Boris
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Boris
Serie TV
Parte del cast di Boris
Boris, situation comedy italiana trasmessa dal 2007 al 2022.
Boris. La fuori serie italiana
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[modifica]Citazioni su Boris
[modifica]- All'inizio siamo partiti che dire che il progetto fosse un pilota era già tanto. Girammo la prima puntata immaginaria di questa serie, che invece rappresentava il mondo del lavoro. Già dalla scrittura si capiva la forza, la comicità pura, ammiccante, che non cercava di farti ridere e che al contempo ti faceva ridere tantissimo. Purtroppo la commedia italiana è stata "rovinata" dai personaggi. Quando abbiamo girato Boris venivamo da anni in cui erano i personaggi che dovevano far ridere il pubblico, i personaggi, non gli attori. Gente come Mattia ha ripristinato la normalità. (Paolo Calabresi)
- Boris di Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, anche regista, su soggetto di Luca Manzi e Carlo Mazzotta, corre un solo rischio: che a furia di mostrare le scene girate per Gli occhi del cuore – la fiction terrificante e quindi sublime – venga voglia di vedere soprattutto questa. (Antonio Dipollina)
- Boris fa ridere e riflettere nello stesso tempo. È lo specchio dell'Italia del giorno d'oggi vista attraverso le vicende di uno scalcinato gruppo di lavoratori dello spettacolo. Perché in Italia, purtroppo, c'è una sorta di rassegnazione al brutto ed alle bugie. Non capisco perché questo accada. Il popolo italiano è sempre stato forte, ironico ed intelligente. (Francesco Pannofino)
- Boris. La fuori serie italiana.[1] (frase di lancio)
- Ciò che è successo il giorno della conferenza stampa, con i giovani stagisti che il prossimo 9 aprile manifesteranno a Roma contro il precariato, utilizzando frasi di Boris come slogan per alzare un po' la voce, rimane impagabile. Quello fa parte delle cose che non puoi mettere in conto e quando accadono vuol dire che hai fatto il tuo mestiere bene e sei arrivato al cuore del problema e delle persone. Sono davvero contento che Boris possa davvero servire a qualcosa del genere, ci hanno fatto capire che è stata una piccola scintilla e tutto questo non me lo scorderò mai. (Alessandro Tiberi)
- Crediamo che sia meravigliosa la longevità di Boris. Noi stessi ci interroghiamo sul fenomeno, io credo che sia merito della libertà creativa che avemmo. All'inizio pensavamo che avrebbe conquistato solo chi conosceva il nostro mondo, e invece è piaciuto a tutti, ognuno ha riconosciuto nel suo posto di lavoro quelle stesse figure che noi raccontavamo. Ciascuno ha i suoi Biascica, dottor Cane e Lopez. (Luca Vendruscolo)
- [Entrato] a gamba tesa, e per anni, nel nostro immaginario, nel nostro vocabolario, nelle cene in cui ripetevamo le battute di più episodi, come forse solo Carlo Verdone ha saputo farci fare. (Boris Sollazzo)
- Gli stagisti c'erano fin dalla prima serie e sono stati battezzati sul set con dei soprannomi. In Boris regnava un'allegra anarchia caciarona e all'inizio era difficile anche per noi destreggiarsi, perché non sapevi dove fosse il limite di campo del set, e in realtà era tutto un set. Quando veniva qualche attore nuovo e si trovava davanti a questo problema, noi eravamo i primi a divertirci. Io mi presentavo dicendo "ciao sono merda" o "ciao sono lo schiavo" e in questo è sempre stato un gioco. Noi attori ci trovavamo come davanti a degli specchi e abbiamo cercato di rubare dal vero cast tecnico la gestualità. Ad esempio il "Biascica" di Paolo Calabresi è palesemente un mix di veri personaggi che nel tempo ha assimilato nella sua carriera. (Alessandro Tiberi)
- Ha distrutto i cliché della fiction tradizionale italiana, annientandone i luoghi comuni. Senza Boris non avremmo avuto sulla Rai cose come Tutti pazzi per amore o È arrivata la felicità. È avanguardia diventata cultura dominante, ha avuto lo stesso impatto che il Futurismo ebbe sulla comunicazione degli Anni 20. (Steve Della Casa)
- La regia di Boris è molto semplice, al servizio della storia. Avevamo il desiderio di raccontare quel tipo di mondo e soprattutto l'umanità dei personaggi, quindi siamo stati loro parecchio addosso. Non è una regia visionaria, è quasi una prosecuzione della scrittura, che continuavamo sul set. (Mattia Torre)
- La scelta di Boris non è casuale: perché è l'unica fiction italiana originale, fuori dagli schermi. Io sono un grande masticatore di fiction americana e posso dire che Boris è di qualità. (Corrado Guzzanti)
- La stessa Boris, (fuori)serie in apparenza ironica e in realtà serissima, rappresenta con rara genialità lo squallore della tivù: registi sciatti, attori cani, stagisti schiavi e direttori della fotografia che si rilassano tirando coca. (Andrea Scanzi)
- Non è riuscita a cambiare la tv generalista, ma ha sdoganato quel pubblico che guardava le serie online e che oggi è diventato la normalità. (Paolo Calabresi)
- Tra gli addetti ai lavori Boris è ormai un riferimento di un certo modo di lavorare. Ho fatto tanta TV è ti assicuro che spesso la realtà supera la fantasia e accadono cose che anche in Boris sarebbero eccessive... Anche la "gente comune" ama i personaggi, non solo per la loro comicità, ma anche perché raccontano un mondo più vasto, oltre il cinema e la tv, ma di ogni ambiente lavorativo in cui prevalgono cialtroneria, superficialità, schiavismo, vanità etc. Credo che la fortuna di Boris è quella di raccontare in modo spietato ogni ambiente di questo nostro Paese a pezzi... (Massimo De Lorenzo)
- Un gruppo di lavoro sta girando una terrificante fiction dal titolo Gli occhi del cuore (perfetto, e ognuno faccia gli abbinamenti che vuole con la realtà). Dal regista in giù, sono tutti rassegnati al peggio e al brutto, vorrebbero girare ben altro ma la vita li ha portati lì. La speranza è nei due giovani stagisti della troupe, vessati e martoriati, che stanno chiaramente a simboleggiare lo sguardo innocente dei giovani di fronte ai disastri umani, sociali, lavorativi dei 40-50enni. Il taglio è comico (ma potrebbe esserlo di più, premendo il pedale, senza paura di togliere spazio a messaggi e senso dell' operazione) e si ride spesso, con sano umorismo da strip Usa gestito da autori che sono un' oasi di speranza nel panorama attuale. (Antonio Dipollina)
- Vorrei tanto interpretare ruoli da commedia, giocare con i miei personaggi, improvvisare. L'unico ruolo comico che mi hanno dato è stato Corinna in Boris: quanto mi manca! Boris è il verbo. Non ho più avuto un'occasione simile, l'opportunità di esprimere quella comicità che peraltro nella vita di tutti i giorni ho. (Carolina Crescentini)
- Al di là dei suoi meriti, dell'indiscutibile qualità e della sagacia dei suoi autori, Boris è lo specchio di un mondo malato in cui siamo abituati a vivere e che non ci interessa più cambiare. Se un giorno un poeta trovava confortante il "guardar da riva il naufragar altrui", adesso sembra che ci piaccia e ci diverta guardare anche il nostro, di naufragio.
- Anche al concerto del primo maggio Boris ha dichiarato di non essere un prodotto di nicchia, ma un racconto che è arrivato molto, ma molto più lontano di quanto nessuno si aspettasse. Boris ha aperto il futuro del mercato televisivo, perché la sua diffusione sul web ne ha tracciato, in modo nuovo e inusuale, un successo diluito nel tempo, che non ha ancora esaurito la propria efficacia.
- Boris è stato il più grande successo della mia vita professionale, anche se non tutti sanno di cosa stia parlando. Sì, è così. Certe volte, quando i fan delle grandi serie che vanno sulle TV generaliste (Distretto di polizia, Squadra antimafia, Fuoriclasse ecc...) mi fermano per strada, non sanno neppure cosa sia Boris, non lo hanno mai visto, addirittura non ne hanno mai sentito parlare. So che per chi lo ha amato può sembrare assurdo: a loro sembra che l'unica serie TV del mondo sia quella! In verità, Boris ha creato un pubblico che non è un vero e proprio pubblico televisivo, ma è enorme e dura nel tempo. È stata la prima serie italiana a passare in streaming e si è distanziata dagli altri prodotti tanto quanto li ha stigmatizzati. Insomma, se non lo avete visto, sappiate che Boris è una serie prodotta e, inizialmente, trasmessa da Fox, ambientata in un set televisivo, che mette in croce tutta la TV italiana, svelandone ogni vizio e miseria, senza alcuna pietà.
- Nessuno se la prenda, ma solo Boris e altre due o tre serie italiane hanno avuto questo effetto, cioè un effetto "mito". Ed è perché c'è una verità che è stata raccontata in libertà, è un'idea, una creazione degli autori, che l'hanno realizzata, con noi, nel rispetto solo della loro idea, che era, evidentemente, vincente. Inizialmente credevo che la differenza tra i fan di Boris e gli altri fosse una questione sociale perché Boris passava sulla piattaforma Sky a pagamento, poi quando si è diffuso in streaming, credevo che fosse patrimonio di giovani più o meno acculturati, ma quando mi hanno fermato a Centocelle, a Floridia o alla Vucciria, ho capito che il fan di Boris è diverso perché è con te, perché crede in quello che quel personaggio racconta e ammira il fatto che tu l'abbia saputo raccontare. Per me il vero successo è questo.
- «Boris» (è il nome di un pesciolino rosso portafortuna) si offre come un inesorabile ma buffonesco atto d'accusa contro la cialtroneria di molta serialità italiana. Per questo piace molto a chi odia «I soliti idioti», al sereno dandinismo, molto diffuso sui giornali (la versione trendy del luogocomunismo): è rassicurante, ribadisce il primato e il disprezzo degli intelligenti sui buzzurri, è un atto di diffida nei confronti dei furbastri. Tutto bene, tutto giusto. Salvo che una lettura così — così ideologica — è riduttiva nei confronti della stessa serie. Ai dandinisti basterebbe dire: ma l'avete visto «30 Rock» di Tina Fey, che affronta lo stesso argomento ma con ben altra complessità metaforica e linguistica? Paradossalmente, per apprezzare «Boris», bisogna partire dal fatto che anche «Boris» è figlio di quella tv italiana che vive di budget risicati, di approssimazioni, di balle, di facilonerie, di romanità folkloriche, di indotto Rai. «Boris» è irresistibile proprio quando si aggrappa alla sua cattiva stella.
- «Boris» è una fiction tutta italiana che prova a riflettere su un diffuso stato d'animo della fiction italiana: il cinismo. Ridendo e scherzando, si mettono così a nudo i non pochi difetti della serialità italiana: la tolleranza estetica, l'arte di arrangiarsi, la scarsa professionalità, ecc. Questo il suo merito maggiore. Che non è poco, anzi. Troppo spesso, però, ha preferito indulgere alla caricatura, alla canzonatura, rinunciando alla battuta sferzante, al graffio, al fremito nervoso. Come poi ha dimostrato la versione cinematografica.
- «Boris» viene sempre additato come un esempio di tv intelligente, di satira riuscita, di atto d'accusa contro la tv. La sensazione che si prova ora è infatti quella di recensire un film che passa in seconda visione, secondo i canoni distributivi di una volta.
- Com'è noto, «Boris» mette in scena il dietro le quinte di un set televisivo alle prese con una serie tv fasulla, il classico telefilm nostrano. Che finge di ispirarsi alla serialità americana ma non fa altro che ingigantire tutti i difetti di quella italiana, a partire dalle condizioni materiali di realizzazione: budget risicati, attori improbabili, piani di lavorazione approssimativi, troupe al limite della professionalità, telefoni cellulari sempre spenti, ecc. Spesso «Boris» additato come un esempio di satira riuscita, di atto d'accusa contro la tv. Star indiscussa del racconto è proprio René Ferretti (Francesco Pannofino), «il Roberto Saviano della fiction», la caricatura del regista cialtrone, figlio di quella tv italiana che vive di budget risicati, di approssimazioni, di balle, di facilonerie, di romanità folkloriche, di indotto Rai.
- Boris era una serie geniale. Si godeva di grande libertà e c'era gente in grado di abitarla e sfruttarla: è stato un meraviglioso incontro di ingegni.
- Boris ha cambiato la storia della tv. E anche un po' la mia: mi ha salvato dal ruolo del fidanzatino romantico in cui Un medico in famiglia mi aveva incastrato. C'è un prima e un dopo Boris nella mia vita. E forse anche in quella degli altri.
- In Italia non è il talento a scarseggiare e un progetto come è stato Boris lo dimostra. In quell'occasione ci è stata data carta bianca e il risultato è stato un prodotto innovativo, diverso e che ha lasciato ognuno di noi libero di esprimersi prendendosi anche un po' in giro. Per esempio inizialmente il mio personaggio doveva essere un prete, ma ho insistito che fosse un medico, una sorta di parodia di Guido da me interpretato in Un medico in famiglia.
Note
[modifica]- ↑ Dalla locandina della prima stagione. Cfr. «Boris. La fuori serie italiana» compie dieci anni, Corriere.it, 3 aprile 2017.