Steve Della Casa

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Steve Della Casa

Stefano Della Casa, noto come Steve Della Casa (1953 – vivente), critico cinematografico e direttore artistico italiano.

Citazioni di Stefano Della Casa[modifica]

  • Il cinema gotico italiano derivò dal successo della Hammer, ma ebbe la capacità di superarla grazie a opere straordinarie dal punto di vista visivo, in cui il testo e i dialoghi erano meno importanti e interessanti.[1]
  • Ha distrutto i cliché della fiction tradizionale italiana, annientandone i luoghi comuni. Senza Boris non avremmo avuto sulla Rai cose come Tutti pazzi per amore o È arrivata la felicità. È avanguardia diventata cultura dominante, ha avuto lo stesso impatto che il Futurismo ebbe sulla comunicazione degli Anni 20.[2]
  • [Catene] riesce a fondere insieme l'estetica del neorealismo [...] con la grande tradizione del melodramma italiano, contaminando questo con il realismo delle ambientazioni e uscendo da soggetti che fino a quel momento erano tratti più dalla librettistica d'opera [...] che dalla vita quotidiana. [...] Matarazzo propone una regia fiammeggiante e accuratissima, tutta giocata sui chiaroscuri, con il bianco che rappresenta l'innocenza mentre il nero simboleggia peccato e corruzione.[3]

Da Tutti pazzi per Hammer

La stampa, 11 novembre 2002.

  • Che cos'è il cinema gotico inglese reso famoso dalla Hammer e dai volti di Cristopher Lee e Peter Cushing? È molte cose contemporaneamente. Innanzitutto è una delle cose più belle del cinema inglese perché è libero, eversivo e politicamente scorretto.
  • Sta di fatto che l'amore per la Hammer unisce e forma una specie di comunità intellettuale tra coloro che amano il cinema.
  • Quando un tipo di cinema attira spettatori inaspettati vuol dire che ha una forza interna superiore alla media. Per questo, si potrebbe fare un censimento su chi resta a mezzanotte per vedere i grandi Hammer: non c'è dubbio, sono i migliori.

Da Godzilla vs Cozzilla

lastampa.it, 13 maggio 2022.

  • Il primo Godzilla è datato 1954, solo 9 anni quindi dopo l'orrenda strage di Hiroshima causata dalla bomba atomica gettata dagli americani che uccise decine di migliaia di persone. Pur essendo un film di fantascienza molto elementare (un mostro preistorico viene risvegliato per caso e distrugge Tokyo, ma un valente scienziato riesce a neutralizzarlo), gli echi di quella strage sono molto evidenti.
  • [Su "Cozzilla"] Negli anni Settanta, la fantascienza fu scoperta dal grande pubblico e c'era una grande richiesta di film classici. E così Cozzi decise di fare un investimento: comprò i diritti di Godzilla e decise di farlo uscire nuovamente in sala. E per accrescere l'attesa. Il film fu annunciato come "finalmente a colori il più grande classico della fantascienza giapponese". In effetti i colori c'erano ma erano davvero molto stravaganti. Non fu effettuata una colorazione elettronica come già si faceva negli Stati Uniti, sarebbe stata troppo costosa: Cozzi si limitò a comprare emulsioni di vari colori e a posarle sulle copie stampate su alcuni fotogrammi. Ne uscì una colorazione che, a detta di chi se ne intendeva, ricordava gli effetti lisergico dell'LSD: macchie di colore sparse un po' qua e un po là, suggestioni oniriche, sensazione di vivere come un delirio. La visione del film risultava tutt'altro che spiacevole, ma completamente folle.
  • [Su "Cozzilla"] Colori psichedelici, un attore americano aggiunto, scene di disastro provenienti da altri film. Però lo si vedeva volentieri. È il cinema, bellezza!

Geografia del western all'italiana[modifica]

  • È Sergio Leone il primo italiano a recarsi ad Almería, reso edotto dai suoi colleghi spagnoli che in quelle lande hanno già iniziato da un paio di anni ad ambientare storie di frontiera. Almería è una zona semidesertica dove non esistevano insediamenti, al punto che si poteva veramente inquadrare con la cinepresa l'intero orizzonte. In più, girare in Spagna costava poco perché c'erano società (come la Copercines) che organizzavano le coproduzioni proprio mettendo a disposizione quel set. Leone, poi, potrà realizzare il sogno di tutti i westerner di casa nostra e girare finalmente nella Monument Valley, ma Almerìa diventerà il posto più naturale dove realizzare uno spaghetti western tanto che (a detta del suo stesso scopritore) «a un certo punto divennero necessari i semafori per coordinare l'accesso delle varie troupes». (pp. 27 e 29)
  • Un capitolo a sé meritano i villaggi western, collocabili a metà tra il problema degli interni e quello degli esterni. Se ad Almería il villaggio reso famoso Per un pugno di dollari è ancora là ed è meta di pellegrinaggio per cinefili ma anche per comuni turisti, i grandi studi romani avevano tutti il proprio villaggio prefabbricato nel quale adattare le vicende [...]. (p. 29)
  • Insomma, la geografia del western all'italiana svela soprattutto il metodo di lavorazione. Si lavorava in fretta, per sfruttare il momento, senza troppo tempo per pensare: ma, al tempo stesso, c'era una grande intelligenza, paragonabile a quella che ha prodotto le ricette della cucina povera. Nella geografia del western italiano, si annida dunque la creatività che ha reso grande e mitico il periodo d'oro del nostro cinema, gli anni Sessanta. (p. 31)

Note[modifica]

  1. Citato in L'omaggio a Bava e i ricordi "da paura" del figlio Lamberto e di Argento, News.cinecitta.com, 12 dicembre 2014.
  2. Citato in Roberto Pavanello, Dieci anni fa la rivoluzione "Boris", che potrebbe tornare, La Stampa.it, 3 aprile 2017
  3. Da Catene, in Enciclopedia del Cinema, Treccani, 2004.

Filmografia[modifica]

Bibliografia[modifica]

  • Stefano Della Casa, Geografia del western all'italiana, in C'era una volta il western all'italiana Miti e protagonisti, a cura di Roberto Festi, Stampalith, Trento, 2001, pp. 27-31.

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