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Arturo Farinelli

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Arturo Farinelli (1867 – 1948), critico letterario, germanista e accademico italiano.

Dante in Spagna, Francia, Inghilterra, Germania

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  • Alle creature sue Dante dava, d'abitudine, con pochi e gagliardi tratti, un'attitudine sintetica; abbozzava con michelangiolesca foga; ma non compiva; lasciava che l'immaginazione, possentemente scossa e ravvivata, facesse per conto proprio il minuto disegno. Uno schizzo fugace rinchiudeva il corpo, l'anima di un mondo determinatissimo. (cap. I, p. 18)
  • È saputo come a Dante s'inchinassero riverenti i vati di Spagna, già nei primissimi del '400, e dal sacro poema traessero, per tutto un secolo, ispirazione, immagini, motivi, assai più che in Francia e altrove, fuor d'Italia, sia avvenuto. (cap. II, pp. 31-32)
  • La «Commedia» è una gran boscaglia, fitta, densa intricata, che sgomenta al primo entrarvi, e dove non risplende sole. Più franco e sicuro è il passo negli orti ameni, offerti dai poemi allegorici di Francia. I cristianissimi di Spagna, quando vanno in sogno all'altro mondo, e vedono e descrivono gli abissi infernali, chiedono, come i fratelli di Francia, soccorso d'immaginazione a Virgilio più che a Dante. (cap. II, p. 43)
  • Per la Francia, come per la Spagna, la Germania e l'Inghilterra, la lingua di Dante doveva offrire gravissimi ostacoli ad ognuno che voleva pur internarsi in quel singolarissimo mondo della «Commedia». La lingua e l'afflato della poesia medesima; se non l'intendi in ogni sfumatura più delicata, e non l'hai chiara e vibrante nel cuore, non giungerai alla sua anima; e ti fluttuerà innanzi, sempre velata di mistero. I traduttori più abili non suppliscono alla tua propria virtù di penetrazione, e ridanno infiacchito e travisato l'originale, che pur si rispetta. La Francia doveva aspettare il Rivarol[1] per avere una cantica dantesca, quella in tutto il mondo più nota, ridata efficacemente, con un po' di nerbo e con la fedeltà dello spirito, comunemente confusa con la fedeltà della parola. Circa quattro secoli innanzi il Febrer[2] catalano offriva al suo popolo un Dante più robusto, in una lingua più densa e più rude. (cap. III, pp. 212-213)
  • Gotico significava goffo, rozzo, informe. Ad un edificio gotico presto s'avvezzarono i Britanni ad eguagliare la «Commedia», ritengo dietro l'esempio dei Francesi, dimentichi delle marmoree commedie sollevate al cielo dagli avi loro, nelle età barbare e caotiche, e spasimanti dietro le forme elleniche, classiche, luminosissime. (cap. IV, p. 265)
  • [...] nessuno che più allo spirito di Dante amasse stringersi, e di quello spirito sentisse in sé accese le divine faville dello storico Christian Friedrich Schlosser. Se Dante ebbe un culto in Germania, l'ebbe nel cuore di quel solitario scrutatore della storia universale dei popoli. Dacché la poesia di Dante gli si fu rivelata, visse lo Schlosser intimamente col suo poeta. (cap. V, pp. 416-417)
  • Colla coscienza di Dante [Schlosser] parve fortificare la coscienza sua propria. Uomo di salda e robusta tempra, in cui notavasi non so che di socratico e di catoniano, sdegnoso del secolo suo, che chiama frale, «weibisch», austero ne' costumi, censore severo d'ogni ambizione folle, nella fragilità e vanità infinita della vita umana, celando, sotto apparenze rigide, tenerezza di fanciullo. Ornamento del suo studio era un busto marmoreo di Dante, che rimembra l'effigie di Dante posseduta da Goethe. (cap. V, p. 424)
  • [...] nelle fattezze dello Schlosser, non uscito di vita ancora, nello sguardo dolce, penetrante, nel maschio naso, nel mento sporgente, videro alcuni sembianze dantesche. (cap. V, p. 425)

Il romanticismo in Germania

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  • I romantici, che lo Schlegel catechizzava e il Novalis infiammava di ardore mistico, hanno orrore dell'ignoranza e del barbaricume. Inneggiano alla virtù del sapere, al beneficio della civiltà. Il Rousseau rinnega la storia, e nega l'educazione; sistemizza l'ineducazione. I romantici credono ad un progresso eterno dello spirito; identificano talora l'educazione con la religione. E tutto vorrebbero abbracciare, tutto comprendere, tutto vedere, tutto sviscerare, raccogliere in un sol raggio, come Friedich Schlegel diceva, tutti i raggi della civiltà. Da quella gran foga e avidità di sapere, dalla smania di investigazione e di ricerca rampollarono poi via via le nuove scienze della natura e dello spirito. (p. 23)
  • All'intima vita dei romantici pur partecipava un altro tenerissimo e delicatissimo spirito, il Wackenroder, destinato pur lui a tragittare rapido, soffio che veemente spira e cessa col primo turbine. Partecipava coi fremiti del cuore, infinitamente più che col vibrare della mente, non usa alla speculazione propria, originale, alla profonda e divina calma meditatrice. Al grave concento mesceva la sua nota individuale, tutta dolcezza e soavità. Natura di Beato Angelico, «nur für das Seligste erkoren», come lo celebrava il Tieck, era nato per esaltarsi e adorare, perduto nella sua contemplazione mistica. (p. 44)
  • Sensibile, malaticcio, sacrato alla morte appena sbocciato alla vita, [Wackenroder] era come consunto dai rapidi entusiasmi che comunicava agli amici. Chiaroveggente, di percezione finissima, nocque alla sua produzione l'intimità soverchia, il sogno che ravvolgeva, e gli era come velo al pensiero. A nessuna spiaggia approda. Appare come esiliato da questa terra. Ritrova nell'immaginazione i lontani lidi, e le età lontane, in cui la vita del cuore era più intensa, più fervido l'aspirare a Dio, più profonda e accesa di divino ardore l'arte, più cavallereschi apparivano i costumi. (p. 44)
  • Al destino fatale, che frange, annichila, e giammai ricrea, la vita, sollevò un trono Zacharias Werner, poeta tutto intriso di sensualità, mosso a predicare alle turbe la sua religione. E Goethe pensava ch'egli potesse, come facitore di drammi, degnamente succedere allo Schiller! (p. 97)

Leopardi

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  • Se badate, sono le piccole, tenuissime cose, le scene più intime e romite quelle a cui [Giacomo Leopardi] più si affeziona. Il paesaggio più semplice e disadorno può suscitargli la commozione più viva e più dolce; la vibrazione dell'anima più intensa muove talora da una immagine lieve, tenerissima, da un fuggevole tocco, da un suono leggerissimo, da un minimo ricordo, soave o doloroso. Ai superlativi del sentimento nella lirica che gli sgorga nella pienezza del cuore fanno riscontro i diminutivi che trasceglie e vezzeggia: la gallinella, il villanello, la donzelletta, il vecchierello, i mugoletti, la finestrella sopra la scaletta. Questa risonanza profonda nell'anima dei più minuti, o comuni spettacoli forma l'incanto maggiore della poesia del Leopardi. (pp. 6-7)
  • Non conveniva un gran mondo a questo poeta assorto nell'eremo dell'anima, tutto intimità e fervoroso e doloroso raccoglimento. Lo sbigottisce lo strepito; lo spaurano i grandi spettacoli; dove è solitudine, alto silenzio, profonda quiete si ritrae pensoso, e pende, attiva lo spirito. Ad ogni più lieve stimolo il sentimento è desto; ogni più minuta cosa colpisce il suo sguardo che l'afferra limpidissima. Fuori della sua concentratissima sfera di vita la visione gli si turba, il dilettoso fantasma gli vanisce. Non distoglietelo; preservatelo dalla folla; lasciategli la sua piccola isola di contemplazione, dove si rifugia e dove giungon morte le onde dei rumori mondani. Idillica l'anima, all'idillio si atteggia la natura che lo attrae, lo commuove e gli divien famigliare. Il suo ermo colle, la sua siepe, il suo rialto sovra l'erbe, dove ama sedere e assorbirsi, solingo e muto, la sua distesa di prato che verdeggia, il suo ciel sereno, il suo sole che indora le vie e gli orti, la sua tacita, chiara e bianca luna, quei suoi lembi di campagna che dischiudono un ampio orizzonte, il mar da lungi, il monte; che altro occorreva al «promeneur solitaire» di Recanati, per suscitare fantasmi allo spirito, affetti al cuore? (p. 7)
  • La sensibilità per ogni suono era nel Leopardi inaudita, e l'anima come da un vivido raggio tutta ne rimaneva penetrata. Forse quelle voci, quei suoni che lontanando morivano, la mesta melodia che salutava la luce estrema, fuggente, agivano con forza arcana perché risonanti nell'alta quiete e nel silenzio, e popolavano d'un tratto le solitudini che rendevano più misteriose e profonde; poi si estinguevano e il silenzio raddoppiava. (p. 10)

Michelangelo e Dante

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  • La figura di Michelangelo poeta è apparsa e appare tuttora ai più senza luce e senza contorni, a mo' di fantasma che invano si tenta afferrare; il nome del grande è confuso ancora con la falange dei rimatori cinquecentisti contemporanei; letterati di grido mostrano d'ignorare, con singolare pertinacia, il valore di colui che, col Tasso e col Tansillo[3], fu tra i massimi lirici del '500, quegli indubbiamente che in testa ebbe più idee e in cuore più veraci e profondi sentimenti. (Michelangelo poeta, p. 4)
  • La grand'anima di Michelangelo, irrequieta, tumultuosa, continuamente in preda a violenti affetti, non era l'anima degli esperti, fecondi e vuoti versificatori del suo tempo. Il verso specchia questa grande anima. Il mettere pensieri in rima non era per lui un capriccio di moda, ma uno sfogo del cuore, un sollievo e un tormento ad un tempo. (Michelangelo poeta, p. 4)
  • La poesia di Michelangelo, che ha qua e là lo slancio erculeo della poesia di Dante, raramente abbraccia più in là dei sentimenti e delle idee che l'artista alberga in sé medesimo: è poesia tutta personale; è specchio fedele di quanto ferve nell'immaginazione e nel cuore del Sommo. Dante parla a tutti e di tutto; Michelangelo parla con singolare costanza a sé stesso e di sé stesso. (Michelangelo poeta, p. 6)
  • [Leonardo] Cerca dovunque raccoglimento e pace; la vita gli è cara fuori di ogni tumulto e scompiglio; lascia che altri curi i destini in patria, ai quali lui, artista e investigatore della natura, sottratto alle agitazioni e tempeste politiche, non poteva attendere; e muore in terra straniera, reclinato sempre sul pensier suo solitario. Tutte le speculazioni non portano frutto, se non si ponderano e vagliano, a mente serena e concentrata, possibilmente fuori delle stanze de' palazzi, dove il pensiero si smarrisce. Le abitazioni piccole, soleva dire Leonardo, «ravvivano lo ingegno e le grandi lo sviano». (La natura nel pensiero e nell'arte di Leonardo da Vinci, p. 400)
  • Nelle lunghe sere, sovente a notte inoltrata, quando ogni cosa intorno tace, Leonardo ama raccogliere il pensiero sulle sue carte; e come il Geremia di Michelangelo, rimane assorto, senza però il travaglio e le angosce del meditabondo profeta. Della luce e del sole amantissimo, luminoso pittore quanto altri mai, intento sempre a dissipare le tenebre, ama pur la notte; e, senza accorarsi, la vede scendere dal cielo, portata dalle ombre immense. Dalle ombre notturne trae motivo di luce, anche a profitto di quella scienza sua particolare e singolarissima del fumeggiare delle figure; sul far della sera, quand'è tempo cattivo, i visi di uomini e di donne, avevano per Leonardo particolare grazia e dolcezza. (La natura nel pensiero e nell'arte di Leonardo da Vinci, p. 401)

Citazioni su Arturo Farinelli

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  • Arturo Farinelli ha i suoi fanatici e i suoi detrattori. Come tutte le grandi personalità, è oggetto di lodi illimitate ed asprissime accuse, ma, a differenza d'ogni altro, egli è lodato in pubblico e accusato in privato. In pubblico, ben pochi hanno avuto l'audacia di metterglisi contro; e chi ha osato ne ha avuto la peggio! Perché il Farinelli non mendica incenso, anche lo abborre, se il turiferario è meno che eccellente. Ma se qualcuno sale in cattedra per fargli lezione, state pur sicuri ch'è bell'e spacciato.
  • Arturo Farinelli è un animatore, un suscitatore d'energie. Tutto sommato, credo che l'uomo sia superiore alle sue opere, e la sua efficacia sia infinitamente maggiore come maestro, con la parola viva e la comunicazione diretta, che come critico, con la carta stampata. L'ho visto in cattedra una sola volta; ne son rimasto incantato.
  • Notate da quanti punti diversi il Farinelli riceve pubblicamente consensi. Un filosofo come il Croce, di temperamento e mentalità assolutamente contrari, gli professa una grande stima; un erudito di molto buon gusto, come il Parodi[4], s'inchina; persino il Papini, intelligenza polemica e spregiudicata, si sente una volta tanto, disposto ad ammirare ed amare... Quando si raccolgono simili suffragi, si può procedere senza esitazioni. E il Farinelli, in verità, non esita.

Note

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  1. Antoine Rivaroli detto il conte di Rivarol (1753 – 1801), scrittore, giornalista e aforista francese di origine italiana.
  2. Andreu Febrer (1375 circa – 1440 circa), diplomatico, poeta e traduttore catalano.
  3. Luigi Tansillo (1510 – 1568), poeta italiano, di ispirazione petrarchesca e premarinista.
  4. Ernesto Giacomo Parodi (1862 – 1923), scrittore, letterato e filologo italiano.

Bibliografia

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Altri progetti

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