori del recinto le sponde [del Lago di Como] che guardano mezzogiorno verdeggiano di ulivi frequenti, parlano di dolci invernate.
  • Io non sono amico di certe mollezze sentimentali moderne; io credo che è molto bene per l'uomo di ripassare ogni tanto le lezioni e i precetti ch'egli ha avuto, direttamente o indirettamente, dalla sventura, e di non lasciarli estinguere, di rinnovare il dolore, perché è il dolore che li conserva. E poi il dolore è un gran ricostituente dell'uomo, credete; e in certi casi è un confortante indizio di vitalità morale, perché dove non vi è dolore, vi è cancrena.

Miranda[modifica]

Incipit[modifica]

ALLA SIGNORA ERNESTINA V.W.
Pareva segnato dalla matita d'un umorista quel sentiero alpino che serpeggiava tra gli abeti, ora appiattandosi, entro una macchia folta, ora guizzando nel prato aperto, spensieratamente curioso di ogni ruscello e d'ogni precipizio, tutto ipocrita serietà quando si diparte della strada maestra, tutto scappate e follie quando si gitta sul morbido tappeto del «Campo dei fiori». Quando a Voi, signora, colla snella persona serrata in un costume azzurro e grigio, coi capelli biondi un poco sdegnosi dell'ireno, colle movenze, scusatemi, un poco rigide, parevate una fugura di pennello antico, piena di pensiero e di fiera vita nella fisionomia, mirabilmente posata in mezzo ad una natura dalle linee taglienti, severa, fredda di tinte, oserei dire spirituale. Quella sera avevo l'onore di vedervi bella; poiché in Voi la bellezza è lume che va e viene a vostro talento.

Citazioni[modifica]

  • IL LIBRO D'ENRICO
    I
    Miranda, dolce nome.
    Ella sedea
    Sul picciolo sedile a piè degli olmi,
    Qual se le Grazie ve l'avesser posta.
    Mio zio parlava del buon tempo antico;
    Era scura la sera; io la guardai
    Larghe e rade sentimmo in quel momento
    Goccie cader di piova repentina;
    Ella surse la prima, io dopo tutti. (p. 41)
  • XIX
    Da molto tempo non apersi il libro.
    Tutto m'irrita, l'ozio ed il lavor;
    E, stanco, di posar non trovo loco.
    Nell'inerte pensier richiamo a stento
    La sua voce, il suo sguardo, il suo sorriso.
    T'amo, sì t'amo, ognor mi sei presente!

    Stasera dànno il «Faust». Furbo dottore,
    Si comperò coll'anima l'amore,
    E poi gabbò l'inferno
    Che venduto gli aveva merce rubata
    Al padre Eterno.

    Ci andrò. Lo spirito mio sete ha di canti. (p. 60)

Piccolo mondo antico[modifica]

Incipit[modifica]

Soffiava sul lago una breva fredda, infuriata di voler cacciar le nubi grigie, pesanti sui cocuzzoli scuri delle montagne. Infatti, quando i Pasotti, scendendo da Albogasio Superiore, arrivarono a Casarico, non pioveva ancora. Le onde stramazzavano tuonando sulla riva, sconquassavan le barche incatenate, mostravano qua e là, sino all'opposta sponda austera del Doi, un lingueggiar di spume bianche. Ma giù a ponente, in fondo al lago, si vedeva un chiaro, un principio di calma, una stanchezza della breva; e dietro al cupo monte di Caprino usciva il primo fumo di pioggia. Pasotti, in soprabito nero di cerimonia, col cappello a staio in testa e la grossa mazza di bambù in mano, camminava nervoso per la riva, guardava di qua, guardava di là, si fermava a picchiar forte la mazza a terra, chiamando quell'asino di barcaiuolo che non compariva.

Citazioni[modifica]

  • Tante figure umane piene di rancori che si credevano eterni, di arguzie che parevano inesauribili, fedeli ad abitudini di cui si sarebbe detto che solo un cataclisma universale potesse interromperle, figure non meno familiari di quegli alberi alle generazioni passate, e scomparse con essi. (2010, p. 24)
  • I due ricci pendenti a lato della sua mansueta bruttezza avevano un particolare accento di rassegnazione sotto l'ombrello del marito, proprietario, ispettore e geloso custode di tante eleganze. (2010, p. 26)
  • Falso occhio mobile, | Mento pelato, | Lingua di vipera | Cor di castrato, | Branche policrome, | Bisunto saio, | Maiuscolissimo | Cappello a staio. | Ecco l'immagine | Del vil Tartufo | Che l'uman genere | E il cielo ha stufo. (1957, p. 29,)
  • Austriacante per paura, mentre la padrona di casa lo era per convinzione. (2010, p. 33)
  • Fra tante difficoltà, fra tante angustie. Pure, pensava adesso, se il matrimonio si fosse fatto pubblicamente, pacificamente, col solito proemio di cerimonie ufficiali, di contratti, di congratulazioni, di visite, di pranzi, tanto tedio sarebbe riuscito più ripugnante all'amore che questi contrasti. (2010, p. 36)
  • Certi volumi di giurisprudenza dormivano sotto un dito di polvere, e non una foglia della piccola gardenia in vaso, sul davanzale della finestra di levante, ne aveva un atomo solo. Questi eran già sufficienti indizi, là dentro, del bizzarro governo d'un poeta. (2010, p. 37)
  • Aveva collere pronte, impetuose, fugaci; non sapeva odiare e nemmanco risentirsi a lungo contro alcuno. (2010, p. 38)
  • Egli aveva appena posato le mani sullo strumento che la sua immaginazione si accendeva, l'estro del compositore passava in lui e nel calore della passione creatrice gli bastava un fil di suono per veder l'idea musicale e inebbriarsene. (2010, p. 38)
  • Focoso e impetuoso com'era, Franco aveva tuttavia la semplice tranquilla fede d'un bambino. Punto orgoglioso, alieno dalle meditazioni filosofiche, ignorava la sete di libertà intellettuale che tormenta i giovani quando la loro ragione ed i loro sensi cominciano a trovarsi a disagio nel duro freno di una credenza positiva. (2010, p. 39)
  • Franco entrò in sala mentre la voce nasale diceva le soavi parole «Ave Maria, gratia plena» con quella flemma, con quella untuosità, che sempre gli mettevano in corpo una tentazione indiavolata di farsi turco. (2010, p. 40)
  • Dei paeselli di Casarico e di S. Mamette, accovacciati sulla riva come a bere. (2010, p. 47)
  • Le case [...] tutte bianche e ridenti verso l'aperto, tutte scure verso quell'altra disgraziata fila di case che si attrista dietro a loro, somigliano certi fortunati del mondo che di fronte alla miseria troppo vicina prendono un sussiego ostile, che si stringono l'uno all'altro, si aiutano a tenerla indietro. (2010, p. 48)
  • Resistendo a quelle carezze perché vi sentiva una gratitudine di cui non avrebbe sopportate le parole. (2010, p. 49)
  • Che, insieme a uno squisito sentimento della vita come dovrebb'essere, possedeva un senso acuto della vita com'è realmente. (2010. p. 51)
  • Ricevette l'abbraccio commosso de' suoi nipoti senza corrispondervi, quasi seccato da una dimostrazione superflua, seccato che non accogliessero più semplicemente una cosa tanto semplice e naturale. (2010, p. 59)
  • Offerse la sua servitù alla signora Teresa riveritissima, la sua devozione alla sposina amabilissima, la sua osservanza allo sposo compitissimo. (2010, p. 59)
  • Vi fu dunque nelle sue parole un grammo di sincerità, un grammo d'oro che bastò a dar loro il suono del buon metallo. (2010, p. 75)
  • Aveva risposto a Franco quasi aspramente come se l'affetto del vivo offendesse in qualche modo l'affetto della morta. (2010, p. 84)
  • V'impresse una violenza d'amore più forte che tutti gli insulti, che tutte le bassezze odiose del mondo. (2010, p. 87)
  • Chi passando per l'alto lago avesse potuto discernere tutte queste figure meditabonde, inclinate all'acqua, senza veder le bacchette né i fili né i sugheri, si sarebbe creduto nel soggiorno d'un romito popolo ascetico, schivo della terra, che guardasse il cielo giù nello specchio liquido, solo per maggiore comodità. (2010, p. 94)
  • Il Biancòn aveva, a sua insaputa, una discreta dose di mansuetudine in un doppio fondo che Iddio gli aveva fatto nel cuore senza avvertirnelo. (2010, p. 95)
  • Davvero, egli non aveva coscienza di sé come di un organismo distinto dall'organismo governativo austriaco. [...] Il suo vero Iddio era l'Imperatore; rispettava quello del cielo come un alleato di quello di Vienna. (2010, pp. 95-96)
  • Per la solità bontà che ad ogni simile contrasto saliva saliva silenziosamente dietro le renitenze dello zio fino a sormontare, a coprir tutto con una larga onda di acquiescenza o almeno con la frase sacramentale «del resto, fate vobis». (2010, p. 101)
  • Mi pare che qualcuno potrebbe dire: che obbligo ha Iddio di regalarci l'immortalità? L'immortalità dell'anima è una invenzione dell'egoismo umano che in fin dei conti vuol far servire Iddio al comodo proprio. Noi vogliamo un premio per il bene che facciamo agli altri e una pena per il male che gli altri fanno a noi. (2010, p. 104)
  • «[...] Guarda la forma di questa rosa, guarda il portamento, guarda le sfumature, le venature di questi petali, guarda quella stria rossa; e senti che odore, adesso! E lascia star la filosofia.»
    «Lei è nemico della filosofia?», osservò il professore, sorridendo.
    «Io sono amico», rispose Franco, «della filosofia facile e sicura che m'insegnano anche le rose.» (2010, p. 105)
  • Un tenace, fiero sentimento d'indipendenza intellettuale resisteva in lei all'amore. Ella poteva tranquillamente giudicar suo marito, riconoscerne le imperfezioni e sentiva ch'egli non poteva altrettanto, lo sentiva umile nel suo amore, devoto senza fine. (2010, p. 110)
  • Vi sono anime che negano apertamente la vita futura e vivono proprio secondo la loro opinione, per la sola vita presente. Queste non sono molte. Poi vi sono anime che mostrano di credere nella vita futura e vivono del tutto per la presente. Queste sono alquanto più. Poi vi sono anime che alla vita futura non pensano e vivono però in modo da non mettersi troppo a repentaglio di perderla se c'è. Queste sono più ancora. Poi vi sono anime che credono veramente nella vita futura e dividono pensieri e opere in due categorie che fanno quasi sempre ai pugni fra loro: una è per il cielo, l'altra è per la terra. Queste sono moltissime. Poi vi sono anime che vivono per la sola vita futura nella quale credono. Queste sono pochissime e la signora Teresa era di queste. (1957, pp. 115-116)
  • «Il colèra», disse Luisa, «se avesse giudizio, potrebbe fare bellissime cose; ma non ne ha.» (2010, p. 124)
  • Aveva del resto un inconscio bisogno di amare senza speranza per potersi poi compiangere, per la voluttà di un doppio intenerimento, verso una bella creatura e verso se stesso. (2010, p. 146)
  • Ella entrò frettolosa, con la testolina bionda chiusa in un gran cappuccio nero, come una primavera travestitasi, per chiasso, da dicembre. (2010, p. 146)
  • Franco si divertì a spegner il lume e osservò che la filosofia poteva trovarsi male al buio, ma che la poesia ci si trova benissimo. (2010, p. 147)
  • Così ciascuno dei critici saliti nella navicella d'un grande poeta si crede fare una via differente. Chi stima dirigersi verso un ideale, chi verso un altro, chi stima accostarsi a un modello, chi a un altro, chi andar avanti, chi tornar indietro; e il poeta li commove, li scuote col suo verso tutti insieme, li porta sulla propria via. (2010, pp. 147-148)
  • E quanto ai dolori che non vengono dagli uomini ma dalle condizioni stesse della vita umana, le pareva di ammirar coloro che vi resistono per una forza loro propria sopra quegli altri che invocano e ottengono aiuto dallo stesso Essere onde furono percossi. (2010, p. 136)
  • Non lasciò più la dolce mano, la tenne egli pure come l'avrebbe tenuta un amante, non guardando mai Luisa, serbando impassibile il viso e rigida la persona. Parlava con la mano sola, con l'anima nel palmo e nelle dita. (2010, p. 149)
  • «Dio, le ragioni! Le ragioni si sentono, le devi sentire senza che io te le dica!» (2010, p. 154)
  • Come la religione favorisca i sentimentalismi deboli, com'essa che predica la sete della giustizia sia incapace di formare negl'intelletti devoti a lei il vero concetto di giustizia. (2010, p. 156)
  • Lo aveva capito bene. Del resto era tanto tempo ch'egli aveva capito una cosa! Che cosa? Oh, una cosa naturale! Naturalissima! Meritava egli di essere amato da lei? No certo; egli era un povero disutile e niente altro. Non era naturale che dopo averlo conosciuto bene, ella lo amasse meno? Perché certo certo lo amava meno di una volta!
    Luisa tremò che questo fosse vero, disse «no, Franco, no» e lo sgomento di non saperlo dire con energia bastante le paralizzò la voce. Egli che aveva sperato una smentita violenta, sussurrò atterrito: «Dio mio!». (2010, p. 165)
  • No caro Pasotti! [...] Non si cercano oggi tutte le vie di affamare la mia famiglia e me, per offrirci domani del pane sporco. (p. 175, 2010)
  • Era un amico, aveva errato gravemente, gravissimamente, ma con una buona intenzione. Dove andavano a finire le massime di Franco, la carità, il perdono delle offese, s'egli non perdonava neppure a chi aveva voluto fargli del bene? (2010, p. 178)
  • La ribelle intravveduta, sentita qualche volta da Franco attraverso l'amante, la creatura dall'intelletto forte sopra l'amore e orgoglioso, non potuta mai conquistare interamente, gli stava ora di fronte, tutta vibrante nella coscienza della sua ribellione. (2010, p. 179)
  • Non ho mai potuto veramente sentire, per quanto mi sforzassi, questo amore di un Essere invisibile e incomprensibile, non ho mai potuto capire il frutto di costringer la mia ragione ad accettare cose che non intende. (2010, p. 181)
  • Ebbe un momento l'idea di spogliarsi, l'abbandonò subito poiché sua moglie stava alzata a lavorare. Tolse la coperta, si coricò vestito. (2010, p. 184)
  • Confessa che voialtri credenti amate le vostre credenze anche perché sono un comodo riposo dell'intelletto. (2010, p. 200)
  • Disprezzò la pioggia scrosciante che le batteva sul capo e sulle spalle, che la cingeva d'un torbido velo e di strepito. Le piaceva, forse, quella passione delle cose intorno alla sua propria. (2010, p. 210)
  • Tutto vibrante di una commozione senza nome. (2010, p. 225)
  • Egli ebbe il senso di una irreparabile rovina nell'anima di lei e tacque. (2010, p. 225)
  • Pianse, al buio, la sua figliuola, senza ritegno, senza nemmeno quel ritegno che vien dalla luce. [...] Parole incomposte di strazio e di fede ardente, chiamando Dio in aiuto, Dio, Dio che lo aveva colpito. (2010, p. 226)
  • Se realmente esisteva una Intelligenza, una Volontà, una Forza padrona degli uomini e delle cose, la mostruosa colpa era sua. [...] Meglio la signoria della Natura senza Dio, meglio un padrone cieco ma non nemico, non deliberatamente cattivo. (2010, p. 228)
  • Friend era infermo da due giorni. Tutta la brigata si commosse e lamentò il caso con la segreta speranza che il maledetto mostro fosse per crepare. (2010, p. 229)
  • Per fortuna la guardia [...] era un galantuomo che mangiava a malincuore il pane austriaco per non averne potuto trovare altro. (2010, p. 240)
  • Sai neanche immaginare cosa tu sei per me e cosa farei per non darti senza necessità un piccolo dolore, mentre pare che a te non importi nulla di lacerarmi l'anima? (2010, p. 271)
  • Parlavano della futura Italia [...] ma si sentiva che non importava loro un fico secco della vita pur di farla libera, questa vecchia patria, e grande. [...] «I nostri figli ci faranno il monumento, ma dopo verranno, mi capisce, con licenza, quelle figure porche dei nostri nipoti, e mi par di sentirli: "Come l'han fatta da cani", diranno, "quei vecchi insensati l'Italia!".» (2010, p. 272)
  • Una vecchia, che aveva tre figli fra quei soldati, gridava loro, tutta scarmigliata ma non piangente, che si ricordassero del Signore e della Madonna. «Sì», brontolo un vecchio sergente che li accompagnava, «ca s'ricordo del Sgnour, d'la Madonna, del Vescov e del prevost!» I soldati molto pratici del «prevost», la prigione militare, risero della barzelletta e il battello partì. (1957)

Piccolo mondo moderno[modifica]

Incipit[modifica]

La vecchia marchesa Nene Scremin stava spolverando ella stessa, in abito di ricevimento e con un viso arcigno, il suo salotto. Strofinava col fazzoletto le spalliere delle sedie appoggiate alle pareti, gl'intagli del canapè e delle poltrone, i piani delle cantoniere, la campana della pendola.
Alzava uno a uno i candelieri dorati della caminiera di marmo nero, alzava dal tavolo di marmo bianco, uno a uno, i porta-fiori, i porta-ritratti, le bomboniere, i ninnoli accumulati da una serie favolosa di natalizi e di anniversari, strofinava il marmo, cancellava le piccole nuvolette di polvere, brontolando contro quel benedetto Federico che pretendeva di avere spolverato.

Citazioni[modifica]

  • Aperse la finestra, bevve l'aria fredda, scura e muta. (2011, p. 25)
  • Prese un'aria di Sibilla restìa. (2011, p. 28)
  • Mi accoravo del mio inganno come di non saper decifrare in me stesso i desideri che mi rendevano inquieto. (2011, p. 41)
  • Mi pareva che avessero acqua nelle vene, acqua santa, se vuole, ma troppo diversa da quel sangue pieno di fuoco latente che mi sentivo io. (2011, p. 42)
  • Mi piaceva sopra tutto, credo, perché mi ero accorto di piacere a lei. (2011, p. 42)
  • Ha finito per tanto tempo di sdilinquirsi per la bellezza che ora si crede sincero. (2011, p. 66)
  • Che forse la sessa intera religione cattolica era un grande spettrale cadavere in piedi come l'abbazia. (2011, p. 75)
  • «Lei?» diss'egli ridendo. «Un mondano come Lei?»
    «Io non sono un mondano, caro Maironi. Io prendo interesse a osservare le vanità mondane e non sono mondano come un astronomo non è celeste.» (2011, pp. 75-76)
  • Una religione nuova! Poniamo, se vuole, la religione mia, ch'è la religione del dubbio, una religione che invece di obbligarci a credere quello che non si può sapere, ci proibisce di negarlo e c'impone il dubbio, il quale è infinitamente più sapiente e utile della fede, poiché ci dispone a tutte le possibilità! (2011, p. 78)
  • «Ecco, i cattolici, come sono» ribatté Dessalle, sorridendo. «Ci vogliono addirittura empi. Più ci avviciniamo a voi, meno ci sopportate. Si potrebbe sostenere benissimo che la vostra religione insegna l'odio del prossimo». (2011, p. 79)
  • Di lunghe frondi mobili ai fiati vagabondi della notte. [...] Un'ora beata in quel solingo incanto di marmi e di luna, fra le rose inquiete, accennanti un voluttuoso invito. (2011, p. 103)
  • Le facce compunte dei devoti stupidamente prostrati, come a lui pareva, ciascuno davanti a un piccolo specchio, guardandovi un piccolo Iddio della propria mente. (2011, p. 131)
  • Si ritirò accigliato dentro le trincee della propria dignità. (2011, p. 150)
  • Una fisionomia da Sfinge che non vuol proporre il suo enigma. (2011, p. 187)
  • Ogni cosa vi ha l'impronta di un sentimento, di una personale idea di bellezza, che ci movono a sospirare per un triste, indefinibile senso dell'assenza di qualcuno che ivi passò e che avremmo amato. (2011, p. 237)
  • Se tutte le note musicali volessero essere il la perché il la comanda, addio musica! (2011, p. 241)

Incipit di alcune opere[modifica]

Daniele Cortis[modifica]

Le palle cozzarono insieme due volte, forte.
"Tac tac!" fece il conte Perlotti guardandole correre attento, con il gesso nella destra e la stecca nella sinistra.
"Santo diavolo!" esclamò il senatore. "Non c'è taglio. Che stecche avete, contessa Tarquinia? Non si può giuocare."
"E dàlli!" disse la contessa, sottovoce, fra un gruppo di signore.
"Genero mio benedetto" soggiunse allargando le braccia, "più che scrivere e riscrivere che me ne mandino!"
Si voltò alla Perlotti che sorrideva silenziosamente guardando il tempo dall'uscio a vetri.
"Bello, sai" brontolò. "Sarà la ventesima volta che me lo dice. Vuole che le faccia io le stecche?"
"Che tempo!" disse la signora, prudente. "Fa paura."

Fedele ed altri racconti[modifica]

Fedele[modifica]

— Soffio, signor Fogazzaro — disse, quella sera indimenticabile del 1.º agosto 1884, il generale Trézel, pigliandomi una delle mie povere pedine. — Stia attento!

Un'idea di Ermes Torranza[modifica]

Il professor Farsatti di Padova, lo stesso ch'ebbe con M.r Nisard la famosa polemica sui fabulæque Manes di Orazio, soleva dire di Monte San Donà: «Cossa vorla? Poesia franzese!» Il solitario palazzo, il vecchio giardino dei San Donà gli erano poco meno antipatici di «monsiù Nisarde» sin dall'autunno del 1846, quando vi era stato invitato dai nobili padroni a mangiare i tordi, e fra questi gli si erano imbanditi degli stornelli.

Il fiasco del maestro Chieco[modifica]

Rilessi nel vecchio quaderno, dove l'avevo trascritta molti anni addietro, questa sentenza di Lessing: «Lass dir eine Kleinigkeit nicht näher gehen als sie werth ist». — Non lasciarti toccare da una inezia più ch'essa nol meriti.

Eden Anto[modifica]

Un amico mio, profondo in zoologia, e convinto da lungo tempo che se il più vecchio degl'ippopotami viventi camminasse ritto sulle zampe posteriori, somiglierebbe tutto, almeno da tergo, al dottore Marcòn, assessore in una cittadina del Polesine, non importa quale, e gonfiato da piccolo notaio a gran riccone, non importa come; tanto che sarebbe pura giustizia chiamarlo ippopotamo d'oro, costui, e non vitello.

Una goccia di rhum[modifica]

Gli occhi suoi mi dissero di tacere; un domestico entrava con il vassoio del thè.
— Per me sola — diss'ella a mezza voce — come Leopardi. — Amava, benché straniera, Leopardi, che io le leggevo qualche volta; e non soffriva, allora, che chicchessia ne udisse un sol verso.

Pereat Rochus[modifica]

— Bel caso, don Rocco — disse per la quarta volta il professore Marin, raccogliendo le carte e sorridendo beatamente, mentre il suo vicino di destra inveiva furioso contro il povero don Rocco. Il professore durò a perseguitare costui con un risolino a bocca chiusa, con lo sguardo scintillante di benevola ilarità; poi si volse alla padrona di casa che dormigliava in un angolo del canapè.

Liquidazione[modifica]

Signor Direttore,
Ella mi propone, molto cortesemente, di lavorare per il Suo giornale. Grazie tante, ma non sa, caro signore, cosa c'è di nuovo? Chiudo l'officina. Che vuole? I miei libri non vanno, è gran ventura se qualcuno me ne arriva alla seconda edizione; capisce, a questi tempi!

Il dolore nell'arte[modifica]

Sull'orlo di un lago bizzarro che io amo, verde ai due capi, sottile e torto per sinuose gole di colli selvaggi e di montagne tragiche, sereno a mezzo il corso nell'arco di un golfo idilliaco, si affaccia allo specchio maggiore delle acque [10]una densa e signorile corona di ombra. Sovente per le vie solitarie di quell'ombra fui preso dal senso di una bellezza che più si prometta di quanto si sveli.

Il fiasco del maestro Chieco. Racconti musicali[modifica]

Rilessi nel vecchio quaderno, dove l'avevo trascritta molti anni addietro, questa sentenza di Lessing: "Lass dir eine Kleinigkeit nicht n'äher gegehen als sie werth ist" (Non lasciarti toccare da un'inezia più ch'essa nol meriti). Alzai gli occhi e vidi la mia vita, vuota e amara per l'oblìo di quelle parole sapienti. Anche lei, però! Sì, lei era stata troppo orgogliosa, troppo fiera; ma se io le avessi detto sorridendo: "Badi, le sue rose avevano questa spina, e mi ha punto qui e vi è rimasta", ella avrebbe levata la spina e forse anche baciata la ferita. Invece io m'ero fitto in cuore, con una strana e crudele compiacenza, quella sua lieve allusione a un passato di cui ero geloso.

Il mistero del poeta[modifica]

Oggi, 2 novembre 1881, ho deciso di porre in iscritto il segreto ch'è la vita, la ricchezza e la potenza dell'anima mia. Né i miei parenti né i miei amici ne hanno, ch'io sappia, sospetto alcuno. Una sola persona vivente, in Italia, ne apprese da me qualche cosa; ma ella è tale che certo non ne ha fatto parola.

Il Santo[modifica]

Jeanne si posò aperto sulle ginocchia il volumetto sottile che stava leggendo presso la finestra. Contemplò pensosa dentro la ovale acqua plumbea dormente a' suoi piedi il passar delle nubi primaverili che ad ora ad ora trascoloravano la villetta, il giardino deserto, gli alberi dell'altra sponda, le campagne lontane, a sinistra il ponte, a destra le quiete vie che si perdevano dietro il Bèguinage, e i tetti acuti della grande mistica morta, Bruges. Ah se quella Intruse di cui stava leggendo, se quella funerea visitatrice movesse ora, invisibile, per la città sepolcrale, se le rughe brevi dell'acqua plumbea fossero l'orma sua, s'ella toccasse già la riva, la soglia della villetta, con il suo sospirato dono di sonno eterno!

Leila: romanzo[modifica]

«Signorina» disse Giovanni, il domestico, entrando frettoloso, ansante, nella sala da pranzo. Aveva cercato inutilmente la signorina Lelia nel giardino, nel salone, nella sua camera. Erano le nove di sera, il padrone e la signorina avevano finito di pranzare prima delle otto, il padrone si era chiuso quasi subito nel suo studio, la signorina era uscita in giardino, a Giovanni non poteva venire in mente che fosse ritornata nella sala da pranzo. Ella era lì, alla finestra.

Sonatine bizzarre[modifica]

Il parere di Ulisse[modifica]

Tu conosci quella sala così elegante e signorile nelle proporzioni, così ricca di fregi nelle pareti e nel soffitto, di marmi preziosi e persino di madreperla nel pavimento, che si direbbe ideata dall'architetto della Casa Reale di Micene per il suo signore Agamennone? il quale vi sta solamente dipinto insieme alla principessa Ifigenia, a monsignore Calcante, ad alcuni ufficiali civili, militari ed ecclesiastici, a soldati, a marinai, a un cane di Corte e ad una cervetta che andrà sotto il coltello invece del giovinetto florido corpo femminile.

Suonatina per orsi[modifica]

La più misteriosa, forse, fra le radici più oscure de' miei sentimenti, è una sottile, profonda radice di simpatia per mastro Bruno, l'onesto mangiatore di miele. Io mi sono sempre sentita viva questa radichetta nella parte inferiore del cuore, piuttosto a sinistra che a destra, prima ancora di accorgermi che spuntavano da quella stessa parte i miei sentimenti poetici e le mie idee evoluzioniste.

La dottoressa Pascal[modifica]

Splendida guardia di giganti, quella che attornia l'Ortler. Egli stesso, il vecchio re, ha l'aspetto sereno e augusto di un grande contemplatore del cielo. Invece il gruppo de' suoi è tragico. Tutte quelle torve faccie di montagne, la Geisterspitze, la Tuckettspitze, la Suldenspitze e non so quante altre sono torturate da una duplice passione: la superbia di appartenere al famoso capo, lo sdegno di sottostargli.

Il nostro secolo[modifica]

Io vidi il nostro secolo quattro volte. La prima volta fu sulla terrazza dello Stabilimento di Lido, a Venezia, tre anni sono. Egli sedeva tutto grigio fra due scarpini gialli e una cravatta rossa, presso l'entrata del caffè, al tavolino di destra. Era certo più giovanilmente elegante che non convenisse alla sua vecchiaia; ridicolo, però, non era.

"La Nitália l'è brodéga"[modifica]

Andavo a piedi da Vezzano del Trentino a Castel Madruzzo, avendo per guida e portatore un omettino sui cinquant'anni, piccolino, bruttino, giallognolo, umile come un fraticello. Non aveva un bel nome ed era salutato per nome da quanti incontravamo. – Addio, Patata. – Bondì, Patata. – Com'ela, Patatina? – Èi doi i fiorini stavolta, Patata?

Solamente le armi?[modifica]

Io non possa rifiutarmi di aderire a chi predica, in qualsiasi maniera, la pace. Non so comprendere che si condanni una propaganda pacifica per questo che la guerra fu per tutti gli esseri viventi, compresa la specie umana, un potente fattore di progresso. La guerra è dolore. Se una legge di natura trae dal dolore il bene, noi non abbiamo che vedere con essa.

Bismarck[modifica]

Ho sempre ammirato Bismarck non tanto per il suo genio quanto per la forza colossale della sua volontà che il mondo vide agire costantemente, ordinatamente, inesorabilmente come una energia della natura. In questo egli mi pare quasi sovrumano. Nella lucidità meravigliosa del pensiero e della parola, nello sdegno delle idealità vaghe, delle astrazioni metafisiche mi pare quasi sovratedesco; e osservo che la Provvidenza per fare una e grande la nazione germanica ha suscitato in mezzo a lei un uomo disforme in molte parti da lei, come per fare una e grande la nazione italiana ha suscitato un uomo che non aveva intelletto d'arte.

Citazioni su Antonio Fogazzaro[modifica]

  • Egli poneva nell'opera sua la poesia degli affetti profondi, la bellezza delle memorie, il sacro mistero della morte. Non era, no, uno di quelli uomini alteri che si pongono di fronte all'universo e si illudono di pesarlo e di definirlo. Era l'uomo del piccolo mondo antico e del piccolo mondo moderno, della sua gente, della gente del suo sangue, della gente del suo amore. Cercava, non l'uomo, ma gli uomini, ed in tutti gli uomini quel senso del divino dal quale si sentiva gloriosamente acceso il cuore nel petto. Aveva bisogno della intimità degli spiriti e delle cose. (Renato Simoni)
  • Fogazzaro è il poeta della ereditarietà, come Zola ne è il clinico: ma il segno delle discendenze è, per lui, quasi esclusivamente spirituale; è un brivido rivelatore, è una rapida e commossa intuizione, è la possente trasmissione di due misteri alti e nostalgici: Dio e l'amore. (Renato Simoni)
  • Tra gli autori di ieri, a Fogazzaro va la mia convinta simpatia. Ma resta per me insuperata l'attrattiva verso la stupenda costruzione logica delle pagine di Biagio Pascal. (Giulio Andreotti)

Note[modifica]

  1. Da A sera, in Piccolo mondo antico e altre pagine, Mondadori, 1964, p. 352.
  2. Da Il Santo, cap. V, III.
  3. Citato in Giulio Cattaneo, Introduzione, in Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Newton Compton, 2010, p. 7.

Bibliografia[modifica]

  • Antonio Fogazzaro, Discorsi, Tip. edit. L. F. Cogliati, Milano, 1898.
  • Antonio Fogazzaro, Fedele ed altri racconti, Casa editrice Galli, 1897.
  • Antonio Fogazzaro, Il dolore nell'arte, Baldini, Castoldi & C., 1901.
  • Antonio Fogazzaro, Il fiasco del maestro Chieco. Racconti musicali, Passigli Editore, 1992. ISBN 3682249
  • Antonio Fogazzaro, Il mistero del poeta, Giuseppe Galli editore, Milano, 1888.
  • Antonio Fogazzaro, Il Santo, Baldini & Castoldi, Milano, 1906.
  • Antonio Fogazzaro, Leila: romanzo, a cura di Piero Nardi, A. Mondadori Editore, Milano, 1932.
  • Antonio Fogazzaro, Malombra, Baldini & Castoldi, Milano, 1914.
  • Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Biblioteca Moderna Mondadori, Milano 1957.
  • Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, Newton Compton, 2010.
  • Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo moderno, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2011.
  • Antonio Fogazzaro, Sonatine bizzarre, Catania, Cav. Niccolò Giannotta Editore, 1899.

Filmografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]